Manuel García omaggia Jean-Philippe Rameau. Quarta puntata: Dardanus.

jean-philippe-rameau-1Dardanus è quasi unanimemente considerata l’opera più complessa, più sfortunata ma anche la più riuscita di tutta la letteratura operistica di Jean Philippe Rameau. In essa si assiste infatti ad una tanto equilibrata quanto affascinante sintesi di quelle istanze musicali e drammaturgiche che stavano animando sempre più il dibattito culturale tra anciens e modernes di cui Rameau stesso era ormai diventato il portavoce principale. Ma al di là del fondamentale rapporto con i fenomeni e movimenti culturali del suo tempo, Dardanus, analizzata nella sua individualità, appare all’ascoltatore come un assoluto capolavoro: il perfetto dialogo tra libretto e spartito porta a dar vita ad un unico ed omogeneo corpo teatrale di straordinaria inventiva musicale e forza drammaturgica.

La famosa querelle, che la prima rappresentazione di HippolyteetAricie nel 1733 aveva così violentemente acceso, anno dopo anno continuava a crescere, soprattutto dopo la prima rappresentazione nel 1735 de Les Indes Galantes. I classicisti da un lato continuavano a difendere la solida purezza del teatro classico e i suoi principi di ordine e misura di cui Racine era considerato il massimo esponente. Dall’altro i modernes, capeggiati da Batteux, sostenevano invece il teatro del meraviglioso, dell’incanto e quindi dell’artificio per ll puro piacere dei sensi, in una prospettiva squisitamente cartesiana e in totale opposizione dunque alle tre unità aristoteliche. Di tale visione drammaturgica, Dardanus sarebbe diventato un testimone e modello insuperabile.

Fin dal prologo infatti assistiamo ad una chiara e convinta affermazione di questi nuovi valori drammaturgici, anche se filtrati, more solito, attraverso la solida e tradizionale struttura allegorica: nel magico e suggestivo palazzo di Amore e Citera, la dea dell’amore Venere si rivolge ai Piaceri chiedendo loro di regnare e di tenere sotto controllo la Gelosia. I Piaceri iniziano a danzare attorno ad Amore cadendo però ben presto addormentati. Venere si vede allora costretta a chiedere aiuto a Gelosia per svegliarli. Il prologo si conclude, secondo i più classici canoni della drammaturgia operistica francese, con un omaggio di tutti gli esseri umani in una marcia “pour les différentes Nations”.

