Accademia Nazionale di Santa Cecilia: “Aida”, cronaca di un evento annunciato. Io c’ero!

6a00d834ff890853ef0134889a321a970cPare che Monteverdi sul letto di morte abbia avuto una visione del futuro e poco prima di esalare l’ultimo respiro abbia sussurrato “Aida… 2015… Santa Cecilia”; pare che Nostradamus in una delle sue ultime centurie abbia profetizzato un avvenimento epocale in quel di Roma, che avrebbe avuto sui melomani lo stesso impatto della venuta del Messia e della Verità finalmente rivelata; pare che Verdi, dopo le prime a Il Cairo ed a Milano, abbia rivelato a Boito, in una lettera ormai perduta, che un giorno, oltre un secolo dopo, durante un concerto dai risvolti epocali, la sua “Aida” avrebbe avuto finalmente giustizia e avrebbe cambiato il corso degli eventi mondiali; pare che nel documento scritto da Suor Lucia, l’ultimo segreto di Fatima, il più apocalittico e spaventoso, riguardasse proprio l’ “Aida” romana in forma di concerto diretta da Pappano… potrei continuare, ma mi fermo.

Io c’ero. Ho assistito all’ “Aida” del Millennio nell’Auditorium Parco della Musica di Santa Cecilia, in Roma. Ho visto la luce. Ho visto i ciechi ritrovare la vista, gli storpi ballare, i malati guarire, i muti cantare ed i sordi… lasciamoli perdere.
Io c’ero, elegante come si confà ad un evento così glamour, educata, attenta e silente affinché nulla che accadesse sul palco o tra il pubblico raccolto mi sfuggisse per testimoniarvi con la mia cronaca la Storia, immersa com’ero in mezzo al Gotha della stampa, dei Media, dei Melomani, dei blogger, delle riviste on-line, degli invitati, dei profeti internazionali e dei fan più cibernetici; ma anche dei Ministri e sovrintendenti, delle personalità come Cecilia Bartoli, scorta in platea ed all’ingresso, degli scrittori titolati, degli Ambasciatori, delle dame, damazze, matrone, degli stilisti: ripeto, io c’ero!
Nata come incisione discografica prodotta dalla Warner Classic, questa “Aida” avrebbe dovuto avere come protagonista Angela Gheorghiu, poi sostituita da Anja Harteros, prezzemolina verdiana dell’ultima ora e partner ormai fissa del Divo Kaufmann al suo esordio nel ruolo di Radames; ed a ridosso dei sei giorni intensissimi per terminare la registrazione, si è deciso di offrire al pubblico la possibilità di assistere all’opera in un’unica serata in forma di concerto.
Nasce l’evento, già tutto esaurito sul nascere!

