Turandot alla Scala ossia la comodità del divano di casa

Alla fine dello spettacolo, scendendo la scala del loggione mi sono posto due domande ossia il significato dello spettacolo, appena terminato e l’eventuale senso di avervi assistito.
La passione e l’amore per la musica, poi, rispondono in parte alla seconda domanda. Alla prima la risposta, invece, è molto più ardua. Le ragioni variegate.

Nel volgere di mezzo secolo la Scala ha proposto ben quattro allestimenti di Turandot. È interessante rilevare dalle cronologie, tanto scrupolosamente quanto improvvidamente allegate, come il primo, ovvero quello del 1958 sia stato utilizzato per quasi vent’anni, il secondo qualche stagione, il terzo nel solo 2003 e questo…vedremo. E tutto nonostante le manfrine del FUS, che sono l’ennesima immagine di nulla credibilità italica.
Per quanto visto non posso che rimpiangere, in primis, quanto offrirono, mezzo secolo or sono, Nicola Benois e Margherita Waldmann, poi comprendere che, nella tradizionale sovrabbondante paccottiglia da ristorante cinese, l’allestimento di Zeffirelli avesse un proprio significato. Il tutto perché ieri sera lo spettacolo pensato dal signor Giorgio Barberio Corsetti (il cui curriculum invito a verificare a mezzo internet per condividere o smentire la domanda “come si fa ad arrivare con questo curriculum in Scala ?”) presentava un primo atto, che richiamava, con misura, gusto e poca fantasia il filone cinematografico di cappa e spada in salsa cinese o le famose “lanterne rosse”, poi, la scena delle maschere presentava una porta, che iniziava l’ evocazione dei ristoranti cinesi, perfezionatasi alla scena degli enigmi e, per contro, al terzo atto, veniva offerto il nulla assoluto, mutuato dalla recente Cavalleria Rusticana. Se il vuoto scenico proposto da Martone poteva avere un senso ed era, comunque, compensato da gesti dei cantanti e delle masse e dall’arredo scenico qui nulla era e nulla rimaneva. Un nulla dove troneggiava Maria Guleghina identica per acconciatura, movenze e dimensioni alla regina madre del circo italiano: signora Moira Orfei.
Le proiezioni sullo sfondo erano, more solito, a beneficio della sola platea e posti di parapetto delle prime tre file di palco e il faccione di Turandot ora dormiente, ora ordinante l’esecuzione capitale piuttosto che le anime dei giustiziati che, tronco il capo, ascendevano l’empireo nulla significavano, nulla aggiungevano. Segnalo, poi, al primo atto un abuso di acrobati e ginnasti, proposto anche come duplicazione delle maschere, ridotti ed annullati negli atti successivi. Sicchè oltre l’oleografia del ristorante cinese, quella del circo di Pechino. Inutile pretendere un gesto, un moto dai cantanti, che superasse la recitazione delle tradizionali Turandot o delle Liù dimesse e supplici e la più assoluta immobilità delle masse corali. Tutto questo ai tradizionalisti, ai passatisti, ma più ancora a chi non ritiene che l’allestimento del melodramma debba essere realizzazione delle masturbazioni mentali del regista di turno sta benissimo, alla condizione, però, di non sperperare danaro pubblico quando il ben fornito magazzino del teatro offra quanto necessario e bastevole per quantità e qualità.
Si narra e, more solito, del pettegolezzo non siamo interessati, che il direttore sia giunto in prossimità della generale, effettuata a porte serrate, o, al meglio, dell’antegenerale. Quanto offerto dal maestro Gergiev parrebbe confermare la voce popolare. La direzione, infatti, al di là di momenti in cui sonorità e stacco dei tempi potevano piacere, brillava per assoluta mancanza di un’idea interpretativa e di un filo conduttore. Segno questo di scarsa riflessione sul titolo, in generale, e di carenza di preparazione dello spettacolo in dettaglio.
A dimostrazione: ad una prima sezione del primo atto fragoroso e soprattutto “russo” ovvero con palese deframmentazione della scrittura orchestrale è seguito un secondo atto dalla chiusa del quadro delle maschere di sonorità limitate e poco brillanti salvo il demagogico finale “diecimila anni”. Le scene di dialogo fra i personaggi ossia l’agnizione di Calaf e Timur, l’ingresso delle maschere ed i loro tentativi di dissuadere il principe ignoto, le due arie del primo atto hanno brillato, invece, per abulia. Abulia e battere la solfa, neppure precisamente verso il coro, puntualmente ricomparsi al primo quadro del secondo atto ed alla prima parte dell’atto terzo, dove, soprattutto durante la scena di Liù, di febbrile e suicida nell’orchestra proprio nulla. Tanto meno in palcoscenico, peraltro!
