Il ratto dal serraglio a Milano

giogrio-strehler-ph-lelli-e-masotti-101213lmnOgni volta che mi capita di assistere ad uno spettacolo scaligero, mi riprometto che sarà l’ultimo. Poi, immancabilmente, cedo alla tentazione di volermi ricredere, fiducioso in un qualche esito almeno apprezzabile e che, invece, regolarmente non accade. E la speranza – che delude sempre – è rimasta delusa anche da questo Ratto dal serraglio che dopo 23 anni dall’ultima volta (con ben altro cast artistico: Sawallisch, Devia e Ford) torna sul palco del Piermarini. Torna con lo splendido spettacolo di Giorgio Strehler (che ci ha lasciato proprio 20 anni fa) sul quale nulla c’è da aggiungere, salvo i rinnovati elogi per una regia capolavoro, fatta di eleganza, suggestione e bellezza (parola sempre più misconosciuta da certi odierni campioni del teatro d’opera per i quali la bellezza è reazionaria e troppo popolare): è ancora tutto come nel ’94, quando lo vidi per la prima volta, con quell’immenso cielo azzurro e la linea d’orizzonte di un mare misterioso solcato da vascelli lontani, con le sue quinte che suggeriscono – appena un accenno – ad un medio oriente fiabesco e meraviglioso, col suo gioco di commedia dell’arte (quanto si vede in questo spettacolo l’impronta dell’Arlecchino del Piccolo), con i suoi controluce su cui si stagliano le silhouette dei personaggi quando cantano i brani solistici e che tornano alla luce quando recitano la commedia (in un gioco di teatro nel teatro che non è stucchevole maniera, ma essenza stessa della vita e dell’arte), i costumi da favola, le acrobazie e la delicatezza goldoniana della recitazione. Purtroppo questo è l’unico valore aggiunto della serata e l’unica ragione per cui assistere alla riproposizione (doverosa visti i tanti anni passati) del titolo. Già perché per il resto non si poteva fare di peggio. C’è della scienza e del talento nel riuscire sistematicamente a non imbroccarne una: ci vuole del genio (perverso) per riuscire ad assemblare un cast per un’opera come il Ratto che nulla nasconde in punto di difficoltà tecniche e che, al contrario, ben chiaramente esplicita cosa occorra per affrontare con profitto una scrittura esuberante, giovanile e ricchissima. E quindi come si può affidare Konstanze ad un soprano leggero ed evanescente (e passi), ma con tali e tanti problemi nel registro acuto e sovracuto – ossia l’ubi consistam del ruolo – ove la voce è più sollecitata ed ove necessita di sicurezza estrema, precisione nelle vertiginose agilità e timbro argentino? Tutte caratteristiche che Lenneke Ruiten dimostra di non possedere neppure in minima parte così da rendere le tre arie di Konstanze una più periclitante dell’altra ed una sofferenza, per l’orecchio, a scalare dallo sgradevole al disastro di “Martern alle Arten”. E come si fa ad affidare la nobile parte di Belmonte, con cui un buon cantante andrebbe a nozze per l’ampia gamma di possibilità espressive che la scrittura suggerisce, ad un tenore che ha sì un discreto timbro centrale, ma che pasticcia in modo oltre il lecito nelle sue arie, mancando sia dell’ampio respiro vellutato e lirico, sia del canto d’agilità (a cui Mauro Peter soccombe senza scampo, pasticciando tutto il pasticciabile). Ma il “capolavoro” d’insipienza è Osmin: ci vuole davvero del genio o della follia a impiegare per l’unica parte che richieda corpo ed estroversione, una voce leggera ed appena percepibile con un registro grave pressoché assente (e già…forse chi ha scritturato Tobias Kehrer non ha letto la partitura o ha difficoltà col setticlavio o non è in grado di leggere le note sotto il rigo della chiave di FA). Appena più decenti Pedrillo e Blonde, di Maximilian Schmitt (comunque inadeguato al ruolo che la regia gli assegna) e della nuova starlette mozartiana d’Oltralpe Sabine Devieilhe (inconsistente al pari della Ruiten e che, immagino, ben presto verrà promossa a Konstanze: tanto uno vale l’altro…), ma solo in virtù dei ruoli meno impegnativi. Il peggio tuttavia viene dal podio. Zubin Mehta scambia il Ratto per un’estenuante marcia funebre: tempi letargici (i primi due atti durano due ore d’orologio) e completa assenza di brillantezza, persino nella musica turca che è solo chiassosa e pesante. Una direzione da dimenticare che segna il passo di un direttore che, se mai ha avuto qualcosa da dire, ora non dice davvero più nulla: il passo lento e trascinato del Maestro che raggiunge il podio è pietosa anticipazione del passo della sua direzione (e già immagino cosa dovrà essere la Fledermaus dell’anno prossimo: dove andrà a finire la malinconica leggerezza di Strauss col suo equilibrio spumeggiante vitalità e nostalgia?). Questo Ratto mostra in modo spietato la differenza tra invecchiare e maturare: la direzione di Mehta non porta da nessuna parte e si sfilaccia in una lentezza programmatica che anestetizza la freschezza mozartiana. L’orchestra fa ciò che può, ossia poco, e il suono – così imbolsito e faticoso – è pure sgradevole e impreciso (al solito gli ottoni) per uscirne impietosamente distrutto nell’introduzione della grande aria di Konstanze (di per sé un concerto per quattro strumenti solisti), che affoga nell’impaccio di una lettura stanca, slabbrata e buttata lì. Alla fine applausi, di circostanza e neppure troppo convinti, da una sala con molti posti vuoti in ogni settore e per il resto occupata da turisti raccogliticci, tour organizzati ed avventori dell’ultim’ora in ciabatte, t-shirt intrise del sudore di una giornata milanese a 38° C., zaini e smartphone per fotografarsi alla Scala e riempire i social network di autoscatti. Immancabile Pereira in completo bianco d’ordinanza che applaudiva sonoramente come se stesse ascoltando una Callas rediviva. Tra il pubblico – come alieni – Giulia Lazzarini, Ferruccio Soleri e Andrea Jonasson, invitati per celebrare il Maestro del teatro italiano…in un’omaggio che era assai più vicino all’insulto alla memoria di Strehler.

