Annuario pontificio berlinese – parte II. Fumata bianca.

topolino

A sorpresa, senza ulteriori preavvisi e annunci, i Berliner Phiaharmoniker, dopo la figuraccia del maggio scorso, hanno eletto oggi il successore di Sir Simon Rattle: l’onore e l’onere di guidare la più grande orchestra del mondo toccherà, dal 2018, a Kirill Petrenko.  Classe 1972, originario di Omsk, Siberia, Petrenko è un giovane dal talento non ancora compiutamente espresso (il suo Ring a Bayreuth – quello del bicentenario wagneriano – ha suscitato reazioni contrastanti). La sua nomina si inserisce nel percorso consueto dei Berliner: orchestra molto più agile e disposta a mutar forma e suono, lasciandosi guidare dal proprio direttore assai più della dorata routine dei Wiener e di quel che resta della Staatskapelle di Dresda dopo le cure non proprio entusiasmanti di Luisi e Thielemann. Da sempre l’0rchestra berlinese ha saputo puntare sulle nuove generazioni (fin dai tempi di Furtwaengler l’età dei direttori prescelti racconta una storia di fiducia nel progresso e un’apertura alla novità inconsueta nell’orizzonte un po’ stantio del sinfonismo europeo occidentale) in scommesse quasi sempre vinte. Ma la recente storia dei Berliner racconta anche una forte crisi d’identità, una perdita di appeal, anche in termini discografici e l’abdicazione al ruolo egemone conquistato soprattutto nell’era Karajan, almeno nell’esecuzione del repertorio classico tedesco (Mozart, Beethoven, Brahms e dintorni): il repertorio che più ha sofferto durante il “regno” di Rattle. Non stupisce, dunque, la scelta dell’outsider Petrenko in una rosa di candidati o troppo vecchi e consolidati nelle loro realtà orchestrali (se pure eccellenti come Jansons o Salonen) o troppo commerciali (come l’ormai lanciatissimo Dudamel). L’orchestra – che detiene gelosamente il suo potere di nomina – non si è neppure lasciata abbagliare dalle sirene dell’arruffa podi Thielemann che dopo Dresda e Salisburgo era accreditato a Berlino, in quota reazionari, nostalgici vari e conservatori ad oltranza: direttore troppo limitato nelle scelte di repertorio (che non si discostano troppo – se mi è lecita l’ironia – dalle linee guida della Reichsmusikkammer nella programmatica esclusione di tutto ciò che è seguito a Bruckner e l’ostracismo totale a quella che un tempo era considerata Entartete Musik), con alle spalle una delle più sgradevoli integrali sinfoniche beethoveniane che il disco tramandi ed una sintomatica tendenza ad imitare pedissequamente – ma fuori tempo massimo – i fasti di certa scuola tedesca d’antan. Neppure, tuttavia, pare aver preso in seria considerazione quei candidati che – secondo me – avrebbero davvero segnato un punto di rottura e una scelta coraggiosa, discontinua e musicalmente stimolante: Vladimir Jurowski e Daniel Harding. Aldilà delle legittime tifoserie i giochi sono fatti e certi pericoli scampati (si parlò insistentemente di un incarico a Dudamel o a qualche residuato come Barenboim – i più fantasiosi indagatori dell’incubo fecero pure circolare i nomi improbabili di Muti e Mehta, come se i Berliner fossero la filarmonica di Roccacannuccia, dato lo stato attuale dell’arte dei due). Non resta quindi che augurare a Petrenko un buon lavoro, auspicabilmente più sereno di quello del predecessore che mai trovò un vero feeling con l’orchestra (e che fu presto una delusione per tutti), nella speranza di una più compiuta maturazione che trasformi un talento ancora abbozzato in una certezza. Da oggi, in ogni caso, il mondo musicale tedesco – quello che conta davvero nella musica classica – è nettamente diviso in due fazioni e partiti diversissimi e opposti tra loro: Thielemann a Dresda e Salisburgo (e forse Bayreuth con la connivenza di Katharina Wagner) come immaginario campione di una pretesa tradizione storica; e Petrenko a Berlino in un’altrettanto fumosa concezione di “progresso”. Chi avrà la meglio? Ai posteri l’ardua sentenza…a noi la speranza di ascoltare buona musica (come a Berlino non accade da troppo tempo).

