IMPORTANT VOICES: JEANNE GERVILLE-RÉACHE

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According to several critics hers was “one of the most beautiful voices of the century”. The voice was a beautiful, burgundy-coloured true contralto of remarkable power and with a wide vocal range, yet capable of great dynamic nuances.

Through the intercession of Emma Calvé, he was able to finish her studies with Pauline Viardot-Garcia. In 1899 she had a successful debut at the Opera-Comique in the title role of Orphee et Eurydice, and on April 30, 1902 she created the role of Genevieve in Pelleas et Melisande there. In the early years of the 20th century, she sang in Brussels and at Covent Garden before her début with the Manhattan Opera Company in New York as La Cieca in La Gioconda (1907), with Lillian Nordica, Giovanni Zenatello, Mario Ancona, Adamo Didur and Eleanora de Cisneros. At the Manhattan, she was well received in Massenet’s La Navarraise, not so successful as Carmen, but she created a true sensation in Samson et Dalila. When the Manhattan Opera closed down, Gerville-Réache appeared with the Chicago, Philadelphia and Montreal companies, but mostly sang in extensive recital tours and as soloist with symphonies throughout the United States. She was at the height of her powers, having just been signed by the Met, when she died in 1915 at the early age of 32 of food poisening causing a ruptured apendix, which in turn, brought about a miscarriage.

38 pensieri su “IMPORTANT VOICES: JEANNE GERVILLE-RÉACHE

  1. Sarà pure una delle “più belle voci del secolo” passato, ma a me non piace per niente. Acuti sbiancati, gravi ventriloqui, interpretazione da virago minacciosa sono la negazione del personaggio di Dalila.

  2. un ascolto a mio avviso tutto sommato piacevole,Billy bisogna anche rendersi conto della moda dell’epoca,questi acuti mi sembrano tuttaltro che sbiancati,la voce anche nella registrazione si sente grande, imponente.
    Gravi ventriloqui ? è un contralto ,mezzosoprano vero.
    Riguardo a Dalila trovo piu sensuale questa cantante che la Garanca tanto per fare un nome.
    Spiace anche se sono passati quasi cent’anni,la sua morte prematura,con una grande carriera che ancora aveva davanti,che l’avrebbe portata a una voce più matura,giovane com’era nel ventennio successivo,con i tempi e lo sviluppo della qualità audio sarebbe stata ricordata ancora di più,oltre naturalmente a piacere di più a Billy.

  3. Ciao Pasquale
    forse sono stato troppo severo, ma i suoni che si ascoltano al minutaggio 0:40 e3:30 , ad esempio, mi sembrano tutt’altro che gradevoli. Io li trovo quasi caricaturali, soprattutto in questo personaggio, ma sarà colpa mia….Forse si dovrebbe dedicare un articolo alla così detta “emissione di petto”.

    • La cantante mi sembra preoccupata più di ostentare la propria voce sontuosa che di servire la musica e caratterizzare il personaggio, e trovo anche io un po’ pacchiano questo modo di “pompare” i gravi. In tutto il centro l’emissione mi sembra piuttosto “ingrassata”. Detto ciò resta una voce molto bella e sostanzialmente ben emessa.

      Il problema comunque non sta nella ingiustamente biasimata “emissione di petto”, che è il registro fondamentale, la base di ogni voce, di cui non si può fare a meno. Senza petto si priva la voce di un registro, la si rende incompleta, si canta a metà. Il petto – espressione tradizionale, risalente ad un epoca in cui non si aveva nessuna cognizione anatomica e fisiologica, con cui si indica nient’altro che la voce naturale, di corda piena, che usiamo quotidianamente parlando – va quindi necessariamente usato, ma onde evitare scalini col registro successivo (“falsetto”, secondo la terminologia degli antichi trattati) bisogna solo guardarsi dall’ingrossarlo, dall’appesantirlo, dallo schiacciarlo o dall’ingolarlo.

