Carta bianca ai lettori: Don Carlo de Vargas alla Carmen torinese.

CARMEN AL REGIO DI TORINO, OSSIA BANALITÀ, NOIA ED ALTRO ANCORA.

16_Carmen_01. Domenica 3 c.m. sono stato ad vedere al Teatro Regio di Torino la Carmen di Bizet, un’inutile Carmen di Bizet. L’opera era stata messa in scena, infatti, solo nell’autunno 2012 e, quindi, la sua riproposizione si sarebbe giustificata solo di fronte ad un’esecuzione di alto livello, che non c’è stata, dato che lo spettacolo è stato, sotto tutti i suoi aspetti, assolutamente mediocre, banale ed abbastanza noioso, degno coronamento di una stagione da considerarsi forse la peggiore degli ultimi anni.
Difatti, dell’Aida inaugurale si salvavano la parte orchestrale e corale, la messa in scena, il mezzosoprano ed il basso (che, senza essere eccezionali, in confronto agli altri sembravano la Cossotto e Siepi). Didone ed Enea è stato uno spettacolo complessivamente piacevole, e lo stesso dicesi dei Carmina Burana (nonostante qualche deficienza del reparto vocale), ma entrambi i titoli – essendo composizioni di circa un’ora di durata, se non meno – avevano il grave vizio di essere programmati da soli, senza che loro fosse unito un altro titolo sufficiente per raggiungere la durata di uno spettacolo lirico normale, il che è cosa tutt’altro che buona e giusta, ed anzi gravemente lesiva dei portafogli degli spettatori, che hanno speso i loro euro per acquistare il biglietto per un’ora circa di spettacolo, allo stesso prezzo dell’Aida o del Parsifal. Ma di ciò si dirà anche infra. La piccola volpe astuto è stata sicuramente lo spettacolo migliore della stagione, brava (oltre che decisamente molto carina) la protagonista, una buona direzione, una bella messa in scena, un cast molto affiatato, pur con alti e bassi, ma nel complesso uno spettacolo godibilissimo, con l’orchestra che si dipanava a meraviglia nella non facile partitura di Janacek. Pessima la Tosca, sotto tutti i punti di vista. Messa in scena inutile importata dal Giappone, in cui Daniele Abbado rimasticava, in molti casi letteralmente, una messa in scena torinese di più o meno una ventina di anni fa (le proiezioni erano le stesse). Cast sballato e gravemente insufficiente, soprattutto per la protagonista, del tutto inadeguata a fare Tosca; e difatti la Scala l’ha già scritturata come Butterly per Sant’Ambrogio. La donna serpente è stata una riproposizione assai interessante e lo spettacolo più stimolante della stagione, in particolare perché offriva la possibilità di conoscere un titolo noto ai più solo di nome e permetteva di omaggiare una grande musicista del novecento italiano come Casella, e, per di più, un grande musicista torinese, troppo poco eseguito, per le ragioni più varie (chi avrà mai il coraggio di riproporre, almeno come pura curiosità, “Il deserto tentato”, dato l’argomento ed il dedicatario della partitura?) Buona direzione, bella messa in scena, cantanti di vario livello. Del tutto inutile La Cenerentola, con un cast in cui brillavano gli elementi insufficienti (si salvavano risicatamente Lepore e, con la sufficienza, Siragusa, che al paragone degli altri sembrava un Blake od uno Jadlowker) a cominciare dalle protagoniste femminili che si alternavano; direzione decente, messa in scena importata dalla Svezia, ridanciana ed inutile. Niente da far dimenticare le precedenti edizioni torinesi dell’opera (con cantanti quali Valentini Terrani, Larmore, Dara, Blake, Spagnoli, direttori come Ferro e Campanella e registi quali Ponnelle, De Simone e Ronconi). Peggio ancora l’orrida Lucia di cui già molto si è scritto su questo sito, di cui si potevano salvare soprano e tenore. La messa in scena era di Michieletto – e questo basta già per far capire che era solo una vera immonda, vomitevole, schifezza, per cui l’unico aggettivo utilizzabile per definirla (e sarebbe fin troppo gentile) sarebbe quello che usa Dante nell’Inferno (XVIII, v. 131) per definire le unghie di Taide – e proveniva dall’Opera di Zurigo (con tanto di avviso “novità per l’Italia” come se si sentisse il bisogno di tali novità…) così come l’allestimento della Carmen, anch’esso contrassegnato dall’indicazione “novità per l’Italia” sul programma.