Si apre dunque il I atto: in una scena tetra e funebre Iphise, innamoratasi dell’eroe Dardanus, nemico di suo padre Teucer, chiede ad Amore si calmare questa passione. Il padre però le annuncia la sua decisione: dovrà sposare il suo alleato Anténor, principe troiano prossimo a muovere guerra contro Dardanus. In una straordinaria scena, di grande impatto teatrale (“Mars, Bellone, guidez nos coups”), Teucer e Anténor giurano sulle tombe degli avi di combattere e uccidere i nemici della Frigia, e quindi anche Dardanus. Iphise resta sola in scena: tormentata dalla paura, decide di andare a consultare il mago Isménor. Il II atto vede l’ingresso di Dardanus che si reca anche lui dal mago per consultarlo su alcune faccende d’amore e soprattutto per vedere la sua amata Iphise. Isménor, in un’altra potente scena (“Entendez ma voix souveraine”), sveglia gli spiriti infernali e ordina al sole di sparire (“Suspends ta brillante carrière”). Alla fine del rito Isménor dona a Dardanus un talismano: con questo in mano l’eroe assumerà l’aspetto del mago stesso. Entra dunque in scena Anténor pure lui per consultare Isménor (ora Dardanus travestito) ma non riceve risposta. Lo segue poi Iphise la quale confessa al mago il suo amore per Dardanus: il mago la rassicura dicendole che l’amore è corrisposto. In quel momento Dardanus le rivela la sua vera identità: Iphise scappa via spaventata scioccata, lui viene preso prigioniero. Nel III atto Iphise, stretta fra il senso di colpa per l’amore per Dardanus e la paura che possa morire nelle mani di suo padre e del suo futuro sposo, rimanda il matrimonio con Anténor. La di lui reazione è cupa e intensa (“Le désespoir et la rage cruelle”). Intanto però il popolo frigio festeggia il loro apparente matrimonio col solito divertissement, ormai cifra fondamentale del melodramma francese, ricco di rigaudons, minuetti e brillanti tambourins. Il divertissement però è interrotto da Teucer che annuncia l’arrivo di un mostro inviato da Giove, padre di Dardanus, contro la Frigia per il trattamento che stanno riservando a suo figlio. Anténor si fa avanti disposto ad andare ad ucciderlo. Si apre il IV atto che finalmente vede Dardanus protagonista assoluto. In una prigione oscura, preso dalla disperazione, riceve la visita di Isménor, il quale gli consiglia di rivolgersi ad Amore: l’appello trova una risposta solo quando Venere scende col suo carro ordinando ai Sogni di consolare Dardanus. Si apre la scena del sogno, un piccolo nuovo divertissement, tra le più riuscite di tutta l’opera caratterizzato prima una deliziosa ninna nanna, da due sogni (il primo che gli annuncia l’arrivo del mostro e il secondo che invece gli predice un glorioso avvenire) e un brillante terzetto (“Il est temps de courir aux armes”). Segue poi un incubo che invece gli annuncia l’arrivo di un mostro. Dardanus qui si sveglia correndo subito alla ricerca del mostro. Trovandosi Anténor in grave pericolo davanti al mostro inviato da Giove, Dardanus lo salva ricevendo dall’eroe frigio, ignaro di chi ha davanti, la spada e la possibilità di chiedere qualsiasi favore in cambio. Dardanus non si fa scappare l’occasione e chiede al nemico la mano di Iphise. A tal richiesta Anténor si oppone inveendo contro Dardanus. Il V atto si apre con la festa del popolo frigio per Anténor. Quando Dardanus entra in scena, dopo lo stupore iniziale, Anténor riconosce in lui il suo salvatore e gli concede la mano di Iphise. L’opera si conclude con una amena scena d’amore dove i due amanti descrivono l’influenza dei Piaceri sul mondo. Venere scende col suo carro con Imene e Amore e, invocando i Piaceri, chiude il sipario ricollegandosi alla suggestiva allegoria del prologo.

La sola trama basta per capire come Dardanus sia apparsa all’epoca, e sia ancora oggi un’opera di straordinaria complessità e varietà. Varietà che si riscontra primariamente nelle scene e nelle ambientazioni: il librettista Charles Antoine Le Clerc de la Bruère si ispirò al mito classico del leggendario capostipite della stirpe di Troia, figlio di Zeus e della ninfa Elettra, per costruirci su una storia quasi del tutto inventata ma sicuramente assai efficace per rispondere alle esigenze culturali che la querelle in quel momento richiedeva. Il marveilleux è l’elemento che domina incontrastato in tutti e cinque gli atti con una particolare frequenza nel II atto, e cioè nella suggestiva scena del mago Isménor che risveglia gli spiriti infernali e ferma il sole e nel IV quando viene rappresentato il sogno di Dardanus con tutte le micro – scene annesse relative ai diversi sogni e l’apparizione del mostro. Oltre a questo aspetto più squisitamente scenografico, il libretto, benché di poco spessore drammaturgico, appare come modello di eterogeneità anche per la sua metrica ed il tipo di linguaggio utilizzato: andando contro la rigida usanza del verso anapestico del teatro classicista francese, de la Bruère optò per una varietà metrica straordinaria che va dal settenario al quaternario con un libero e frequente uso di rime baciate. Il tal modo il librettista riuscì ad offrire uno straordinario stimolo musicale a Jean Philippe Rameau. Stimolo a cui il compositore francese seppe rispondere con grande intelligenza approfittando anche (e forse soprattutto) per ribadire con ancora più forza la sua posizione a favore dei modernes.