Aggiungiamo che l’orchestra della Scala se occulta la qualità del suono scadente nei momenti di massimo turgore (fragore?), dimostra lo scarso addestramento e allenamento quando richiesti suoni opalescenti e diafani come nell’invocazione alla luna o alla principessa, all’apparizione del condannato a morte o durante il lugubre corteo, che accompagna l’uscita del cadavere di Liù e aggiungiamo, a dimostrare la fondatezza della vox populi, molti errori negli attacchi del coro, già fuori tempo al primo atto e via via in progressivo peggioramento.
Del pari i solisti scelti in maniera assolutamente censurabile.
Impresentabile, meritevole di protesta se la gestione artistica tale fosse, di fischi da parte del pubblico, se questo non fosse il medesimo che ha applaudito il feretro di Villazon, e di riprovazione della critica, se la medesima non preferisse da tempo criticare il comportamento del pubblico, la signora Ekaterina Scherbachenko nei panni di Liù. Non canta con il suono proiettato, non ha un timbro spontaneamente decente, appena sale emette pigolii in luogo della voce. Le frasi topiche di Liù “perché un dì nella reggia m’hai sorriso”, la chiusa di “signore ascolta”, il “principessa l’amore” e il “per non vederlo più” mostrano, infatti, suonini malfermi e fiato corto. Una autentica vergogna, altra e più significativa parola non si dà. Non facciamo i totocast, ma un paio di Liù di miglior qualità si trovano a pochi metri dal teatro, in teatri limitrofi.
Tale la serva, tale il padrone. Il vecchio, ossia Timur, ossia Marco Spotti. Non si capisce se sia un tenore in disarmo o un basso che non è un basso: nessuna risonanza, nessuna ampiezza in una parte, che vive della qualità di suono di un paio di frasi.
Preciso tali i padroni perchè neppure Marco Berti si è coperto di gloria, anzi, neppure di sufficienza. Tralascio la stecca della variante acuta di “ti voglio tutt’ardente”, facilmente preconizzabile dopo un attacco incerto della frase precedente “no no principessa”, che batte la zona del passaggio. Rifletto su una voce che all’inizio di serata ha una certa ampiezza e sonorità e regge anche con facilità le frase basse dell’incipit di “non piangere Liù” e che progressivamente appare ingolata sul passaggio, stentata sugli acuti e costantemente stonata, perché carente del sostegno. I tentativi di cantare piano le frasi del duetto di Alfano erano il paradigma, per chi sappia e/o voglia ascoltare, di quel che accade quando la voce non è al posto in zona centrale.
La palma della peggiore in campo, comunque, spetta alla protagonista. Alle uscite il progressivo sorridere della cantante rendeva evidente che la signora fosse ben conscia di “averla sfangata”. Sia chiaro Maria Guleghina non è oggi né lo era ieri un soprano drammatico. La carenza di voci di questo genere, la spontanea tendenza a vociare hanno trasformato Adriana, Manon, Maddalena di Coigny, Leonora di Vargas (insomma di un lirico robusto) in Turandot, Abigaille o Lady. I risultati non sempre sufficienti, le disavventure sono note a tutti, soprattutto nei titoli che sarebbero stati quelli di elezione. Oggi poi, dopo vent’anni di quel repertorio, cantato con molto fiato e poco sostegno dello stesso, la voce è ridotta a non poter neppure urlare e strillare con il vigore dei soprani gergalmente definiti “sfasciati” o “strillone”. Quindi dopo un “in questa reggia” cantato, salvo grida piccole ed “indietro” dei do e dei si nat., abbiamo avuto un primo enigma assolutamente imbarazzante, un secondo dove il guizzo dell’incipit era una caduta ed un terzo con una bella esposizione di suoni ghermiti fissi, che si trasformavano in ballanti. Una autentica prodezza. Di mal canto, naturalmente. Ma il peggio sono state le frasi di tessitura astrale come “padre augusto non gettare tua figlia” . Difficoltà a reggere la scrittura e pure a lanciare i due do, come si converebbe alla strillona, sono andate di pari passo. Identici problemi nel finale dell’ultimo duetto dove la scrittura vocale si presenta identica. Quanto ad intonazione questa Turandot è la Turandot ideale di tanto Calaf.
Ci sarebbero, poi, le maschere. So che altrove hanno già cominciato la propria autodifesa, almeno una di esse. Non mi sono accorto che cantassero e non perchè i mimi, che rappresentavano il loro “doppio” fossero così travolgenti, ma perché, proprio non si sentivano!
Scendevo dalla scala della Scala e pensavo come sia comodo il divano di casa mia, ma ho, poi, pensato che non si può e non si deve stare a casa e non si può e non si deve assistere silenti e complici, quindi, a tanto costoso disdecoro e tradimento dell’arte.

