Il glossario di Mancini. 4) Il falsetto

Dopo aver parlato del passaggio, approfondiamo il discorso sui registri. Il termine “falsetto” viene usato oggi con connotazione prevalentemente negativa, in contrapposizione al canto in voce piena. Ad esempio un tenore sugli acuti emette suoni flebili, femminei, privi di peso, che diciamo di falsetto, quando non riesce a reggere quelle note in voce, oppure quando non è in grado di diminuire l’intensità, fare smorzature e messe di voce senza perdere l’appoggio. Impropriamente si parla di falsetto anche per gli acuti femminili, quando spoggiati.

Tuttavia nel precedente numero del glossario, si è detto come anticamente la parola “falsetto” indicasse nelle voci maschili il registro acuto, quello mediano nelle donne. Presumibilmente si iniziò storicamente a parlare di falsetto proprio in riferimento al sottile registro centrale delle voci bianche dei castrati o delle voci femminili, che risulta spesso debole e velato se non opportunamente sviluppato (numerosi mezzosoprani e soprani hanno un “buco” del tutto insonoro nella quinta compresa tra il fa3 ed il do4, cioè appena superate le ultime note gravi di petto, e prima del registro acuto di testa in cui la voce riacquista forza e penetrazione). In tal senso il termine falsetto può sembrare incomprensibile se riferito al registro acuto maschile, che , emesso in voce, presenta un carattere tutt’altro che flebile ma gagliardo e squillante, a differenza del corrispettivo femminile. L’equivoco quindi potrebbe derivare da una nomenclatura formatasi sulle vocalità dei castrati, e poi convenzionalmente applicata anche alle voci maschili.
E’ probabile comunque che anticamente l’educazione vocale, anche per gli uomini, passasse attraverso l’esercizio del falsetto in purezza, sviluppandone gradualmente l’intensità senza aggredire subito la zona acuta di forza, come invece oggi fa la totalità delle scuole di canto. Una volta creato il giusto amalgama con il petto e quindi rinforzato il falsetto, fino a rendere i due registri indistinguibili, restava al cantante la possibilità di ricorrere saltuariamente al falsetto puro, potremmo dire al “falsettino”, a propria discrezione, come risorsa espressiva, coloristica, secondo una pratica documentata anche da molte incisioni antiche (e non solo di cantanti di scuola francese).

Alcuni esempi.

In questo disco del baritono francese Jean Lassalle si può distinguere nettamente la corda di falsetto nell’acuto alla fine del brano.

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Restando tra le voci francesi, uno degli esempi più emblematici di uso del falsetto leggero è David Devriès, tenore di grazia, che propongo nella cavatina di Almaviva.

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Anche il napoletano De Lucia ere un virtuoso in questo tipo di effetti.

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Oltre ai tenori di grazia, non mancano esempi di tenori drammatici che ricorrono al falsetto.

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39 pensieri su “Il glossario di Mancini. 4) Il falsetto

  1. Articolo interessante su materia spinosa :) mi piace molto quando Mancini parla di amalgama tra la fusione del petto col falsetto e la scelta RESPONSABILE del cantante di eseguire l’uno o l’altro.

    Sentire questa registrazione di Gigli in cui la fusione ed il passaggio dal petto al falsettone è magistrale, peraltro con una ultimissima frase chiarissima di questa esemplificazione (cantata a 61 anni) http://www.youtube.com/watch?v=IvuRBnE-DHk

    E sentire quell’ingorgo vocale di Villazon, in cui la fusione è solo quella degli attributi di chi lo ascolta (scusate la bassezza ahahah) http://www.youtube.com/watch?v=ET_bXJada4Q
    Peraltro di Dominghiana memoria, quello svociato che riesce a farsi applaudire cantando in falsetto un’intera frase (dal 4:55) http://www.youtube.com/watch?v=bTpWFz1Qnd4

  2. Francamente non saprei scegliere tra Villazon e Domingo, due cantanti (diciamo così) che sembrano in lotta con le loro corde vocali.
    Il Villazon è così da sempre mentre Domingo lo divenne dopo il 1980.
    Tornando a Mancini però mi permetto di chiedergli quale è la differenza tra falsetto e falsettone nei soli tenori.