Vi confesso che trovo molta difficoltà nel descrivere ciò a cui ho assistito. Più che i Divi e Divini, è andato in scena il pubblico, un pubblico che dopo mesi di snervante attesa e pagine di infinite e sterili discussioni sul web o dal vivo, pretendeva di vivere l’avvenimento dall’interno, di essere esso stesso l’evento, di consacrarsi evento da suggellare con un successo straordinario prescindendo dalla storia o dall’esito: di adorare i Divi e Divini che esso stesso ha scelto e contribuito, con fede cieca e sorda, a creare.
Ed il successo c’è stato, e non è mancato tutto il corollario folkloristico di applausi ritmati, standing ovation, urla d’approvazione, gente commossa assiepata alla base del proscenio onde, osare, stringere le mani o porgere omaggi floreali alle nuove Stelle scese dall’Olimpo dei grandi per adempiere alla missione divina: un successo spiazzante, voluto con prepotenza dal pubblico, cercato con entusiasmo sfrontato dal pubblico, con esaltazione forzata dal pubblico, un’euforia collettiva!
Se su quello stesso palco tale isterismo fosse sfociato nel sacrificio di un capro per ringraziare i numi, la cosa non mi avrebbe per nulla stupita!
h3kNnktkTutto molto divertente, molto istruttivo e soprattutto interessante: se tale è l’accoglienza è giustissimo che i grandi produttori discografici puntino su determinati nomi di così largo consumo per sfruttare l’ondata emotiva e la fede dei fan, i quali fino a quando non avranno trovato un nuovo Vitello d’oro da venerare e coccolare con le loro offerte, garantiranno con il loro brillante e frivolo entusiasmo  introiti, guadagni, circuiti e pubblicità al prodotto pubblicizzato nato sul momento, a prescindere dall’esito o dalla qualità di tale prodotto. E’ il mercato, ed è il pubblico che crea, applaude, ingoia, consuma, dimentica e poi pensa, il cuore del mercato.
E’ giusto che sia così, senza complotti e senza scandali.
Considero Antonio Pappano un grande direttore. Amante del suono rotondo, attentissimo alla leggerezza orchestrale, alle sfumature cromatiche, alla vivacità delle tinte, ai volumi sonori, il Maestro Pappano in questi anni mi ha regalato ottimi ascolti, ottime serate dal vivo (“Troyens” alla Scala, magnifico spettacolo), qualche caduta (“Parsifal”, “Don Carlo”, “Andrea Chénier”), ma ha sempre cercato di offrire una lettura personale dalla presa immediata.
Per questa “Aida” aveva a disposizione un’orchestra tra le più solide, edonisticamente sontuose, tra le più precise, duttili e calorose in Italia e del mondo; e con questa orchestra Pappano possiede un affiatamento del tutto particolare fatto di studio, fiducia e intenso lavoro. Era dunque lecito aspettarsi qualcosa di alto livello artistico.
Pappano seduce immediatamente attraverso una introduzione tutta mezze tinte, un crescendo vellutato la cui ampiezza è data dalla sovrapposizione dei temi legati al personaggio di Aida restituiti ognuno in maniera diversa, virando dall’interiorità della malinconia iniziale verso una disperazione romantica più animosa, per poi concludersi sfumando ogni effetto e mutandolo quasi impercettibilmente verso l’austerità della scena Radames-Ramfis.
Ed è a questo punto, dopo questo virtuosismo voluttuoso, che la direzione di Pappano si smembra in tre tronconi dalle giunture fragili e francamente poco coerenti tra loro.
“Aida” secondo Pappano è dunque un poema sinfonico alla Bruckner, oppure di Mahler, nel quale il canto non è più uno strumento espressivo compagno indispensabile della musica, ma un fastidio da coprire, da non sostenere, ma da imbrigliare per non interferire con lo splendore orchestrale, mentre la teatralità è semplicemente esiliata o affatto considerata così da sminuire i momenti e le parole sceniche.
Roma, Auditorium Parco della Musica 21 10 2010 Ritratti di Antonio Pappano per cd Emi Rachmaninov ©Musacchio & IannielloParlavo delle tre facce della direzione di Pappano: la prima è quella più esteriore, barbarica, circense, o meglio, quella riferita alle scene in cui lo spettacolo diventa prevaricante; così ecco un’evocazione alla guerra nel I atto che è realmente la traduzione musicale di una battaglia sulle dune egizie, anche se siamo più prossimi ad un bombardamento alla Bodanzky; ecco le danze del Tempio e nel boudoir di Amneris ritmati su  tempi concisi, stretti e martellanti, ed il caleidoscopio orchestrale potrebbe rivaleggiare con le variopinte, peccaminose sensualità di Strauss; ecco tutta la scena del Trionfo, con le sue danze, con il coro egizio e dei prigionieri, momenti tutti nei quali lo scialo di decibel, di potenza fonica rappresentano la configurazione musicale e visiva,  con classe pacchiana, dell’invasione di cartapesta intinta nell’ oro più becero e luccicante, dei pennacchi a base di piume di pavone, dei profluvi di tessuti tra i più preziosi e scintillanti, dell’ iperlusso holliwoodiano coreografico, tanto da far apparire le zeffirellate più atroci e stucchevoli, spettacoli messi in scena da Wilson (ottimi gli interventi della Banda Musicale della Polizia di Stato assiepata in galleria); ecco l’ira di Amonasro scagliarsi sulla figlia come farebbe quella di un profeta maledicente veterotestamentario; ecco l’anatema di Amneris e la chiusura della “fatal pietra” scagliarsi sul pubblico come tutte e dieci le piaghe egizie.
Tutto è così pachidermico, orgogliosamente ruffiano nel voler strappare ondate di applausi e travolgere le orecchie; tutto così facile ed esteriore; tutto anche gratuito ed epidermico, rimanendo Pappano così alla superficie di scene che vorrebbero, si parossismo, ma anche un’aura di minaccia tutta politica, un’entusiamo che solo la fine di un conflitto dona al popolo angosciato, una leggerezza o una sacralità che dovrebbero differenziare le danze, un affetto violato dal volere di altri; certo l’orchestra esegue benissimo, non perde una terzina o una quartina scandite con tempi a rompicollo e lo schianto fonico sortisce l’effetto.
La seconda faccia della direzione è quella più riuscita, ma è anche la più breve: l’intimità cercata da Pappano, quello scandagliare attraverso l’alleggerimento del volume e la sottolineatura dei temi e dei colori,  il non detto dei protagonisti, l’ambiguità di Aida, tutti elementi che ritroviamo solo, e purtroppo, nell’accompagnamento delle arie e nel finale IV; quindi il “Celeste Aida”, tutto indugi e trasparenze si adatta perfettamente ad un amoroso romantico con una ripresa che si abbandona con ancora più pregnanza sugli accompagnamenti dei legni e degli archi; la direzione sul “Ritorna vincitor” sprigiona con violenza e secchezza lo stato d’animo combattuto della principessa schiava, vorticando di inquietudine grazie ai magnifici violini, ma per contrasto esalta magnificamente i pianissimi più commossi e accesi; anche i “Cieli azzurri” si caricano di solitudine ed è svolto magistralmente anche l’alternanza dei volumi; il finale quarto, tutto cristallo e trasparenze, svolto in pianissimo, mentre l’orchestra riprende il tema sensualeggiante delle danze, e trasfigurato nell’accompagnare il terzetto finale fino allo spegnersi nel silenzio più struggente.
La terza faccia della direzione è quella che fa più rabbia: dopo l’orgia di decibel e l’interiorità più intensa, abbiamo la sublime, monotona, monocroma piattezza che accompagna i duetti ed i terzetti: suono ottimo e preciso, legati magistrali, ma accompagnamento antiteatrale nella sua unitarietà di tinte, nel suo gelo siderale, nel suo disinteressarsi del canto e dell’azione, in più accompagnato ad una velocità necrotica; il duetto Aida-Amneris è lentissimo, interminabile nella sua monotonia, senza accenti, senza fraseggi orchestrali, senza contrasti per differenziare la schiava e la principessa, senza l’insolenza del canto di Amneris o l’orgoglio pietoso di Aida; le scene sul Nilo non possiedono né fremiti né trasalimenti, né quella patina notturna, tutto è identico e piatto come il fiume senza vento; l’incontro tra Radames e Amneris è risolto ciabattando, tanto che durante il recitativo di Amneris assistiamo ad un brutto sbandamento dei legni e nel giudizio anche le trombe ci deliziano con un vistoso calo d’intonazione. Può capitare, certo, ed è perdonabile, ma dopo giorni di prove, la registrazione avvenuta in sei giorni, la preparazione di una tale compagine, è ben strano ascoltare degli attacchi non immacolati o delle brutte papere vista l’eccellenza.
In definitiva, non posso negare la perizia del Maestro Pappano, ma non nego l’amarezza e la delusione di una lettura tanto distaccata e non all’altezza di un’orchestra di tale prestigio e tali potenzialità.
Ma al pubblico è piaciuta tanto, troppo, ha ascoltato una direzione suprema: ha ragione lui, e va bene così.

