Sotto il segno di Wagner – Bruno Walter e Helen Traubel all’Hollywood Bowl (8 luglio 1947)

Fin dal 1922 l’Hollywood Bowl, moderno anfiteatro all’aperto scavato tra le colline di Los Angeles e capace di contenere 17000 persone, si è configurato come centro culturale e artistico multiforme e stimolante per la ricchezza delle proposte e per l’originale convivenza di più stili musicali.
Tra Giugno e Settembre, ogni anno, una serie di concerti e di artisti si susseguono su quel palcoscenico letteralmente “Sotto le stelle” capace di ospitare personalità che vanno da Fred Astaire fino agli Aerosmith, da Frank Zappa a Debbie Reynolds, passando per Leopold Stokowski, Otto Klemperer, Fritz Reiner, Bruno Walter, Georg Solti, Leonard Bernstein, Zubin Mehta, Esa-Pekka Salonen per non parlare dei numerosi cantanti d’opera che hanno attirato migliaia di appassionati.
Di fronte a tali eventi anche i media come radio, televisione e cinema non hanno rinunciato a prendere parte alle manifestazioni registrando molti degli avvenimenti.

La sera dell’8 Luglio 1947 salì sul podio dell’Hollywood Bowl, alla testa della magnifica Los Angeles Philarmonic Orchestra, il leggendario direttore d’orchestra Bruno Walter, proponendo un programma concertistico all’insegna di Wagner, comprendente il Preludio dai Meistersinger, l’Ouverture e Baccanale dal Tannhauser, Preludio e “Liebestod” dal Tristan und Isolde, il Siegfried Idyll, la “Marcia funebre” e l’ “Olocausto” di Brunnhilde dal Gotterdammerung, facendosi affiancare dalla voce del soprano Helen Traubel.
Questo concerto si colloca alla fine dell’esilio che Bruno Walter, di origini ebree, si impose per sfuggire alle persecuzioni della Germania nazista, un periodo che coincise con gli anni più fecondi della sua carriera.
Collaborò assiduamente con tutte le grandi orchestre americane, tra cui le “Big 5” come allora venivano chiamate le prestigiose compagini di New York, Boston, Cleveland, Chicago e Philadlphia; fu ospite fisso al Metropolitan in cui diresse opere di Beethoven, Smetana, Mozart, Gluck e Verdi dal 1941 al 1946, anno in cui deciderà di riallacciare i rapporti con l’Europa, e che lo rivedrà tornare negli anni ’50.
Cosa si ascolta nella registrazione di quella serata?
La cosa che colpisce della lettura che Walter dona al Preludio dei Meistersinger, è la rapidità!
Il direttore imprime alla partitura un ritmo sostenuto, veloce, in cui gli archi, gli ottoni ed i fiati si rincorrono come travolti da una fluidità narrativa ricca di brillantezza,.
Il fraseggio orchestrale è netto, e nonostante la scansione temporale, ogni nota, ogni movimento vengono esaltati con la dovuta leggiadria richiesta.
Così il Tema dei Maestri è reso con forza e rifugge dall’essere pesante o marziale, quello di Sachs e quello più fresco di Walther possiedono una articolazione densa e scoppiettante, quasi un continuo rubato, mentre le frasi più sinfoniche virano verso un romanticismo di lunare morbidezza soprattutto quando lascia che il volume si attenui e l’orchestra quasi sussurri.
Magnifico il finale in cui, prosciugati da ogni facile trionfalismo bandistico, i temi principali si fondono con la giusta luminosa morbidezza e le due note finali, staccate all’unisono dall’orchestra, suonano precise e vigorose.
Inaspettato, addirittura, l’approccio utilizzato da Walter per il seguente brano in cui la struttura musicale viene frammentata in un continuo gioco di contrasti condotti all’estremo della loro espressività.
Inizio faticoso e pesante quello imposto al preludio del Tannhauser, la cui lentezza rende fin troppo severo e ieratico il tema legato al canto dei pellegrini, ma è struggente il gioco dei volumi orchestrali in cui il suono diventa un tragico muro che arriva ad assottigliarsi prodigiosamente fino all’ingresso dei nuovi motivi.
Gli archi, intensi, si sdoppiano pizzicando e ammorbidendo la sacralità iniziale, fino ad introdurre come se fosse un colpo di scena, la danza sfrenata del Baccanale.
Il ritmo diventa forsennato e per contrasto il tema del Venusberg si colora di una sensualità soffice e sinuosa prima di introdurre a sua volta la musica che identifica il cantore a cui il direttore imprime una dinamica violenta dal grande impatto sonoro, quasi aspro nella sua eccessiva ricchezza timbrica e nella tensione dei violini.
All’arrivo dei flauti e degli ottoni tutto sembra precipitare in un vortice sonoro in cui nuovamente i temi sembrano lottare tra loro, come a visualizzare esattamente un groviglio di corpi al posto delle note e degli strumenti.
Esausta dopo i pizzicati, l’orchestra dapprima esplode per poi drammaticamente ridursi fino al silenzio immaginando il richiamo delle sirene preceduto dal placido e voluttuoso tema di Venus.
Con Tristan und Isolde ascoltiamo quanto Mahler scorra nelle vene di Bruno Walter, quanto il direttore padroneggi gli influssi della musica novecentesca e si comprende bene come direttori del calibro di Mitropoulos, Bernstein e Abbado abbiano studiato a fondo la sua lezione.
La straordinaria modernità di questa lettura commuove proprio perché Walter usa gli strumenti musicali come se fossero voci.
E’ un dialogo asciutto, lucido e tangibile quello che si instaura tra Walter e la sua orchestra, così l’accordo iniziale entra quasi in punta di piedi, con un suono ricco di fremiti, tragico nella sua compostezza e rallentato nel suo tempo.