17 pensieri su “Turandot alla Scala ossia la comodità del divano di casa

  1. Concordo con la recensione di Donzelli. Una serata deprimente, di quelle che ti fanno passare la voglia di andare a teatro, poiché ieri davvero non c’è stato nulla, nemmeno una frase, un suono, un accento, che potessero minimamente ripagare il tempo ed il denaro spesi per procurarsi il biglietto. Così, si esce dal teatro insoddisfatti, avviliti, cercando inutilmente di dare un senso, che non c’è, a quanto si è visto ed udito.

    Insignificante è stata, a mio avviso, la regia: di una inutilità assoluta. Non mi soffermo perché non ne vale la pena.
    La direzione di Gergiev non si può qualificare. Qualche spunto interessante qua e là, ma nessuna coerenza e continuità. Voler trovare ad ogni costo, in esecuzioni come questa, la presenza di un’idea conduttrice o di un preciso approccio interpretativo, vuol dire sopravvalutare il lavoro, misero, svolto dal direttore. E se anche le intenzioni esistevano, non si sono realizzate. Coro ed orchestra erano tutt’altro che impeccabili, il direttore si sbracciava con gesti tanto fascinosi quanto incomprensibili, ed il risultato è di quelli che non lasciano alcun segno.
    I cantanti, poi, uno peggiore dell’altro. Forse Donzelli è troppo duro con Liù e Timur, che io ho trovato anonimi, mediocri ed insignificanti, sottodimensionati, ma non vergognosi. Le maschere più che cantare parlavano, chi nel naso (i falsettanti Pang e Pong), chi nella gola (l’osceno Ping): inevitabile l’inudibilità. Turandot non aveva niente di divino, di puro, di astratto: la stupida regia e la voce fosca e sgangherata della Guleghina ne hanno reso un ritratto impotente, grezzo e truculento. Il Calaf di Berti, vestito come un sacco di patate, cantato malissimo e peggio interpretato, è un principe sgraziato e bifolco (e che figuraccia con il gong!).

    Nettissima, da parte mia, l’impressione di aver assistito ad una squallida produzione di provincia, senza nessuna pretesa artistica.

    In ogni caso, i tanti turisti alla fine hanno sancito il successo della serata, che sembrava concepita su misura per un pubblico di tal fatta; e così, immancabili alla fine le grida “BRAVI!”, degno coronamento della rituale vanità che è ormai la sola ragion d’essere del teatro.

  2. A) perchè erano talmente pietosi che si commentavano da soli.
    b) perchè se i tuoi amici volevano buare questa palata, come hanno scritto sul loro sito ( loro che no preodinano le contestazioni…), se la facessero loro la fatica di farlo. Non lo hanno fatto? si vede che gli piace sentire una schifezza come quella. Siano orgogliosi di essere il pubblico che applude questa robaccia, felici di adeguarsi al resto del mondo( non udente ).
    salut

  3. Comunque, vorrei aggiungere che coro e soprattutto orchestra avevano un suono niente male, a mio avviso… Qualche pasticcio però si è sentito negli attacchi imprecisi dei coristi, e nella sezione degli ottoni nell'orchestra. Prove non sufficienti?