Gli ascolti:

Ach ich liebte, war so Glücklich – Edita Gruberova/Karl Böhm

Immagine anteprima YouTube

Welcher Wechsel herrscht in meiner Seele. Traurigkeit ward mir zum Lose – Eleanor Steber/Bruno Walter

Immagine anteprima YouTube

Martern aller Arten – Luba Orgonasova/John Eliot Gardiner

Immagine anteprima YouTube

20 pensieri su “Il ratto dal serraglio a Milano

  1. …..Osmin non era scandaloso, semplicemente non c’era!! Era il meglio in giro o era il meglio a disposizione delle agenzie accreditate Scala? Duprez toglimi una curiosità: la seconda aria di Konstanze ( Traurigkeit) é stata tagliata nella parte centrale? Ero talmente “distratto” dalla prestazione della Ruiten che mi devo esser perso qualcosa. Comunque a parte lo spettacolo ancora valido ed elegante, serata piuttosto noiosa (recita 19 giugno): direzione senza brio, senza essere trascendentali gli unici ascoltabili erano Pedrillo e Blondchen. Pubblico da sagra

  2. Io ho visto lo spettacolo in TV. Un grazie per aver riprentato il grande spettacolo di Strehler e Damiani. Mi è piaciuto rivedere questo RATTO e l’ho goduto anche perchè immaginavo di trovarmi di fronte cantanti come al solito. Ovvio che manca un Talvela ,una Gruberova, una Sutherland, una Sills ecc. ma oggi non si puo’ far altro che accontentarci. Comunque il piu’ indecente era Osmin. Non aveva voce. Il resto si accetta perchè gli occhi erano incantati dallo spettacolo di Strehler. Dopo i Michieletto and co un momento di respiro !!!!!