Post scriptum: l’ascolto, naturalmente è dedicato al più grande dei direttori incoronati dai Berliner, nella sua miglior esecuzione della Nona Sinfonia di Beethoven (quella del 22 marzo 1942), dove si sente il dramma della guerra e la tragedia della caduta di una civiltà. Per la cronaca – lo dico a chi pensa che ai Berliner ci si debba arrivare ormai col catetere attaccato e che non perderà occasione per criticare la scelta del neoletto perchè “troppo giovane” – che Furtwaengler divenne direttore principale dei Berliner a soli 36 anni, con alle spalle una breve gavetta in piazze di secondo piano…

L’ascolto:

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11 pensieri su “Annuario pontificio berlinese – parte II. Fumata bianca.

  1. Personalmente penso che la scelta di Petrenko sia molto molto buona. Concordo con il giudizio sulla discontinuità delle sue prove; d’altra parte, quelle buone le ho trovate davvero molto buone e quindi ad maiora.
    Certo sarebbe stato bello avere un Jansons (purtroppo la salute non è dalla sua e non gli permette di dividersi fra troppi incarichi; quindi bene che faccia il suo, che è davvero notevolissimo, dov’è); e, per mia predilezione personalissima, un Salonen (direttore grandissimo e sotto molti versi unico nel panorama attuale).
    Peccato che l’amore non sia sbocciato fra Sir Simon e i Berliner. Penso che Rattle sia un ottimo musicista (come tutti i grandi, quando le combina le combina grosse; però ha fatto anche molto di bello). Ma si sa: al di là della tecnica, della preparazione, del repertorio, ci vuole anche una scintilla che non sempre scocca.
    In ogni caso, in bocca al lupo a Petrenko.

  2. Una quindicina di anni or sono avevo sentito l’allor giovane e quasi sconosciuto Petrenko dirigere ottimamente con l’orchestra RAI di Torino Il cavaliere della rosa, in sostituzione del compianto Giuseppe Sinopoli, purtroppo deceduto poco tempo prima ed a cui sarebbe toccato, nella programmazione della stagione sinfonica RAI, il podio per l’opera straussiana. Anni dopo l’avevo sentite Mazeppa a Lione ed anche qui il risultato era stato altamente positivo. A Lione aveva diretto anche Eugenio Oneguin e Dama di picche, che non avevo sentito, ma mi si era detto che anche in questo caso aveva funzionato egregiamente. In ogni caso, auguri Maestro.

  3. Anche secondo me la scelta è molto positiva: non tanto per l’oggi, ma per il domani. Petrenko, come ho ricordato nel pezzo e come confermate nei commenti, è un direttore all’inizio della sua parabola artistica, senza una casa discografica alle spalle e i risultati – sino ad oggi – sono stati discontinui (il suo Ring, che non fu certamente pessimo come pure si è detto, non ha convinto). Ma credo sia giusto e normale. I Berliner, saggiamente, non hanno mai optato per scelte facili e convenzionali (di pura cassetta cioè), e hanno sempre prediletto direttori giovani o comunque al di fuori del giro più scontato. Hanno sempre scommesso sul talento e su una maturità da raggiungere insieme: al contrario di altre grandi orchestre europee (Wiener su tutti, ma anche la Staatskapelle di Dresda) i Berliner sono molto più disposti a farsi plasmare dal direttore che si trovano sul podio. Furtwaengler era giovanissimo quando fu eletto e non era certo arrivato. Karajan ne aveva 46 ed era da poco riemerso dall’ostracismo seguito alla II Guerra Mondiale, a causa delle sue adesioni politiche. Celibidache ne aveva 33 ed era un semisconosciuto. Abbado già 56, ma nell’ambiente non era per nulla accreditato. La politica gerontofila del grande nome è una fissa di Pereira e dei suoi simili. Ed è una strategia che non paga. Mai. Un direttore con una lunga carriera alle spalle non si metterà mai in gioco né sarà disposto a rinnovare il suo repertorio (basti l’esempio di Muti a Chicago con il valore pressoché nullo della sua presenza su quel podio: ad oggi infatti il Maestro partenopeo è uno dei direttori meno interessanti da ascoltare….del resto chi ha voglia di ascoltare sempre le stesse cose eseguite sempre nello stesso modo da 15 anni?). Ecco perché il nome di Jansons non era seriamente credibile: grandissimo direttore – uno dei più grandi – ma troppo in là con gli anni, a prescindere dalle condizioni di salute (elemento, a mio giudizio, non dirimente, come invece l’età). Stesso discorso per Salonen: non tanto per l’età, quando per una carriera già consolidata e indirizzata, fatta di scelte ragionate e di un repertorio non certo amplissimo.
    Su Rattle sono d’accordo con Lontanodalmondo: è un ottimo musicista e a Birmingham ha fatto grandi cose…purtroppo la scintilla coi Berliner non è mai scattata. Peccato.
    Sentiremo Petrenko: e già dal Ring di quest anno la sua lettura potrebbe essere più matura e compiuta.

