I tre giorni che sconvolsero l’opera…….quando avanguardia significa retroguardia

La settimana passata sulle colonne di un quotidiano, che in altri settori, quali la politica interna, brilla per quello che altro quotidiano bolla quale slurpismmo è apparso un peana per tre spettacoli allestiti nei giorni precedenti in alcuni teatri italiani, tali da rappresentare per la firma “i tre giorni che sconvolsero il teatro d’opera”.
Possiamo dire che per sconvolgere il teatro d’opera ben altro ci vorrebbe e che queste pseudo notizie rispondono al solo e solito ufficio di inventare un interesse che con gli attuali ingredienti non può esserci. Il pezzo sì scontato in contenuti, latitante ed abborracciato sulle categorie applicate (classico, innovazione) che si ha la sensazione di essere un pezzo pubblicitario o poco altro. Quando si proclama la novità, anzi lo sconvolgimento del precedente si devono offrire ai lettori solidi motivi ed argomentazioni per sostenere le proprie teorie. Qui qualche aggettivo, un po’ di disprezzo per altri “grandi nomi” in carriera e dovremmo anche credere.
Allora basta guardare lo spettacolo di Emma Dante, dove la signora ripropone sempre le stesse cose ovvero doglie del parto, immagini tratte dalla tradizione religiosa e ben deturpate, come il richiamo alla Madonna dei sette dolori, che ci certificano che per la Dante il mondo comincia e finisce a Palermo perché certe immagini come il cavallo scheletrito proprio nella cappella di Palazzo Sclafani (oggi al museo di palazzo Abatellis), riportato, per altro, in ogni informato testo di storia dell’arte, richiami, poi, al trono di spade e per essere a “la page” un po’ di cazzi e coglioni di pezza pendenti, che evocano solo il caustico detto popolare “gabbia aperta uccello morto” sino alla foresta di fichi d’india per formulare, sconsolati, la domanda “e questo chi e che sconvolge?”, per lasciare amaro in bocca a chi frequenti da un po’ di tempo i teatri o ancor più semplicemente guardi allestimenti, anche datati, sul tubo.
Quando, poi, si provano premiti e fremiti per le solite sporcaccionate di Bieito, che non sa andare oltre e che solo sporcaccionate offre perché il tema di fondo del capolavoro wagneriano -volere o volare- è quello, straordinariamente ottocentesco, del rapporto bene-male, sacro e profano e non sarà l’accenno al soft petting a svellere il pensiero di Wagner, vero figlio del proprio tempo. Questo è per usare una terminologia poco fine, ma efficace “voler cambiare il culo alle mosche” e, richiamando il lucido pensiero di Celletti, comprovare una volta di più che i critici italiani vanno in giro con la sveglia al collo.
Ed, infine, non sai se ridere, piangere o incazzarti quando si grida alla sconvolgente modernità per l’idea di allestire il Faust in abiti contemporanei alla prima parigina 1859. Scusate: ma a quel qualcuno che si agita per queste presunte novità hanno oscurato you tube sicchè nonostante le migliaia di serate all’opera, pure celebrate e premiate, non sa che la “pensata” di portare Faust all’epoca della prima fu proposta dapprima a Bologna nel febbraio del 1975 da Luca Ronconi e subito dopo da George Lavelli (Operà di Parigi poi ampiamente saccheggiata da Hugo de Ana a Roma nel gennaio 2003). In entrambe le occasioni fioccarono, fischi, polemiche, applausi, divisioni all’interno del pubblico. Era giusto correvano gli anni ’70 ed il modello indiscusso di allestimento del Faust era quello scaligero del 1965.
La verità per tutti e tre gli sconvolgimenti è una sola e triste: non sono i registi che si adattano e si adeguano al testo per offrire al pubblico una visione del testo, ma sono i testi che devono essere piegati alle solite tre idee (Palermo onfale del mondo, ogni testo teatrale serve come scusa per esibire un po’ di porcellonate, scopiazzare è bello) che vengono riciclate in ogni spettacolo perchè di idee proprie, di cultura propria, di riflessioni proprie non si è in grado di farne. E chi loda e stupisce è uguale al lodato ed esaltato.
Come dice Filumena Marturano, contrattando il prezzo delle uova per la pasticceria di Domenico Surano, fannullone e puttaniere “ca nissuno è fesso”……
Oggi sconvolgerebbe di più un Macbeth attento ai dettagli di regia che il libretto e la tradizione racconta, dove nessuno strilli e falsetti e dove l’orchestra non sembri una banda di paese.

