Ferragosto con TERESA BERGANZA E IL DECALOGO DEL BUON MUSICISTA

berganza2DISCORSO INAUGURALE PER I CORSI ESTIVI DELLA SCUOLA INTERNAZIONALE DI MUSICA DELLA FONDAZIONE “PRINCESA DE ASTURIAS” (luglio 2015)

Cari amici,

Ho voluto chiamare ciò che vi sto per leggere in questo momento il decalogo del buon musicista. Era qualcosa che agitava la mia mente e che dunque volevo scrivere: qualcosa di chiaro e diretto, una guida pratica su ciò che dovrebbe essere fatto e ciò che bisognerebbe evitare per riuscire a diventare veramente qualcuno nel mondo della musica. Non sono altro che sentenze trascritte con eleganza su un pezzo di carta che potrebbero essere appese sulla porta del nostro frigorifero. Qualcosa, insomma, di serio e incisivo che spero vi possa aiutare a diventare veramente qualcuno. Questo, cari amici, è ciò che oggi vorrei con voi.

Ho meditato a lungo su un concetto, una parola che potesse riassumere la mia esperienza di vita artistica e professionale. Alla fine ho capito che non vi erano molte alternative: bisogna essere umili. Ci sono troppe cose in gioco nella carriera per diventare buoni musicisti. Credo che la più importante sia proprio questa: l’umiltà.

Oggi, a carriera conclusa, ascolto ogni tanto i miei dischi – si, lo dico senza problemi, i miei dischi – e dico a me stessa “beh, non cantavo niente affatto male!”.

Durante questi lunghissimi anni di carriera ho studiato ogni cadenza, ogni coloratura ripetendo ogni gesto mille e mille volte. Ma dentro di me ho sempre saputo che quello non era il punto d’arrivo, che vi era un gradino in più da scalare e che avrei potuto fare molto meglio. Alla fine di ogni rappresentazione in teatro, dopo i fan, i fotografi, le ovazioni e gli autografi, io me ne tornavo da sola in albergo ripassando in mente lo spartito. Ogni volta riuscivo a trovare errori. Questo bisogno di superare me stessa, bisogno che neanche i più grandi elogi da parte dei più severi critici sono riusciti a smorzare, mi ha permesso di raggiungere le cime più alte.

In questo viaggio esistenziale vi sentirete molto soli. Attenti, attenti a non cadere vittime del gioco delle adulazioni! Prima saranno i vostri genitori, i vostri amici e i vostri maestri. Ma poi saranno i fan, gli agenti e le case discografiche. Avere sempre il proprio criterio di giudizio in una scienza così complessa qual è la musica, è assolutamente imprescindibile.

Vi prego, non ascoltate solo le belle parole! Cercate, cercate sempre coloro che vi guardano dritto negli occhi per dirvi la verità. Sono loro i veri, i migliori compagni di viaggio nelle vostre carriere!

Voltandomi verso il mio passato ricordo grandi momenti circondata da artisti e amici altrettanto grandi. Oggi, giorno dopo giorno, vedo sempre più mediocrità. La mediocrità inizia proprio quando non si riesce a comprendere il significato della parola “interprete”.

Noi abbiamo studiato e dedicato la nostra esistenza traducendo ciò che geni del calibro di Beethoven o Mozart hanno lasciato scritto secoli fa. Questa eredità è sacra! Con orgoglio posso dire di aver assistito e partecipato personalmente al recupero di opere di Rossini ormai dimenticate da anni. Tutti, dico tutti, dal direttore d’orchestra fino all’ultimo dei coristi, facevano il possibile per essere il più fedeli possibili al Maestro Rossini. Se una delle sue arie era già di per sé perfetta, quello che io dovevo fare era solamente interpretarla con tutta la sua bellezza innata e consegnarla al pubblico senza nessun tipo di inganno.

Mi stupisco sempre di più dell’attuale firmamento di stelle (stelle fugaci mi verrebbe da dire) che invece di lavorare con serietà pretendono di stupire il pubblico con i loro sogni di gloria che nulla hanno a che fare con l’opera che si vuole rappresentare.

