Sorella Radio: Violette comparate

A pochi giorni dalla conclusione del periodo quaresimale Sorella Radio ci offre nuovi spunti di penitenza, mortificazione e, quel che più conta, riflessione. Alle iterate dirette di Traviata dal Metropolitan di New York nella blasonatissima produzione, già vista al Festival di Salisburgo, di Willy Decker (perché l’allestimento, anzi il regista è l’incarnazione dell’opera), nell’occasione affidata alla regina dei soprani di coloratura di scuola tedesca, Diana Damrau, si è aggiunta nella giornata del Sabato Santo la diffusione sul terzo canale della Rai di una recita svoltasi a Firenze nel giugno dello scorso anno. Produzione sicuramente meno blasonata di quella newyorkese, ma non meno prestigiosa per quanto attiene nome, fama e congruo carnet di impegni della lanciatissima protagonista, tra le star di casa al Rossini Opera Festival, Marina Rebeka.
Traviata è un titolo che non è mai uscito dal repertorio e anzi ha sempre attratto schiere di cantanti riconducibili alle più svariate categorie e tipologie vocali, dai soprani leggeri a quelli di coloratura, fino ai lirici e ai lirico-spinti, in alcuni casi anche ai drammatici (un nome per tutti: Maria Caniglia). E questo ben prima ed a prescindere dal peraltro giustificatissimo mito callasiano, che pure alcuni melomani individuano come primigenio, se non unico, nella storia del canto.
A maggior ragione due autentiche dive della scena moderna, avvezze al repertorio italiano, perfettamente a proprio agio (stando alle  riviste di settore e alle pagine pubblicitarie, ospitate dalle medesime) nel canto di agilità quanto nell’adesione musicale ed espressiva alle richieste di ogni partitura affrontata, dovrebbero risolvere senza eccessivi problemi la parte di Violetta, e anzi trionfarvi, dimostrando la grandezza della propria arte, libera di estrinsecarsi attraverso qualità del legato, brillantezza della gamma acuta, precisione nell’esecuzione delle ornamentazioni, eleganza nel porgere le frasi, capacità di fraseggio e quant’altro costituisca il bagaglio della grande primadonna di ascendenza belcantistica alle prese con la figura dell’infelice cortigiana parigina. Peraltro la grande primadonna di ascendenza belcantistica si trova per il solito in Traviata, con eccezioni quali il finale primo e la sezione centrale del duetto con Germont père, nella migliore delle ipotesi fuori di posto. A meno di non essere Beverly Sills.
I risultati sono però quelli, impietosi, che gli ascolti documentano. E allora udiamo voci in debito d’ossigeno, vetrose e chiocce perché tecnicamente fuori di posto e in difetto di appoggio, suoni vuoti al centro (salvo occasionali affondi al grave, che ricordano i più temperamentosi exploit di Mafalda Favero e Licia Albanese), di volta in volta pigolati e fissi oppure spinti e vibranti (stile movimento tellurico) nella zona del passaggio superiore, e ancora autentiche urla in acuto, dove i cali d’intonazione sono a dir poco sistematici. Improprio parlare di legato, e anche la dizione risulta problematica. Con simili premesse non è chi non si avveda di come sia di fatto impossibile fraseggiare, esprimere, in una parola, dire ed essere Violetta. Però le signore, e i loro degni partner maschili (uno dei quali ormai da decenni specializzato nell’arte di cantare qualunque ruolo allo stesso modo, vale a dire in maniera piuttosto abborracciata e artisticamente irrilevante), devono essere salutati quali autentici professionisti e colonne dell’arte loro, e quindi si magnifica – si DEVE magnificare – l’espressività, il tasso drammatico, l’estroversione di prove in cui non c’è un solo elemento che si congiunga coerentemente con gli altri, tutti i tasselli di simili “interpretazioni” essendo frutto del caso, dell’azzardo o di più banali mende tecniche, e non già il risultato di scelte ponderate e attuate con un minimo di criterio. E con una minimale decenza nell’approccio con il pubblico. Quello non ancora del tutto addomesticato dalla réclame.
E allora alle anime semplici della Grisi non rimane che proporre alcuni ascolti comparativi, che saranno ovviamente sbertucciati dai professionisti del settore e da coloro che, autoproclamatisi mentori del pubblico, hanno ormai scoperto, per loro stessa ammissione, di non avere più seguaci. Anche e soprattutto a quest’ultimi, auguriamo un buon ascolto.

 

 

Gli ascolti

 

Verdi – La Traviata

 

Atto I

Libiamo ne’ lieti caliciMarina Rebeka e Aquiles Machado (2012), Diana Damrau e Saimir Pirgu (2013)

Un dì, felice, etereaAquiles Machado e Marina Rebeka (2012), Saimir Pirgu e Diana Damrau (2013)

E’ strano…Ah fors’è lui…Follie! follie!…Sempre liberaMarina Rebeka (2012), Diana Damrau (2013)

Atto II

Dite alla giovineMarina Rebeka e Vladimir Stoyanov (2012), Diana Damrau e Plácido Domingo (2013)

Che fai?…Amami, AlfredoMarina Rebeka (2012), Diana Damrau (2013)

Qui desiata giungi…Invitato a qui seguirmi…Ogni suo aver tal femmina…Di sprezzo degno…Alfredo, Alfredo, di questo coreLella Cuberli (con Marek Torzewski e William Stone – 1987), Marina Rebeka (con Aquiles Machado e Vladimir Stoyanov – 2012), Diana Damrau (con Saimir Pirgu e Placido Domingo – 2013)