      • Perdonatemi, ma sulla voce di petto (come su molto altro; beninteso non quì sul Corriere) c’è come al solito confusione: essa non è la voce di corda piena, nè il registro fondamentale (priva del quale la voce è a metà): la corda piena sta assolutamente in testa, dalla nota più grave alla nota più acuta. L’emissione di petto (che va sempre mischiato alla maschera, onde suoni abominevoli come la Baltsa e spesso la stessa Callas) si PUO’ utilizzarla per il registro grave per avere un certo tipo di suono; è cioè un registro espressivo, al pari del falsetto, del falsettone (ma per esempio nei tenori è orribile, così come è sgradevole il falsetto nelle donne); cioè un pò come i registri dell’organo; è proprio un altro suono. Quindi, per esempio, il famigerato “do di petto” tutto è fuorchè di petto. Si prenda ad esempio “Tu che le vanità” della Caniglia: “il ripo-oso profondo” dove -oso profondo è nel petto e la nota più grave in fine frase è do centrale; subito dopo, “se ancor si piange” riparte dallo stesso do centrale ma con un suono completamente diverso, perfettamente in testa. Si senta anche la Barbieri, “ai nostri monti” dove, scendendo fino ad un re (ella che un altro poco faceva di petto anche gli acuti -mo ci vuole!-), resta perfettamente in testa.

        • No, Antonino, mi spiace ma non ci siamo, non c’è NIENTE di sensato in ciò che dici sui registri vocali. Ma in questa sede non si può dimostrare alcunché… l’unica dimostrazione viene dalla pratica. Posso solo consigliare di scappare da chiunque insegni cose simili (e purtroppo sono in molti).

          • Giambattista, siamo andati molto oltre nella discussione: ho corretto completamente quello che dico in questo post. Tranne l’idea per cui i gravi si possono eseguire come note di petto o meno, a seconda del suono che si desidera. E quello che dico in questo post non me l’ha insegnato nessuno: erano mie convinzioni derivate da motivi che hospiegato sotto, in una serie di post con Enrico. Ed ho anche spiegato della mia maestra, che è una grande maestra ed una grande artista.

          • Non conosco la tua maestra, ti auguro che sia brava come dici. Sul piano teorico trovo molto discutibile anche ciò che hai scritto sotto, ma non è il caso di andare oltre, in quanto, ripeto, questi sono argomenti che vanno solo approfonditi e chiariti con l’esempio pratico, faccia a faccia, non si può dimostrare niente a parole, e non si arriva a nessuna conclusione. In bocca al lupo per lo studio.

  4. Billy sinceramente di acuti sbiancati non ne sento. Quanto ai gravi, licet che non possa piacere la pasta di voci come queste, posto che siamo da decenni disabituati ad ascoltare veri contralti; tuttavia, mi sembrano suoni perfetti: risuonano nel petto senza esservi affondati, per cui il suono non è cavernoso ma si percepisce nitidamente come si suol dire “preso dall’alto”.

    • Non facciamo confusione, “petto” e “falsetto” sono espressioni convenzionali con cui si indicano i due registri laringei, non sono risonanze, e sono determinati appunto da due diversi atteggiamenti delle corde vocali; il fenomeno della risonanza – vuoi nelle cavità toraciche, vuoi nelle cavità facciali – è un effetto indiretto, fermo restando che la cavità di risonanza diretta e principale, com’è logico, è quella formata da gola e bocca. Storicamente i due registri hanno preso i nomi di “petto” e “falsetto-testa” poiché, in quell’epoca in cui non c’era nessuna valida cognizione scientifica sulla meccanica dell’apparato vocale, empiricamente si osservava che il registro grave e centrale dava luogo a vibrazioni a livello toracico, mentre nel registro acuto si avvertivano vibrazioni a livello facciale. Di qui la nomenclatura di “petto” e “testa”, dove petto e testa non sono da considerasi come cause dell’emissione, ma solo come effetti. Purtroppo poi questo tipo di terminologia ha dato luogo a tutta una serie di fraintendimenti che ancora oggi fanno seri danni in sede didattica e anche critica.