Rameau-Jean-PhilippeL’inventiva e la quantità di musica di Rameau in Dardanus supera qualsiasi altra opera: la frequentissima presenza di scene sacre, di giuramenti (Antènor e Teucer nel I atto), di spiriti infernali (II atto), di mostri e sogni (IV atto), di prigione (IV atto) e di divinità pronte a scendere dal cielo per salvare Dardanus (prologo, IV e V atto, episodi sempre rappresentati da Venere accompagnata da Amore), permisero a Rameau di creare delle pagine musicali diversissime fra loro ma tutte brillanti, originali e suggestive tanto nell’armonia quanto nella parte melodica: basti pensare alla grande scena di Isménor del II atto che si apre con un breve monologo del mago in cui vanta le proprie capacità e doti soprannaturali. L’accompagnamento musicale e breve, conciso, brillante con i violini in staccato e un basso quasi ostinato nella tonalità di re minore. Dopo l’arrivo di Dardanus, inizia la scena dell’invocazione degli spiriti infernali: il tono modula in si bemolle maggiore con frasi più agili, brillanti, vicine quasi allo stile galante. Segue un Air grave, solenne, squisitamente francese sempre in si bemolle maggiore che corrisponde alla scena in cui il mago si rivolge al sole per fermare la sua “brillante carrière”. Tutto cambia nella scena successiva in cui il sole finalmente ferma il suo percorso: Rameau, mantenendo i due bemolle in chiave, modula alla relativa di sol minore per creare un momento, certamente breve e fugace, ma di grande forza teatrale. Il tutto si chiude con una air vif in si bemolle maggiore. In meno di 20 minuti Rameau riesce ad offrire una tale varietà di ritmi, di armonie e tonalità assolutamente straordinarie, ognuna delle quali in perfetto accordo con la scena. Di questa il compositore francese dimostra ancora una volta, di essere in grado di seguirne le veloci alterazioni, i cambi di scena, e di sottolinearne e rafforzarne il colore e la teatralità. E non solo nella scena di Isménor: si pensi alla grande scena dei sogni del IV atto che si apre (nella versione del 1744) con quella che potrebbe essere definita una  “scena delle catene” ante litteram dove Dardanus si trova rinchiuso in prigione (“Lieux funestes”) e, sotto consiglio di Isménor, invoca Amore per poi ricevere la visita di Venere e abbandonarsi in un dolce sogno. Rameau apre la scena col fagotto e corno obbligato accompagnati da ampie arcate dei violini come risposta: il tutto in una dimensione armonica tesa, cupa e di grandissima forza teatrale. Dimensione che cambia subito colore con l’arrivo di Venere e l’inizio della grande scena dei sogni: tutto è etero, ovattato, dolce e silenzioso in un precario quanto suggestivo equilibrio tra il sol minore e si bemolle maggiore. Sulla stessa melodia Rameau inserisce un coro con un terzetto dei tre sogni interrotto da una deliziosa e sognante air très vif che ritorna ad una solida e sicura tonalità maggiore per introdurre poi i due sogni: il primo annuncia l’arrivo del mostro con una melodia ostinata e brillante con scale ascendenti e discendenti su cui il basso costruisce la sua frase ampia e comoda (“Un monstre furieux désole ce rivage”); con il secondo sogno che preannuncia a Dardanus un futuro di gloria e successo, si torna, senza soluzione di continuità, all’iniziale atmosfera onirica. Conclusi i due sogni, sono sufficienti tre brevi quanti efficaci momenti strumentali (un air tendre, una gavotte vive e un air de triomphe) per aprire la grande scena successiva: quella del mostro.

A questa straordinaria tavolozza di armonie e melodie, Rameau fa ricorso anche nella sottile descrizione musicale dei personaggi: sebbene nessuno dei quattro ruoli centrali (Dardanus, Iphise, Teucer e Antenor) con l’aggiunta di Isménor, raggiunga lo spessore drammaturgico di Phèdre o Huascar de Les Indes Galantes, complice anche un libretto non particolarmente significativo in tal senso, Rameau riesce comunque a delineare musicalmente i personaggi dando loro una struttura psicologica e teatrale. E’ il caso di Iphise che col suo monologo “O jour affreux!” in cui lamenta la sua sorte infelice riesce a trovare una profondità proprio nella musica, una musica tesa, cupa eppure quasi rassegnata. Lo stesso Dardanus, a cui Rameau affida un’aria a tutti gli effetti solo nel IV atto (forse come aperta critica all’italianità musicale sempre più imperante), trova nella già citata grande scena delle catene un notevole spessore psicologico, ma ancora una volta per merito del sottile sguardo di Rameau.