    • caro duprez buone argomentazioni è vero, basta gerontocrazia e gerontofilia (prossime congiunte della necrofilia), ma credo anche che a Berlino come a Vienna, a Cleveland un direttore debba arrivare fatto e non da fare. Le prove davvero incostanti (pessime mi dicono alcuni nell’opera e non mi importa di Lucia, ma dei titoli wagneriani) lasciano qualche perplessità- Credo che un direttore fra i 45 ed i 55 abbia età ideale ed esperienza in dose giusta per condurre complessi davvero complessi come i Berliner. Poi se son rose fioriranno!

      • Secondo me, invece, proprio nelle grandi orchestre il direttore deve “farsi” per evitare quella sclerotizzazione tipica delle compagini con grandi storie alle spalle. Furtwaengler non era “fatto” quando divenne direttore dei Berliner, Celibidache era uno sconosciuto. Credo che un direttore tra i 35 e i 45 possa avere voglia, tempo e disponibilità a crescere con l’orchestra e costruire insieme il suono. Petrenko è un’incognita certo: il suo Ring non ha convinto, anche se alcuni momenti erano splendidi. CHissà…chi vivrà vedrà. Personalmente avrei visto benissimo Jurowski e in subordine Harding. Intanto però mi fa piacere non l’abbiano spuntata Dudamel (evidentemente la longa manus della DGG non ha saputo imporlo…), o Thielemann. Anche Nelsons secondo me era un buon candidato: più costante di Petrenko, ma privo dei suoi sprazzi di talento. Non credo, infine, che il rapporto con l’opera debba costituire un titolo di merito o demerito: è un’orchestra sinfonica che col teatro musicale ha rapporti perlopiù occasionali.

  4. Sto con tutte le vostre validissime considerazioni. Dopo i primi scandalosi nomi circolati mi pare che si possa guardare a questo direttore con un certo sollievo, per quanto riguarda il suo lavoro si vedrà, ma la quasi unanimità della scelta (123 voti su 124) è forse anche una buona partenza per il rapporto con l’orchestra. Ammetto di non conoscere molto bene Petrenko, ma da quel poco che ho seguito e a prescindere dalle eventuali doti (che potranno anche svilupparsi in futuro) mi risulta che Petrenko sia persona di grande modestia ed estrema riservatezza (raramente concede interviste), doti da non sottovalutare nel panorama musicale attuale, dominato da troppi direttori dall’ego ipertrofico

  5. Petrenko lo conosco per la direzione del suo Ring, 2013-2014, la registrazione del “Rheingold” da Santa Cecilia e la “Frau ohne Schatten” di Monaco.
    Bene, “Rheingold” a Santa Cecilia possiede una buona direzione, supportata da una ottima orchestra; i due Ring da Bayreuth possiedono un ottimo “Rheingold”, monumentale direi, un buon I atto di “Walkuere”, mentre il resto, oltre ad essere piatto, impersonale, monocromo, pesantissimo, grigiastro ha l’aggravante di stonature e scollamenti evidenti non solo tra golfo mistico e palco, ma proprio tra le varie sezioni dell’orchestra, insomma, pessimo davvero; l’opera di Strauss venne diretta bene, a livello del suono orchestrale, ma accusava ancora il problema della prevedibilità, della meccanicità e dell’impersonalità.
    Ho letto anche commenti non esattamente entusiasti della sua direzione della “Lucia di Lammermoor” con la Damrau.
    Magari nella sinfonica Petrenko possiede la giusta personalità, la precisione e la freschezza di un interprete che molti ritengono, impropriamente nell’opera a parer mio, rivoluzionario.
    E glielo auguro!
    Anche io avrei visto bene Jurowski e Harding, molto migliori e preparati di Petrenko secondo me e capaci di una ventata di novità non da poco.
    Thielemann, figlio di una gloriosa tradizione, non rivoluzionaria, ma in ogni caso gloriosa ancora oggi, invece sta bene dove sta, con la sua magnifica orchestra di Dresda.
    Non lo conosco nella sinfonica e non ho ragione per dubitare del tuo gusto di cu mi fido, ma conosco il Thielemann operistico, che avrà OGGI un repertorio limitato a Wagner-Strauss, con una fugace spruzzata di Verdi e Puccini (brutto ed evitabile l’approccio a “Cavalleria” e “Pagliacci”), eppure ha sempre diretto Janacek, Pfitzner, Weber, Humperdinck, Korngold, Marschner e li ha diretti, a parer mio, anche con un certo esito (probabilemente eccessivamente sontuoso nella “Frosch”, lo riconosco), dimostrando personalità, precisione musicale e gusto (antico? pazienza, non c’è nulla di male essendo probabilmente un suo preciso stilema interpretativo).
    A me piace, a te no e va bene così, ma entrambi concordiamo sul fatto che non sarebbe stato adatto ai Berliner.