        • La cavità principale in cui la frequenza sonora prodotta dalle corde vocali si amplifica è quella orofaringea. La vibrazione sonora poi si propaga, attraverso lo scheletro, anche alle cavità facciali e toraciche, ma questa è una conseguenza che viene da sé, non una causa che possiamo noi attivamente innescare. La maschera è parola inventata dai foniatri nel secondo Ottocento, oggi gli stessi foniatri si smentiscono sostenendo che essa è luogo di “consonanza” anziché di “risonanza”… Nei trattati più antichi la parola maschera non esiste, addirittura Lamperti ne parla come di un difetto. Questo per dire che emettere la voce nel canto non significa attivare volontariamente le cavità di risonanza, siano esse facciali o toraciche. Sono idee partorite dai foniatri e che hanno prodotto solo danni e ancora continuano a produrne.

          • P.S. …ero convinto che “maschera” l’avessero inventato i cantanti.

          • Capisco, garzie; e mi rimetto alle vostre conoscenze. Voglio proporre un paragone. Uno strumento musicale è formato da tre elementi principali: corpo vibrante, meccanismo di sollecitazione dello stesso ed amplificatore. In un violino abbiamo quindi le corde, l’archetto che le sollecita e la cassa armonica (il violino “vero e prorpio” in qualche modo) che le amplifica (ma che da anche tutte le qualità al suono). Allora la mia domanda è: se nello strumento voce le corde sono il copro vibrante ed il fiato è il meccanismo di sollecitazione; i risuonatori, vuoi torace vuoi cavità del cranio, sono l’amplificatore: giusto? Quindi essi sono come la cassa armonica del vuolino, giusto?

          • Sì, certo, sono la cassa armonica. Ma è bene distinguere tra il risuonatore diretto, che è la cavità della gola e della bocca, ed i risuonatori indiretti che partecipano delle vibrazioni che si propagano tramite cartilagini, legamenti, ossa, quindi la c.d. “maschera”, le cavità toraciche e… il corpo intero, potremmo dire. Ma questi sono fenomeni secondari, indiretti, è illusorio oltreché sbagliato pensare che la sede della voce sia la fronte o il torace, ed è solo dannoso cercare di direzionarla lì. Così facendo si finisce solo in gola o nel naso.

  5. io credo che gli ascoltatori della nostra generazione (ed io sono fra i lettori del blog uno dei più “anziani”, almeno quanto a frequentazione dei tetari d’opera) abbiamo un’avversione per suoni di petto in quanto li associano a suonacci privi di appoggio e di sostegno che taluni mezzosoprani ed anche soprani delperiodo pre callas hanno sconsideratamente usato. ed ascoltando ad esempio una Barbieri non posso dar loro torto, anzi. Proprio ieri ascoltando la Medea 1953 di Firenze le trentatreenne Barbieri esibiva la voce di una moribonda novantenne perchè mancava nella zona bassa il sostegno. Non per nulla di lì a pochi anni la Barbieri avrebbe limitato il repertorio a ruoli di caratterista. Ma è solo un esempio All’epoca di incisione di questo dischi il Verismo era ai primordi e di fatto limitato all’Italia, quindi quei suonacci che nel periodo successivo sarebbero costai la voce a cantanti dotatissime non erano ancora in voga o meglio erano in voga ma posizionati in una zona della maschera ben più alta perchè sotto c’era “la panza” a sostenere. In questa esecuzione come in altre coeve, che andremo a proporre non sentolo scalino inteso come la presenza di alcune note sorde, ingolate ed opache per conseguenza. Sento invece una voce morbida e che sfuma, certo le note gravi marcatamente di petto rendono l’idea della virago, servono sopratutto a connotare la “grandeur” del personaggio. perchè non dimentichiamolo anche la voce intesa come emissione era -allora- intesa quale strumento di espressione. Poi possiamo anche non condividere l’espressione, ma questo è un’altro e diverso discorso.
    ciao dd

    • Ma sai non è nemmeno una questione d’espressione: se sullo spartito è scritto un grave lo devo cantare e se lo devo cantare per forza (notare le virgolette) “scendo nel petto”; ma con le risonanze, non con la voce stessa. Credo di poter dire che di suoni di petto veri e propri, in un’emissione corretta, non ce ne siano e che quando si sentono siano giocoforza affondati quindi non impostati in maschera ed in essa sull’arco più alto del suono.

