L’Orphée di Juan Diego Flórez, ossia il salice piangente

Cari amici,
il nostro Semolino recensisce per il “Corriere della Grisi” il nuovo disco di Juan Diego Flórez: Orphée di Ch.W.Gluck.

Premetto, non sono un ammiratore di Gluck, e men che meno del Gluck della così detta “Riforma”, compositore che considero pretenzioso, accademico, pedante, estremamente logorroico, ed anche insipido e noioso quanto un levigatissimo marmo canoviano.

Di tutta la sua produzione riformata, l’Orfeo è forse, con l’Alceste, l’opera che contiene i passaggi più riusciti.

L’interesse personale per questa registrazione era quello di sentire la prova del tenore peruviano nel ruolo di Orphée nella sua versione parigina, destinato quindi non ad un castrato ma ad una voce di haute-contre, voce che niente ha a che vedere col falsettista. Lo specifico perchè molti falsettisti di oggi, in Francia, si autodefiniscono haute-contre, ma in realtà, all’epoca, almeno fino al Nourrit, la parola haute-contre designava un cantante maschile la cui estensione era quella del tenore acuto, ma anche con centri pieni e gravi nutriti per poter far fronte ai ruoli con un’ampiezza di cavata che potesse conferire autorità d’accento e aulicità al declamato, che è poi il punto di forza della (pedantissima) tragédie lyrique da Lully a Spontini. Insomma ci vorrebbe una voce tipo Jadlowker.

La direzione d’orchestra è stata affidata a Jesús López-Cobos e l’orchestra è quella Sinfonica di Madrid. Essendo oramai questo tipo di repertorio stato dato in appalto ai baroccari, con i risultati che ben si conoscono, il fatto di sentire, fin dall’ouverture, un suono pieno e corposo, caldo e vibrante, mi ha predisposto favorevolmente. Fra l’altro il direttore cerca di ottenere tinte pastello combinate a un fraseggio nervoso e l’idea di per se stessa è validissima, però l’entusiasmo scade subito. Mi è bastato pensare e riascoltare, per farne il paragone, quello che diventa questa ouverture quando
è diretta da Solti! Con López-Cobos ci si accorge già subito dopo qualche battuta che la sezione degli archi ha un suono grigio e plumbeo, a tratti sembrano le corde del bucato. Questa ouverture seppur breve è, come tutto in Gluck, un brano logorroico perchè è molto ripetitivo e se il direttore non ha estro e fantasia, come è il caso qui, non riuscendo quindi a trovare sfumature di fraseggio e/o di suono diverse l’una dall’altra ogni qualvolta la filastrocca si ripete, si cade subito nella noia assoluta, e così via per tutta l’opera. Direzione ora fiacca, ora plumbea, e i passaggi di sonorità più intensa non fanno altro che mettere in rilievo il suono pessimo dell’orchestra e la mancanza di inventiva del direttore. Le trombe nel finale paiono di plastica.

Flórez è il solo tenore con una voce degna di questo nome ad avere inciso il ruolo che io ricordi, i baroccari hanno tutti utilizzato sprovveduti coristi di terz’ordine, con voci spoggiate e cempennanti, con delle emissioni campate in aria. Flórez non ha secondo me la voce da primo uomo, né da haute-contre protagonista, non ne ne la dovuta e richiesta ampiezza vocale, né l’estro interpretativo. La voce sarà anche bella, anzi direi carina piuttosto che veramente bella; ma se avesse cantato nel periodo 1900-1940, avrebbe fatto il comprimario, perchè è tecnicamente incompleto – ne spiegherò nel seguito i motivi – e manca anche di spiccata personalità interpretativa, non sorprende mai, è sempre previsibilissimo. Infatti questo suo Orphée è tutto un salice piangente, tutto piagnucoloso e dolente dall’inizio alla fine. Si potrà obiettare che Orphée si duole per la morte di Eurydice, ma questo non dovrebbe impedire al cantante, pur nel fraseggio dolente, di variare e colorire maggiormente la linea vocale. Flórez non solo è monotono nell’accento, ma anche e soprattutto esegue tutte le sfumature solo coll’uso delle variazioni dinamiche, cioè di intensità, non utilizza mai, perché non sa emetterla, l’autentica mezzavoce (carenza tecnica), e senza l’impiego sagace della mezzavoce autentica, va da sé, il canto diventa monotono. Che cosa rendeva una voce così ingrata come quella di Blake tanto variopinta e sgargiante? vivida ed eletrizzante? sempre sorprendente? Era proprio il cospicuo e appropriato uso delle autentiche mezzevoci, che permettono di apportare colore al canto, altrimenti diventa monotonia mortale.
Nonostante questo ho provato un certo piacere ad ascoltare un tenore come Florez in questo tipo di repertorio, poiché pur coi suoi limiti sopra citati, è un cantante impostato con una tecnica che resta salda e sana nei suoi parametri più generali. Sentirlo cantare un ruolo come questo, dopo tutte le lagne infami e abbominevoli dei tenoruzzi baroccari, è stata una ventata di aria fresca. Però Flórez è bravo perché il contesto della concorrenza è disastroso, in assoluto non è nemmeno lui all’altezza del compito, e non solo per i motivi già citati. Ci sono altri limiti oltre alla monotonia dell’accento e alla mancanza della mezzavoce: nell’aria virtuosistica che conclude il primo atto le agilità sono bene eseguite, ma sono come un compito scolastico del primo della classe e basta, mancano di vero mordente, di quella follia che un aria così virtuositica richiederebbe.
Orphée non passa tutto il tempo a dolersi, ha momenti di declamato ampio e aulico, concitato, non sono molti ma ci sono e Florez sostiene i passaggi in questione in maniera poco credibile, sia per mancanza di corpo nei centri e nel registro grave, sia per la mancanza di autorità nell’accento: la voce avrebbe avuto bisogno di ben altro metallo. Poi quando in certi passaggi (non li segnalo, divertitevi a scoprirli) cerca di fare dei trilli, tutto crolla; come si può definire belcantista (e rossiniano) un cantante che li sapona in quella maniera? C’è un punto nel finale in cui tenta persino la mezza voce in
un trillo, farfugliatissimo fra l’altro, e non sapendola eseguire perde l’appoggio, la voce va indietro, diventa querulo falsetto e quando riprende a piena voce, poiché ha appena perso l’assetto, fa fatica a ritrovarlo e il canto di colpo diventa caprino, teso, il suono resta avanti, ma è troppo forzato. Da quel punto in poi concludere la parte gli costa moltissimo. E si sente.

