Seduzione al convento. Seconda puntata: le veriste

Il secondo gruppo di seduttrici al convento di san Sulpizio fa sorgere il dubbio che tutte anche Licia Albanese che, pure canta in lingua originale, in realtà approdino a qualche santuario nostrano, sia ad esempio l’abbazia di Pomposa per la ferrarese Mafalda Favero, sia Chiaravalle per la Petrella o San Giovanni Rotondo per Licia Albanese. Per certi versi fa eccezione Adelaide Saraceni, argentina, che proveniva dalle fila dei soprani leggeri.



E’ italiano e consono al gusto del tempo fra il 1930 ed il 1950 l’accento di tutte queste Manon. L’idea di fondo è una situazione scenica di grande e dichiarato erotismo.

Non che le interpreti francesi esulino da questa idea, semplicemente la esprimono differentemente come cantanti italiane o di scuola e carriera italiana faranno nel periodo successivo. I nomi di Raina Kabaiwanska e Madga Olivero si impongono.

Trattando di queste Manon con Tamburini abbiamo più volte pensato che le grandi assenti o meglio il tassello che manca a documentare la storia dell’interpretazione di Manon in Italia siano le registrazioni della seduzione della Storchio e della Carelli.

Entrambe celeberrime interpreti, ma la Storchio praticava, a detta dei contemporanei e da quel poco che documentano le registrazioni, un canto elegante e attento ad evitare esagitazioni. Basta leggere quello che nella propria autobiografia scrive la Toti, che studiò o quanto meno passò la parte con la Storchio medesima e che le avrebbe suggerito di evitare le esagitazioni di altre interpreti (facile pensare alla Favero) coeve. Per contro basta leggere in “voci parellele” i riferimenti di Lauri Volpi a certi suggerimenti della Carelli, che era la direttrice, ritirata da tempo, del Costanzi dove il giovane tenore affrontò l’abate des Grieux in compagnia di Rosina Storchio, prossima alla fine della carriera.

Alle prese con la scena della seduzione della Manon entrambe le cantanti hanno un rapporto conflittuale con i segni di espressione e di dinamica previsti dall’autore.

Forse l’anno anche con un corretto passaggio di registro inferiore a sentire i suoni o aperti o afoni della Albanese nel recitativo accompagnato che precede l’ingresso di Des Grieux . La voce non è messa bene al centro soprattutto nella zona do4 mi 4 e la voce suona magra e vuota. Nella stessa zona Mafalda Favero suona più aperta, ma il timbro è assai più ricco e sontuoso.

A cominciare dalla fase iniziale “Oui c’est moi” che prevede un diminuendo sul sibem do centrale di “moi” sino al “c’est moi” conclusivo, che previsto nella zona la – sol, dà luogo, in entrambe le cantanti, ad un bel suono di petto.

Nella frase “Oui je fus cruelle” (in italiano “si cruda fui e son spietata”) di tutte le indicazioni è rispettata solo quella di crescendo, in entrambi i casi con copioso sfoggio voce. I “dolce”, “rallentando” e “diminuendo” sono travolti dalla foga erotica di Manon. Il famoso “temperamento”. Non dimentichiamo che Licia Albanese era alunna della Baldassarre Tedeschi, una delle più “autorevoli” Manon della propria generazione.

L’indicazione ” avec des larmes” di “hélas, hélas” è resa nel senso più naturale del termine.

Quando Manon attacca la sezione clou della seduzione il “n’est plus ma main” e Massenet prescrive “avec charme” Licia Albanese, almeno, esibisce voce dolce e accento castigato e rispetta alcune indicazioni di stentando, ma il do centrale di “ecoutez moi” è la perfetta rappresentazione del suonaccio di petto del soprano verista, che esibisce temperamento e foga, anche perché nella zona centrale il timbro della Albanese suona piuttosto secco ed acidulo. Mafalda Favero, assolutamente estroversa, opta per un concetto di charme per nulla aderente al senso che abbiamo di questa parola anche se il timbro della cantante di Ferrara è spontaneamente rotondo e il tempo molto più lento ed indugiante staccato giova all’esecuzione e compensa l’eccesso di estroversione. Arrivate la tre quartine vocalizzate, che dovrebbero rendere l’ansimo di Manon, la Favero è precisa nell’esecuzione, mentre l’Albanese pasticcia. Il rallentando finale” n’est plus Manon” che dovrebbe essere l’espressione dell’estenuato erotismo è eliminato in entrambe le esecuzioni, ma il “ff” previsto c’è tutto. E puntuale scatta l’applauso del pubblico. Manon ha colpito e travolto non solo Des Grieux, ma e soprattutto il pubblico.