      Una noterella “polemica” sul Verismo. Personalmente ho sempre pensato che si potesse affrontare la scuola verista senza dover per forza perdere il punto che tu Donzelli giustamente ricordi e cioè che la voce era e doveva essere strumento di espressione. Aggiungo io: di rappresentazione, non di copiatura del vero, a dispetto forse di quanto ci dice Leoncavallo nel celeberrimo Prologo. Che poi quel piccolo manifesto del Verismo operistico sia stato preso troppo alla lettera tanto da incarnarsi con quella temperie culturale, ci può stare; tuttavia continuo a considerare con sufficienza chi sostiene che la musica verista sia “musicaccia” continuando a pensare che, tutt’al più, se non con riguardo ai suoi primi esecutori, non si è mia capito bene come cantarla.

      Non so se ho reso il concetto su entrambi i punti.

      • Scusi Enrico, che vuol dire “scendere nel petto con le risonanze, non con la voce stessa”? E poi ripeto che le note gravi non si cantano necessariamente di petto; pertanto esso è un registro d’espressione (veda gli esempi che ho portato sopra). E’ vero: il petto va sempre mischiato con la maschera, altrimenti è orribile.

      • cerco di rispondere a “spizziche e bocconi” dubito che il Verismo sia musicaccia. Ci sono titoli di autori veristi che sono perfetti e che connotano la loro epoca alla perfezione. Penso a cavalleria, iris, fedora ed il vilipeso chenier.
        Quanto al canto verista credo che dovremmo riflettere in sede ormai di “archeologia” vocale quale fosse la differenze che il pubblcio percepiva nel canto di una Carelli o Bellincioni e di una Russ. Se prendi la morte di Fedora la Russ sta cantando un lied la Bellicioni parla (come la Bernard o la Duse), ma parla. Pensa ad esempio alla Burzio capace di un attacco di Pace mio Dio che rende grezze una Tebaldi o una Caballè per poi cadere in effetti riprovevoli un minuto dopo. Idem se prendo Battistini da un lato e Titta Ruffo dall’altro o Caruso e de Lucia. Su questo credo dobbiamo ragionare Potrebbe essere il tema ascolti comparati . Visti i planning straripanti del corriere me lo segno per la primavera prossima
        ciao dd

    • Mi perdoni Domenico, non credo proprio che il petto delle veriste fosse privo di sostegno. Era senz’altro aperto a dismisura ed era volgare molto, ma privo di sostegno non credo. E ciò non sempre: quella pettona della Caniglia non credo che lo aprisse; lo gonfiava certamente, ma no lo apriva: infatti era spesso esagerato ma assolutamente non brutto nè volgare.

        • Con aprire volevo dire mettere le note solo nel petto senza mischiarle alla maschera. Gonfiare si basa solo ed esclusivamente su una mia sensazione uditiva: non mi sembra che la Caniglia apra il petto ma che lo gonfi: come? Non saprei proprio. Il fatto è che sento le note di petto della Caniglia del tutto diverse da quelle di una Zinetti o una Barbieri (che credo aprissero il petto), per capirci. Quelle della Caniglia non le trovo nè volgari nè oscene, mai: a volte è un suono esagerato, questo sì.

  6. Rispondo al sig. D’Emilio su tre punti.

    1) Quanto alla sua risposta in calce al primo commento di Mancini lei cita Maria Caniglia per esemplificare quello che per lei è il registro di petto sostenendo che si tratti di un registro tra i diversi che il cantante, a suo dire, potrebbe utilizzare, se ci riferiamo all’esecuzione che si ritrova su YouTube del ’51, il suono è giocoforza diverso in quanto il soprano termina una frase in voce piena e attacca la successiva a mezza voce. Non certo per altri motivi e in alcun modo per aver collocato la voce altrove che non nell’unico e solo posto in cui deve stare: quella che chiamano “maschera del cantante”. Le note cantate su “riposo profondo” non sono, poi, diversamente eseguita, da un punto di vista tecnico, da quelle cantate in tutta la frase “Tu che le vanità conoscesti del mondo” nonché – per riferirci ai soli gravi – da quelle altre cantate in “la pace della’vel”, e via discorrendo: tutti i suoni sono – mi permetto di dire: più o meno, perché non trovo quell’esecuzione del tutto immacolata – come si suol dire in gergo “presi dall’alto” e avanti sui denti (a parte qualceh incertezza trascurabile in acuto).