Per quanto mi riguarda, confesso di essere particolarmente litigiosa ed irascibile con i registi. Non riesco a capire perché, per interpretare un’opera di Handel, sia fondamentale che la soprano venga fuori in bikini o che il suo amante broccoli con un efebo mentre gli serve un bicchiere di vino o che la stessa soprano, cantando “Oh quanto t’amo” al tenore, debba girarsi e dare una leccata ad un cono di gelato alla fragola… beh non riesco proprio a capirlo. Ed è pure meglio evitare di chiedere le motivazioni, i perché di queste scelte al genio del momento. Probabilmente non saprà dire nulla. Anzi, non avrà neanche letto il libretto. Un po’ di senno nell’opera non farebbe affatto male. Non mi pare che al Museo del Prado vadano a mettere un paio di jeans a un ritratto di Velazquez per rendere il quadro più moderno e avvicinare dunque l’arte ad un pubblico più giovane.

E qui permettetemi di fermarmi un attimo per una breve riflessione sulla pedagogia della musica. Tutti questi sforzi vitali che noi musicisti facciamo quotidianamente in una sala da concerto o in un teatro d’opera non avrebbero alcun senso senza un pubblico a cui rivolgersi. A mio modesto parere, affinché questo pubblico possa esistere, c’è solo una strada: educare l’orecchio fin dalla più tenera età alla musica , come materia stimolante e divertente, come parte fondamentale dei programmi didattici delle scuole. Solo lì si trova il futuro di un domani più vicino di quanto noi possiamo pensare.

Grazie a questa pedagogia potremmo così contare con un pubblico rigoroso e musicalmente colto. Ma allo stesso tempo, e quasi senza rendercene conto, riusciremmo a formare nuove generazioni che, amando la musica ed essendo capaci di ascoltare, potrebbero avere tutte quelle caratteristiche necessarie per migliorare, almeno in potenza, i valori della convivenza e della tolleranza, così vicini al mondo della musica. Siete voi, voi che state sulla scena nella fossa orchestrale, gli unici a poter salvare la musica da questa decadenza. Ma la maggior parte di voi tace. Non so perché: forse manca di autorità. O forse di neuroni.

C’è una distanza sempre più grande, e sempre più chiara, tra un vero musicista e un divo dell’opera. Ciò mi rattrista immensamente: non si può essere fedeli agli spartiti se non si è in grado di leggerli, di interpretarli. Dico questo per tutti coloro che qui rappresentano il mondo della lirica: studiate la musica in tutte le sue forme e materie. Solfeggio, armonia… sono tutti strumenti che vi aiuteranno ad acquisire con serietà quello che sarà il vostro ruolo sulla scena. Perché per essere in grado di trasmettere la bellezza e soprattutto per riuscire ad avere l’autorità neccesaria per pretendere l’eccellenza nell’arte, bisogna fondamentalmente avere due strumenti: la sensibilità e lo studio.

Per quanto riguarda la sensibilità, tutti i grandi che ho avuto l’onore di conoscere hanno avuto in un certo momento della loro vita il rifiuto dei mediocri. Questo succede, immagino, perché solo il vero artista riesce a trovare qualcosa anche dove non vi è nulla, sente emozioni intangibili per gli altri, soffre per ragioni assurde con la stessa facilità con cui descrive una commovente felicità cinque minuti dopo. Tutto ciò definisce un vero musicista, un grande artista.

Se qualche volta vi capita di sentirvi soli e incompresi, leggete le biografie di Beethoven, di Schubert, di Mahler. Sentitevi accompagnati da Goya, da Shakespeare, Cervantes. E non abbiate mai paura perché quando raggiungerete il vostro grado di sensibilità, sarete in grado di comprendere appieno le opere e far volare il cuore di chi ci ascolta.