IU9A2282Il cast schierato dovrebbe essere il meglio dell’attuale panorama vocale internazionale: stelle di prima grandezza che si coprono di facile gloria ad ogni alzata di mignolo. Ne prendo atto, ma con un cast del genere si sarebbe potuto allestire, e stiamo larghi, un “Così fan tutte”, o “The rape of Lucretia”, o “Il Re Pastore” in uno spazio come la Piccola Scala o il teatro Goldoni o l’Opernhaus di Zurigo, ma non “Aida”, se pensiamo che un cast  del bel tempo che fu, quello negato, cancellato e sbeffeggiato dal Gotha di cui sopra, non avrebbe avuto problemi ad interpretare, in blocco, opere di Ponchielli, Bellini, Spontini, certo Donizetti, persino Meyerbeer e Cherubini, oltre a Verdi e Puccini, certo.
Un cast, questo, con vistosi problemi di proiezione del suono, di controllo del fiato, di legato, il minimo sindacale per affrontare il canto, voci piccole e poco sonore, che non sfruttano nemmeno l’acustica di uno spazio all’avanguardia nato proprio per permettere a voci grandi o piccole di farsi ascoltare nella maniera più ottimale possibile, lasciandosi quindi liberamente coprire nove volte su dieci da orchestra e coro.
Non è ossessione per le voci-cannone o per i volumi grandi così: mi sta bene ascoltare voci piccole ma penetranti, mi sta benissimo cercare l’intimismo attraverso una liricizzazione dei timbri e dei fraseggi, a patto però che riescano a proiettare il suono oltre l’orchestra; in questo caso le voci proprio non passavano.
La protagonista, Anja Harteros, ascoltata più volte dal vivo, aveva ad esempio meno della metà del volume che di solito possiede. Sarà forse colpa del repertorio scriteriato e onnivoro, ambizioso quanto si vuole, ma dai risultati penosi, quando si sarebbe dovuto circoscrivere ai ruoli lirici di Weber, Wagner, Strauss, Mozart. Aggiungiamo anche un timbro che si è fatto generico, senza smalto, senza un colore riconoscibile, senza la luminosità che possedeva, una organizzazione vocale in cui il suono in prima ottava è praticamente sordo o borbottato, al centro risulta ingolato, ovattato e gonfio alla ricerca di ampiezze irraggiungibili, il passaggio di registro in tali condizioni si presenta irrisolto e scricchiolante, gli acuti raggiunti sotto evidente sforzo e fissi, calanti, seghettati, fantanote della peggior specie; aggiungiamo un fraseggio rigido e polare o completamente sbagliato che mortifica la performance. Ed è un errore credere che la cantante abbia perso la bussola durante il III e IV atto e solo dopo il disastroso “Cieli azzurri”, crogiuolo di stecche, fissità e suoni sporchi, perché anche prima la Harteros ci aveva deliziati con i medesimi difetti; ma ben si sa che durante III atto di “Aida” non si possa barare e le magagne emergono crudelmente, e hai voglia a contorcersi, piegarsi, fare stretching, tarantolarsi sul palco per produrre un suono quanto meno decente. La Harteros ricorda insomma una Janowitz del ’95 o una sgangherata Welitsch, più che una professionista.
kaufharterpapIl “Divino” Jonas Kaufmann affronta il suo primo Radames e ancor prima di aprir bocca tutti già provavano emozioni (fortissime e grandissime, ovvio) per la sua fedeltà allo spartito verdiano e per il Si bemolle in pianissimo finale: nessuno che si sia però domandato o quantomeno preoccupato di analizzare il come lo canti, il come lo risolva, il come riesca a sopravvivere; anche perché, sarà utile ricordarlo, Radames non si risolve con l’aria del I atto e non termina con quel Si bemolle.
E allora, si, sarà ligio al dovere, ligio al dettato verdiano, interpreterà Radames tutto sussurrato e in pianissimo, sollevando appena la voce solo dove serve; ma parliamo anche di una voce piccola, priva completamente di squillo, certamente ingolata e fibrosa, sforzata e spalancata (sempre sulla “E” tra l’altro) ogni volta che deve superare il Fa per ghermire questo o quell’acuto. Ed i pianissimi? Aria, tanta aria senza sostegno, che ogni tanto si spezza anche. Ed il fraseggio? Quale fraseggio? Kaufmann interpreta Kaufmann, sempre e senza continuità allo stesso modo di altri personaggi infilati per dovere contrattuale, tutti uguali; ed è di conseguenza interprete generico, prevedibile e particolarmente spento. Ha tanta resistenza, certamente, ha una ottima musicalità, innegabile, ma non vedo come questi unici pregi lo rendano diverso da altri Radames odierni.
Per me, in definitiva, un José Cura dei nostri giorni, ma con gli “acuti”, privo di machismo e testosterone da gettare sul pubblico, ma bieco nell’emissione. Tutto qui.
Ekaterina Semenchuk è praticamente inudibile (tranne che per un fan o parente seduto in platea che ha urlato il suo nome, così a caso, un paio di volte. Poveretto), probabilmente la voce più misera del cast. Dovrebbe cantare Berta del “Barbiere”, e invece “canta” Amneris: ed è un canto impastato, parlato e sfatto nel registro grave, tirato negli acuti, stonato ovunque, miserando nel fraseggio, antimusicale. Se avessero avuto più coraggio, avrebbero dovuto chiamarla alla Scala, nell’ “Aida” ben più adatta al suo livello, per arrivare fino in fondo e completare quel cast fallimentare e dare a Pappano la Rachvelishvili, che almeno la voce, le intenzioni, e lo stile li possiede in quantità maggiore.
20150228_aida_santa_cecilia_1Ludovic Tezier è un Amonasro sonoro, dall’emissione grezza, che quanto meno cerca di darsi una patina di nobiltà, ma resta sempre distante dal personaggio. Fa il compitino e si dimentica. In un universo di Keenlyside, Gagnidze, Lucic, Hampson et similia è già tanto!
Dizione e intonazione erratiche nel canto borioso, truce e stomacale di Erwin Schrott, Ramfis, sostituto del previsto Giacomo Prestia e, credo anche assetato di rilancio con questa incisione; al suo fianco Marco Spotti interpreta il Re, con un volume ragguardevole, ma con una emissione da patata nello stomaco funestata da qualche raucedine.
Onesto e duretto il Messaggero di Paolo Fanale, mentre Donika Mataj, la Sacerdotessa, è la voce più ampia e autorevole della serata.
Ciro Visco dirige un coro praticamente perfetto: un unico corpo, una linea di canto immacolata, pianissimi che si riempiono di bagliori misteriosissimi, intonazione impeccabile, emissione nei momenti più intensi a prova di bomba, musicalità eccellente: il coro è stato il vero eccelso protagonista della serata e a lui va il mio personale ringraziamento ed il mio unico caloroso applauso.

Del successo ciclopico, ed esagerato, si è detto sopra: contestazioni sonore nei riguardi dell’Harteros ed in misura minore di Schrott.
Per fortuna ci è stato risparmiato un allestimento magari diretto da qualche genio dell’opera come Stein o Konwitschny o qualcuno dei loro nipotini più giovani: ringrazio col cuore in mano!
Resta l’amarezza di un miracolo più voluto che avvenuto, di un qualcosa che ha accontentato tutti, perché tutti volevano essere contenti, di un’ “Aida” normalissima, secondo gli standard attuali, infilata a forza nella Storia (la stampa e la radio, compatti e intossicati dall’overdose di applausi, che parlano di una edizione definitiva e rivoluzionaria, fanno ridere di gusto e affermazioni sensazionalistiche del genere non profumano certo di buonafede o di libero, sano e oggettivo giudizio. Lasciamo perdere i fan “emozionati”), perché al pubblico va bene così: ed io ve lo lascio tutto, perché francamente tutto questo  rumore per nulla non fa per me.