    2) Per rispondere alla domanda che mi rivolge direttamente potrei semplicemente dire che faccio mia in tutto la spiegazione di Mancini nel suo secondo intervento: con risonanze intendo ciò che Mancini chiama forse esprimendosi con una terminologia più precisa “vibrazioni”.
    In altre parole dico che “di petto” e “di testa” sono solo due indicazioni desunte dalla propagazione delle “vibrazioni” della voce a seconda dell’altezza della nota: ogni volta che si emette una nota grave il petto ospita vibrazioni e queste vibrazioni si spostano, per dirlo brutalmente, verso la testa salendo a note più acute. Ma questo accade solo come estrema conseguenza e mai è causa dell’emissione.
    In questo senso intendevo la frase da lei non capita.
    Piuttosto sono io, ora a non capire esatamente cosa intenda lei per registro “d’espressione” con riferimento alla c.d. voce di petto. A mio modo di vedere la voce di petto intsa come registro a sé, può essere solo una voce affondata nel peto e con quetso intendo riferirmi ad una voce che perde la posizione del suono, perde cioè l’imposto traducendosi in una emissione bassa e piatta amplificata “more caverna” orrendo non solo nel tenore ma in ogni registro.

    • ALT: devo fare un bel passo indietro.
      Il mio primo dei pochi interventi sul Corriere diceva che sono un vostro lettore da tempo; ma un lettore silente perché non essendo ancora un cantante (solo studente ancora principiante) e non avendo una conoscenza ed una cultura ampie non mi sentivo in diritto di scendere nel merito di questioni tecniche. Oggi mi è venuta la voglia di inserirmi nella questione, attingendo alle mie sensazioni ricavate dall’orecchio (perché quello, in tutta modestia, mi funziona bene!) che erroneamente avevo trasformato in conoscenza: ed ho toppato. Alle vostre risposte ai miei interventi sono andato in difficoltà ed ho dovuto telefonare alla mia maestra per ragguagliarmi: il tempo a disposizione è stato poco e non mi ha potuto spiegare tutto. Mi ha detto che io stavo facendo confusione tra “voce” di petto e “note” di petto. Mi ha solo accennato qualcosa sull’una e sull’altra: per esempio quando sopra dicevo che il do di petto (intendendo quello acuto) non esiste, avevo ragione in parte: i tenori lirici e leggeri non devono emetterlo, ma lo possono emettere i tenoroni (alla Merli per capirci). Ma io dicevo che non esiste perchè pensavo alle note di petto, quelle per i gravi. Non mi ha potuto spiegare quindi cos’è la voce di petto. Mi ha anche accennato ad un ulteriore passaggio per andare ai sovracuti (parlava dei tenori). Quanto alle note di petto dalla breve conversazione con la maestra mi è sembrato di capire che lì ci ho capito abbastanza e che le orecchie mi dicono giusto. Inutile ribadire che le note di petto devono sempre essere un misto di petto e maschera (a prescindere dalla correttezza o meno del termine secondo i foniatri, che tanto non sono cantanti): se sono solo di petto il suono è osceno: con ciò intendevo aprire il petto. Quindi sul Tu che le vanità della Caniglia io parlavo in realtà di note di petto, non di voce come dicevo; quello che ho detto in quel caso non è però sbagliato: i gravi che ho indicato come di petto lo sono, ma note non voce; e quando sullo stesso do centrale alla frase successiva “se ancor” dico che lì la nota non è di petto ho ragione (forse è voce di petto, ma non nota di petto): la nota è tutta in testa, mezzavoce o no che sia. Quindi Enrico secondo me lei sbaglia quando dice che la frase “e godi nell’avel il riposo profondo” e cantata tutta allo stesso modo perchè lì alcune note sono di petto altre di testa: la mia conoscenza sarà pure limitata, ma l’orecchio mi funziona e sento che alcune note sono diverse (riposo profondo si sente proprio ripo-so profondo, cioè va nel petto sulla sillaba so nota fa#). Ma penso che lei questo lo sente benissimo perchè vedo che quì sul Corriere ci sentite molto bene. Poi confermo che i gravi si possono fare di petto o meno: la stessa Signora Ebe in Eboli usa pochissime note di petto. In ultimo: quando parlo di registro di espressione intendo dire che, siccome i gravi si possono fare con “note” di petto o meno, si può scegliere come farli a seconda di ciò che la musica e il testo richiedono: vedi l’esempio della Caniglia in Tu che le vanità. E così il falsettone ed il falsetto. Li chiamo registri perchè penso all’organo dove inserisci i vari registri a seconda del suono che vuoi.
      Perdonate la scrittura approssimativa, ma era lungo e sistemarlo bene avrebbe richiesto troppo tempo.

