Lettera di Giuditta Pasta da Bayreuth

Carissima Giulia,

ti scrivo dalla città soleggiata e festivaliera di Bayreuth dove mi sono recata il 16 agosto non per applaudire i cantanti che si esibiscono sul palcoscenico del Festspielhaus, ma per mandare in scena me stessa ed essere applaudita nella Stadthalle di Bayreuth. La primadonna in me si rifiuta di morire! Ti ricordi quando l’anno scorso ti avevo detto di avere scoperto il concorso di saggi circa il tema dell’“Opera d’arte del futuro nel XXI secolo” organizzato per il bicentenario wagneriano dal Museo di Richard Wagner (il cui direttore Dr. Sven Friedrich è stato anche il capo della giuria del concorso), dall’Archivio Nazionale della Fondazione Richard Wagner e da Bayreuth-Festspiele-Medien (BF-Medien). Il concorso voleva motivare una riflessione (anche non-accademica) sul potenziale sociale, artistico, economico dei drammi musicali di Wagner in un secolo segnato da una tendenza sempre crescente di mediatizzazione, globalizzazione e specializzazione. La giuria comprendeva, a parte il responsabile tedesco, anche due professori, Hans Rudolf Vaget dagli Stati Uniti e Junichi Ikegami dal Giappone. Ti ricorderai anche del fatto che avevo scritto un saggio senza pensare seriamente ad una vittoria, perché quello che sostenevo con un ragionamento filosofico non era altro che una posizione tutt’altro che popolare, difesa nel nostro blog, “da melomane”. Invece, la giuria mi ha attribuito il terzo premio che comprende non solo una retribuzione finanziaria, ma anche la pubblicazione del testo nel giornale scientifico wagnerspectrum, editato dai più rinomati specialisti tedeschi e stranieri di Wagner.

media.facebook.50cb444d-9498-4a55-88d5-0dcc1e338096.normalizedIl mio testo s’intitola “L’opera d’arte totale con un crepuscolo delle voci. Per una prospettiva aporetica della ricezione di Wagner” e parte da una breve analisi del concetto wagneriano del Gesamtkunswerk per vedere quali sono esattamente i modi pensati da Wagner per la sintesi delle arti nell’opera totale e quali sono le forme in cui la sintesi fra canto, poesia e recitazione è materialmente realizzabile nell’ambito di un’esecuzione dell’opera in uno spazio acusticamente e architettonicamente determinato, senza amplificazioni e bilanciamenti tecnologiche. Il primo risultato del saggio è che la perfetta sintesi delle varie arti non è possibile diversamente che sulla base di un lavoro rinforzato nei domini artistici individuali, con cui la mia tesi raggiunge la diagnosi di Theodor W. Adorno ma anche il fatto che Wagner stesso considerasse indispensabili un rinforzato lavoro tecnico (di scuola italiana, come lui conferma ripetutamente) sulla vocalità, nonche un meccanismo tecnologico altamente rifinito per creare mediante i cantanti ed il palcoscenico una perfetta illusione espressiva e teatrale. In seguito ho criticato l’odierna ideologia promossa dalla critica operistica e da una prassi esecutiva di moltissimi decenni per cui in Wagner “l’espressività” come ultimo scopo del Musikdrama giustifica il sacrificio del buon canto, anzi in cui l’espressività, considerata da una ideologia di lunga storia come autenticamente “tedesca”, e la cantabilità superficiale, considerata come “italiana”, sono inconciliabili. Da qui, da un lato, la tradizione delle “singing actresses” e, d’altronde, un meccanismo giustificatorio che ho definito come logica compensatoria. Il che vuol dire che la critica odierna, invece di differenziare (nel senso greco di krinein) i vari elementi di un’esecuzione, è sempre pronta a difendere la riuscita artistica di un “insieme” in cui un elemento poco riuscito dell’esecuzione è “compensato” da un altro più riuscito od in cui dei difetti tecnici sono sistematicamente valutati come intenzioni interpretativi. Sostengo che il dualismo puramente ideologico promosso da Wagner, e radicalizzato da Cosima, tra “opera” (come istituzione vana, superficiale, franco-italo-ebrea) e “dramma musicale” (profonda, espressiva e germanica) non è ancora ripensata in modo fondamentale e che si continua ad eseguire e pensare seguendo i vecchi dualismi, per cui, in seguito all’abbandono ed alla denigrazione del canto all’italiana, anche i problemi vocali nel repertorio wagneriano sono iniziati molto prima della crisi canora degli altri ambiti vocali compreso quello italiano. Come problema maggiore del canto wagneriano ho identificato non solo la permanente giustificazione dei difetti tecnici quale meriti interpretativi, ma anche l’ingrossamento artificioso delle voci con cui una certa pedagogia germanofona cerca sistematicamente di trovare un “volume” che però non ha nessuna vera risonanza in sala. Insomma, tutte le questioni sollevate nel saggio sono quelle che abbiamo mille volte discusse nel nostro blog o nelle nostre vivacissime conversazioni private.