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80 pensieri su “Accademia Nazionale di Santa Cecilia: “Aida”, cronaca di un evento annunciato. Io c’ero!

  1. Come sempre, Marianne è puntuale e precisissima nella sua cronaca. Ho sentito la registrazione di questa specie di Super Bowl operistico 2015 e concordo su tutto. Certo è che, al di là delle valutazioni qualitative, se l’ avvenimento dell’ anno è costituito da un’ Aida in forma di concerto, vuol dire che il mondo della lirica italiana è messo male. Ma proprio male…

  2. Una delle Aide più noiose ascoltate in vita mia.
    Una miniatura, una pennellata, un inutile esercizio di stile (?) per un pur valido direttore.
    Un cast completamente fuori posto prima che vocalmente, interpretativamente.
    Però i soliti noti, spiritosi ad ogni costo potranno dire “io c’ero” e allora deve essere stata per forza l’Aida del millennio.
    Analisi giustissima quella di Marianne. Ottima.

  3. Recensione magnifica :) Vien da ridere (eppure è tragico o, se va bene, grottesco) a leggere certi commenti che ci sono in giro! Tutto era deciso prima di udire la prima nota, specie per quanto concerne i cantanti: se te lo presentano come l’evento addirittura del millennio BISOGNA che lo sia sennò che gusto c’è?!

    Visto con quali criteri si fanno i cast e i cantanti scelgono i ruoli, io proporrei, a questo punto, per il 2016 l’Aida del Lustro Millenario (non si sa che vorrebbe dire, ma suona bene, dunque fa figo) Gruberova, Kunde, Zajick (o Powdles se ci si vuol divertire di più), Ramey. Poi sì che ci divertiremmo a parlarne XD

    • Ninia, ma la podles deve fare ramfis.poi siccome si fanno i tagli noi aggiungiamo per la sacerdotessa, cantata dalla giovane devia, la preghiera giusto ftha che in tal periglio. Ovvio che in omaggio all’antico egitto la fracci danza. Scene che riproducono l’ingresso in stile egizio del cimitero maggiore.quello che i milanesi chiamano musocco, ciao Donzelli

    • “Questa musica viene percepita solo come uno sfondo sonoro: se nessuno più è in grado di parlare realmente, nessuno è nemmeno più in grado di ascoltare […] la potenza del banale si è estesa sulla società nel suo insieme.”

      (Introduzione alla sociologia della musica – tr. it. Einaudi 1971)

      Adorno lo conosco anch’ io, che ti credi?

  4. Cara Marianne, per una volta c’ero anch’io.
    Sul (assai modesto) programma di sala ho scritto a mia memoria questo commento: “Pessima. Cantanti inudibili (spec. Kaufmann)”.
    Ma devo dire che sono rimasto molto deluso anche dalla direzione e dall’orchestra.
    Meno male che a un certo punto la voce della sacerdotessa mi ha tolto il dubbio che l’acustica della sala fosse pessima.
    Quanto al successo, certo c’è stato: ma le persone vicine a me (in galleria) hanno applaudito (e credo con applauso di cortesia) solo alla fine; mai o quasi mai dopo le varie arie; e se non ricordo male il Celeste Aida non ha avuto un trionfo. E alla fine qualche (sporadico ma ben udibile) buh c’è pur stato.
    Infine, sbaglierò, ma un Verdi così diretto (prima ancora che così cantato) non credo faccia un buon effetto su un pubblico straniero (molto numeroso); ricordo il sorriso di compatimento (da me condiviso) espresso da un signore di lingua tedesca sulla note della marcia trionfale.
    Ciao, grazie e felicitazioni per quanto hai scritto (non sottoscriverei la parte sulla decadenza della cultura ecc., ma ora lasciamo andare).

    • Ottima citazione vernacola del mio compatriota Mozart2006, al quale rammento l’ancor più icastico “voler far el stronso più grando del culo”, che richiama la nota favola (di Fedro) della rana che si gonfiava per sembrare un bue…

  5. alla fine, in questo periodo di spreco di aida, l’ho sentita pure io e con attenzione. Cantanti pessimi, al limite della presa in giro. Un cast meno peggio si poteva imbastirlo, ma le orecchie delle multinazionali del disco sono da Amplifon. Qualcuno ha scritto “calligrafico” per il direttore. Perfetta definizione. Questa Aida desta la medesima impressione dei Troiani scaligeri o momenti da idillio o clangori, mai la via di mezzo. Aida è la stessa roba o gigantismo o raffinati e delicati accompagnamenti, ma anche (vedi concertato del trionfo) quando la situazione scenica e drammaturgica imporrebbe ben altro ossia tempi sostenuti e accompagnamenti pulsanti. Insomma la teatralità che non è la faciloneria latita alla grande

    • Non sono d’accordo per il semplice fatto che nei “Troyens” scaligeri Pappano aveva compiuto un approccio diverso: non era mai bandistico, non ti massacrava le orecchie con valanghe di suono, non aveva un attimo di pesantezza nemmeno nei momenti pià languidi, rispettava i cantanti senza buttarla nel sinfonico a tutti i costi, aveva un approccio interpretativo più coerente e l’orchestra scaligera, per una volta, brillava davvero e riusciva ad esaltare ogni dettaglio della partitura con stile appropriato e senso teatrale.
      “Aida” è esattamente l’opposto e stentavo a riconoscere il Pappano che mi aveva convinto alla SCala.

      • Non ho ascoltato questa Aida. Però Pappano non mi ha mai convinto: bravino, ma nulla di più (Troiani compresi).
        Mai un’idea originale, mai un taglio interpretativo che ti sorprenda. Prendiamo ad esempio Sinopoli (direttore TROPPO dimenticato). Mica sempre ti convinceva, ma sapeva sorprenderti, aveva un approccio sempre interessante qualunque cosa dirigesse… Pappano è fondamentalmente un mediocre.

