Un Freischutz biedermeier alla Scala

Nell’assistere all’ultima recita del Freischutz scaligero diretto dal maestro Chung, in una “Scala aperta” che, stando al pubblico che occupava i palchi, pareva un teatro dell’Asia centrale, non ho potuto fare a meno di pensare al pungente Stendhal, quando, nella Vita di Rossini, si proclamava apertamente parziale ( perché “nell’arte l’imparzialità non esiste” ) scrivendo, anche in modo provocatorio, che i fautori del Freischutz, l’opera che in quel momento più furoreggiava contrapponendosi allo strapotere di Rossini in Europa, avrebbero visto in lui un “pover uomo refrattario alla noia e che ha le sue brave ragioni per apprezzare il genere semplice”. Altrove si espresse ancora peggio:« Quels nom se présentent après le sien (Rossini) à l’attentione de l’Europe avide de parler musique?….Savez vous que Weber au lieu d’écrire de la musique s’occupe à écrire sa vie et à nous dècrire, avec toute la clarté de la philosophie allemande, comment il parvenu à se donner du talent ?… » . Ritrovare il capolavoro che tutti noi conosciamo ed amiamo non era facile, infatti, l’altra sera, a causa della pessima compagnia di canto e dell’orrendo allestimento distillato dal nostro sovrintendente, ma anche a causa della direzione d’orchestra, sola componente dello spettacolo in cui erano riposte le mie aspettative e di cui ha senso scrivere.
Ho letto parole ed elogi assoluti per il maestro Chung di cui non posso dire che abbia fatto “male”, perché la sua orchestra ha suonato molto bene e con compattezza, offrendo un suono pulito e luminoso attraversato da una grande armonia e da respiro. Eppure se il Freischutz inaugura e sancisce il romanticismo prettamente tedesco, quello dove la natura è immanente ed enorme, estatica ma anche spaventosa, popolata da creature che incarnano il male e dove l’uomo si addentra con inquietudine mentre il clima notturno occupa gran parte del tempo dell’azione scenica, la direzione del maestro coreano, spontaneamente portato all’espressione lirica, contemplativa e distaccata, è mancata, perché l’opera ha, a mio avviso, ben altra cifra. Non ho udito l’elemento spaventoso e terribile della Gola del Lupo, la paura che percorre l’azione ed i personaggi, l’apparire anche repentino dell’elemento satanico come pure la tensione inquietante che spesso sottende gli accompagnamenti orchestrali ( i tremoli degli archi ). Non ho udito nemmeno quel sound pieno e brunito, tipicamente tedesco, degli ottoni ( un po’ spernacchianti l’altra sera, a dire il vero ), che sin dai primi accordi dell’ouverture collocano lo spettatore nel paesaggio d’oltralpe. Insomma, mancava quella che, in sintesi, potremmo definire la cifra tedesca dell’opera, che al Freischutz seppero conferire i grandi direttori del nord, da Kleiber padre e jr, passando per Furtwaenglaer, giù sino a Wolfgang Sawallisch ( lo ricordo in concerto a Firenze..) e che hanno fatto di questa opera un monumento di forza e potenza drammatica. I cori, altro elemento chiave della concezione operistica di Weber che fungono da tessuto connettivo di primo e terzo atto, mi sono parsi sbiaditi e privi di quell’accento davvero…”volk” e tedesco che solitamente posseggono: qui di sotto vi allego un’esecuzione anonima che conferisce al celebre “Jagelchor” quella cifra popolare cui alludo e che ben rispecchia l’usanza berlinese dei borghesi che, negli anni della prima di Freischutz, erano soliti radunarsi a centinaia, spontaneamente, due tre volte la settimana, per cantare insieme, stupendo gli stranieri in visita a Berlino. Il Freischutz senza tutto questo sa di poco, sembra una velleità di chi vuole riformare tutto ma in realtà non mette in gioco nulla di nuovo. Restituire solo gli aspetti lirici e poetici a discapito di quelli drammatici e prettamente romantici, ha significato, infatti, portare in primo piano le componenti meno nuove, quelle della tradizione del Singspiel o, se preferite, dell’opera comique e del teatro Bidermeier, con la morale sul bene e il male che chiude l’opera al terzo atto. La compagnia di canto peraltro ci ha fatto sentire come Kaspar derivi in primis da Osmino, quello sgraziato e becero, sia chiaro, che si canta nella provincia tedesca, mentre Annechen era una delle miriadi di seconde donne caratteriste che starnazzano il peggior Singspiel nelle stesse zone a fianco di Tamini Belmonte eunucoidi e stonati, come piace oggi. Ci è stato lasciato un po’ di lirismo con Agathe, ma solo grazie al maestro Chung che oltre ad aspettarla e a tenere l’orchestra bassa, l’ha accompagnata in “Wie nahte mir der Schlummer..” al secondo atto in modo straordinariamente magico ed incantato, un momento che è valso da solo la serata. Certo, la signora non era in grado di emettere una nota tenuta che non fosse tremolante e fissa, men che meno di legare al centro, perciò l’espressione è parsa artefatta e per nulla fluida. Ma tant’è, con un simile cast la scena di più non poteva rendere.
Non voglio poi nemmeno soffermarmi sulla produzione, inguardabile, di cui si è salvata appena appena la scena della Gola del lupo. Al di là degli agghiaccianti neon degni di una festa paesana estiva in un’isola greca, cito per tutto l’assenza pressoché totale della natura sulla scena, ridotta ad un simbolo ( …e dire che all’epoca della prima scomodarono persino il grande Schinkel per le scenografie.. ) e gli orridi costumi alla Frida Kahlo di Annechen e delle coriste, mescolati con altri stile “Una vita per lo zar” nonché qualche cappottone espressionista da teatraccio tedesco. Credo che Pereira dovrebbe essere citato per danni al teatro oltre che per lesioni colpose al pubblico e condannato a risarcire costi e danni di simili porcherie provinciali ed insensate.
Insomma, un tentativo scaligero di dare ragione alle sparate di Stendhal facendoci ripensare che nella Donna del Lago ci sia assai più natura immanente che nel Freischutz e che con il Guilleme Tell, senza tanti diavoli e creature inquietanti, Rossini sia penetrato di più all’interno del romanticismo dell’operista tedesco? No, è stata solo un’illusione momentanea svanita non appena ho riacceso la scena della Gola del Lupo di Kleiber padre, che ha ristabilito immediatamente l’ordine ( teutonico) delle cose e ridato a Weber il posto che gli spetta.