Per quanto riguarda lo studio, io sono cantante. Molto probabilmente, il canto ha preceduto o comunque è nato assieme alla parola. Dunque, il canto è una delle attività più antiche dell’essere umano. Ma prima che cantante, ho l’onore di definirmi musicista, dal momento che il canto fa parte di questo grande mondo. Essere musicista è tanto naturale quanto difficil se lo si vuole essere veramente e profondamente. Essere musicisti significa vivere la musica. Non vuol dire vivere della musica o per la musica, ma, “semplicemente”, vivere la musica che è quasi come trasformarsi o essere la musica stessa.

berganza1Stia attento dunque colui che nell’estasi della creatività si dimentica dello studio e della tecnica!

Se vi sentite strani per la vostra sensibilità, farà ancora più male la solitudine dello studio e dell’esercizio.

Nella mia gloriosa carriera artistica c’è stato più tempo per lo studio che per gli applausi: giorni interi con una garza in bocca per far riposare la voce, ore di intenso lavoro per poi ascoltare il pubblico commentare la naturalezza e la facilità con cui raggiungevo il registro acuto o eseguivo una coloratura. Sono stata educata al lavoro, alla responsabilità e alla cultura per raggiungere sempre l’eccellenza. Spero solo di aver risposto adeguatamente a tanto sforzo ed affetto.

Quando cominciai a cantare, tanti secoli fa mi pare, il cantante non era altro che un musicista in più. La maggior parte di loro avevano prima imparato a suonare uno strumento e, ovviamente, conoscevano alla perfezione il solfeggio.

Per poter esigere sulla scena quella saggezza ed intelligenza di cui poco fa vi ho parlato, e pure come esempio ai politici che stanno costruendo il futuro dei nostri figli, noi cantanti dobbiamo essere esemplari.

Ed effettivamente, riflettendo sul come raggiungere questa esemplarità, che ci deve caratterizzare pure come esseri umani, visto che vi ho già raccontato la storiella della garza sulla bocca, vi racconto pure questa: ho trascorso anni comunicando con i miei figli e la mia famiglia con la bocca tappata da una durissima garza, così dura che quando la toglievo mi sembrava quasi di strapparmi la pelle. Parlavo con loro con una lavagnetta appesa al collo dove scrivevo “portami un po’ d’acqua”, “ricordati di pagare il giardiniere”, etc…. La solitudine e il silenzio, soprattutto i giorni prima del debutto, sono stati sempre essenziali non solo per le mie corde vocali, ma anche per il mio spirito.

Il rumore che aleggia su questo mondo è uno dei principali pericoli per un artista.

Le cose importanti si contano sulle dita di una mano. Ormai le notizie veramente importanti non hanno più spazio nei telegiornali: cinque morti in Europa contano più di mille in India, la fame che attanaglia il terzo mondo sembra quasi sparire di fronte all’arresto di celebrità e politici sorridenti. Ciò che è umano, la verità, non riesce più ad essere percepito dai nostri occhi di oggi. L’umanizzazione di questo pianeta è nelle vostre mani!

Nonostante tutti limiti e i nodi che i potenti mettono alla cultura, anzi la Cultura, è lì dove nascono la bontà, la bellezza e il vero amore. So benissimo che sarà davvero difficile per voi studiare, che le borse di studio diminuiscono sempre di più e che le persone che vi vogliono bene vi consiglieranno di iniziare un corso di laurea tradizionale che vi possa dare un futuro assicurato. A loro voglio dire che quando io ero giovane mai avevo pensato di arrivare così lontano. Ma quello che ho sempre saputo ieri ed oggi è che mai e poi mai sarei stata felice se mi fossi allontanata dalla cosa che amo di più: la musica.

Combattete per ciò che amate, perché, come solista, come corista, suonando il violino in un’orchestra, insegnando in un conservatorio o sviluppando nuove strade per la pedagogia musicale per i bambini, la musica vi ricompenserà sempre. Sempre.

Vorrei dedicare delle parole a coloro senza i quali non sarei mai diventata una buona musicista: i professori. Li avete qui, al vostro fianco, segnando i toni del vostro futuro come un diapason d’oro.

