25 pensieri su “Rockwell Blake – Dalla sua pace

  1. Quanto è bravo Blake… Linea di canto pulitissima, di qualità strumentale, un legato impeccabile senza portamenti, intonazione sempre esatta, fiati lunghissimi, chiaro-scuro, messe di voce e mezze voci, dizione chiarissima, accento… Canta così bene che persino il timbro sembra bello. Un grandissimo musicista con una voce onnipotente.

  2. So che questo commento non sarà molto gradito qua. Io ho visto quel Blake in quel di Don Giovanni bolognese.
    Ascoltatelo bene…
    E’ stato abbastanza disastroso anche il suo tentativo di “uscire” dal “suo” mondo.

    • L’unica cosa non gradita è la mancanza di argomentazioni: disastroso? E perché? Ce ne sono davvero pochi di tenori che abbiano cantato Don Ottavio con soluzioni di fraseggio più azzeccate di queste, e con una varietà di colori e accenti anche solo paragonabile a Blake. Quest’aria è splendida.

    • E’ un po’ in difficoltà con la tessitura, troppo bassa per lui, questo lo riconosco. Ma per chi riesce a sentire questi particolari, è un grande piacere capire anche il modo in cui Blake viene a capo dei problemi, scavalcando i propri occasionali errori: anche in questo dimostrando una coscienza del proprio strumento vocale quasi senza eguali tra tutti i tenori del Dopoguerra. Poi musicalmente è eccellente.

  3. Peronalmente, non lo trovo un disastro, ma non mi piace perchè non canta bene. Si capisce che è uno sa cantare ma non fa che grattare e lega con fatica…spesso la voce è tremolante. E poi apre le a in modo fastidioso. Non mi piacque all’epoca e non mi piace ora.

      • A mio avviso risulta gutturale anche quando cerca di cantare forte o di dare enfasi a determinate frasi.
        Personalmente in generale non trovo che Blake sia un modello di canto corretto nel senso di piena (o quasi, la perfezione nel canto non credo sia mai esistita) quadratura dell’emissione. Tranne certe eccezioni, intendiamoci! Mi viene in mente ad esempio la Cenerentola in Inglese.
        Credo che lui avesse delle doti (non parlo certo di dote inconscia, ma intendo dote come qualità acquisita anche attraverso studio assiduo) che gli permettevano di compiere prodezze uniche e praticamente mai più ascoltate (fiati interminabili, acuti smorzati e rinforzati a piacimento, passaggi d’agilità vorticosi, etc…), ma questo per me è diverso dalla quadratura tecnica complessiva (che per me significa omogeneità, bilanciamento delle risonanze, legato strumentale, piena flessibilità dello strumento, pronuncia fluida e naturale). Blake non è per me un modello in questo senso e arie come questa lo rivelano abbastanza, ma lo si noterebbe anche in un’aria antica o un’aria da camera di Bellini, tanto per dire.

        • Vocalmente Blake è un grande esempio per quanto riguarda il controllo del fiato: un vero esempio di canto sempre “sul fiato” (espressione con cui tanti maestri oggi si riempiono la bocca, senza sapere veramente cosa voglia dire). Questo vocalmente. Poi è un esempio forse ancora più grande per quanto riguarda stile e musicalità.

          Il difetto principale è che lui è sempre rimasto schiavo della sua tecnica (una tecnica eccellente la sua, ma pur sempre una tecnica). Vale a dire che in Blake prevale sempre il tecnico sull’artista (quello che invece non avviene mai con Tito Schipa, un cantante che a mio avviso ha incarnato più di tanti altri quella perfezione dell’Arte che tu consideri inesistente). Pertanto, Blake può risultare macchinoso, spesso esagera fino all’esasperazione taluni accorgimenti, come il sorriso, molte volte la voce diventa legnosa quando sottolinea troppo certi oscuramenti di timbro in zona di passaggio. Un timbro che per inciso non è mai stato bello, ma questo poco importa.