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33 pensieri su “I tre giorni che sconvolsero l’opera…….quando avanguardia significa retroguardia

  1. In effetti, è difficile stabilire chi renda il peggior servizio all’opera, se i registi gggeniali o i critici slurpanti. Caro Domenico Donzelli, grazie di esistere, e perseveriamo. Se non salveremo l’opera, almeno le nostre anime si spera ne abbiamo qualche beneficio

  2. la verità è che il teatro di regia all’opera è alla frutta da anni e da anni continuano a proprinarci il loro vecchiume post moderno, trito e rimasticato. Il moderno regista d’opera vive in una nube de pedo dove respira ignoranza e autoferenzialità. Solo un regista che non ha mai visto, conosciuto, sentito narrare o visto allestimento alcuno del Faust può pensare che la trasposizione della vicenda a metà 800 sia un “invenzione”…
    ma se dell’ignoranza media del regista d’opera sono abbastanza convinto…. sono più propenso pensare che la critica slurpante sia tutto sommato conscia del vero…e questo è anche peggio.

  3. Io sono comunque estremamente diffidente nei confronti di critici e forumisti che scoprono un genio al giorno. Soprattutto perché se tutte le esecuzioni e le messinscene sono sublimi e cose mai sentite o viste finora, da questo non risulta alcuna scala di valori e tutto si annulla

  4. Aggiungo che queste “genialate” registiche , anche se vengono riproposte solo pochissimi anno dopo la prima , i risultano invecchiatissime.. Parlo per esperienza, ossia in base ad una recente riproposta al teatro della mia città. Ma , per i critici slurpisti, sono invece novità eclatanti..

  5. Imbarazzante il fatto che il teatro di regia, in tutte le sue variegate declinazioni, sia ormai insopportabile per il pubblico e che la “critica” ancora non se ne accorga. Che cosa vogliono continuare a propagandare? qualcosa che la gente respinge?…lo spettacolo di mcVicar non ha nulla di innovativo ma piace la gratuità del Mefistofele vestito da donna ( mirabile oscenita’ il goffo Pape con la faccia gonfia nel video di Londra) copiata da Ronconi ( padre e patrigno di tutto il presente ), quindi datata….. 1975!!!! Roba vecchia di 40 anni che viene riciclata nella moderna lavatrice teatrale e che chi si pone come faro intellettuale del pubblico avrebbe il dovere di conoscere e riconoscere…..giusto per provare di essere preparati quando si parla.
    Se si definisce Stein come un CLASSICO ( ….!!!..) vorrei che ci fosse illustrato cosa abbia mai dato Peter Stein all’opera lirica, e quali tra i suoi pochi( per fortuna) allestimenti lirici siano da considerare di qualche rilievo, quindi degni di essere un riferimento…perchè quello di Stein è chiaramente il caso di un regista di teatro di prosa riciclato e, mi permetto di dire, in modo maldestro nella lirica. la regia d’opera è altro da quella di prosa e dal cinema, ha una sua specificità, che va conosciuta e dominata, e che Stein come tanti altri, Dante inclusa, hanno dimostrato di non possedere regolarmente al cospetto del repertorio. Questi invece entrano nell’opera tradendone i contenuti, sovrapponendosi al testo con i propri clichè e manipolando i contenuti a proprio piacimento e pare proprio la cazzutaggine, l’illegittimità di quanto posto in essere a piacere a questi signori che poi si permettono di usare categorie come CLASSICO, di cui dubito conoscano il significato e le implicazioni.
    Del resto la stampa ormai vive di manipolazioni dell’informazione in ogni settore, ergo….