    Resta comunque il punto di domanda sul senso della lettura di Gergiev: io non ne ho trovato alcuno.

  4. Cara Giulia, i "miei amici", per ciò che mi riguarda, non lo sono in nulla più di quanto non lo siate voi. Ho polemizzato molto con voi, lo faccio e continuerò a farlo, se mi sarà concesso. Ma questo non significa niente. Se scrivo qui, è perché lo trovo un luogo stimolante; e questo per me significa amicizia. Tutto qui. Per quanto riguarda poi i miei amici della "Voce del loggione", ho polemizzato moltissimo anche con loro, anche oggi; tuttavia li considero amici veri, dei quali per la verità non ho mai letto che volessero fischiare la "Turandot" scaligera.
    Marco Ninci

  5. Che dire? Solo un commento su Gergiev (perchè del resto non val la pena parlare: una produzione di provincia – ma di quella scadente – senza possederne neppure l'onestà e la buona volontà). All'esito dell'ascolto non mi è dispiaciuta. Poi, più passavano i minuti, più mi rendevo conto di non aver "ricevuto nulla": nessun momento, alla fine, mi è rimasto impresso. E ora son convinto di aver apprezzato – nell'immediatezza – solo ciò che ho cercato (invano) di trovarvi: intendiamoci, spunti e idee erano percepibili, così come la ricerca di un suono ricco e suggestivo e l'evidente "aggancio" all'opera russa (Rimsky-Korsakov in particolare)…tuttavia resta il senso del non pienamente realizzato. Ovviamente pesa la mancata preparazione, la mancata concertazione: la traduzione degli spunti in un vero disegno interpretativo. Alla fine resta il palese impaccio di una compagine costretta ad improvvisare la comprensione dell'inafferrabile gesto di Gergiev (dopo prove, suppongo, condotte da un sostituto): l'ombra di quel che poteva diventare una grande direzione…e che invece è rimasta solo l'ennesima occasione mancata.

  6. noto con grande gioia come si sia data, da parte di alcuni "esponenti" del loggione milanese, più importanza al fatto che i grisini non abbiano buato che allo spettacolo in sè. bello, evviva!
    metalslaves, che dire?
    mi fa piacere che ti sia piaciuto lo spettacolo, che abbia potuto godere della serata in scala.
    ti metto il link del cantante che tu citi: la differenza fra Pavarotti e quella imitazione farsesca di un cantante dell'altra sera.
    http://www.youtube.com/watch?v=3zdJsye0tEA
    a te trarre le debite conclusioni.

  7. Caro Francesco, ho eliminato il commento di Metalslaves: lo invito a riscriverlo dopo aver imparato un minimo di educazione o civiltà. In tal caso non ci sarà alcun problema a pubblicarlo (a prescindere da qualsiasi contenuto). Se però scrive solo per "infiammare" le discussioni, può tranquillamente evitare di farlo…o cumunque evitare gli insulti.

  8. Da tempo mi colpisce il tono rabbioso o sarcastico con cui qui e soprattutto altrove vengono commentate le recensioni di questo sito, di solito da parte di gente che oltretutto non porta alcuna prova a sostegno delle proprie tesi.
    Evidentemente, gli applausi del pubblico non bastano, c´è bisogno dell´unanimismo anche nelle valutazioni.
    Non amo dare consigli a nessuno ma posso solo dire a chi si irrita che nessuno obbliga a leggere cose che non ci piacciono.

    Saluti.

  9. CAro Mozart,
    si sono autonominati "ronda" del teatro, dunque Clacque. adesso sono i forzati dell'applauso, anche di fronte a ciò che voleva buare.
    Applaudano pure ora, ma tutto, perchè di diritti a contestare non ne hanno più……e capisco il loro cattivo umore, perchè digerire in silenzio certe cose come questa turandot….c'è da essere molto incattiviti…con se stessi!

