Claudio Scimone (1934-2018)

scimoneCi coglie d’improvviso la notizia della morte di Claudio Scimone. Il direttore, prossimo agli 84 anni, era, infatti, ancora in piena attività ed aveva in programma diversi concerti a partire dalla metà di settembre, dopo una pausa forzata di un paio di settimane dovuta ad un infortunio risalente alla fine di agosto: una brutta caduta durante le vacanze estive che gli aveva procurato la frattura di alcune costole. Purtroppo le complicazioni respiratorie conseguenti all’incidente sono risultate fatali per il direttore d’orchestra. Difficile fare un bilancio dell’attività musicale di Claudio Scimone: una carriera lunga, iniziata giovanissimo, dopo gli studi con Mitropoulos e Ferrara e legata indissolubilmente alla fondazione, nel 1959, de I Solisti Veneti, orchestra da camera votata ad un ampia riscoperta del ‘700 veneziano e del primo ‘800 italiano. Parallelamente alla direzione della sua orchestra – con cui intraprese un’intensa attività discografica e concertistica – Scimone collaborò stabilmente con molte orchestre europee e internazionali dedicandosi sempre ad un repertorio incentrato sulla musica italiana del XVIII e XIX secolo. Accanto a quella propriamente musicale, va riconosciuta l’importanza dell’attività didattica e scientifica: dalla direzione quasi trentennale del Conservatorio di Padova, all’insegnamento a Venezia sino alla collaborazione con la Fondazione Rossini, per cui ha curato l’edizione critica di Maometto II. A Scimone sono legate alcune importanti riscoperte di capolavori musicali sino a quel momento trascurati: le prime esecuzioni moderne di Maometto II (anche della versione scritta per Venezia nel 1822), Mosè in Egitto ed Edipo Coloneo di Rossini, nonché dell’Orlando Furioso di Vivaldi (pur in un’edizione filologicamente assai discutibile) e di altri titoli del Prete Rosso. Un vero e proprio entusiasta della musica, instancabile e curioso che, se pure non sempre i risultati son risultati pari alle aspettative, merita un posto importante nella storia dell’interpretazione musicale italiana. I miei personali ricordi di Scimone sono legati esclusivamente al disco (Rossini e Vivaldi in particolare), in cui ha lasciato direzioni pregevoli e sempre corrette (anche se non particolarmente fantasiose): a differenza, tuttavia, di molti suoi colleghi che tuttora calcano il podio di Venezia e Pesaro, Scimone ha sempre avuto chiarissima la natura seria o comica o sacra della musica che si trovava a dirigere, senza mai confondere i piani ed i linguaggi. Mi piace ricordare nel suo Vivaldi, l’importanza e l’attenzione dedicata agli organici e alla tipologia degli strumenti usati dai Solisti Veneti: in un’epoca in cui – salvo l’altro grandissimo ensemble dedicato al ‘700 ossia I Musici – la musica barocca e settecentesca era interpretata in chiave essenzialmente novecentesca o tardo ottocentesca, Scimone può essere considerato tra i pionieri di una modalità esecutiva diversa (molti strumenti erano antichi, seppur “modernizzati” per adattarsi al repertorio di un’orchestra che abbracciava non solo il ‘700, ma 4 secoli di musica). Lo ricordiamo oggi con una scelta di brani eseguiti proprio con i suoi Solisti Veneti.

Gli ascolti:

Vivaldi:

– Concerti per mandolino:

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– Concerti per flauto:

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– L’estro armonico:

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– Orlando Furioso:

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Handel:

– Messiah:

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Rossini:

– Sei sonate a 4:

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4 pensieri su “Claudio Scimone (1934-2018)

  1. Personalmente ricordo un “suo” Barbiere all’Arena; spettacolo criticatissimo per la regia, che faceva perdere due chili a Recita alla Rosina di turno; a me lo spettacolo era piaciuto (a parte il Rigoletto di Nucci) in particolar modo ricordo uno strepitoso finale di primo atto, così bello e riuscito bene che arrivato a casa alle tre del mattino ho dovuto riascoltarmelo su CD. RIP Maestro.

  2. Grazie a Duprez per il bel ricordo. Soprattutto quando scrive che il Maestro Scimone aveva ben presenti le distinzioni fra i vari generi, cosa che adesso tanti cosiddetti divi del podio sembrano aver completamente dimenticato.
    Pochi mesi fa alla Chiesa degli Eremitani (dove si sono svolte le esequie), aveva eseguito uno “Stabat Mater” rossiniano la cui urgenza espressiva mi era sembrata in qualche passo addirittura eccessiva.
    Era tra l’altro una persona squisita: a Padova lo si incrociava spesso al Pedrocchi ed era sempre disponibile a scambiare due parole sullo stato attuale dell’interpretazione musicale e sull’universo mondo.
    C’ero anchio al “Barbiere” ricordato da Mongelli con la regia, se non ricordo male, di Wernicke (criticatissima, ma se penso a cosa si è visto da allora…era il 1992, mi sembra). Tra l’altro, con tutte le sue mende, un “Barbiere” con Gasdia, Vargas, Nucci (di allora), Dara e Raimondi ora come ora lo sogneremmo…

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