Atto III

Teneste la promessa…Addio del passatoMargherita Rinaldi (1964), Marina Rebeka (2012), Diana Damrau (2013)

Parigi, o caraAquiles Machado e Marina Rebeka (2012), Saimir Pirgu e Diana Damrau (2013)

 

 

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17 pensieri su “Sorella Radio: Violette comparate

  1. Quello che stupisce, dopo i pietosi ascolti, non è tanto la leggerezza delle voci e la mediocrità tecnica, ma l’atipicità e la superficialità interpretativa. In passato non sono mancate voci storiche, ma leggere e forse inadeguate nel complesso dell’opera, ma un minino di ricerca interpretativa ed enfasi artistica sono riuscite a trasmetterli……con altalenanti risulatati…..ma dignitosi e rispettosi.
    Le due voci presentate, sono artificiosamente gonfiate, onde poter reggere alcuni momenti vocali più spinti, e questo tragicomico tentativo rende le voci spesso, stridule e urlacchianti, nei momenti in cui è richiesta la pura tecnica e la saldezza interpretativa.
    Il trionfo del piattume…..neanche il primo atto, dove voci del genere dovrebbero dare il meglio, risulta accettabile; le colorature infatti sono precarie e le emissioni legnose e spesso spoggiate….
    Sicuramente nella mediocrità, la Damrau ha qualche qualità in più della Rebeka……ma rimangono i limiti di base evidenziati sopra.
    Mentre la Rebeka ha in se tutte le qualità tipiche dei nuovi soprani “timbrati” MET……di cui il più evidente ed utile per il decadente business operistico moderno, è l’apparenza e l’appagamento dei gusti del “basso ventre”.

  2. Infatti…….un Vinay quando da tenore passò a baritono, la voce assunse tutte le caratteristiche baritonali…..Domingo è per lo più lo stesso….sembra( o forse lo è) un tenore sfiatato che cerca di ingrossare la voce, ma degli armonici baritonali neanche l’ombra…….ma il business del met è capace di tutto, finché attira lo faranno cantare, speriamo che non ci tocca pure sentirlo da basso a 90 anni!!!!!

  3. Come al solito, sbagliate.
    Sentite i grandi applausi.
    (Son contento di non essermi mai piaciuto il baritenordirettorsovrintendentboss di Germont pére. Così non sento imbarazzo per lui. E i due ‘tenori’?)

  4. Domingo, nonostante le sue pretese, non si è mai trasformato in un baritono bensì solo in un vecchio e stanco tenore (meglio godersi la dorata pensione!!!).
    Quanto alla Damrau, è la Violetta prescelta per la Traviata che aprirà la prossima stagione scaligera….devo commentare???

  5. Come tenore Domingo è stato favorito dall’onda telematica dei concerti dei 3 tenori……quindi anche lui un tenore sopravvalutato….i problemi e i limiti tecnici erano evidenti a tutti, ma anche il timbro non era poi così esaltante, per non parlare dell’emissione a volte faticosa e legnosa. Probabilmente il volume era buono, ma a detta di chi lo ha ascoltato, mancava completamente di quella ampiezza di suono nella arcate vocali, ad esempio basta ascoltare il suo Nessun dorma, alla frase”dilegua notte” oppure in Fedora,alla celebre “Fedora io ti amo, il tuo bacio”, come la voce rimanga indietro , faticosa e forzata nell’emissione, nella totale assenza di ogni apertura sonora( potremmo fare altri esempi).Il suo manierismo interpretativo, soprattutto dalla seconda parte della carriera, gli ha permesso di raggiungere esiti accettabili in alcune interpretazioni, ma sicuramente non storiche e così straordinariamente esaltanti.

  6. Ci saranno altre sedi per discutere su Domingo, le cose stanno più o meno come dice Duprez e se anzichè avere gli acuti di plastica e quella innegabile “uguaglianza” sottolineata dalla Kurz fosse stato anche più vario e squillante avremmo avuto un cantante quasi completo perché qualche bella mezza voce gli la ho sentita fare (Finale Aida 1978 Scala, Carmen 1984 Scala). Due o tre cose vanno riconosciute. Dal vivo é meglio che in disco (come tanti altri cantanti: Cappuccili ad es. o la stessa Callas), il suo Otello interpretativamente é interessantissimo e inimitabile, ha cantato praticamente tutto e anche se non tutto allo stesso livello, va considerato un cantante molto moderno e versatile. Nel confronto con Vinay (che iniziò e terminò la carriera come baritono) esce vincente, ma avrebbe fatto meglio a fermarsi dopo il Simon Boccanegra. Io dopo il Rigoletto non sono più stato interessato ad ascoltarlo come Foscari e sto evitando di conoscere il suo Germon Père per evitare delusioni, ma gli concedo l’attenuante della grande passione che non riesce a fargli abbandonare il palcoscenico.-

  7. Traviata, Signori, si parla di Traviata !!!!
    Ma chi se ne frega dei Domingui, dei tenorini a seguire o degli esperimenti pseudo baritonali, e di tutto il resto.
    Qui si discute di Violetta !
    Beh, per una volta mi sia concesso :
    ah … “La Maria” !!!!!
    Che nostalgia, che rimpianto, che vuoto !

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