Le parti femminili sono un disastro. Già il ruolo di Eurydice è una trafila di insulse lagne, se poi le si ascoltano gracchiate da Ainhoa Garmendia le orecchie sono messe a dura prova. La Garmendia è dotata in natura di una voce che per definirla con una frase del Mancini la si potrebbe qualificare di
“vociuzza infelice”, se poi si aggiunge che è ingolatissima, quindi aspra nei centri, fioca in basso, di carta vetrata appena sale, si salvi chi può! Il ruolo di Amore affidato a Alessandra Marianelli è un filino meno peggio, ma non perché sappia cantare, solo per il fatto che costei è dotata per natura di una
voce leggermente più avanti nel centro, per il resto non procede meglio.

Insomma una versione da consigliare ai fans di Flórez e a coloro che hanno voglia di ascoltare un Orphée tutto salice piangente e cantato da una voce che assomiglia a qulacosa di corretto, almeno nel timbro e nelle linee principali, ma non certo una prestazione e una interpretazione degna di un Divo di tale rinomanza.

Il vostro Semolino………e abbasso La Venexiana! Lo so che non c’entra niente, ma volevo dirlo lo stesso……

Gli ascolti

Gluck – Orphée

Atto III

J’ai perdu mon EurydiceIvan Kozlovsky (1954)

4 pensieri su “L’Orphée di Juan Diego Flórez, ossia il salice piangente

  1. Pure io ho gli stessi "problemi" con Gluck: è autore che mi affascina, ma contemporaneamente mi annoia. Già ne ho scritto diverse volte, ma ribadisco come, secondo me, Gluck sia vittima dell'icona che ne è stata fatta dalla critica tedesca, smaniosa di ricondurre tutta la storia della musica ad un percorso univoco che avesse, come esito massimo, il dramma musicale wagneriano (di cui la Riforma sarebbe, in qualche modo, l'anticipatrice). Non è così e non è accettabile ridurre ad un gioco volto a ricercare prodromi di wagnerismo in ogni compositore, l'intera storia ed evoluzione dell'opera, poichè si arriverebbe – COME IN EFFETTI SI E' ARRIVATI – a conclusioni imbarazzanti: quali ritenere il teatro di Gluck assai più importante di quello di Mozart. Detto questo anche io, come Semolino, sono un po' insofferente (con l'eccezione di Orfeo ed Euridice) al repertorio gluckiano "riformato" (in particolare la soporifera Alceste: un lamentoso recitativo accompagnato e scarno, lungo circa 3 ore). Rilevato che il Gluck pre-riforma è men che mediocre (quanta ragione nelle parole di Handel che disprezzava le incapacità tecniche del povero compositore!), rimane solo, per mio conto, il periodo francese: secondo me il più interessante, il più ricco, il più appagante. Ben venga dunque una nuova edizione della versione francese dell'Orfeo… Ben venga anche un'edizione non baroccara! Detto questo mi chiedo perchè mai affidarla ad un direttore come Lopez-Cobos, già autore di scempi filologici (in nome di una finta filologia ignorante) quali la Lucia di Lammermoor "così come scritta" senza variazioni e cadenze (con i resti della Caballè)? Perchè infierire sulla partitura con tagli e spostamenti ingiustificati (di brani essenziali per cogliere l'identità dell'opera)?

  2. Prendendo spunto dall'osservazione sul tenore Florez "se avesse cantato nel periodo 1900-1940, avrebbe fatto il comprimario" in combinazione con i plausi iperbolici e le "laudes immodicae" che ha provocato il suo ultimo concerto a Berlino ("un grande tenore"), mi permetto di ricordare cosa fossero un tempo i "grandi tenori", oggidì incurabilmente dimenticati, rinviando al canto ("che nell'anima si sente") di Roberto D'Alessio , detentore dell'autorità assoluta sul fiato, sulla voce e sulla frase musicale. (www.youtube.com/watch?v=TltSeamopLE).

  3. Roberto D'Alessio , detentore dell'autorità assoluta sul fiato, sulla voce e sulla frase musicale. (www.youtube.com/watch?v=TltSeamopLE).
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    e delle autentiche mezzevoci! le MEZZEVOCI!!!

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