    • Nei trattati si parla solo di falsetto. Poi volendo si possono trovare mille diverse sfumature nel falsetto, ma la sostanza non cambia. Falsettone credo sia termine inventato dai critici moderni… evidentemente falsetto era troppo imbarazzante come parola.

  3. Ciao Mancini. When you say “falsetto in purezza” in the paragraph “E’ probabile comunque che anticamente l’educazione vocale, anche per gli uomini, passasse attraverso l’esercizio del falsetto in purezza,…”, do you mean the falsetto “emesso in voce” or the falsetto spoggiati ? Thanks in advance for clarifying my doubt, and thanks again for your new glossary entry. Hector

    • Partivano da suoni in falsetto senza peso, senza voce. Garçia esercita il passaggio facendo ripetere la stessa nota prima di petto, poi in falsetto, finché il falsetto si “riempie”, si rinforza, e diventa uguale al petto.

  4. Ne approfitto per complimentarmi con Mancini per pezzi sempre interessantissimi (non solo il glossario, ma anche le altre rubriche) corredati di ascolti che parlano più di molti sedicenti critici spesso fantasiosi e creativi pur di incensare alcuni loro beniamini.

    Volevo domandarti alcune cose (perdonami il tu):
    1) se esiste un’edizione in italiano del trattato di Garcia sul canto e come lo si può procurare, così da leggerlo per farne un’idea di natura globale.
    2) credi che Blake quando alleggeriva e schiariva molto certi suoni producesse dei falsetti perfettamente amalgamati al registro centrale? lo so che lui si ispirava a Garcia, ma che spesso alcuni critici scambiavano alcune sue caratteristiche come prove di una voce disomogenea dunque di tecnica fallace.
    3) Perché quasi sempre voci maschili negli ascolti? Sarà che prediligo le voci femminili dunque sono fazioso XD Sarebbe interessante un parere, o meglio, un’analisi magari su qualche brano, come è tuo costume, su cantanti (che io personalmente apprezzo molto) come la Gueden, la Danco, la Della Casa e la Gruberova (che amo forse troppoXD), di cui credo si parli poco.

    Grazie in anticipo :)

    • Ciao e grazie. Del Garcia conosco una bella edizione completa di testo originale per i tipi dell’editore Zedde, di Torino.
      Blake riusciva a “collegare” gli acuti in voce con gli acuti leggeri senza soluzione di continuità, questo deve intendersi per amalgama. Ad esempio prendeva un acuto forte e subito poteva alleggerirlo fino al grado zero, ossia il puro falsetto, senza che la voce si spezzasse, senza scalini.
      Riguardo al falsetto le voci maschili offrono esempi più significativi.

      • Grazie per il suggerimento bibliografico, vedrò di procurarmelo al più presto :)

        Su Blake sono d’accordissimo, infatti ritengo che le critiche mosse nei suoi confronti fossero infondate e che egli sia stato forse l’ultimo esempio di una tecnica che si sia ispirata al Garcia.

        Hai ragione per quanto riguarda il falsetto, ma dicevo in generale e per gli articoli futuri (una sorta di desiderio, più che una richiesta) :)

  5. Riguardo alle voci femminili che difettano nell’emissione in zona sol3-do4, un ottimo esempio è la grande Ebe: in molte sue registrazioni si sente questo difetto, avendo la voce un tono sfalsettante in quella zona.

    • Mah, nel caso della Stignani non parlerei di difetto. Posto che la voce era parente prossima di un soprano, per cui il meglio lo dava in acuto, ritengo appunto fisiologico che i primi centri fossero le note meno consistenti nella sua organizzazione vocale. Però non c’erano sbracature in basso con conseguente scalino e buco nel centro, questo no. Gli esempi in questo senso sono ben altri. Vai a sentire quelle che ho postato nella scorsa puntata, la podles, la barbieri vecchia, si sente che sbraitano di petto fino ad una certa nota e poi di punto in bianco “girano” la voce in un falsetto vuoto e sordo.