  3. Visto ieri sera in TV. Difficilissimo non concordare in toto o quasi con Duprez. Bello spettacolo, belle scene, bei costumi, bella regia, discutibile (per usare un eufemismo) esecuzione musicale.

  4. Alla prima l’inizio è stato piuttosto sconcertante. Dopo 5 minuti di opera era già una noia. Poi un pochino la situazione è migliorata. Sicuramente colpa della lentezza di Mehta ma con questi cantanti non penso potesse fare di più specialmente con il basso, inadeguato e a volte persino irritante. Per il resto non mi sono sorpreso; era quello che mi aspettavo e mi sono preparato prima. Almeno mi sono goduto lo spettacolo dal punto di vista registico e stilistico; molto belli i costumi. Rivista e risentita in TV mi è parsa tale e quale. Anzi, forse un pochino meglio specie all’inizio. La scarsezza delle voci e la mancanza di sublimità della bellissima musica stile mozartiano hanno sicuramente contribuito a rendere lo spettacolo piuttosto modesto, troppo modesto, poco accettabile. E, come ha già detto qualcuno, siamo alle solite….

  5. Sì, cast davvero pessimo (e peggiore tra tutti Osmin che oltre a “cantare” in modo non percepibile all’udito umano era più che impacciato nei movimenti: mai vista una tale inettitudine e sgradevolezza attuariale…ci fosse stato Strehler gli avrebbe assestato un calcio dove dico io…), ma continuo a ritenere Mehta il principale responsabile del disastro, perché ce ne vuole a rendere noioso Il Ratto: una lentezza del genere è ingiustificabile, sbagliata, idiota!

  6. Egregio Gilbert-Louise,

    condivido ahimè il suo cedimento alla tentazione, mi riprometto di non seguire più il vs blog – così come lei dice di non volere più andare alla Scala – ma ci ricasco…

    Ho trovato tutto molto bello nell’ Entfuerung aus dem Serail al punto di tornarci una seconda volta con grande soddisfazione, anche la parte musicale.

    Scontate le vs lamentele sulle voci – per me tutte ben oltre la suffiicenza – e singolare il vs elogio sperticato della regia.
    Va ricordato che la scelta di Strehler del 1965 di tenere in ombra i cantanti, oltrepassando la porta magica della scena finta, era un Michelettata per quei tempi, oggetto di infiniti biasimi e contestazioni.

    Allora non c’era il vs blog, ma con gioco di immaginazione mi viene facile pensare e quasi posso leggere in virtuale cosa avrebbe potuto scrivere un vs giovane Donzelli a proposito… (sempre aperto lui al nuovo…)

    In fondo è un effetto della distensione del tempo – in altre parole.. non ci si ringiovanisce – ma spesso si rifanno gli stessi errori (il mio quello di seguirvi)

  7. le rispondo alla breve diciottenne vidi quel ratto dal serraglio, siccome ero un curioso sapevo cosa fossero i dagherrotipi e conoscevo quelli di Mozart e di Aloisia Weber e trovai suggestiva la cosa, molto mozartiana. aggiungo che cantava piuttosto bene un soprano che di lì ad un biennio sarebbe diventata un paradigma di canto: Lella Cuberli. quanto a paragone strehler a michieletto mi limito ad osservare che il Grande regista triestino, cresciuto negli spazi ridotti e nelle sistematiche parsimonie imposte da Nina Vinchi sapeva sempre

  8. La parabola discendente di Mehta può essere esplicitata dai tenori (vel similia) con cui ha inciso: dall’Aida con Corelli, Il trovatore e Tosca con Domingo (nel suo momento migliore) e la Turandot con Pavarotti, fino alle ultime incisioni di Tosca, Bohéme, Turandot ed Aida con…. Bocelli (e Aida la Lewis!!! se pensiamo che la sua prima Aida era la Nillsson….!!! viene da piangere)

Lascia un commento