      • Antonino, guarda – mi permetto di darti del tu e mi piacerebbe facessi altrettanto con me – il terreno della tecnica vocale è pieno di buche per tutti, anche per molti di quelli che sono già arrivati. Dunque, sulla scorta del’osservazione giusta, ma difficile di Miguel facciamo così: dimmi cosa intendi tu per voce di petto, anche perché non capisco come debba diversamente eseguire un do4 un “tenorino” da un “tenorone”.

        (Ultima cosa, un consiglio, se posso permettermi: non lasciare che discussioni come queste ti influenzino più di quel tanto nell’apprendimento del canto. Personalmente, mi permetto di parlare dei fondamenti di tecnica, pur con tutti i limiti, a partire dalla mia esperienza in divenire e ben lungi dal considerarsi arrivata… fare il contrario può essere nocivo).

        • Enrico, benissimo per il tu, grazie.
          Per me di voci di petto ce ne sono due tipi: una buona ed una cattiva. Per parlare di quella buona prendiamo in esempio la Signora Ebe (così sicuro non mi sbaglio) che canta “Sul capo mio le chiome sento drizzarsi ancor”, oppure “Oh se ancor ti spinge il fato”; nella frase “Il fier leon domò amor” della seconda aria di Dalila “il fier” e “amor” sono note di petto, “leon domò” non lo sono (per inciso: che meraviglia di suono tira fuori su “amor”: ti avvolge tutti i sensi!); sempre in quest’aria, nella frase finale, ” e chi quaggiù non ha rivale…” diventa di petto su RI di “rivale” (credo che sia un fa). Questo è quello che io intendo per voce di petto buona. Quella cattiva è “Sul capo mio le chiome…” cantato da una Zinetti, una Barbieri o dalla stessa meravigliosa ed unica Pederzini nel film; o anche “la morte ancor” nell’aria delle carte della Besanzoni; e così via. Come ho già detto nel post di ieri sera, la mia maestra mi ha spiegato che stavo facendo confusione tra voce di petto e note di petto: quindi tutto ciò di cui ho parlato, che io chiamavo VOCE di petto, sono in realtà NOTE di petto: così le chiamerò d’ora in avanti. A questo punto io non so cosa sia la VOCE di petto: credo di aver capito che sia un altro termine per indicare la voce di testa, per capirci diciamo quella che squilla (una volta…); termine che deriva dall’osservazione della presenza di vibrazioni nel petto anche in una nota centro-acuta, di testa. Ma vedi -questo l’ho pensato adesso scrivendo-, devo permettermi di criticare tutti i trattatisti, foniatri o chi per essi hanno chiamato la voce di testa anche voce di petto: se nelle NOTE di petto è evidente ALL’ORECCHIO che la voce risuona anche nel petto, perchè devi chiamare voce di petto una voce che all’orecchio non risulta per niente avere vibrazioni anche nel petto? Questo secondo me può generare confusione, così come è avvenuto nel mio caso: se con la parola petto avessero indicato soltanto le NOTE di petto, secondo me non ci sarebbe confusione. Allora, siccome io mi basavo su questo, cioè sull’orecchio, pensavo che non esistesse nessun “do di