          • erano dei giganti allora e lo restano ancora oggi. basta ascoltare. possono poi anche non piacere o emozionare tutti ma qui entriamo in un altro ambito. certo bisogna avere la formazione e la cultura per capirlo

          • Penso che gli stessi interessati – onesti professionisti e nulla più – si sarebbero fatti una risata ad essere definiti “giganti”…è oggettivo che tra portare a casa una serata d’opera aiutato da un cast spesso eccezionale ed essere un Kleiber corre un mondo di diversità

          • Una volta, Gavazzeni e Oliviero De Fabritiis erano insieme a Bergamo, a visitare la casa natale di Donizetti. Gavazzeni chiese: “Cosa scriveranno sulle nostre case, dopo la nostra morte?”. De Fabritiis rispose: “Affittasi”

      • Francamente non sono d’accordo neppure io: trovo Pappano un grande direttore con molta sensibilità per l’opera (al contrario di molti suoi colleghi che tendono a “sinfonizzare” senza curarsi troppo degli aspetti vocali). I Troyens scaligeri sono stati magnifici in perfetto equilibrio tra quelli che sono i due piloni portanti dell’opera di Berlioz delicatezza e gigantismo. Non ho ascoltato questa Aida, ma credo che il suo approccio a Verdi sia lo stesso di Don Carlo e Trovatore. Certo Pappano ha dimostrato (in passato) di non essere in perfetta sintonia con Verdi (al contrario di Puccini, ad esempio, o di lavori più complessi Tell e Tristan). Poi può anche non piacere, per carità, ma entriamo nel gusto personale

          • possiamo dire un direttore con molta sensibilità per l’opera e per i schei!

          • Come tutti direi. Walter o Mitropolous compresi (per non parlare dei Bonynge)

          • Toscanini accettò Herva Nelli ed Eva Gustafson; Abbado la Ricciarelli; Chailly la Urmana (e tutto il cast); Harnoncourt la Gallardo-Domas; Kubelik la Rysanek; chi è senza peccato… 😀

          • Lo stesso si può dire di Furtwaengler o Karajan…quindi? Poi smettiamola di considerare i propri gusti per dogmi di fede.

        • “Poi smettiamola di considerare i propri gusti per dogmi di fede.” (cit.)

          ahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahah…………… hai proprio scelto il sito giusto…. ahahahahahahahahahahah!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

          • Davanti ai dogmi, che qui per altro subiscono ben altro cribbio che la prova di Sant’Anselmo (per restare ai dogmi della religione), quello che conta è l’atteggiamento ossia non solo proclamarli, ma anche praticarli e viverli. Questo è un comportamento cui, credo, nessuno dei cd grisini venga meno. Forse più che crede ai dogmi si chiama coerenza!

  6. cara marianne
    i mezzi economici di cui disponeva la bbc quando registrò le opere con toscanini erano quelli che erano ed è l’unico di quelli che hai citato sul quale valga la pena di dire qualche cosa. Gli altri ovvero Abbado, Harnoncourt. Chaylli per dirla alla milanese “in fila giò dell’istessa ruca” filati dal medesimo ercolaio

    • e poi non si vorrà paragonare la Nelli o la giovane Ricciarelli con la Harteros !!?? la prima era una seria professionista, la seconda aveva un timbro (a inizio carriera) semplicemente strepitoso.

      • Bisogna sempre contestualizzare! All’epoca (e oggi in misura minore) alla Nelli non furono risparmiate critiche ferocissime, oggi, dopo svariate Aide, la consideriamo una seria professionista. Se confrontata con la Harteros è palese che una Nelli semplicemente la annichilisca appena apre bocca per accennare un attacco.

        Caro Donzelli, a noi però interessa l’esito delle incisioni, quello passa alla storia.

        Quanto alla grandezza dei direttori, non credo che questa sia la sede per sciorinare la lista di chi consideriamo grande o meno. Lo sai, le nostre vedute divergono e annoieremmo i lettori.

    • Ossia? Che vuol dire? Perlomeno Abbado, Harnoncourt e, talvolta, Chailly sono grandi musicisti e direttori, Toscanini, invece, un pagliaccio bestemmiatore e musicalmente analfabeta (come diceva Furtwangler)

        • Si vabbè… Toscanini musicalmente era una nullità rispetto a Furtwängler e la tua considerazione mi fa capire che non hai assolutamente idea della sua concezione musicale. Perché Furtwangler faceva musica, Toscanini batteva il tempo con la mazza, sarà stato anche preciso, ma bastava un metronomo e un nastro pieno di bestemmie registrate per ottenere lo stesso effetto

          • Furwangler sarà pure stato questo grande intellettuale, ma quando si fa musica conta anche la tecnica. E’ noto che il gesto di Furtwangler era talmente poco chiaro che ai nuovi entrati in Filarmonica di Berlino, gli anziani davano suggerimenti tipo “entra quando la mano sinistra è all’altezza del secondo bottone della giacca”. Al momento attuale tante imprecisioni non sarebbero accettate, così come – per esempio – oggi troviamo che le note false di Cortot rendano certe sue esecuzioni inevitabilmente datate.

            In ogni caso, caro Duprez, ti chiedo ancora una volta il favore di evitare nelle tue risposte di darmi dell’ignorante o del cretino, grazie.

          • Quanto scrivi è ridicolo. Punto. Se non vuoi che ti dia dell’ignorante evita di scrivere queste cose.

          • https://www.youtube.com/watch?v=QdljBugBiN4
            https://www.youtube.com/watch?v=FoU-iCT21fc
            https://www.youtube.com/watch?v=4s1OFwAlMMw
            https://www.youtube.com/watch?v=2itdv1aEpG4
            https://www.youtube.com/watch?v=lEf4s6naews

            Se il Grande Furt non avesse saputo dare gli attacchi e non avesse avuto tecnica, avremmo avuto la banda dell’Oktober Fest ubriaca non quel suono e quella profondità e lui sarebbe stato inviato a dirigere il traffico a Dusseldorf.
            Gli aneddoti fanno colore e sono gustosi, a volte dicono anche la verità, ma vanno verificati ed i video servono a anche a questo 😉

            Ah, e per quello che mi riguarda Toscanini, ed in questo caso la sua “Aida”, mi piacciono molto

          • Anzitutto, caro Duprez,
            si può contestare senza offendere, come ho fatto sempre io nei tuoi confronti, anche quando hai sostenuto tesi ben più ridicole delle mie. In ogni caso, a te è bastata una mia battuta (e non chissà quale intervento) per arrivare alle offese.
            Me ne rammarico, ma chiudiamola qui.