La prima rappresentazione avvenne il 19 novembre del 1739 presso la Académie Royale de la Musique . Nel ruolo protagonista il celebre tenore Pierre de Jélyotte, considerato allora il più grande cantante francese, con una chiara e definita vocalità da haute-contre. La debole trama e la totale supremazia del meraviglioso (troppo per il pubblico dell’epoca che faticava ad adeguarsi alle nuove istanze estetiche del teatro francese) furono tra le principali cause del relativo insuccesso. Insuccesso che portarono Rameau e de la Bruère ad una totale revisione degli ultimi tre atti. Si trattò di un’operazione di enormi dimensioni tali da occupare il compositore francese per più di cinque anni, durante i quali non scrisse nessuna opera. Le due versioni del 1739 e del 1744 appaiono ad una prima analisi quasi completamente diverse: durante la revisione Rameau tagliò non solo una ingente quantità di musica strumentale considerata superflua ai fini drammaturgici dell’opera ma anche scene fondamentali come il secondo monologo di Iphise, le sequenze dei sogni e la scena del mostro (insomma…tutto il IV atto) sostituendole però con la grandiosa scena delle catene di Dardanus. Da un lato abbiamo dunque il primo Dardanus, un’opera squisitamente barocca, ricca di divertissements, balletti, musiche strumentali di squisita fattura; dall’altro abbiamo la versione del 1744, un dramma roccocò più maturo e solido nella trama e nella descrizione psicologica dei personaggi ma certamente meno brillante musicalmente.

Il successo per Dardanus arrivò solo nel 1761, tre anni prima della morte di Rameau, allorché fu realizzata una sontuosa messinscena dei fratelli Sébastien-Antoine e Paul-Ambroise Slodtz. Dopo questa trionfante esecuzione l’opera sparì nuovamente dalle scene per riapparire, in vesti completamente diverse, nel 1908 quando la stravagante mente di Vincent d’Indy decise riproporla a Parigi e Digione, la città natale di Rameau. Dal 1983 in poi, quando l’opera è quasi stabilmente entrata nei cartelloni dei teatri francesi la versione proposta è una sintesi della prima e della seconda, una scelta filologicamente discutibile ma che sicuramente offre al pubblico un’opera musicale e teatrale di straordinario livello, affascinante testimone di un’arte operistica intelligente, sensibile, originale quale solo Jean Philippe Rameau poteva regalare.

 

Théâtre National de Paris / Raymond Leppard, 1980

Christiane Eda-Pierre (Vénus)

Frederica von Stade (Iphise)

Georges Gautier (Dardanus)

José van Dam (Isménor)

Michaël Devlin (Anthénor)

Roger Soyer (Teucer)

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5 pensieri su “Manuel García omaggia Jean-Philippe Rameau. Quarta puntata: Dardanus.

    • Grazie Ninia92! E’ un’opera che adoro, credo la più bella di Rameau: ti consiglio l’edizione di Minkowksi. Ho scelto come commento all’articolo la versione di leppard perchè vocalmente più interessante. Ma per avere una visione più suggestiva dell’opera la versione di Minkowski, oltre che più facilmente reperibile, è sicuramente preferibile. Certo bisogna sopportare un reparto vocale di discutibilissimo valore. Ma la musica è così bella….

    • Inizio a risponderti io perché possiedo quelle edizioni (non in cofanetto, ma separatamente). Te lo consiglio, sono edizioni ben fatte tranne Les Indes galante e Castor et Pollux: meglio le edizioni di Christie (pubblicate da Harmonia Mundi France)

    • Concrdo con Duprez, Les Indes Galantes è stata davvero un’occasione mancata. Credo pecchino un po’ di pesantezza e poco brio in alcuni momenti. ma sono edizioni assolutamente interessanti. Certo l’edizione perfetta in Rameau bisogna sognarsela…

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