    • Il giudizio su Petrenko per me è sospeso: è un direttore molto interessante, dalle evidenti potenzialità. Ancora da maturare e GIUSTAMENTE scelto anche per questo (secondo tradizione Berliner). Peraltro, dato che i Berliner sono e restano un’orchestra SINFONICA (di grande storia), non mi sembra corretto giudicare un direttore chiamato su quel podio in base alle sue frequentazioni operistiche (che restano, comunque, variabili), men che meno da una Lucia di Lammermoor…suvvia! Siamo seri. Il Ring di Petrenko era immaturo, certo, ma con momenti splendidi (come la marcia funebre o le prime due giornate). Ma, ripeto, non è con l’opera che si arriva a dirigere i Berliner.

      Quanto a Thielemann mi chiedo davvero in cosa possa piacere: è un direttore scontato, sempre uguale a sé stesso (che è la mera imitazione di una scuola oggi non più attuale: vedasi il disastro combinato con le sinfonie di Beethoven), con atteggiamenti francamente fastidiosi ed un repertorio limitatissimo. Dici che sta bene a Dresda…ok, ma come sempre l’orchestra, sempre splendida, ne guadagnerebbe con un direttore meno preoccupato a fare l’erede di Knappertsbusch. Thielemann è – rubo l’espressione, efficacissima – una specie di Muti “crucco”: sempre uguale a sé stesso, sempre con lo stesso repertorio eseguito sempre nello stesso modo. Come Muti si crede la reincarnazione di Toscanini (e la stampa glielo fa credere volentieri), così Thielemann si crede la reincarnazione della “sacra tradizione germanica”. Il risultato è che entrambi sono oggi i direttori meno interessanti da sentire. Entrambi sono precisi e saldi, ma basta questo? Basta un ritmo da banda risorgimentale per far Verdi? Basta gonfiare il suono e pestare sul freno per fare un grande Wagner?

      Francamente piuttosto della certezza d’una rottura di palle è meglio un salto nel buio…

      • Beh, io lo giudico in base a ciò in cui l’ho ascoltato, ovvero l’opera, e a Bayreuth la marcia non era nemmeno questo granchè nella sua grigia banalità.
        Se dovesse maturare mi farà piacere ricredermi. Anche per questo aspetto il suo terzo Ring dopo le delusioni delle due estati precedenti, sarà il suo ultimo ciclo a Bayreuth.

        Thielemann non lo trovo scontato, e anzi, credo che riesca a differenziare e colorare i momenti teatrali con piglio “crucco”, ma teatralissimo e variegato e non trovo esatto limitare Muti e Thielemann a capobanda o gonfiasuoni, andrebbero riascoltati entrambi con più attenzione.
        Essere erede di Kna o Furt lo ritengo un enorme complimento 😀

        • Insomma… Solitamente – e Muti e Thielemann rientrano nella statistica e non fanno eccezione – tali eredità vengono attribuite da ego ipertrofico, arroganza e stampa ignorante e facilona. Ho sentito Muti, ultimamente, ed è davvero inascoltabile: non perché sbaglia o dirige male, anzi, ma perché è così da 20 anni…sempre più retorico e accigliato. Così Thielemann. A me, ascoltare pallide fotocopie, fa solo innervosire. Aspetto con molta curiosità il Ring di Petrenko, mentre proprio non mi interessa il Tristan del Muti crucco… Peraltro se confronti Petrenko e Thielemann in Pfitzner si aprono mondi diversi.

          Ps: nonostante ciò che scrive la stampa (italica soprattutto), Thielemann e Furt non c’entrano davvero nulla…hanno approcci opposti all’opera musicale.

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