  6. Non ho visto gli spettacoli in questione, né ho letto gli articoli osannanti. Posso solo testimoniare che già da anni sono un abbonato nei posti a scarsa visibilità del teatro della mia città, tanto so a priori che mi perdo poco o niente. Il delirio comincia quando si crede che a fare regia bastino le “idee”, non importa dove peschino e dove vadano a parare. L’importante è far parlare di sé, ma, per parafrasare Montanelli, non c’è niente di più vecchio dello spettacolo del giorno prima. Che infatti, dopo i peana di cui all’articolo, viene subito archiviato e dimenticato. E questo è un male, perchè da certi errori (o orrori) si dovrebbe imparare, per esempio a come NON si deve fare teatro d’opera.

  7. Devo dire che ho apprezzato assai l’articolo di Donzelli, anche perché le mie vedute in materia di registi sono molto simili alle sue.
    Tanto per fare un paragone fra ciò che era una regia di grido anni fa ed una da urlo oggi invito chiunque a visionare qualche frammento del Ratto dal serraglio, messo in scena da Strehler a Salisburgo, a Milano ed in altri siti dell’universo e la stessa opera messa in Oscena dal bieco Bieito alla Komische Oper di Berlino, con tipi sadomaso, pistole, atti sessuali, frustini, sottovesti, luci da casino di terz’ordine della provincia tedesca, Osmino che danza ignudo, cantanti inscatolati ed altre velleità e bellezze, buone solo per muovere il vomito.
    Premetto che non ho visto gli spettacoli di cui si parla, né ho letto le recensioni tanto elogiative.
    Però credo di essere egualmente in grado di dire la mia, dato che grazie ai potenti mezzi della tecnologia moderna (id est internet), girovagando su altri siti qualcosa si è potuto leggere e vedere.
    Incidentalmente: mi è piaciuto notare come anche su siti ritenuti più “buoni” rispetto al Corriere della Grisi il giudizio sul Ratto bolognese in sostanza era abbastanza simile a quello dei “feroci grisini”, il che la dice lunga….
    A Firenze hanno dato Faust con la ormai celebre messa in scena londinese di Mc Vicar. Qualche giornalista o critico ne ha parlato fin sopra le righe per elogiarla, come folgorato da una novella epifania o quale Saulo sulla via di Damasco, caduto a fianco del sederone del suo cavallo (almeno secondo messer Michelangelo Merisi da Caravaggio nella cappella Cerasi)? Orbene, sai che novità!
    Prima di tutto lo spettacolo mi pare non sia una novità per l’Italia, dato che – se ben ricordo – era già stato dato anni fa a Trieste (ma forse la bella città giuliana è troppo provincia e troppo lontana dai grandi centri cul-turali?).
    In secondo luogo è visionabile ampiamente in video .
    In terzo luogo, come ha scritto Donzelli, l’ambientazione ottocentesca per Faust non è affatto una novità, tanto che oggi pare costituisca quasi la norma delle messinscene “normali” (lasciamo perdere quelle alla tedesca o alla Bieito…), sì che negli ultimi anni non mi ricordo di un Faust in abiti del primo ‘500 dopo quello scaligero con Ramey e la regia di Montresor. Alcuni Faust ottocenteschi, ad esempio: 25 anni fa circa alla Fenice con Ramey, Merrit e Serra; 20 anni fa circa a Ginevra con Ramey e Sabbatini ed una strana ma azzeccata e spettacolare regia di Carsen (quando ancora faceva regie di un certo livello e non si autoriciclava); al MET diversi anni fa con regia mi pare di Serban; a Vienna 30 anni fa con Araiza e Raimondi e la regia di Russel (molto più “sage” di certi registi attuali, il che è tutto dire!) etc.
    In quarto luogo, io ritengo Mc Vicar un regista coi fiocchi, e non un buffone come altri suoi “colleghi”. A Torino ho visto una sua regia de “La carriera di un libertino” che era una vera meraviglia, un miracolo di intelligenza, il tutto nel massimo rispetto dell’autore e del libretto, la dimostrazione di come un regista e sa fare il regista può fare caprie che “lui c’è” senza stravolgere alcunché, e senza andare contro la musica ed il libretto, che, invece, era scrupolosamente rispettato. Non mi stupisco , pertanto, che abbia fatto un buono spettacolo.
    Mi stupirei, invece, per gli altri due soggetti.
    Di Bieito non è necessario dire troppo; ha già detto tutto Donzelli. Un amico medico lo ritiene da TSO. E le sue regie lo dimostrano.
    La Dante è pure un soggetto interessante….. per uno studio psicanalitico in relazione alla sua personalità ed alla sue ossessioni.
    La Carmen scaligera era una cagata pazzesca, piena delle sue ossessioni, che codesta signora, che qualche critico ha proclamato da un giorno all’altro grande regista. Ma mi faccia il piacere!
    Già la sua ossessione Palermocentrica è da studiare. Già ho letto di alcuni suoi spettacoli passati che mi stupisco non abbiano dato origine a procedimenti penali per oltraggio. E già il voler fare il bimbo birbo che cerca di irridere di qui e di là è da studiare.
    Orbene, quando – come Celletti – affermo che l’avanguardia è retroguardia, mi piace provarlo.
    Per quanto attiene al Macbeth che ci toccherà purtroppo sorbirci pure qui a Torino, noto una cosa; sul sito GBopera alla pagina http://www.gbopera.it/2017/01/palermo-teatro-massimo-macbeth/ si vede una foto dell’allestimento palermitano, ed il critico, in relazione alle scene, scrive: “Uno spazio che si presenta scarno, se non fosse per l’intuizione più affascinante dell’opera, perfettamente realizzata dallo scenografo Carmine Maringola: le cancellate a forma di corona che scendono dall’alto e che incombono sui personaggi, trasformandosi di volta in volta in troni altissimi, gabbie asfissianti, lance acuminate. Reificazione di un potere che si rivolta contro con chi lo esercita, in primis contro la Lady, in quanto sterile e distruttivo”.
    Peccato che le punte sullo sfondo assomigliano tanto, tanto, (tanto tanto da apparirne la mala copia ribaltata) di quelle che costituivano lo sfondo della messa in scena dell’opera verdiana a Torino nel 1977 (cast: Bruson, Sass, Ghiuselev, Bergonzi, dir. Previtali. Altro che i cast di oggi!); si veda https://www.youtube.com/watch?v=SCCFLSfKOlc
    cfr., ad esempio, minuto 23,30.
    Poi si legge che la Dante ha risolto la foresta di Birnam con fichidindia, il che è solo cosa ridicola: ma per costei c’è differenza fra Palermo e la Scozia? O per lei tutto è Palermo e non riesce a capire altro?
    O forse adesso faremo una Lucia di Lammermoor sicula od una Cavalleria rusticana ambientata a Glasgow?
    Inviato sin d’ora tutti i frequentatori del Regio di Torino ad essere pronti per giugno: quando ci sarà il Macbeth secondo Dante ad esprimere la nostra riprovazione alla messa in scena come sappiamo fare. Magari “offrendo” alla regista un bel mazzo di fichi d’india!