      • Parente prossimo di un soprano fino ad un certo punto, visto che poi in basso aveva quel vocione di petto gigantesco. Ciò che mi stranisce (visto che cantava come Dio) era il timbro sfalsettante dei primi centri, non già la poca consistenza; dacché i soprani che cantano bene possono essere poco consistenti ma non hanno quel timbro sfalsettante in quella zona. Riguardo alla Barbieri, direi che era un caso diverso: alzava il petto oltre il fa; ciò nei primi centri le riusciva anche bene; poi verso il si-do la voce si rompeva, continuando ad avere una parte di petto udibile; ma timbro sfalsettante non proprio. La Powdles la devo ascoltare.

  6. Criticare la Ebe???!!! Nooooooo!
    Pensate piuttosto ai pp di pavarottii sempre in falsetto e mai VERAMENTE sostenuti. Domingo ecc., ecc. lasciamo perdere!
    Le donne? Pare che oggi sappiano solo cantare usando il falsetto e non appoggiando alcun suono!

  7. Gentile Mancini, senza avventurarmi per impervi sentieri di analisi tecniche, e’ possibile che il falsettone si differenzi dal falsetto per la ricchezza di armonici ? ( vi e’ chi la chiama sintonizzazione tra prima formante e fondamentale, ma lasciamo perdere..). Chiedo questo perche’ penso al solito Lauri Volpi del periodo migliore.
    In secondo luogo,in nome della fondamentale omogeneita’ di tutti i registri, non rischiamo di sacrificare qualcosa nella espressivita’ considerando falsetto e falsettone come “inferiori” alle note emesse a voce piena? O, detto in altri termini,il progressivo affermarsi del cantare a voce piena note come ( per il tenore, intendo)Do, Do diesis,re sovracuto e mi bemolle, non rischia di far perdere tante possibili sfumature al cantante? Non parlo di Domingo, perche’ nell’esempio postato da Sardus mi pare usi il falsetto perche non sa emettere mezze voci.

    • Ribadisco che “falsettone” è per me solo un modo un po’ meno “scandaloso” di chiamare il falsetto. Se è “one” vorrà dire che è un falsetto ben coltivato, abbastanza appoggiato, sonoro e penetrante, ma mi pare questione di lana caprina.
      Riguardo alla seconda domanda che mi fai, ti rispondo che l’omogeneità è sempre stata l’obiettivo di tutte le scuole di canto. Il punto è come ottenerla. Le scuole antiche addomesticavano la voce aggirando gli ostacoli senza forzarli, le scuole moderne invece pretendono di conquistare tutto di forza. Qui sta la differenza. Pertanto credo che il metodo antico di studio del passaggio fosse più giusto e salutare, ma anche più difficile, certosino, da affrontare con pazienza e con la guida di un valente maestro.

  8. Articolo molto interessante…Il problema è che il falsetto viene oggi additato come la peste nera, quando invece sarebbe il passaggio naturale verso lo sviluppo degli acuti per i tenori…e soprattutto per i tenori di grazia è a mio parere uno strumento indispensabile per affrontare partiture “Rubiniane”…Il problema è che una voce che sta ancora migliorando e che utilizza una certa “percentuale” di falsetto negli acuti è oggi vista come poco “macho”, nel mondo dei ruttatori da osteria (Kau kau, Grigolo, VillaNzon, etc.). Sinceramente preferirei qualche tenore che utilizzasse di più il falsetto e seppur ancora disomogeneo mostrasse un’indirizzo verso l’impostazione vecchia scuola. I vecchi belcantisti oltretutto, come avete giustamente ricordato, utilizzavano volutamente il falsetto per ottenere effetti godibilissimi (si veda Bonci ad esempio) e per cantare (e non urlare) sulle tessiture vertiginose scritte per Rubini (e infatti oggi proprio non si cantano più fra tagli e assenza di cantanti….non è accettabile che l’unica edizione senza tagli del Pirata sia quella di Martina Franca con Morino).