            Gentilissima Marianne, ti ringrazio per i video, ma ti tranquillizzo subito: non far caso alla diatriba con Duprez, sono sufficientemente aperto di vedute da apprezzare sia Toscanini sia Furtwangler.
            [Comunque c’è anche questo, sebbene non sia un video:
            https://www.youtube.com/watch?v=futNQIvzQ1o%5D

          • Non era una battuta la tua, ma il consueto riflesso pavloviano che scatta ogni volta critico i “numi tutelari” del melodramma, della tradizione italica o del solito Verdi. Ecco perché appena oso toccare Toscanini ti scagli contro Furtwangler e se oso dire che l’opera italiana NON è la più grande espressione musicale dell’occidente allora parte la tirata. Tienti pure le bestemmie di Toscanini e la sua musica scandita come un maestro di banda. E visto che ritieni ridicole le mie tesi evita di leggermi…la porta di uscita del sito è sempre aperta per te.

          • Caro duprez, credo tu sia fuori luogo stavolta. Non ricordo note acide o simuli in frezzolini. E di tirate tue qui anche recenti ce ne sono parecchie. Quella sulla semiramide è tanto grossa che nessunp ha voglia di contraddirti tanto è enorme. Dunque…

    • Peraltro la bbc era in realtà la NBC e all’epoca di mezzi ne aveva eccome (per permettersi Toscanini)…come ne aveva la DECCA quando fece incidere Semiramide a Bonynge con la metà del cast di livello indegno, o il peggior Elisir della discografia (Pavarotti a parte). E pure su Karajan… Ma per curiosità chi sarebbero i grandi direttori? Erede, Bellezza, Rossi, Santini e Molinari-Pradelli?

    • Scusate, NBC, non BBC, e la NBC era straricca, tanto ricca da creare un’orchestra apposta per Toscanini e trasmettere l’Aida per televisione quando da noi la televisione non esisteva! La Nelli e la Gustafson le scelse Toscanini tra i cantanti disponibili. Anche allora mica c’era solo oro puro!

      • se è per quello negli stati uniti c’erano i frigoriferi e da noi la ghiacciaia! L’orchestra creata per Toscanini rendeva atteso il ritmo che il maestro teneva ed il repertorio sterminato o quasi che lo stesso aveva (tutto quello che si eseguiva, Mahler escluso!!!!)

      • Oops non mi ero accorto di Duprez che correggeva l’errore. Ne approfitto per accodarmi a lui sui direttori: la cosa più importante in un direttore d’opera ė, a mio parere, saper raccontare una storia facendo respirare i cantanti. Pappano questo lo sa fare, tant’è che due pezzi di legno come Kaufmann e l’Harteros sembravano quasi due interpreti e la disastrata Semenciuk ha interpretato una buona scena del giudizio (quanto al canto, beh…). Aggiungo un’ultima cosa: giudicare da una registrazione fortunosa e traballante come quella che circola di quest’Aida è ingiusto e fuorviante. Lo sarà anche giudicare questa esecuzione partendo dal disco (mi immagino già un Kaufmann con voce tonante – in teatro la sua voce è piccola ma, stranamente, “corre” – e un’Harteros potente). Il teatro è il rischio, è l’emozione e, per me, l’altra sera tutto questo c’era.

  7. Va bene essere critici, ma nonostante tutto credo che la Semiramide di Bonynge sia un must per Sutherland e Horne fenomenali e deve essere conosciuta almeno per la loro presenza. Il resto non.È straordinario ma i tagli rendono accettabile il tutto perché limitano la durata di certe parti. In ogni caso recenti Semiramide integralissime non sono poi migliori a livello di cantanti.

    Dell’elisir decca io apprezzo moltissimo l’integralità (credo), Pavarotti e pure la Sutherland che è si un poco matronale, seriosa diciamo, ma canta divinamente ( i gravi non molto ma erano un suo difetto). Il cd vale il prezzo solo per l’aria della Malibran che è strepitosa con quella cascata di trilli e coloratura. Il baritono non lo ricordo così tremendo francamente (ma dovrei risentire) invece Malas è davvero orrendo. La direzione è elegante e precisa, magari non troppo vivace quello sì, ma sempre attenta a valorizzare e aiutare i cantanti che è una buona cosa.

    • Ninia, la Semiramide DECCA fu tagliata perché la registrazione doveva stare in tre LP altrimenti la casa discografica non l’ avrebbe fatta, temendo fosse difficile da vendere. Me lo disse personalmente Bonynge ad Asolo, dopo il concerto della Sutherland nel 1979

      • Ah ma quindi non è vera la storia che Bonynge avrebbe detto una cosa del tipo che al pubblico non sarebbe ininteressata una Semiramide integrale ma veniva solo per sentire la moglie e l’Arsace di turno! Non ricordo dove l’ho letta… Forse Gossett? Chissà! Comunque mi pareva una cosa poco plausibil!

        • Ma figuriamoci! Bonynge era un profondo conoscitore di quel repertorio, mica come certi suoi maldestri epigoni, per i quali ad esempio Zelmira non sarebbe una partitura interessante solo perché finisce col rondò del soprano anziché con un’apoteosi corale e magari anche sinfonica :)

          • Ma infatti Tamburini mi pareva un’assurdità totale! Eppure qualcuno l’ha detta… Va tanto di moda parlar male di Bonynge!

            Io che sono di gusti bassi e semplici invece trovo Zelmira un’opera magnifica, direi sublime nonostante quella trama e quel libretto che però Rossini ci fa scordare subito :) Il rondò poi è un pezzo di bravura delizioso e utile per smascherare chi non sa cantare XD

          • Sì credo che in quegli anni Bonynge avrebbe voluto incidere una Semiramide integrale, ma la DECCA non lo capì e infatti gli diede un cast per metà da cestinare

    • Francamente quella Semiramide ha pregi (Horne, Sutherland e Bonynge) e difetti (tutto il resto, a cominciare da tenore e basso, così in male arnese che non trovo di peggio nella discografia del titolo).

      L’Elisir invece è proprio infelice, con una Joan totalmente fuori parte, Bonynge che scambia Donizetti per Gilbert & Sullivan e basso e baritono da denuncia (il Dulcamara peggiore di sempre). L’opera non è completa e l’inutile aggiunta dell’aria finale e tutto tranne che piacevole (allungando in modo improprio un finale che sarebbe perfetto, ma il buon senso soccombe ai capricci del primadonnismo). Si salva solo Pavarotti, qui al top.

