Cronache americane – Jurowski alla Carnegie Hall

Carnegie_Hall_WikipediaDopo il Macbeth al Met ho avuto occasione di assistere ad uno splendido concerto nell’altro tempio musicale di New York, l’elegante Carnegie Hall. Il concerto pareva imperdibile: uno dei più importanti direttori della nuova generazione, Vladimir Jurowski (candidato – si dice – alla successione di Rattle sul “trono” dei Berliner) con la sua London Philarmonic Orchestra, ossia una delle migliori compagini di oggi e il pianista virtuoso Jean-Efflam Bavouzet. Il programma era molto ricco e interessante: il Chorale di Magnus Lindberg, compositore finlandese di casa alla Carnegie Hall, la Rapsodia su un tema di Paganini di Rachmaninov e – portata principale del banchetto – la Sinfonia n. 8 di Shostakovich. Anche in questo caso – nonostante le accuse ricevute di un certo provincialismo – non posso non riferire dell’emozione nel trovarmi in quella magnifica sala da concerto ripensando a tutti i grandi musicisti che si sono succeduti su quel palco e ai suoni straordinari che hanno riempito quegli spazi. Il concerto, dicevo, si è aperto con il Chorale di Magnus Linberg, brano tesissimo e coinvolgente, ispirato al famoso corale bachiano “Es ist genug” citato pure da Berg nel suo celebre Concerto per Violino). Il lavoro, composto nel 2002, veniva per la prima volta eseguito alla Carnegie Hall ed è stato una specie di biglietto da visita della perfezione e del virtuosismo della London Philarmonic: un suono compatto, pieno, preciso e duttile nelle mani del suo direttore (evidente è il lavoro di Jurowski e il rapporto costruito con gli strumentisti). Il brano mette in mostra la disarmante bravura dell’orchestra nel gestire il fraseggio e la capacità – non frequente – di respirare come un uomo solo: sembrava uno splendido strumento nelle mani del direttore. Il secondo brano – a mio gusto il meno interessante – era la funambolica Rapsodia su un tema di Paganini di Rachmaninov: il lavoro, di un virtuosismo un po’ fine a sé stesso, è sicuramente d’impatto e Bavouzet ha incatenato la platea ad una tecnica trascendentale nel dipanare difficoltà al limite dell’ineseguibile: le 23 variazioni si basano su di un celebre tema tratto dall’ultimo dei 24 Capricci di Paganini (usato anche da Liszt, Brahms e pure Lloyd Webber). Il pezzo forte però era destinato alla seconda parte del concerto: la Sinfonia n° 8 di Shostakovich. Composta nel 1943, è la seconde delle cosiddette sinfonie belliche (tra la n° 7  che descrive il drammatico assedio di Leningrado e la n° 9 che celebra la vittoria di Stalin) ed è composta come un commosso requiem alle vittime della “grande guerra patriottica”. Suddivisa in cinque movimenti, è un lavoro di proporzioni mahleriane: potente e violento, ma anche complesso nel rappresentare il conflitto interiore dell’uomo Shostakovich in bilico tra l’orgoglio del cittadino sovietico per le vittorie dell’Armata Rossa e la sofferenza per le tante vittime militari e civili. Il primo movimento – che da solo occupa quasi metà del lavoro – è un epico adagio secondo la classica forma sonata, basato  su un motivo di tre note che si sviluppa, successivamente in fugati complessi di ritmo erratico in un continuo crescere e decrescere per costruire il drammatico climax su cui ritorna, però – ossessivamente – il cupo tema iniziale. Il movimento procede tra momenti di violenza sonora e spazi lirici affidati anche agli splendidi soli del corno inglese. Le due marce/scherzo che seguono, costituiscono secondo e terzo movimento che si chiudono con un ostinato e violento rullo di timpani ad introdurre una nobile passacaglia dall’andamento ondulatorio su una misteriosa e inafferrabile linea di basso (ripetuta per 12 volte) che conduce – senza soluzione di continuità – allo spazioso movimento finale che riconduce la sinfonia alla cupa e ambigua atmosfera iniziale, sino a spegnersi nelle ultime note e negli ultimi accordi che, pur mancando di un senso di quiete e pace, sembrano voler comunicare all’ascoltatore che l’oscurità avrà termine e lascerà spazio, nuovamente, alla bellezza. Jurowski, e la sua orchestra, non si è limitato a dirigere magnificamente o ad eseguire alla perfezione la pagina scritta, ma ha comunicato il senso di questa complessa sinfonia con gesto spontaneo e mai forzato. Colpiva la capacità di passare attraverso i diversi registri di questo lavoro complesso senza perdere il discorso musicale e senza cadere nel manierismo magniloquente che è un rischio sempre presente in questi casi. Una grande serata di musica e, personalmente, l’esperienza d’ascolto dal vivo, più entusiasmante che ricordi (e che impietoso confronto con le nostre pietose compagini orchestrali e con i battisolfa che si avvicendano – tra clamori mediatici e capricci da primadonna – sugli scalcagnati podi della penisola).

Gli ascolti:

M. Lindberg: Chorale – Orchestra Sinfonica della Radio Finlandese, Sakari Oramo:

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J. S. Bach: “Es ist genug” dalla cantata BWV 60 – Nikolaus Harnoncourt:

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A. Berg: dal Concerto per Violino e Orchestra “Alla memoria di un angelo” – A. S. Mutter: 

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S. Rachmaninov: Rapsodia su un tema di Paganini, Op. 43 – S. Rachmaninov: pianoforte – Philadelphia Orchestra, L. Stokowsky:

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D. Shostakovich: Sinfonia n° 8 in do minore, Op. 65 – Orchestra Filarmonica di Leningrado, Evegenij Mravinskij: 

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