  9. Per me il “falsettone” – ma ripeto, è solo per me – è il registro dal passaggio fino al si3-do#4 (do# segnalato dal Garcia come passaggio alla voce di testa) in cui la voce di petto si “mischia” con la voce di falsetto, potendo poi virare per una stessa nota dal puro petto (rischiosissimo) al puro falsetto (inconsistente), peraltro unione raccomandata sempre dal Garcia.
    Questo è quello che scrisse Donzelli nella sua celeberrima lettera di presentazione a Bellini per il ruolo di Pollione: “L’estensione, dunque, della mia voce è quasi di due ottave, cioè dal Re basso [re2] al Do acuto [do4]. Di petto, poi, sino al Sol [sol3]; ed è in questa estensione che posso declamare con egual vigore e sostenere tutta la forza della declamazione. Dal Sol alto [sol3] al Do acuto [do4] posso usare di un falsetto che, impiegato con arte e forza, dà una risorsa come ornamento”. La frase è quantomeno interessante perché dice “posso” usare il falsetto e non “uso” il falsetto, e sopratutto impiegato con arte e “forza”, il che a mio vedere significa appunto “rinforzare” il falsetto con il petto :)

  10. Si potrebbe parlare di un ideale “continuum” vocale, in cui salendo il petto progressivamente si stempera e il falsetto diventa puro. Si potrebbe leggere la storia del canto moderno come una progressiva espansione del canto di forza in zona acuta. Espansione che poi porta retrospettivamente all’orrore per il falsetto e quindi rende ineseguibili con i mezzi moderni certe partiture pensate per una tecnica diversa.
    Non credo ci sia modo che un tenore avesse cacciato quel Mib di Jacopo Foscari (http://youtu.be/mQsqtU2_gbg?t=1m40s) senza usare puro falsetto. Qui il cambio è vistoso (sul Fa) e forse con una tecnica antica si sarebbe potuto rendere più omogeneo.

    • infatti l’operazione a merritt riesce meglio e riuscirebbe meglio a Pavarotti se evitasse di aprire i suoni precedenti. L’operazione salita a questa nota soprattutto nel canto spianato (diversamente o meglio molto più facilmente riuscirebbe nel canto d’agilità rossiniano) è esemplificata, per prendere qualche cosa di facile reperimento, da Gigli nell’esecuzione di Mi par d’udir ancora del 1932 o di “prendi l’anel ti dono” del 1934 credo.

        • gigli in vita sua non ha mai emesso ed inciso note superiori al re bem (finale atto primo forza) nel pirata si scontava i sovracuti. Era un tenore corto per il quale il do4 fu un problema nei primi anni di carriera.Volevo dire che è il tipo di emissione, utilizzata nei due brani citati sonnambula e pescatori che fa pensare a quella che i tenori “antichi” utilizzavano per salire oltre il do.

          • i vari david, rubini, mario che emettevano quelle note salivano con quel suono che senti in gigli e che puoi ascoltare anche in checco marconi, gherlinzoni ed in certi tenori di area tedesca come jorn, slezak e persino un baritenore (o la miglior imitazione che ne conosciamo) come jadlowker

          • Quelli di Slezak e Jadlowker sono comuni falsetti leggeri, effetti estemporanei che non possono costituire la maniera sistematica di accedere alla zona acuta. E poi nessuna di queste è voce da sopracuti.

      • Mancini, che intende per stilisticamente falso? Lo avrebbe preferito di forza? Ormai è possibile, ma molto probabilmente non è quello che Verdi si era immaginato. O vuole intendere che si tratta di un vocalmente “falso” falsetto?

          • Scusi, e lo dico senza provocazione, ma come facciamo a dire che all’epoca su quelle note cantavano come Merrit invece di fare un autentico falsetto (femmineo, privo di peso ed etereo, falsetto in purezza o falsettino che sia)? Nel mondo del belcanto forse ha più posto questo tipo di suono che quei bei sovra-acuti di Merritt che però hanno un qualcosa delle “grida del cappone strozzato”…
            Ma andando dritti al nocciolo, se ho ben capito, secondo lei per le voci maschili il falsetto di cui si parla nei trattati dell’epoca è tutta un’altra cosa rispetto al moderno falsetto (?falsetto in purezza?). Quindi quando si afferma che i tenori dell’epoca nel registro acuto cantavano in falsetto, l’affermazione è corretta, ma significa altro da quello che noi consideriamo oggi falsetto.
            E’ solo un problema di confusione nella nomenclatura? Se così fosse non vi dovrebbe essere da qualche parte un cenno alla distinzione tra falsetto puro (o falsettino) e falsetto sonoro (voce di testa)?