  8. La lunga serie di interventi mi porta a proporre brevemente qualche riflessione su Toscanini. Sono troppo ignorante per scrivere del Toscanini direttore di sinfonica. Aggiungo che riguardo il melodramma ci sono titoli di Toscanini che vorrei sentire come don Carlos, Forza del destino, Lucia , Wagner, ma anche Gioconda, Iris e Fanciulla. Servirebbero a darci un’immagine più completa del direttore come a questo ufficio servirebbe il poter conoscere come dirigessero i maestri della generazione precedente tipo Campanini, Mugnone, Mancinelli sino a Faccio. Ma tutto questo non c’è e dobbiamo accontentarci aggiungendo che su Toscanini molta retorica e pubblicità si è fatta negli anni per celebrarlo. Come tutti i divi della bacchetta queste attestazioni gli piacevano e molto. Dopo di che stando a quel che resta a partire dal gesto chiarissimo e comprensibile per tutti a seguire con la coerenza nella scelta della dinamica e dell’agogica ( il che non significa affatto rispetto delle indicazioni dell’autore sopratutto nelle realizzazioni della vecchiaia) alla capacità di tenere e guidare l’orchestra siamo davanti ad un autentico maestro. Certo che parlando di Toscanini va anche detto che era, nel gusto, figlio del suo tempo (anche se il concerto inaugurale della scala ricostruita concede grandissimo spazio a Rossini, autore di cui non riusci mai ad eseguire proprio Mosè) , ma che lo era coerentemente come a solo titolo di esempio il rapporto con le varianti e tradizioni esecutive , che non solo rispettava, ma spesso esigeva ed imponeva ( vedi il la bem di Tonio al prologo o il si bem di Eboli tenuto e non toccato alla chiusa dell’aria o l’attacco di si vendetta). Questo fa di Toscanini , appunto Toscanini e dei suoi emuli degli emuli.

  9. Buon giorno. Desidererei sapere da Marianne Brandt se gli esempi musicali che ci propone al termine della sua recensione, che in buona parte condivido, siano da considerarsi tutti di riferimento e quindi positivi; oppure anche negativi, come ad esempio il primo (Pur ti riveggo) per la presenza di un tenore, la cui tecnica potremmo definire con un eufemismo “dilettantesca”. Grazie e un cordiale saluto.

    • ciao! ti anticipo la nostra brava Marianne. Spesso pubblichiamo anche casi di cantanti che notoriamente cantavano male per dimostrare che anche quelli possono essere stati migliori dei nostri divi. Non sempre pubblichiamo casi modello , spesso anche casi provocatori..

  10. Penso che dovrebbe essere assodato che Toscanini e Furtwängler erano due geni assoluti della direzione d’orchestra. Semplicemente, avevano due concezioni molto diverse dell’interpretazione musicale. E il giudizio negativo che ognuno dei due dava dell’altro è proprio espressione di questa diversità, che arrivava fino all’incompatibilità. Ma nessuno di questi giudizi può dare luogo a una diminuzione della grandezza straordinaria e dell’uno e dell’altro.

  11. A proposito di divi o presunti tali pompati dalla pubblicità, metodi di canto sballati propinati da insegnanti sballati etc. non so se molti dei frequentatori di questo sito hanno sentito (è terminata un attimo fa) su Radio tre la replica di una intervista fatta a Vickers 20 anni or sono da Stinchelli e Suozzo. Orbene il grande tenore, già allora, senza peli sulla lingua e senza mezzi termini, affermava:
    – io ho imparato a cantare con un maestro che mi diceva di non sforzare la voce; pur essendo in natura tenore drammatico, mi educava la voce al belcanto, facendomi eseguire arie del ‘700 e primo ‘800, niente parti pesanti, quelle sarebbero arrivate poi in modo naturale;
    – io ho esordito come Duca di Mantova, ho cantato Gianni Schicchi e Traviata, opere non certo da tenore drammatico e che sentivo poco mie ed intanto la voce si è evoluta e rafforzata;
    – adesso si crede che per sfondare nel mondo dell’opera basti la pubblicità; io ho studiato 6 anni al conservatorio, adesso c’è chi studia 1-2 anni e poi pretende di cantare, basta avere la pubblicità;
    – voci ce ne sono, ma ci sono tanti pessimi maestri che le rovinano usando metodi di canto sbagliati e sforzandole;
    – poi ci sono i responsbaili dei teatri che gettano nella mischia cantanti non ancora abbastanza maturi, compromettendone lo sviluppo…. se poi dopo qualche anno si rovinano, tanto ci sarà sempre qualche altro vincitore di concorso da usare; così si impedisce ai cantanti di maturare e di sviluppare la propria carriera nel modo naturale;
    – è sbagliato credere di poter buttare l’arte lirica alle masse; al massimo, se così si fa, non si fa arte, ma solo intrattenimento, che è quello che purtroppo vedo fare in tanti teatri; c’è chi vuole solo far soldi e li fa non con l’arte, ma con l’intrattenimento;
    – quando ho inciso Otello, la mia fortuna era di avere sul podio Serafin, grandissimo maestro che conosceva benissimo l’opera e le voci e sapeva dirigere;
    Questo diceva VIckers 20 anni fa.
    Cosa direbbe sentendo certi divucci odierni che cantano le sue parti di tenore (Sansone, Otello, Siegmund, José, Radames, Peter Grimes etc.)?
    A proposito: chi ha sentito ieri La barcaccia si sarà potuto “deliziare” con l’Otello di Alagna (giustamente pesantemente criticato dai conduttori), preclaro esempio di ruolo del tutto inadatto al cantante che lo esegue, decisamente buono, ai tempi migliori, in tutt’altro repertorio, ma che di Otello non aveva nulla.

      • a nino machaidze restano solo due splendidi occhi! e che una siffatta impostura venga applaudita ci dice, tristemente, che le orecchie del pubblico sono ormai foderate di materiale fecale! un tempo dopo il debutto (voce carina, ma acida e vetrosa se spinta) avrebbe chiuso bottega nel giro di una stagione adesso canta persino Thais e Luisa Miller. Ma credono quelli che la scritturano e propongono che si tratti di un Chiara, di una Tucci!!!!!

        • Ho letto proprio oggi che dovrebbe cantare Ines nel Vasco.da Gama di Meyerbeer con Alagna a Berlino… Povero Meyerbeer!