Prima di ricevere il premio dalle mani di Frau Katharina Wagner, Dr. Friedrich ha presentato brevemente le tesi del mio saggio ed ha giustamente aggiunto che con la premiazione di una critica si dura del sistema operistico e festivaliero il medesimo sistema dimostra una profonda prontezza al dialogo. Non posso che ringraziare Dr. Friedrich per questo atteggiamento che, sfortunatamente, sarebbe poco immaginabile in una simile istituzione italiana.

La serata è proseguita con il concerto degli allievi della masterclass di Petra Lang e Markus Eiche tenuto nel corso degli ultimi giorni a Bayreuth nell’ambito delle celebrazioni wagneriane. Prima del concerto Frau Lang ha pronunciato un discorso che è stato un vero colpo. Ha lungamente parlato della crisi di canto odierna e ha provato di elencarne le principali ragioni: il fatto che non si studi tecnica per più di 4-6 anni, come lo si faceva in Italia nel passato; che sin dall’inizio la domanda principale è di “come vendersi nel modo migliore”; che, nel complesso, a causa della prevalenza del visual, un lavoro sull’”interpretazione” sostituisce spesso quello tecnico anche nei conservatori; che per lo stesso visual i “corpi” che avrebbero più potenziale di sviluppare voci di peso drammatico vengono rifiutati per la loro corpulenza; che si butta in ruoli troppo pesanti prematuramente, etc., etc. Non voglio parlare qui dei meriti/difetti di Petra Lang come cantante. Voglio semplicemente ringraziarla per avere mostrato dei principi forti ed una sincera preoccupazione per le future generazioni di cantanti.

Per quanto riguarda il concerto, posso dire che assistendovi ho di sicuro appreso molto di più sul vero futuro del teatro wagneriano che se fossi andata a vedere il teatro d’avanguardia dell’altro ieri, con un contorno musicale – perché di contorno si tratta – di bassa lega, a cui ostinatamente si aggrappa il Festspielhaus. Temevo che nel concerto si sarebbero esibiti debuttanti ventenni vogliosi di cominciare immediatamente con Wagner. Per fortuna ho trovato una quindicina di cantanti la cui età variava approssimativamente tra 28 e 45. Una buona parte degli allievi era effettivamente abbastanza “corpulente”, un fisico sempre più raro sul palcoscenico odierno, ed anche il loro materiale vocale era per la maggior parte abbastanza importante. Ho dovuto però notare una certa pesantezza in tutte queste voci, un’emissione “affondata”, spessa, quindi poco penetrante (a parte due-tre voci davvero molto ampi), ingrossata ed opaca nei centri. Soprani che cantavano da mezzosoprani per il mero fatto che siano stati sin dall’inizio abituati ad appesantire le proprie voci. Una Erda che cantava senza applicare la voce di petto. La lista delle curiosità sarebbe interminabile. Neanche una traccia della leggerezza e chiarezza nel gestire voci anche voluminosi come noi l’apprezziamo in una Frida Leider o, diciamo, in una Clara Petrella, soprani spinti e drammatici che puntano sulla trasparenza penetrante del suono in tutti i registri invece di cercare un colore e volume che non è il loro. Mi sono dovuta chiedere, cara Giulia, quanto può durare una voce che già da sola canta con un volume che non è il suo, se poi al problema si aggiungono anche gli agenti per piazzarle in ruoli in realtà inadatti alla loro reale ed alterata natura.