Durante la mia carriera ahimè non ho avuto tempo per l’insegnamento. Poi è giunta la ritirata, un momento speciale in cui non bisogna mai smettere di fare le cose con intelligenza e passione. Nella strategia militare, una ritirata fatta in tempo, nel momento giusto, è una vittoria. Allo stesso modo, nelle attività umane, soprattutto nel canto, bisogna sempre sapere cos’è la dignità del finale.

Ma poi ho capito che con la carriera non finisce mica tutto: si perdono delle facoltà fisiche ma non le conoscenze, la tecnica e l’esperienza. Tutto ciò, lo capirete col tempo, deve essere messo al servizio degli altri: trasmettere questi saperi e questi valori alle generazioni successive è un dovere oltre che una immensa gioia. Dedicarmi all’insegnamento mi ha dato grandissime soddisfazioni. Vedendo chiudersi la vita da cantante ho subito scoperto un nuovo mondo di esperienze e obbiettivi nuovi.

Per concludere questo discorso, e che ormai non riuscirà ad essere appeso alla porta del vostro frigorifero, voglio dire due parole a coloro che vengono qui a studiare canto. Com’è semplice cantare! Ma allo stesso tempo penso, com’è difficile! Nasce da un elementare impulso umano per poi modulare e cambiare all’infinito grazie allo studio, l’intelligenza e la sensibilità. Cantare è e allo contempo non è come suonare uno strumento, che in fin dei conti non è altro che una macchina. Nel caso del canto abbiamo a che fare con la nostra fisiologia, col nostro stesso corpo con cui riusciamo ad eseguire la più bella, intima, meravigliosa delle musiche. Non altro se non questo è il canto.

Il canto è costituito dalle doti naturale del corpo umano, da una solida tecnica e da una capacità d’espressione. Unendo nel migliore dei modi queste tre componenti essenziali, potremo raggiungere le più alte vette dell’arte e trasformare il canto il un momento di magia, sensibilità e bellezza.

Credo, molto sinceramente, di essere riuscita a raggiungere un alto livello vocale riuscendo a trasmettere agli altri bellezza ed emozioni. Vi chiedo dunque, come io ho fatto, di dedicarvi con attenzione ed affetto alla musica spagnola: a volte non riusciamo ad apprezzare col suo giusto valore lo sforzo di molti nostri connazionali che si sono dedicati alla musica in circostanze niente affatto favorevoli in una società non ancora disposta ad accettarli e riconoscerli.

La Zarzuela spagnola è ricca di grandissimi gioielli che meritano davvero di essere riscoperte e diffuse. Ho cercato sempre di cantarla e inciderla, circostanze permettendo. Ne è valsa la pena, senza dubbio. Si tratta di un repertorio musicale altrettanto affascinante anche al di fuori dalle pratiche musicali del teatro. Sono canzoni a cui mi sono sempre dedicata contribuendo nel mio piccolo a salvare dal dimenticatoio un patrimonio che ci appartiene, tanto importante come i monumenti e i quadri del nostro passato.

Spero, cari amici, di avervi dato la forza necessaria per andare avanti. Valori umani? Li avete già. Uscite fuori a condividerli con gli altri. E fate in modo che non ci tolgano mai il diritto di urlare al mondo che la cultura fa un popolo, che solo coloro che accarezzano la sua anima più profonda riescono ad offrire un baccanale ai sentimenti che rendono l’uomo libero.

Grazie.

(traduzione: Manuel García)

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2 pensieri su “Ferragosto con TERESA BERGANZA E IL DECALOGO DEL BUON MUSICISTA

  1. anche se forse un po’ fuori tema, vorrei riportare qualcosa detta da Paolo Terni (musicologo per chi non lo conoscesse, ahimè recentemente mancato) sulla voce

    “Voce come luogo della massima ambiguità, la voce non dice solamente le “parole” ma dice innanzitutto il fatto di essere se stessa. Un enigmatico, misterioso sistema di correlazione tra un individuo che cerca, che vuole conoscere e che così si esprime ed un luogo da conoscere, un oggetto della conoscenza raggiungibile solo attraverso una reale trasfigurazione. Quella stessa trasfigurazione che deve adoperarsi quando la voce passa dal parlato al canto ”

    Bentornata signora Giulia & Amici

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