          Comunque il.successo della Nino è inspiegabile..
          Tra lei la Kurzak, la Peretyatko, la Aikin e co non saprei proprio chi salvare…

  12. Sono d’accordo al 100% con Donzelli.
    Io l’ho sentita domenica 15 nel Turco al Regio: pessima. Strillava e basta.
    Infatti durante l’opera di applausi se ne è presi pochi o niente. Solo alla fine (ma il pubblico torinese è fin troppo buono…) è stata applaudita perchè alla primadonna qualche applauso non lo si nega mai. Peraltro tutta l’edizione del Turco non funzionava.
    In primo luogo nei demeriti una messa in scena che faceva letteralmente pena. Ridicola, penosa, pacchiana, tutti i difetti del teatro di regia senza una cura minima della recitazione. Dire che c’era una comicità da Bagaglino sarebbe stato oltremodo offensivo per il Bagaglino! E il tutto non facera ridere per niente. In conpenso faceva veramente c…..re. Il soprano non ha fatto che strillare per tutt al’opera; il mezzo non si sentiva. Un po’ meglio gli uomini (niente di eccezionale, intendiamoci), ma anche loro penalizzati da una regia idiota e da un direzione non certo mermorabile, che non li aiutava a tirar fuori la verve rossiniana. Poi cachinni e battutine ridicole, con il baritono che interrompe l’aria del secondo tenore, roba che se l’avessero fatta 30-40 anni fa, sarebbe stata criticata come avanzi del pessimo gusto di un tempo, quando le opere rossiniane erano intese come buffonate! Qui non so se la colpa di tali casini sia da imputare al direttore o – immagino – al regista. Ma se anche fosse vero il secondo caso, allora il direttore avrebbe pur sempre colpa nel tollerarlo.
    A mio parere la cosa peggiore che si è sentita al Regio quest’anno (e la stagione finora mi ha soddisfatto ben meno che altre passate).
    Almeno nelle altre opere in mezzo a cose insoddisfacenti qualcosa di soddisfacente si poteva trovare (1 o 2 cantanti, la direzione o altro), qui proprio ben poco.
    Provate a vedere questa critica relativa alla stessa rappresentazione
    http://www.apemusicale.it/joomla/recensioni/17-opera/opera2015/1337-torino-il-turco-in-italia-15-03-2015
    io condivido totalmente.
    Povero Rossini!

      • Nota:: dal punto di vista fisico della Machaidze trovo magnifici non solo gli occhi.
        Veniamo al “Turco”.
        Recita di ieri: per la Machaidze freddezza alla prima aria ma applausi e “brava” sia alla 2^ che all’uscita finale, ma applausi per tutti, anche Siragusa ovazionato.
        Piu’ in generale, il 2^ cast (martedi’ scorso) batte il primo (di ieri) 5-0.
        Barbara Bargnesi mi e’ sembrata l’elemento piu’ debole del 2^, voce piccola che si spegneva in basso e, forzando per farsi sentire, un po strudula e sguaiatella in alto, nel complesso, pero’, complessivamente non sgradevole batte la Machaidze per ko tecnico. La Machiadize di emissione sguaiata e volgare, suono un po gonfio e urla in alto. Vincono ai punti i 4 protagonisti maschili, Vinco su Lepore, Romano su Bordogna e Taormina su Del Savio, piu’ misurati e corretti i primi; vince ai punti ma piu’ nettamente Edgardo Rocha su Siragusa. N.B.: nella recita a cui ha assistito Don Carlo di Vargas, pur essendo del 1^ cast mi risulta Rocha in sostituzione di Siragusa.
        La Korbey e Iviglio presenti in entrambi i cast. Inadeguato il 2^ ma soddisfacente la prima: come dice Don Carlo la voce e’ piccola ma l’emissione e’ piuttosto gradevole: prossimamente al Regio Enrichetta, Martha e Clotilde.
        Pulita, corretta e gradevole l’orchestra.

  13. Il fatto che una stroncatura siffatta sia comparsa su un sito i cui giudizi di solito sono molto più benevoli dei miei la dice lunga.
    Confermo che alla recita del 15 cantava (per indisposizione di Siragusa) Rocha, ridotto dal regista a rappresentare Don Narciso come un povero idiota (sarebbe più giusto dire co……e) sempre in imperbeabile. Peraltro il canto era decente, nonostante direzione e regia. Sono contento che almeno nel secondo cast si potesse sentire qualcosa di buono. Dal mio posto (centrale settore B) della Korbey si sentiva proprio solo un fil di voce.
    Per riallacciarmi a quanto scrive Danilo, devo dire che, giudicando una cantante dal solo punto di vista fisico, rispetto alla Machaidze, mi è parsa più apprezzabile la Piunti in Goyescas (soprattutto nella “mise” goyesca – nel senso di Maya desunda -in cui appariva all’inizio dell’ultima scena….), anche se, come giudizio finale, era meglio il vedere che il sentire….. La Machaidze (lo ripeto: strillava sempre) poi non è stata nemmeno ben servita dal regista, che l’ha messa su in scena in abiti a dir poco orribili (ma tutti i costumi erano orribili, così come le scene), rendendola scenicamente una specie di seduttrice da 4 soldi. Simili stracci avrebbero impacciato forse anche la Bellucci al meglio…
    Se queste sono le grandi regie che vengono dai grandi festival internazionali (Aix nel nostro caso), tanto meglio le messe in scena di casa nostra, come quella del Turco creata da Calenda per Bologna e che si era vista 10 anni fa a Torino; una messa in scena raffinata, divertente, intelligente, con scene e costumi splendidi, neanche da metter in paragone con la tavanata galattica di Alden.
    Speriamo che I puritani possano, almeno musicalmente (ché la regia è quella di Firenze già recensita in questo sito), essere migliori.

    • Comunque, anche della Bargnesi avresti sentito poco perche’ il volume, come dicevo, e’ limitato. Io ero in prima fila nel 2^ cast e in 2 ^ fila nel primo cast.
      La Machaidze si e’ sentita molto di piu’, purtroppo. Anche Siragusa si e’ sentito piu’ di Rocha, ma a queste condizioni preferisco sentire poco e meglio.
      Comunque sono piuttosto contento, come dicevo, di Marco Vinco e Marco Filippo Romano.
      N.B.: i biglietti del 2^ costano decisamente meno, mah.
      Non spererei troppo nei Puritani dove, rispetto a Firenze, non avremo nemmeno la Pratt ma comunque vedremo, forse Piazzola ma e’ in 2^ cast.
      Comunque, anche la Bargnesi e la Korbey sono fisicamente molto gradevoli.

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