Completano questa passerella di Manon “veriste” (le virgolette, con quelle che abbiamo udito negli ultimi giorni in riva all’Adriatico, sono doverose) due celebri e celebrate interpreti, con quella di Massenet, della Manon di Puccini, Adelaide Saraceni e Clara Petrella. Donne avvenenti, dotate di sufficiente presenza scenica per incarnare una peccatrice irredenta credibile anche sotto il profilo scenico. Eppure nel loro canto non sentiamo se non in misura ridotta gli stridori, le disuguaglianze, la fatica immane del canto, che caratterizza tante presunte belcantiste del nostro presente. Sentiamo semmai un canto un poco meno vario e ispirato, se paragonato a quello ben altrimenti espressivo di una Favero, ma ad esempio nella frase “Sì crudele fui e spietata”, con attacco sul fabem4 e discesa al fabem3 la voce della Petrella non accusa “buchi” di sorta e nella sezione che comincia “La tua non è la mano che mi tocca” la Saraceni smorza con grande facilità il fa4 di “tocca” (nota spesso disagevole per quei soprani, che non posseggano un perfetto controllo del passaggio superiore) e lo stesso vale per il sol4 di “la mia bocca”, mentre le indicazioni di “pianissimo” su “Non mi odi più” e “Scordato hai tu” sono rispettate e realizzate con una voce di grande dolcezza, davvero ammaliante, tanto che è facile comprendere la repentina caduta del Des Grieux di turno. Impressionano poi le libertà agogiche e, nello specifico, il gioco dei rubati, che amplifica il dettato dell’autore in una visione che assegna all’interprete un ruolo di primo piano nella scansione delle frasi musicale, spesso ridotte a enunciazioni metronomiche, che privano la pagina di ogni possibile dissoluto fascino. Ancora, la Saraceni osserva con maggiore puntualità le forcelle previste (ad esempio su “deh mi guarda” con salita dal do centrale al la4) e sfoggia una maggiore saldezza in zona acuta, laddove la Petrella esibisce qualche suono un poco duro, salvo poi riscattarsi con un’ampiezza nella fascia medio-grave (si ascolti “Negare a me potresti il tuo perdon”: sol3), che realizza compiutamente l’idea di una Manon più esperta mondana che ingenua ex collegiale. Scontato poi osservare come entrambe le signore optino, in chiusa, per la soluzione acuta, salendo a un sibem4 facile e saldo quanto il resto delle rispettive gamme vocali. E non è poco, se si considera che né la Petrella né la Saraceni furono considerate, ai loro tempi, cantanti e tanto meno interpreti di primaria grandezza. Oggi, Manon così protervamente sensuali e al tempo stesso insinuanti, delicate ed esperite nell’arte della seduzione (così come un Des Grieux splendidamente cantato e dagli acuti svettanti e protervi, come quello che Ferruccio Tagliavini oppone alla Petrella) coglierebbero trionfi epocali e nessuno potrebbe insinuare il dubbio che quella di Massenet sia, come certe di Rossini, una partitura debole e poco ispirata.

Domenico Donzelli ed Antonio Tamburini.

Gli ascolti

Massenet – Manon

Atto III

Toi! Vous!…N’est-ce plus ma main

Adelaide Saraceni & Piero Pauli (1933)

Mafalda Favero & Beniamino Gigli (1937)

Licia Albanese & Giuseppe di Stefano (1951)

Clara Petrella & Ferruccio Tagliavini (1955)

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