petto” (quello che solitamente si riferisce ai tenori): ad orecchio quello mica risuona nel petto. In realtà la maestra ieri sera a telefono mi ha accennato che si chiama “do di petto” perchè il cantante che lo emette deve IMMAGINARE, SOLTANTO IMMAGINARE, di appoggiare quella nota tra le mammelle: ha anche precisato che questo lo possono e lo devono fare soltanto voci grosse e robusta. Che cosa voglia dire non lo so, mi ha detto così. Mi ha anche detto che non insegna volentieri questo procedimento. Credo che tenorino e tenorone differiscano in quella nota soltanto in questo. Forse però ho sbagliato a riferire questa cosa perchè non capendola ho soltanto ripetuto a pappagallo l’accenno che mi ha fatto la maestra: così adesso non so dire di più.
          Adesso rispondo al tuo santo consiglio. Ella mi ha spiegato tutte queste poche cose con molta cautela e dietro mia richiesta (per esempio del do di petto quasi non aveva piacere a parlarne): quando insegna non parla mai di niente, non usa mai termini tecnici, non usa mai termini attinti dal vocabolario trattatistico, odia parlare del passaggio (questo glielo hanno insegnato i genitori) e della copertura del suono; semplicemente ti fa sentire quello che vuole (a settant’anni; come d’altronde è normale che sia per chi ha cantato bene per una vita) e tu devi imparare a rifarlo: tutto quà. Se hai difficoltà ricorre ad immagini e metafore; le uniche parole che può utilizzare sono lingua, mascella inferiore, incisivi e cose simili; ma ripeto, termini tecnici mai. Tutto ciò perchè sa e dice che PARLARE di tecnica genera soltanto confusione nell’allievo e può rallentarne così l’apprendimento: di tecnica e terminologia ne deve parlare solo chi già sa cantare (o chi non deve imparare a cantare). Questo credo che sia esattamente il consiglio che m’hai dato.
          In ultimo, siccome ne ho parlato tanto (sapete, il maestro di musica è una figura che nell’allievo ha un grande ascendente; lo so perchè ho avuto anche maestri di composizione e direzione), devo fare per correttezza il nome della maestra: Alessandra Gonzaga.

          • … anche se resto dell’idea che la Caniglia però emttesse note di petto, tutt’al più un po’ “spinte” (non mi sembra un’esecuzione ideal quel tu che le vanità: molto meglio la Cerquetti); mentre sono d’accordo sulla Besanzoni anche se sapeva benissimo quello che faceva e lo faceva con un’intenzione, mentre per la Barbieri… mah… io non so se il problema suo fosse solo quello.

  7. Questo ascolto mi è piaciuto molto. A mio avviso, la voce è naturale, bella, ben sostenuta sempre, morbida e rotonda. Non riesco a comprendere Billy quando parla di “virago” in quanto non sento nessun tratto significativo della voce maschile o della sua imitazione, e neppure suoni sguaiati, se questo è quello che voleva intendere, al contrario, il canto della Gerville-Réache mi sembra elegante e ciò che lui definisce “suonacci” io lo ritengo ricerca di colori ed interpretazione.

