Il tenore prima di Caruso e del Verismo, parte IV: Anselmi, Garulli, Giraud.

Le categorie di appartenenza dei due più famosi tenori italiani prima dell’avvento di Caruso, Francesco Tamagno e Fernando de Lucia sono indiscutibili e fra loro incomunicabili. Le cose non cambierebbero se considerassimo due miti francesi del tenorismo come Leon Escalais ed Edmond Clement.

La vera differenza fra tenore di grazia e drammatico (che non ha più a vedere con il tenore contraltino, amoroso del melodramma sino a Donizetti), in considerazione degli ascolti e con tutti i limiti degli stessi, non è rappresentata dal colore della voce, perché Tamagno o Escalais suonano, spesso, assai più chiari di de Lucia. Risiede, invece, nella capacità di reggere tessitura acute, emettere acuti estremi penetranti e squillanti e, peculiarità più difficile da cogliere, la capacità di sfoggiare accenti nobili, aulici ed altisonanti alternati a toni amorosi e dinamica sfumata. Insomma di essere gli eroi del romanzo “di cappa e spada”, quanto i tenori di grazia si trovavano ad essere, invece, gli eroi del dramma borghese, che opera francese e verismo, poi, portavano in scena.
Tutti eroi, ma con etica e poetica differente ab origine.
La facilità di reggere le tessitura centrali e di disporre di un accento molto più colloquiale è il motivo per cui i primi interpreti dell’opera verista provenissero dalle file dei tenori cosiddetti di grazia. Categoria a cui apparteneva anche Caruso, che solo dopo il 1910 si ammesse il repertorio del tenore drammatico, e continuando a praticare il repertorio verista ne stravolse, per conseguenza canoni e gusto.
Tenore di grazia per eccellenza (atteso anche i poco felici risultati quando tentò, credo per la facilità del registro acuto, qualche approccio al repertorio del grand-operà) fu Alfonso Garulli.
Garulli arrivò a lasciare qualche documentazione fonografica a carriera pressoché conclusa. E per altro la stessa non era stata lunga anche per una serie di interventi alla gola. Caruso lo stimò ed ammirò sempre, facendone un proprio modello. Non escludo per la grande facilità in alto, cui un tenore privo del si bem, nella prima fase della carriera, doveva essere molto sensibile.
Per quel poco che si percepisce dalle registrazioni la voce di Garulli è quella dolce, timbrata , dalla dinamica sfumata e dall’espressione elegante, comune a tutti i tenori di quel tipo.
Nonostante le cronache del tempo parlino, cono riferimento alle serate infelici di Garulli della difficoltà ad emettere gli acuti ne sfoggia di facilissimi e timbrati nell’esecuzione della serenata “Ovunque tu” di van Waterbout e nell’ “Ideale” di Tosti. Il canto legato, raccolto esente da forzature sia vocali che interpretative segnano, nell’esecuzione dell’aria di Canio la differenza con gli esecutori della generazione successivo di cui paradigma divenne l’esecuzione storica carusiana
Il personaggio di Canio porta a Fiorello Giraud, che ne fu il primo interprete. Tenore parmigiano ad onta del cognome francese. Fu anche e soprattutto un cantante wagneriano, spesso con Toscanini ed, a giudizio di Gino Monaldi, il maggior esecutore di Wagner con Borgatti. Con la differenza, però, che Borgatti praticò solo quel repertorio, Giraud affrontò spesso anche il repertorio italiano e non solo verista.
Oggi non è pensabile che un tenore wagneriano esegua con una voce veramente bella, maschile congiunta ad eleganza e morbidezza e, per giunta, praticando preziosi rallentamenti l’arioso di Walter dai Maestri cantori e al tempo stesso e con le stesse caratteristiche affronti l’aria di Rodolfo di Luisa Miller. Anzi l’esecuzione, senza essere di quelle che fanno la storia, è varia, sfumata e per certi versi più acconcia al nostro gusto per l’assenza o quasi di qualsivoglia arbitrio. Arbitrio che negli ascolti di un altro tread è largamente documentato. Spesso, va detto, l’arbitrio è anche di grane fascino.