63152794Erano questi i miei pensieri quando sono uscita dal concerto. L’indomani ho visitato i dintorni della casa di Wagner e del Festspielhaus, entrambi ancora sotto lavori di restauro… Quindi, Bayreuth mantiene il suo status di “Werkstatt”, di laboratorio, anche nell’anno celebrativo in cui l’inflazione delle esecuzioni wagneriani e l’ambizione di presentare cose innovative sono arrivati al loro apice senza essere riuscite a mantenere le promesse. La cosa più utile, onesta ed interessante mi è sembrata l’esposizione a cielo aperto, già presente a Bayreuth l’anno scorso, concentrato intorno alla celebre statua di Wagner davanti al Festspielhaus, un’esposizione che rende omaggio agli artisti ebrei o considerati “misti” esclusi sia per l’antisemitismo di Cosima Wagner che per l’affiliazione politica della successiva generazione della famiglia Wagner. Ci sono stati presentati non solo artisti eccelsi come Friedrich Schorr, Alexander Kipnis, Frida Leider o Herbert Janssen, ma anche altri meno conosciuti e per una buona parte sterminati nei campi di concentramento, come Ottilie Metzger. Con un messaggio chiarissimo, la notazione dell’esposizione sosteneva che sicuramente Wagner, con il suo atteggiamento fin troppo univoco verso la questione ebrea, non può essere considerato la “causa” diretta del fenomeno di Hitler, però veniva anche sottolineato che la sua posizione espressa ripetute volte nei suoi testi pubblicistici è stata la base per le convinzioni profondamente antisemite dei suoi eredi i quali non hanno tardato di vedere in Hitler la chance per la realizzazione dei loro desideri politici ed al contempo anche per la sopravvivenza del festival e per la sua promozione sul piano politico ed ideologico. Nel anno del bicentenario che ha abbondato di inutili “celebrazioni” in tutte le parti del mondo fa piacere di vedere affermato senza nessun “ma” un fatto importante e tragico, per decenni e fino ai nostri giorni volentieri ignorato o livellato da parte delle direzioni della Colina Verde.

 

Con un affettuoso saluto,

Giuditta Pasta (alias LN) 

 

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24 pensieri su “Lettera di Giuditta Pasta da Bayreuth

  1. Sono davvero orgogliosa ed onorata di avere qui a scrivere persone di tanta intelligenza e competenza. Le Pasta, i Mancini, i Nourrit…etc. radunare persone come queste non è davvero da tutti i siti.

  2. Brava! I miei auguri più sentit! Non vedo l’ora di leggerlo!
    Comunque, secondo me, mancano gli insegnanti e insegnamenti. Le giovani voci “vergini” ci sono. E’ solo che grazie a tutte queste techniche “moderne” di canto, respirazione, e cose varie… in più delle “diete” ridicole che non hanno alcun senso di esistere, aggiungi tutto il resto e hai un bel piatto di Nulla, con contorno di Niente!
    Ancora congratulazioni! Tieni alta la “bandiera”!!!!