Ps. Sono tornata!

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10 pensieri su “Un Freischutz biedermeier alla Scala

  1. Ho assistito alla recita del 17 Ottobre e mi sono recato con tanta speranza ma anche un po’ di timore di non vedere nè sentire quel che Freischutz dovrebbe essere. Mi associo al tono di delusione della sig.ra Grisi di cui condivido tutto appieno.
    In una parola è mancato il “pathos” sia scenico che vocale. E di quest’ultimo sono mancate anche le voci (purtroppo, coro compreso). Un po’ meglio solo Chung appunto. Nessuna emozione nè vocale nè scenica nemmeno nel momento tanto atteso della Gola del Lupo. Per il resto, molta noia e “piattezza” assoluta. Peccato. Nessun senso di cosa sia il romanticismo tedesco e soprattutto che cosa rappresenti quest’opera per tutto quello che è venuto dopo “in primis” Wagner. Se il regista fosse uno scolaro meriterebbe un bel 4 e un “vai a studiare!” come si faceva e si diceva una volta a scuola con la differenza che qui siamo (o meglio, eravamo una volta…) alla “Scala”.

  2. Tuuto giusto tranne la battutaccia sulle feste greche estive. Ho assistito, a Creta e oltrove, a magnifiche feste paesane con tutto il paese che ballava attorno alla piazza in un tripudio dionisiaco da far morire di invidia il novanta per cento dei registi di oggi.

  3. Non condivido nulla di quanto da Voi recensito
    Intanto lo spettacolo presentava un idea registica ben precisa . Ciò che mancava di naturalistico era invece proposto nelle visioni oniriche di fauni, diavoli e animali
    volutamente grotteschi ..
    La scene della Gola del Lupo era di grande effetto e valeva da sola la serata, peraltro interpretata magistralmente e cantata con una tale enfasi da risultare emozionante col martellio incessante
    Un sabba ante litteram …
    Mi sono sembrati seplicemente meravigliosi i costumi
    che davano continuità al sogno onirico in cui il regista voleva condurre lo spettatore con tanto di
    uscite di scena dei personaggi di ronconiana memoria
    Quanto al cast che mi è parso molto omogeneo
    merita un plauso il basso Gunter Groissbok .
    Essendo reduce da una Tosca romana, l orchestra della Scala risuonava come i Berliner e Chung mi ha convinto ricordando il disastroso Don Carlo scaligero!
    Anche la recita del 28 ottobre era semidesarta

  4. Illuminante , e condiviso , il titolo della recensione di Madame Grisi : “un Freischutz biedermeier alla Scala”. Aggiungerei , finalmente !. Chung si e’ allontanato dalla visione , prevalente in ambito teutonico, di leggere von Weber quale un precursore di Wagner, riposizionandolo nel clima appunto biedermeier e dandone una lettura quasi schubertiana ; lettura , a mio parere , corretta dal punto di vista stilistico e storico . Rendendo , tra l’altro , il Freischutz piu’ omogeneo rispetto ai successivi Euryanthe ed Oberon.

    • Non so se essere senza forza molle e noioso sia essere Biedermeier. Non credo nemmeno al 700 senza vigore. Cmque se lo mettiamo così, weber è assai meno novità di quanto si dica e l opera italiana comunque più avanti dei signori tedeschi. Infatti poi Freischutz non apri una scuola ma.chiuse il Singspiel, e poi per imporsi in Europa si adeguo ben di più al modello italiano. Guarda ti scandalizzero ‘ ma lo trovo meno genio di quanto abbia voluto essere…. Quanto all aggettivo teutonico lo trovo un luogo comune fasullo di certa critica alla storia della direzione d orchestra che ben si accompagna all aggettivo pachidermico per certi straordinari cantanti wagneriani….terminologie che lasciamo ad Elvio giudice and friends.La scuola storica tedesca ci ha lasciato esecuzioni straordinarie che Chung …poverino….se le sogna di notte, non fosse altro per la sua totale estraneità alla sensibilità romantica nordica.. Quella pippetta molle l altra sera non si reggia in piedi ….

      • Eh si, proprio quello che intendevo dire. E’ proprio quella “sensibilità romantica nordica” di cui parla la sig.ra Grisi che è fondamentale in quest’opera e che è venuta totalmente a mancare in questo Freischutz e che invece dovrebbe far “girare” tutta l’opera attorno ad essa a partire proprio dalla direzione per coinvolgere le voci e di conseguenza l’interpretazione e poi ovviamente la messa in scena che, se congrua, rende il tutto come dovrebbe essere.

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