          Io Blake lo stimo per davvero, e lo considero un cantante vero, non solo una macchinetta da agilità… credo pertanto che avesse tutte le carte in regola per poter uscire dal suo repertorio abituale facendo bella figura. Quest’aria, ascoltata più attentamente, evidenzia frequenti incertezze nella posizione del suono (dalle quali derivano quelle piccole imperfezioni nell’intonazione cui fa cenno Enrico Tamberlick), qualche occasionale incrinatura gutturale del fiato in alcune discese in zona grave, un dosaggio di voce non sempre saldissimo in alcuni salti verso la zona acuta. E’ un’aria difficile, e per giunta poco adatta alla vocalità acuta di Blake. Detto questo, ritengo comunque che lui superi i problemi vocali con classe, articolando un fraseggio di chiaro-scuri e di sfumature dinamiche molto appropriato dal punto di vista musicale, e dando prova di immensa bravura con i fiati, le legature, e le mezzevoci.

          • Anch’io stimo tantissimo Blake, ci mancherebbe! E’ solo che se parliamo di “perfezione” (lo metto tra virgolette perchè non credo si sia mai cantata un’intera aria in modo “perfetto”, la perfezione credo si possa riscontrare solo in alcune frasi) tecnica io credo che si debba guardare altrove. Concordo con te che l’esempio di Schipa è il più appropriato. Ma al tempo stesso credo di capire la tua distinzione tra tecnica e Arte. Allora smettiamola di parlare di tecnica e parliamo invece di saper Cantare (enfaticamente con la maiuscola).

          • Il fatto è che la perfezione implica il superamento di ogni tecnica, quindi parlare di perfezione tecnica per me è già una contraddizione in termini. La perfezione è solo dell’Arte. Tutte le varie tecniche su cui si vorrebbe far basare il canto sono imperfette. Le tecniche sono tante, il canto vero è uno.

          • E poi non sono d’accordo che non sia possibile cantare un brano in modo perfetto. Ci sono strumentisti che spesse volte riescono a darci prova di assoluta perfezione esecutiva, perché per un cantante non potrebbe essere lo stesso? Se a teatro ascolto un brano in cui non rilevo né difetti di emissione, né difetti musicali, allora io la chiamo perfezione.

  4. Beh, non ho sentito altri don Ottavio di Blake, però qui mi sembra in una serata no. Le grattate possono anche solo significare che non fosse in buone condizioni. Addirittura suona calante in “la mia dipende”.
    Vero è che Blake è veramente un caso strano: una voce che unisce in egual proporzione tante tare e tanta perizia tecnica…
    Non mi piace, eppur mi piace.
    Comunque di Don Ottavio preferisco questo: http://www.youtube.com/watch?v=lGwF43h9I-M&feature=fvsr
    Oppure questo signore qua:
    http://www.youtube.com/watch?v=ftIoaJu9eO4&feature=related

    Buonanotte!

    • Se proprio devo scegliere grandi esecuzioni delle arie di Don Ottavio mi vado a sentire Bonci, McCormack, Alain Vanzo… Gedda canta bene a mezzavoce ma a piena voce lo sento strozzato sul passaggio, e Dermota è nasale, un difetto per me insopportabile.

      • Non sono d’accordo sul Dermota nasale: ha un timbro senile, ma nasale non mi sembra.
        O meglio: qualche inflessione nasale può anche esserci, ma siccome anche io penso che la perfezione non esista (anche i grandi pianisti nei pezzi di virtuosismo cannano qualche tasto) tendo a perdonargliele a fronte di una linea di canto che comunque trovo molto bella e appassionata. E qui torniamo al Cantare con la “C” di Cotogni.
        Nemmeno concordo sul Gedda strozzato… Vorrei che molti cantanti d’oggi fossero strozzati come lui!
        Fuor di celia… secondo me è piuttosto dura tenere la gola aperta in mezzavoce se si strozza a voce piena. Tutt’al più vedrei il difetto dell’esecuzione di Gedda nel fatto che dia troppa voce a Ottavio. E’ però vero che si sente che lotti con una voce di natura e di armonici generosa fino all’eccesso.

        • mah… io Gedda lo sento parecchio ingolato e pure spinto, in un’aria come questa lo trovo oltremodo fastidioso e inascoltabile… non mi piace il modo in cui risolve il passaggio… è disomogeneo e pure nasale… a mezzavoce è più corretto, ma francamente è un cantante che non mi è mai piaciuto molto.

          • Ci sono delle durezze che io non posso sopportare. Preferisco Blake di gran lunga.

    • Probabilmente Don Ottavio non è tra i ruoli migliori di Gedda, il quale, tuttavia, possedeva una tecnica che gli permetteva di fare quello che voleva con la sua voce (caso più unico che raro, ahimè).

      Per quanto riguarda Don Ottavio, a me piacciono molto Wunderlich e Winbergh.

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