    • Ma, cosa intendi per “riprovazione come sappiamo fare” ? Qui non si riprova mai nulla: calorosi consensi anche per Guglielmo Tell, Puritani e Faust. Verra’ glorificata anche la Dante. Tuttavia, per questa Stagione, fino a questo punto per me e’ andata abbastanza bene: una gradevole Boheme, un interlocutorio “Samson et Dalila” e buoni Pagliacci, parlo dal punto di vista visivo, per il resto piu’ bassi che alti (ma Boheme non e’ stata cantata male). Ora mi sembra una promettente Manon Lescaut (sempre dal punto di vista visivo). Detto questo, una curiosita’: la sera della prima di Macbeth a Palermo un collegamento in diretta nel TG2 serale, nel momento della prima aria della Lady, con promessa di un servizio apposito nel TG2 del giorno successivo alle 13,00 e con indicazione dei nomi di regista e protagonista femminile. L’indomani il servizio include 2 brevi interviste alla protagonista (Pirozzi) e alla regista (Dante), senza alcun accenno al nome del Direttore e, non pretenderei proprio di sentire citati tenore e basso pero’, se l’opera si intitola Macbeth magari un motivo c’e’ oppure, a titolo rivoluzionario, questa volta il Direttore e il baritono non c’erano ? Strano, proprio tanto strano. E pensare che di solito, Scala a parte, mi pare che i TG se ne strafreghino del Teatro d’opera.