  10. Caro Gianguido, quello che ti colpisce negli altri è esattamente quello che si fa in questo sito; anche qui le opinioni degli altri, in siti diversi o nella carta stampata, vengono commentate, anche da te, in modo rabbioso e sarcstico.
    Ciao
    Marco Ninci

  11. Caro professore,
    la messe di insulti vergognosi che continuamente si riproducono su certi siti, come quello da cui lei proviene, sono sempre regolarmente personali.
    Lieve, lievissimo distinguo, che certamente ad una mente sottile come la sua sfuggono.
    Non si hanno mai argoemtni musicali, e soprattutto vocali, per controbattere a recensioni che ineriscono il canto. Allora si insultano le persone sulla persona.Noi no ci siamo mai occupati delle persone.
    Si guardi lei, prima di parlare degli altri.

  12. Eh no, cara Giulia. Le critiche che vi vengono fatte sono personali solo nel senso che riguardano il vostro atteggiamento verso lo spettacolo operistico in generale; ma non concernono mai fatti della vostra vita privata. Cosa apprezzabile, dal momento che pare tutti sappiano chi si nasconde dietro tanti e variopinti nicknames. Quindi sono perfettamente lecite. A dire la verità, l'unica persona la cui vita privata è stata toccata sono stato io; mi è stato perfino detto, con dubbia eleganza, che lavoravo in una fogna. Ma non me ne lamento; può succedere, visto che mi firmo con nome e cognome. Un'ultima cosa. Mi fa veramente sorridere questo ondeggiare fra il tu e il lei, dettato da stati d'animo altrettanto ondivaghi. Io preferisco usare sempre il tu e non farmi condizionare dal momento.
    Ciao
    Marco Ninci

  13. Eh no, caro Ninci, stai facendo solo apologia un po' pelosa invero del cattivo gusto.
    Tra l'altro Ninci le questioni che poni sono sempre le medesime e sinceramente di queste sterili provocazioni, già affrontate e sviscerate, sempre fuori argomento, di noiosa monotonia, ne avrei le tasche piene.

    Hai visto questa Turandot?
    Hai qualcosa da dire sul primo o sul secondo cast?
    Ti è piaciuta la lettura di Gerghiev?
    Ti è piaciuto l'allestimento?
    Hai qualcosa da dire in merito alle recite?
    Spero di si, altrimenti lascia parlare chi ha davvero qualcosa da dire sullo spettacolo.
    Grazie

    Marianne Brandt

  14. Ma cosa dici Ninci, stai scherzando!?! Il livore, l'inciviltà, la violenza di certi commenti provenienti dal sito di cui si parla (l'autoproclamatosi tutore dell'ordine scaligero), nulla c'entrano con l'argomentare (seppur aspro) di una discussione anche accesa. Costoro invocano ronde, invocano "lezioni", auspicano di impedire FISICAMENTE l'ingresso a teatro di persone "sgradite", aggrediscono (come è successo) compiacendosi poi dell'operato degno di una squadraccia fascista. Per tacere delle offese gratuite: ci definiscono malati, vigliacchi, mentecatti, buoi, frustrati…ci additano pure e ci indicano (virtualmente), con dettagli personali e privati, al fine – non celato – di segnalarci ad una presunta "giustizia del popolo". E secondo te questo è normale, Ninci? Quali argomenti usano per difendere ciò che legittimamente piace loro? NULLA, vomitano solo offese… Salvo poi stupirsi di una mancata (e desiderata) contestazione ad uno spettacolo insufficiente, che si sono trovati costretti ad applaudire controvoglia perchè il giochino dell'attribuire ad atteggiamenti preordinati e altrui l'insuccesso (preparato a tavolino), stavolta non ha funzionato. Comunque mi associo a Marianne (e ribadisco quanto ti ho scritto nello spazio dedicato al concerto di Brahms).

    Ps: ti informo – per evitare grotteschi equivoci – che il Duprez che scrive su altri siti (magnificando Villazon tra l'altro) non sono io…pare fosse evidente a chiunque (beh, quasi)…

  15. Caro Caninbar,
    vuoi dire che abbiamo voci che cantano in modo drammatico? ossia, voci tragiche che in realtà sono tragedie che cantano?
    si si, hai ragione!!!!!!!!!
    hahaha….
    Scherzo, ovviamente.
    Quello che dici è vero, purtroppo.E' una componente del problema…
    auguri

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