Soavissima invece la musica che accompagna il riconoscersi dei due amanti, con i temi della notte e del filtro esaltati da un accompagnamento come sospeso in una dimensione onirica, come straziante è il tema del lamento di Tristan, oppure l’avvicendarsi dei temi lugubri e sensuali del duetto d’amore nella loro estatica decadenza.
Gli strumenti suonano timbrati e rigogliosi, non esitano a fondersi in un suono unico, diafano eppure magnificamente denso, angoscioso nel suo perenne raffigurare i dolori ed i desideri di Tristan e Isolde, mentre trova un attimo di pace quando introduce genialmente la musica del pastore, interpretata quasi come un eco ovattato e distante, per poi spegnersi ripetendo il tema iniziale nella sua lenta corsa verso il buio.
L’attacco al Mild und Leise tra l’orchestra e la Traubel non è purtroppo perfetto, ma ciò che viene dopo è musicalmente straordinario.
Walter mantiene l’orchestra su un sussurro estatico e aumenta leggermente i tempi.
Il soprano scelto ad interpretare la morte di Isolde e successivamente quella di Brunnhilde è Helen Traubel.
Soprano di vocazione wagneriana, dalla carriera quasi esclusivamente americana e di casa al Metropolitan dal 1937 al 1953, si inserì tra il regno di Kirsten Flagstad e di Marjorie Lawrence e anticipò di poco Astrid Varnay.
Fu grande interprete di Sieglinde, Elisabeth, Brunnhilde, Isolde, Elsa, Kundry, Marescialla e dell’opera contemporanea Man without a country di Walter Damrosch.
Nel suo ultimo anno di permanenza nel teatro che le diede fama, fece scandalo, poiché scoperta a cantare nei Night Club.
Cacciata dal Metropolitan, partecipò in seguito a film musicali, a programmi televisivi, musicals e operette, dedicandosi anche alla scrittura di romanzi gialli e autobiografici.
Voce spinta dall’accento drammatico, duttile e poderosa, elastica e omogenea, la Traubel nel Liebestod pecca probabilmente nell’espressione.
La voce colpisce sicuramente per la potenza, per la facilità della proiezione del suono, per l’uso accorto dei portamenti, di cui abusava pesantemente nelle recite di cui ci resta testimonianza, per l’accento solido, per il fraseggio composto, anche fin troppo misurato, ma per aspettare un’inflessione vagamente partecipe dobbiamo attendere gli ultimi quattro versi e la nota finale, il Sol di “Lust”, in cui la cantante “cerca” di emettere un pianissimo, che purtroppo risulta tendenzialmente calante anche se ripreso vanificando l’effetto della trasfigurazione.
Il Siegfried Idyll, regalo che Richard Wagner fece alla moglie Cosima quando diede alla luce Siegfried appunto e che il compositore riutilizzerà per il “mormorio della foresta” e per il duetto finale dell’opera omonima, è reso da Walter con un tono affettuoso, favolistico e sognante.
Ne scaturisce una visione leggera e melanconica fatta di sonorità infantili, dolcemente evocative.
Il tema della morte ed il suono minaccioso dei timpani introducono, invece, la “Marcia funebre” del Gotterdammerung completamente prosciugata da ogni eroismo.
I temi si accavallano nella loro nuda crudezza, quello della pietà, dei Welsunghi, della pena d’amore, di Siegfried e Brunnhilde perdono la loro connotazione grandiosa e sovrumana, per raccogliersi in un dolore altero in cui le note ascendenti e discendenti, le dissonanze non aprono squarci apocalittici, ma chiedono solennità e mestizia.
Peccato che le trombe non siano in piena forma in quanto il loro suono traballante e le note crescenti o calanti compromettono la riuscita finale del pezzo.
Se in Isolde la Traubel aveva in parte mancato l’obiettivo trascurando il fraseggio, con l’Olocausto di Brunnhilde ha modo di riscattarsi raggiungendo una vetta interpretativa realmente emozionante.
Lo “Starke Scheite” suona ieratico e volitivo nel suo essere espressione di comando, ma alle parole “Wie Sonne” la Traubel si abbandona ai contrasti espressivi alternando la dolcezza materna ad un rabbioso rimpianto, senza che nulla annebbi la linea vocale o inasprisca l’emissione della voce che brilla luminosa nella sua solidità.
La domanda “Wisst ihr, wie das ward?” colpisce per la commozione palpabile e le frasi successive sono spinte verso una tragicità rigorosa e statuaria.
Il pianissimo sulla frase “Ruhe, ruhe, du Gott” è leggermente vibrato, ma le frasi successive sono tutte votate verso l’esaltazione di una femminilità offesa, la cui voce spazia, senza soluzione di continuità, nel legato respirando all’unisono con l’accompagnamento sobrio di Walter.
Imperiosi, facili e raggianti suonano gli acuti delle frasi finali, nonostante qualche attacco faticoso, ma non invadente, e la voce trae forza dall’accento per non lasciarsi sopraffare dalla tessitura acuta che la Traubel affronta con spavalderia.
Del resto se lo può permettere!
I tempi di Walter sono incalzanti, precipitosi nel loro tendersi verso la catastrofe incombente, ma assolutamente plastici nel restituire l’amara solennità del momento e l’orchestra gli risponde con un suono incombente che esplode al comparire del tema delle Walkirie fino ad espandersi con il tema della redenzione di cui i violini restituiscono tutta la prorompente grandiosità.