      • Bene, andate a Venezia! Sono già molto curioso di leggere la vostra recensione sullo spettacolo che ho visto il sabato appena passato (si è dato malato il tenore-Tannhauser ed era malata anche l’arpista, sostituita da un pianoforte. peccato)!

        Devo però dire che mi fanno un po’ sorridere gli aggettivi e i sostantivi che si sprecano per parlare del signor Bieito. Forse un po’ esagerati per una regia – di cui scrivo poco, per non far spoiler – sostanzialmente inutile, che farebbe scandalizzare solo qualche mangiaostie incallito, a tratti molto stupida (il terzo atto), a tratti però anche vagamente intelligente (nel secondo atto la rappresentazione dei minnesanger come dei signori non proprio dediti solo all’amore platonico, nulla che vada oltre un primo anno di psicologia, comunque :).

        Buona visione e buon ascolto, comunque!

  8. Premetto che non ho visto nessuno degli spettacoli. Ma mentre tornavo da un arbitraggio, ho ascoltato in auto l’inizo del Macbeth palermitano (con un audio Rai degno dei collegamenti telefonici dai campi di periferia che si sentivano in Tutto il Calcio negli anni settanta). Ecco, solo il fatto che la lettura della lettera non venisse fatta dalla Lady ma (immagino, visto che si trattava di una voce maschile), direttamente dal consorte appollaiato o nascosto chissà dove (presumo sia stata anche questa una grande trovata registica), ha fatto sì che cambiassi issofatto canale e mi orientassi sull’anticipo del campionato di calcio…

  9. ovvio e giustissimo l’ascolto del macbeth scaligero che vidi nel 1975 e nel 1978. Posso e magari prima o poi il corriere se ne dovrà e vorrà occupare ricordare che due sono le esecuzioni memorabili , per me del capolavoro verdiano, ovvero de sabata in scala e gui a firenze.
    poi ce ne sono tanti altri bravini, bravi, bravissimi, ma i due maestri hanno qualche cosa in più. Opinione mia personale

    • D’accordo per De Sabata (anche per la presenza della Lady più grande di tutte e nonostante un protagonista un po’ anonimo), ma non per Gui – direttore che apprezzo, ma che ritengo un gradino abbondante sotto i grandi. Macbeth, insieme a Don Carlo e Boccanegra, è per me tra le più alte prove verdiane di Abbado. Al contrario di Muti caduto miseramente sul titolo, sia a teatro che in sala d’incisione.

    • Io vidi quel Faust in video (è uno spettacolo abbastanza risalente) e l’ho trovato – invece – magnifico. Del resto McVicar è un regista che non si discute: poco o nulla c’entra con gli altri due a cui è affiancato. Del resto trovo che la frivolezza della musica di Gounod, spumeggiante come un divertissement, si sposi perfettamente con l’estetica del Secondo Impero (assai più che alle atmosfere gotiche di Goethe, non a caso mero pretesto narrativo, poiché al Faust viene tolto ogni aspetto filosofico e religioso, eliminando ogni complessità per fruire unicamente di parte dell’intreccio)

      • Bello, anche secondo me. Ma non mi sarebbe mai venuto in mente di definirlo “Rivoluzionario” perché di rivoluzionario non c è nulla. La sola novità di mcVicar è la qualità molto alta di ciò che fa

        • Completamente d’accordo! Non è rivoluzionario né provocatorio (e per me è solo un bene). Semplicemente riporta al centro dello spettacolo la bellezza visiva, la capacità di lavorare su gesti e caratteri, l’uso sapiente di luci e scene…a pensarci bene è rivoluzionario davvero (in questo senso), soprattutto se messo a fianco a personaggi come Bieito e Dante che, a mio parere, sembrano residuati di un’idea di avanguardia morta e sepolta (insieme a Neufels, Kusej e molti altri)

          • Scusatemi , ma forse la modestia del cast vocale e la pessima acustica della sala , hanno avuto il loro peso sul mio giudizio.

          • Sicuramente, ma anche questione di gusti: a me è piaciuto (e lo trovo molto coerente con la musica di Gounod), a te no per ragioni altrettanto legittime.

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