Chi, invece, emulo e vero erede di Fernando de Lucia praticò arbitri e libertà di esecuzione fu Giuseppe Anselmi. Di poco più giovane di Caruso fu, nonostante l’anagrafe, l’ultimo compiuto e affascinante rappresentante del tenorismo di grazia ante Caruso.
Famoso in Italia ed idolatrato nei paesi di lingua spagnola, che da sempre folleggiano per i tenori dagli acuti smaglianti e dalle interminabili filature, frequentava d’abitudine il repertorio francese (prima di Schipa fu, con il francese Edmond Clement, il prototipo del Werther di grazia) Puccini, alcune opere veriste (che, forse, non erano del tutto idonee ai suoi mezzi se si pensa sopratutto ai Pagliacci) alcuni titoli verdiani (Traviata e Rigoletto, soprattutto) ed alcuni donizettiani (Lucia, don Pasquale, Elisir).
Talune registrazioni di Anselmi come Manon di Massenet, l’arioso di Gennaro della Borgia o quello di Rodolfo della Miller sono celebri, pubblicate più volte, esaminate con dettagli dalla critica.
Inutile dire che ritraggono, con la peculiarità di una dizione eccezionalmente nitida e scandita e di un timbro, che si intuisce di qualità, il modello di tenore di grazia, maestro di dinamica, ben propenso ad arbitri, nel duplice nome della espressione e dell’esaltazione dei propri mezzi e, comunque, nel confronto con de Lucia, contenuto e sobrio. Non solo, ma Anselmi è molto più contenuto in Puccini e nel Verismo che non in Donizetti o Verdi, anche se “la speranza” del racconto di Rodolfo è all’insegna del piegare il testo musicale alla comodità di emissione.
Nell’arioso di Loris, dove de Lucia è tanto splendido vocalmente quanto autocelebrativo, Anselmi inserisce anche lui, vero cantante attore, rallentamenti e note tenute, il tutto con un controllo del fiato in una romanza scomodamente centrale (atteso il suo originale destinatario) .
L’interesse per chi ascolti una registrazione coeva alle prime esecuzioni delle opere è rappresentata da Anselmi, esecutore di Puccini.
Nella “gelida manina” la voce di Anselmi, tecnicamente esemplare appena affronta le prime note acute, acquista un turgore, una piena morbidezza ed uno squillo esemplari. Il “chi sono” penetrante ed intenso hanno un sapore oggi sconosciuto, abituati, purtroppo, ad esecuzioni dove la fatica vocale sembra essere la peculiarità, come tristemente esemplificano anche le ultime leve del canto tenorile, applicate anche a Puccini. Sul presupposto da ignoranti che per Puccini bastino voce , cuore e generosità.
Nella Manon Lescaut, opera che, anche nel ruolo della protagonista subì pochi anni dopo la prima rappresentazione una cospicua spinta drammatica nelle braccia del verismo più trito, Anselmi prima di tutto canta e lega ogni suono (per chi esaminasse precipuamente il solo profilo della corretta tecnica di canto tutte le volte in cui si canta sul passaggio, Anselmi è perfetto), ma soprattutto è innamorato e dolente, per quel che testimoniano le singole romanze. I Des Grieux, assatanati vuoi di sesso al secondo atto, vuoi di smania di vendetta ed autodistruzione al terzo e che, naturalmente, al quarto accompagnano l’agonia di Manon con singulti ed imprecazioni, che sono la degenerazione di Caruso, distano mille miglia dell’esecuzione del tenore siciliano.

GLI ASCOLTI

Fiorello Giraud
Wagner: I maestri cantoriNel verno al pie’ del focolare
Verdi: Luisa Miller Quando le sere al placido
Tosti: Ancora
Tosti: Oblio

Adolfo Garulli
van Westerhout: Ovunque tu
Tosti: Ideale
Leoncavallo: PagliacciVesti la giubba

Giuseppe Anselmi
Puccini: Bohème Che gelida manina
Puccini: Manon LescautAh Manon
Puccini: Manon LescautDonna non vidi mai
Giordano: FedoraAmor ti vieta

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