Gli ascolti

Concerto wagneriano all’Hollywood Bowl
8 Luglio 1947

I Maestri Cantori di NorimbergaPreludio

Tannhäuser Ouverture e Baccanale

Tristano e IsottaPreludio e Morte d’Isotta

Idillio di Sigfrido

Il Crepuscolo degli Dei Marcia funebre

Il Crepuscolo degli DeiOlocausto di Brunilde

Los Angeles Philharmonic
Bruno Walter, direttore
Helen Traubel, soprano

9 pensieri su “Sotto il segno di Wagner – Bruno Walter e Helen Traubel all’Hollywood Bowl (8 luglio 1947)

  1. Certo sentire questi GRANDI con l'ampiezza di suono sia dall'orchestra che dalla solista è una lezione in stile wagneriano. Oggi con le voce smisuratemente spinte fuori ogni misura e le stesse voci smisuratamente piccole e di poca tenuta e durata (nemmeno riescono finire l'opera, figuriamoci fare carriere alla Windgassen, Nilsson, ecc ecc!), anche con l'aiuto del microfono, posso ben dire che non abbiamo imparato nulla. Queste registrazioni servono per rieducare le orecchie, ma loro che dovrebbero educare sia il gusto che le voci degli esecutori di questa musica pare siano scomparsi dalla faccia della terra!

  2. Enorme Bruno Walter…. davvero, un direttore come non ce ne sono stati più. Ogni sua lettura è interessante, indipendente, sfumata e nuova (da Mozart a Wagner passando per Beethoven e Bach…). Debbo però censurare un errore linguistico: l'allievo e direttore preferito di Mahler Bruno Walter non era di origini ebree, ebraiche semmai…

  3. @ Silvio:
    ti ringrazio della lettura e della correzione! :-)
    Sapevo si potesse dire in entrambi i modi, ma "Che vuoi! quando al pensier s'affaccia il truce
    Caso, lo spirto intenebrato pone
    Stolte parole sul mio labbro!"
    😀
    Buona Domenica!

    Marianne Brandt

  4. Ascolti molto interessanti, grazie!

    Mi permetto un’osservazione, rispetto al tempo tenuto da Walter nell'incipit dell’Ouverture del Tannhäuser: perché si dice che è pesante e lento? Rispetto a quale termine di paragone? Walter impiega (secondo più, secondo meno) 4’ 35” ad esporre le prime 80 misure (Andante maestoso, nessuna variazione di dinamica) prima dell’Allegro. Sono (in 3/4) 240 semiminime: fra 56 e 57 semiminime al minuto. Wagner (cosa che ancora fa qui) prescrive un metronomo. Di 50 semiminime. Quindi Walter tiene un tempo più veloce di quanto prescritto dall’autore!

  5. Gentile Daland, grazie della tua osservazione.
    La mia era soltanto un analisi comparatoria nei confronti della brillantezza dell'interpretazione che Walter aveva donato al Preludio dei "Meistersinger" e la cupezza che si respirava nell'Ouverture del "Tannhauser" come premesso nel pezzo.
    Il primo decisamente più vivace, il secondo fin troppo sacrale, senza nulla togliere alla straordinarietà della bacchetta.

    Buona giornata

    Marianne Brandt

  6. riascoltando queste interpretazioni quella che colpisce di più per la delicatezza e lo splendore, a mio avviso, è l'idillio… trovo che vengano salvati in essa, come giustamente riportato in sede di recensione, il senso di dolce palpitazione umana e di partecipazione per la nascita del figlio, eroe/uomo anche per il solo fatto di nascere da lui e da Cosima (naturalmente la megalomania non giuoca un ruolo secondario, ma davanti a tanta musica, che importa?). Anche il senso di danza, veramente quasi fiabesca, è riprodotto egregiamente….

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