          • E’ questione difficile da comprendere, me ne rendo conto; i segreti della vocalità difficilmente si lasciano dimostrare con le parole, tanto meno con le schematizzazioni anatomiche dei foniatri; solo l’esempio ed il vissuto pratico possono fugare ogni dubbio, quando si tratta di arte. Pertanto l’atto di fede, in mancanza di esperienze concrete, alla fine è inevitabile.

            Provo comunque a darti una spiegazione, e se non ti convince pazienza. C’è falsetto e falsetto. Quel che oggi nessuno capisce è che il falsetto, opportunamente coltivato, può acquisire peso e spessore fino a diventare del tutto identico al petto. Si crea una condizione per cui la voce non è più né completamente di petto, né completamente di falsetto, ma diventa una corda unica, mista, graduale dal grave, in cui prevale il petto, all’acuto, in cui prevale il falsetto. Questa comunicazione tra le due meccaniche, ora non più separate ma fuse insieme, si realizza grazie alla giusta posa della voce sul fiato.
            Orbene l’acuto di Merritt non è certo un querulo falsettaccio che un qualsiasi individuo del tutto privo di studi di canto riuscirebbe facilmente ad imitare (come fa Pavarotti), ma non si può neanche dire che sia una nota di petto (sarebbe fisicamente impossibile salvo lacerarsi la gola come fanno le stonate scimmie pop). D’altronde sarebbe assurdo credere che un cantante come Rubini, noto per la straordinaria estensione, risolvesse gli acuti in quella maniera dilettantesca, alla portata di chiunque. Dove starebbe l’eccezionalità di quelle note? Possiamo ipotizzare al più che rispetto ai tenori moderni, gli antichi usassero una minore intensità, ma è da rifiutare l’idea che tra il petto ed il falsetto presentassero quel gap imbarazzante che emerge nell’infelice tentativo di Pavarotti.

            Il canto è uno e non può che essere uno.

          • Spiegazione interessante e abbastanza convincente soprattutto per la categoria “eccezionale”. E’ difficile credere che i sovracuti diventassero anche più facili degli acuti perché si sguainava l’arma facile del falsetto! Quindi forse era un discorso più complesso. Che attenuassero i suoni lo credo probabile (ecco perché il falsetto “femmineo” non mi suona come una bestemmia), anche perché la dimensione media dei teatri non erano le sale da 2000-3000 posti e quindi anche volumi più modesti potevano aver vita.
            Per quanto riguarda la facilità però le devo dire che ho conosciuto un cantante che faceva più fatica a cantare quella nota in falsetto che di testa. Non mi sentirei di sbarazzare la questione come un trucco da dilettanti. Ad ogni modo, grazie per la sua esauriente risposta!

          • Non direi che le dimensioni dei teatri del tempo fossero trascurabili, pensa ad esempio al San Carlo di Napoli. E comunque ti assicuro che una voce mal messa fatica a sentirsi persino in una stanza col solo accompagnamento del pianoforte… Ho avuto esperienze di voci inudibili persino in una sala come quella del Bibbiena a Bologna.

            Devo comunque precisarti che un mib4 è sempre in ogni caso una nota di testa. Il falsetto, Garçia docet, finisce laddove finisce il petto (do4), è, diciamo, la parte grave del registro di testa, sovrapposta e parallela al registro di petto, che si presta pertanto ad essere fusa con esso. Oltre tale limite resta solo il registro di testa, in solitaria. Quindi la questione non è se il mib sia di testa o di falsetto (ribadisco, la testa è la continuazione acuta del falsetto), ma se sia in voce oppure se sia spoggiato. Merritt fa il mib di testa, ma lo riesce ad appoggiare. Pavarotti spoggia al 100%.

            Un’altra prova a favore del mio assunto, è il fatto che quelle note estreme siano state scritte solo per alcuni cantanti particolari, mentre le parti scritte per altri tenori presentano una tessitura centrale senza quelle punte estreme. Se la prassi comune fosse stata quella di emettere i sopracuti nel modo in cui li fa Pavarotti, allora i compositori li avrebbero scritti per tutti i tenori che avevano a disposizione, senza distinzione, e non solo per i contraltini come Nourrit, David, Rubini, dato che, ripeto, chiunque potrebbe fare un mi bemolle in quel modo, anche un baritono e credo anche un basso.

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