  3. Complimentissimi Giuditta! :)
    Ti riscrivo due commenti che tempo fa lasciai, caso mai ti servissero per qualche citazione eventualmente:

    1) Kirsten Flagstad ( intervista http://www.youtube.com/watch?v=S6Stoi8DAqU ):
    “Il mio primo consiglio per giovani ed immaturi cantanti può essere espresso con tre parole: LASCIATE STARE WAGNER, perché richiede delle forze [risorse] che si possono sviluppare solo dopo molti anni di canto. Avevo già 34 anni e avevo già cantato per circa 15 anni prima di tentare il mio primo ruolo wagneriano, Elsa in Lohengrin, che è uno dei tuoli wagneriani più leggeri; ma ciò nonostante, richiede grande esperienza vocale! Per i ruoli pesanti, come Isolde o Brunhilde, bisogna averne anche di più: una voce perfettamente posizionata, controllo assoluto del fiato e un’immensa […] potenza”

    2) dal libro “Garcia the Centenarian And His Times Being a Memoir of Manuel Garcia’s Life and Labours for the Advancement of Music and Science” di M. Sterling Mackinlay (disponibile su internet come pdf gratuito). A pag 158-159 leggiamo:
    “In 1847 an important pupil was coming to Señor Garcia’s studio—one who was destined to do great things hereafter. This was Johanna Wagner, the niece of Richard Wagner. Her musical ability already began to make itself noticeable at the age of five, when her father and uncle were residing at Würzburg; for she used to sing everything she heard, and the composer in after years would often laugh as he quoted these childish versions.
    In 1844, when Johanna was in her seventeenth year, her uncle obtained an engagement for her at the Royal Opera in Dresden, where he was preparing for the first performance of “Rienzi.” Though of but tender years she had such success as Agathe in the “Freischütz,” that she was engaged for three years by the management, and created Elisabeth in “Tannhäuser.” On October 21, 1845, fifteen months later, the King of Saxony, who had taken the greatest interest in her progress, sent her to France to study under Garcia. She arrived at the beginning of February, accompanied by her father, who had hitherto been her only instructor. Thanks to the assistance which she received from Garcia during her stay in Paris, she quickly made her mark. […]The training of Johanna Wagner by Garcia raises an interesting point in connection with German singing. Richard Wagner was so delighted upon hearing the improvement in his niece’s voice on her return from Paris, that he wrote the maestro a letter full of the warmest recognition of the progress which she had made under his tuition.
    But the gratitude did not end here: over twenty-five years later there came a very signal proof of the extent to which he had been impressed with Garcia’s powers, for, when he was making the
    arrangements for the first Bayreuth Festival, he wrote to his old friend, asking whether he would undertake the training of the singers who were to take part in it. Garcia was so busy with his
    teaching in London at this time that he was unable to accept the offer; but the mere fact that he was asked to do this is a very material answer to those who would have it that Wagner’s music is not supposed to be treated according to the Italian ideals, but should be rendered in the style of Sprechgesang, which has been a current German cry.”

    Ancora auguroni 😀

      • Grazie per il commento Sardus. Ci sono molte dichiarazioni di Wagner circa il belcanto. C’è anche il suo collaboratore in materie pedagogiche Julius Hey che dice che non c’è neanche un elemento dell’insegnamento italiano che il canto dramatico tedesco non potrebbe e non dovrebbe ripendere.
        Poi ci sono fonti che affermano che per esempio al Parsifal del 1882 i cantanti più apprezzati siano stati quelli che avevano studiato in Italia (Amfortas, Gurnemanz).

  4. fonti attendibili m confermano il buon esito da parte d florez della seconda e terza recita che sono state trionfali. Florez ovviamente dimostra volume limitato che tuttavia compensa con precisione e sfumature. Domani toccando ferro spero d sentirlo dal vivo.

  5. Cara Judy,
    sono orgogliosa e commossa per i tuoi risultati, per la civiltà del dialogo e per la pregnanza dei contenuti. Meriti tutto il tuo successo e sono fiera di essere tua collega di passione wagneriana in questo blog per tutto quello che hai scritto e per i confronti fatti insieme.
    Grazie

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