Ernani: opera di Verdi o di Donizetti e Meyerbeer?

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Fra qualche giorno il Teatro alla Scala proporrà, dopo sette lustri di assenza, Ernani. Si tratta di una lunga assenza per un titolo che, pur dei cosiddetti anni di galera verdiani, a differenza di tutti gli altri, quale più quale men, nessuno escluso, però, non ha mai conosciuto l’oblio della produzione precedente Trilogia romantica. La prova, al di là di critici e musicologi, è la copiosa documentazione fonografica del primo trentennio del ‘900 dedicata a pagine di Ernani con prevalenza, oltre tutto, delle voci gravi rispetto agli amorosi, protagonista in particolare. La ricca messe di registrazioni, che comprende pagine storiche della vocalità e sulle quali ci soffermeremo in ciascuna delle puntate dedicate ad Ernani è ulteriore prova della fortuna dell’opera, le cui ragioni vanno sia pur brevemente indagate.
Una risposta semplicistica potrebbe essere che in Ernani, a differenza di altri titoli del primo Verdi, si sente assai meno la cosiddetta vanga ossia che l’opera ha una maggior qualità compositiva, risultata sin dalle prime rappresentazioni. Può darsi ma è una ragione semplicistica anche se è vero che il giovane Verdi al suo primo impegno al di fuori della Scala, con la quale aveva litigato mise il massimo impegno per debuttare in una piazza –Venezia- importantissima e che, almeno da trent’anni era la più tradizionalista operisticamente parlando. Credo che questa possa essere una chiava di lettura perché Ernani ha una struttura e caratteristiche vocali che ancora possiamo definire donizettiane, ove con questo termine si intenda un forte legame con la tradizione drammatica della produzione del grande bergamasco e non solo un generico legame al passato. E ciò a prescindere dal fatto che fu proprio Donizetti, che, ringraziato da Verdi, provvide a concertare la ripresa viennese del titolo.
Donizettiani sono il clima con la descrizione dei luoghi del potere, dei palazzi dei sovrani, delle congiure dei potenti. Nel prosieguo della produzione Verdi anche quando metterà in scena personaggi della storia lo farà quasi dimenticando che fossero realmente almeno sino alla produzione di grand-opera (don Carlos in primo luoghi assai più dei Vespri) e privilegiando l’aspetto del dramma personale. Nell’Ernani le teste coronate sono prima di tutto teste coronate anche quando amano o si offrono quali amanti, precisando e ribadendo la loro regalità e lignaggio e quasi sempre preponderanti rispetto alla vicenda umana e personale.
Donizettiana sono lo schieramento vocale che ricorda certo titoli tardi del bergamasco come Favorita, Rohan e Poliuto, che -guarda caso- furono i titoli di più lunga resistenza sui palcoscenici. Spesso un Ernani era un grande Poliuto come accadde con Tamagno e Scampini o nei ruoli baritonali di questi titoli con Battistini. Addirittura in corda baritonale Ernani presenta un omaggio al passato come l’atto dedicato ad un solo cantante e dove gli altri personaggi, salvo un paio di frasi infuocate e romantiche del tenore, fanno i pertichini al baritono. Il richiamo all’ultimo atto di Torquato Tasso o al terzo di Macbeth nella prima versione è d’obbbligo. Non per nulla Tasso, Ernani e Macbeth costituirono per anni il programma da concerto di grandi baritoni ed a questa regola ci atterremo anche noi nel nostro programma di ascolto quando dedicheremo una puntata a Battistini che di Carlo V fu un protagonista assoluto e che di fatto ha lasciato registrazioni della parte del sovrano asburgico in più fasi della propria lunghissima carriera. Aggiungo il baritono antagonista ed amoroso, psicologicamente un baritenore è peculiarità delle opere più donizettiane di Verdi ossia Ernani appunto ed il Trovatore.
Donizettiani o legata al passato in senso positivo è Ernani se pensiamo che fu l’ultimo titolo di Verdi a circolare con inserimenti da altre opere ( prassi ben differente dal rifacimento di una parte dell’opera come accadde con Macbeth o Simone), rappresentati dalla cabaletta di Silva “infin che un brando vindice “ di Oberto, con la sostituzione della cavatina di Elvira con quella dei Lombardi ed un finale secondo alternativo scritto per compiacere il tenore Ivanoff, ovvero non dispiacere Rossini che di Ivanoff era maestro e mentore. Tralascio la circostanza che in un’opera dal clima donizettiano la prima Elvira pretendesse il rondò finale e che, forse anche per la copiosa circolazione, la tradizione esecutiva conserva e conferma varianti, puntature trasporti da ridurre a poca cosa il do della pira o il la bem della vendetta.
E, poi, siamo nel puro genere di cappa e spada (al par di Ugonotti, Favorita, Maria di Rohan) dove la poetica del bel gesto impera e trionfa. Poetica del bel gesto significa espressione sopra le righe ed enfatica dei sentimenti dei personaggi che assurgono così al rango di indiscussi eroi. Basti pensare ad una serie di frasi od apostrofi che sono riservate a tutti i personaggi come “fiero sangue d’Aragona” “ di Elvira “lo vedremo o veglio audace” di Carlo V, che sfida Silva, o il “io son conte, duca sono di Segorbia, di Cardona don Giovanni d’Aragona
riconosca ognun in me”. Davanti a questi spunti viene un dubbio, ma che mancava a Verdi a parte la traduzione in francese ed un numero di balli per trasformare Ernani in un grand-opera. Dico pochissimo o nulla come la storia esecutiva conferma specie a 78 giri o addirittura live anno 1903.

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