  8. Ciao, carissimi tutti.
    Sono sempre piu’ convinto, (piu’ convito di cinque mesi or sono quando feci a Donzelli specifica richiesta di una rubrica atta a conformare i termini usati dagli amici del Corriere per potersi intendere ), che detta rubrica debba essere avviata. Non trovate?
    Insomma, son convinto che molte persone vogliano tutto sommato dire cose simili, almeno cosi’ percepisco io, ma, sono dissimili i termini con cui vengono espressi . Si’, penso che un pochino meno confusione sarebbe, come dire? Di aiuto? Boh, fate voi.
    Faccio un solo esempio, per non dilungarmi troppo( ma tanti ce ne sarebbero), le indicazioni di Bud riguardo alle note emesse dalla Greache al minutaggio 0.40 e 3.30, per me si chiamano suoni misti, come si usava chiamarli un tempo, (sbagliero’?), suoni risultanti dall’emissione immascherata con la partecipazioone della risonanza toracica, ecco.
    Che poi uno li trovi piacevoli o meno, volgari o no, di gran gusto o di gusto orrido….a chi importa?
    Riguardo alla Greache, io trovo che l’artista sia in possesso di una voce rigogliosa e di gran bel colore, che gli acuti, che al mio orecchio risultano la cosa migliore nel suo esprimersi vocale sono ben emessi, e meglio lo sarebbero se il forsennato tentativo di rendere ancora piu’ sonoro un centro privilegiato, non ne inficiasse alla fine,squillo e brillantezza. Ritengo inoltre che nonostante la buona dizione, ed il discreto legato, la sua Dalila sia a livello di fraseggio, (Chiaramente non posso sapere come fosse scenicamente, anche se le cronache dell’epoca riportano notizie di un temperamento ed una presenza non indifferenti), una frana tale da non riuscire ad ammaliare un marinaio eterosessuale, neppure dopo 18 mesi di navigazione.
    Comunque siamo tutti su una buonissima strada, cari miei…ed i toni usati questa volta, nei vari post, sono al di la’ del parere ed del gusto personali, …deliziosi, carini, curiosi, intelligenti , democratici, e spessissimo, secondo me, competenti. Avanti Savoia!

  9. IN RISPOSTA ALL’ULTIMO POST DI GIAMBATTISTA MANCINI (non so perchè non si può fare sotto).

    La ringrazio, capito. Però a questo punto la cosa per me che devo imparare a cantare si fa troppo “precisa” e ciò non serve ad imparare a cantare; anzi può generare grandi confusioni (se le va, legga pure l’ultimo post che ho lasciato ad Enrico Tamberlick dove parlo più a lungo di ciò). Grazie.

  10. PER ENRICO.
    Io non ho citato il “Tu che le vanità” della Caniglia come esecuzione ideale dell’aria (che a me piace tantissimo, ideale o no che sia): l’avevo soltanto tirata in ballo per parlare di come la stessa nota Do3 si possa eseguire come nota di petto oppure no (ti ricordi?). Se poi mi parli della Cerquetti… beh, mi inviti a nozze! Ella ha raggiunto la perfezione (assieme ad alcuni altri) nel realizzare quello che per me è il fine e l’ideale spirituale del canto.
    Certo, figurati se la Besanzoni non sapesse quello che faceva. E’ oggi che non sanno quello che fanno.
    Riguardo alla Barbieri, non saprei dirti i suoi problemi (ciò non toglie che qua e là faccia alcune cose che mi piacciono: per esempio “ai nostri monti” nel Karajan ’56).

  11. A proposito, avevo dimenticato le seguenti cose.
    Delle note di petto della Caniglia forse diciamo la stessa cosa: io dico che le gonfia (da qualche parte lassù nei post) perché è la sensazione che viene dall’orecchio; tu dici che le spinge. Ed io le sue note di petto non le trovo affatto volgari: esagerate sì (per me esagerazione e volgarità non coincidono per nulla; pensa a Gigli); e mi piacciono pure: io ho una grande passione per la Caniglia. Posso a tal proposito chiedere lumi sul poitrinè? Perché non è che sono così?
    Riguardo alla Barbieri, ripeto non so dei suoi problemi. Penso però che nonostante quella prima ottava volgare e sconsiderata, nel resto della tessitura sapesse cantare molto bene (dizione a parte); certo, pian piano è andata peggiorando e sappiamo perchè; ma l’imposto in partenza c’era, eccome! Pertanto, nonostante tutto, la considero una grande cantante. A differenza della Cossotto, della quale penso tutto il male possibile e mi arrogo il diritto di considerarla un grande bluff, non una grande cantante.

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