Le cronache di Pauline Viardot: Fille du régiment all’Opéra Bastille

Nonostante commenti ed auguri dei nostri amatissimi detrattori di chiudere bottega in tempi rapidi, di non essere letti da nessuno  più esperto ed in salute un altro fantasma sorge dalla riva della Senna. Quello di Pauline Viardot, che memore dei successi dell’amica e rivale Marietta Alboni quale protagonista del titolo donizettiano e ben decisa a chiarire che le liti con donna Giulia Grisi, durante una tourneé americana, furono solo pettegolezzi ha deciso di fare un giro sulle scene della capitale francese al solo benefico scopo di raccontare alla divina Giulia ed ai suoi amici quel che vien servito sulle rive della Senna. Benvenuta madame Viradot e complimenti, illustre collega, per le sue divistiche cadenze, che alcuna ha mai eguagliato. Ma si sa, madame, erano altri i nostri tempi et hodie mala tempora currunt!!!!!!

Una (breve ma intensa) pioggia di applausi e calorose acclamazioni ha accolto ieri sera all’Opéra-Bastille di Parigi interpreti, direttore d’orchestra e regista della prima rappresentazione de La Fille du Régiment di Gaetano Donizetti (1840): dopo aver fatto il giro del mondo (New York, Londra, Vienna), lo spettacolo targato Pelly – Dessay è infine approdato in Francia suscitando unanimi consensi.

A mio avviso, però, non tutto è stato ineccepibile nell’esecuzione del capolavoro donizettiano.

Il punto debole dell’allestimento di Laurent Pelly, che pure conosce più di un momento gradevole e diverse idee interessanti, è rappresentato proprio dalla figura della protagonista, attorno alla quale l’intero spettacolo è costruito. Nel delineare il personaggio della vivandiera, infatti, il regista sembra pagare un tributo troppo alto ai desiderata della Dessay, assecondandone il gusto per sketch e situazioni un po’triviali francamente più adeguate al mondo dei cartoni animati e delle sitcom americane piuttosto che all’immaginario estetico di un opéra-comique.

Ecco quindi che la Marie di Natalie Dessay non ha niente a che vedere con la fanciulla, dai modi certo un po’ spicci, ma intimamente femminile e civettuola immaginata da Donizetti e dai suoi librettisti. Un po’ Pippi Calzelunghe (nel primo atto), un po’ Heidi alle prese con la signorina Rottermaier in casa Sesemann (nel secondo), la vivandiera è presentata ora come un maschiaccio che sputa, gioca alla guerra, e dice le parolacce (non ci saremmo sentiti a Parigi se, a un tratto, il soprano non fosse prorotto in un francesissimo «Merde!»); ora come un’adolescente inquieta degli anni Duemila in piena crisi di ribellione nei confronti della famiglia (il reggimento, rappresentato dal
corifeo Sulpice); ora come una languida ragazzina alle prese con il primo amore. Troppe sfaccettature psicologiche che non sempre si conciliano le une con e altre, e che, come facilmente si può immaginare, danno adito a tutto il repertorio di frenetici zompetti, sospiri, urla, gridolini, svenimenti, contorcimenti al suolo, smorfie e capricci al quale la cantante francese ci ha da tempo abituati.

Il fatto è che ora più che mai la Dessay deve fare appello a tutto il suo celebre (o famigerato, dipende dai punti di vista) armamentario istrionico per celare, o meglio per distogliere l’attenzione dallo stato ormai periclitante della sua organizzazione vocale. Nei numeri più brillanti dell’opera (duetto Au bruit de la guerre; Ronde du Vingt-unième; Salut à la France) la voce, palesemente indebolita, più di una volta afona in basso e un po’ logora, malferma in acuto (settore che tuttavia ancora garantisce diverse frecce all’arco della cantante), ha stentato parecchio; il soprano ha inoltre dovuto “parlare” più di una frase (a fini espressivi, si capisce) ed è stato continuamente sovrastato vuoi dall’orchestra, vuoi dal baritono (il già citato Au bruit…), vuoi dal tenore (duetto Depuis l’instant où, dans mes bras), vuoi da entrambi (Tous les trois réunis, per l’occasione trasformato in duetto tenore-baritono più mimo). I momenti migliori la cantante li ha conosciuti non solo nella scena della lezione (dove finalmente le sue moine e il suo uso a fini comici della coloratura avevano una ragion d’essere) ma soprattutto nella romanza Il faut partir e nell’aria del secondo atto, Par le rang et par l’opulence: evidentemente
più a suo agio nel canto spianato, che ne mette meno in evidenza le mende vocali, e finalmente se stessa da un punto di vista scenico, la Dessay ha offerto al suo pubblico dei momenti piuttosto toccanti.

Juan Diego Flórez, salutato da veri e propri boati di approvazione alla fine di Ah! Mes amis, quel jour de fête … Pour mon âme, quel destin!, e soprattutto dopo la romanza Pour me rapprocher de Marie, ha effettivamente delineato, come suo solito, un Tonio garbato e corretto, senza tuttavia stupire o entusiasmare davvero. Il fraseggio un po’ inerte e il canto tutto forte, privo di sfumature, sempre uguale a se stesso, sono stati però riscattati almeno in parte da un gioco scenico curato e spontaneo.

Il Sulpice di Alessandro Corbelli, piuttosto brioso, ha convinto, mentre è apparsa un po’ sgangherata la Marquise de Berkenfield di Doris Lamprecht; il personaggio della Duchesse de Crakentorp è stato per l’occasione incarnato da Dame Felicity Lott. Marco Armiliato ha diretto con mestiere e piglio sicuro i complessi dell’Opéra National de Paris, dando vita a una narrazione elegante e dal ritmo serrato.

Pauline Viardot

 

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5 pensieri su “Le cronache di Pauline Viardot: Fille du régiment all’Opéra Bastille

  1. Almeno non ha dato forfait come lo scorso giugno nella Manon di Massenet alla Scala! A proposito di pacchi, non so se qualcuno ha notato il pacco triplo che è stato tirato all’Opera di Roma per la Gioconda: dell’originario “trio di protagonisti” (Jennifer Wilson, Olga Borodina e Walter Fraccaro)…sono scomparsi tutti, sostituiti dagli artisti previsti nel secondo cast (Elisabete Matos, Ekaterina Semenchuk e Aquiles Machado)! E indovinate chi è subentrata al secondo cast? Marianne Cornetti, fresca della parte di Ulrica al Regio di Torino. E’ sì una brava artista, buona Santuzza alla Scala ma…un conto è cantare Cavalleria, un conto è cantare Gioconda! Non sarà un modo per debuttare o meglio “provare” la parte in modo defilato, senza ricevere troppa attenzione???

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