Evidentemente o l’opera di Zurigo ha fatto dei prezzi stracciati, o il novello direttore artistico del Regio ha una sua politica della scelta degli allestimenti, che richiama quella del non mai abbastanza non rimpianto Lissner, di cui era aiuto (ahinoi), dato che tali allestimenti io non li sceglierei per un teatro nemmeno se mi pagassero. Possibile che in Italia (o, in subordine, all’estero) non ci fosse qualcosa di meglio?
13_Carmen_02. Iniziamo dunque dalla messa in scena che pare essere la cosa più vicina al cuore del direttore artistico.
Per capirci: prendere una vecchia brutta, squallida, piatta e noiosa regia “tradizionale” da teatro di provincia, priva di idee e ricca di banalità, aggiungere qualche brutta, squallida, piatta banalità “alla tedesca” da teatro di regia, con le solite robe già viste più volte, usando brutti, squallidi, abiti moderni e non dell’epoca in cui è ambientata l’opera, metterci delle trovatine risibili che, a seconda dei casi, o fanno solo ridere o hanno un pronto effetto lassativo, ed ecco la regia di Carmen di tale Matthias Hartmann, illustre Carneade, che ci giunge da Zurigo.
Il sipario si apre su una piattaforma circolare a mezzo del palcoscenico (roba già vista un sacco di volte), che rimane per tutti e quattro gli atti. Nel primo atto c’è al proscenio un finto vecchio cane che dorme e che quando Carmen lo accarezza scodinzola, provocando risate nel teatro. I dragoni, vestiti a metà strada fra i Carabinieri ed I Vigili Urbani, arrivano portando un ombrellone ed una sedia pieghevole: quello sarà il corpo di guardia. Gesti ridicoli durante il coro. Quando arriva Micaela le levano il suo abitino blu, che mettono sull’ombrellone, lasciandola andare via per le strade di Siviglia in sottoveste bianca; poi lei recupera l’abito quando torna per cantare il duetto con José che, evidentemente, non si è accorto di nulla. Al momento dell’arrivo delle sigaraie piomba dal cielo una porta ed un’insegna luminosa raffigurante un sigaro la segue e si accende. Ecco le grandi idee! Per il secondo atto un palo della luce, un filo su cui stanno delle lampadine, poi arrivano dei tavoli e delle sedie. Per il terzo una gigantografia della luna sullo sfondo, qualcosa che non capivo se volesse raffigurare le montagne o delle rocce, e poi le merci di contrabbando. Ballettino di contrabbandieri durante il quintetto “Quant au douanier”. Tutto molto ridicolo. Al quarto atto al proscenio un teschio di toro su una cassetta e – incredibile! – un albero sulla piattaforma. Ovviamente nessuna sfilata della Cuadrilla (ma quando più la si riesce a vedere?), con il coro sul davanti che fa finta di vederla passare, con esti di vario genere. Entrano Escamillo e Carmen in abiti che paiono spagnoli (!!!), anche se lui non è vestito da torero. Poi le solite cose, Josè arriva, duetta con Carmen e la ammazza, senza che si veda nessuno a cui lui possa rivolgere il suo “Vous pouvez m’arreter”. Brutte, banali, squallide, noiose scene di Volker Hartmann, bruttissimi, squallidissimi, costumi di Su Bühler, del tutto privi di qualsiasi qualità estetica, che paiono presi a casaccio dalle bancarelle dell’usato di un mercatino rionale di quart’ordine.
07_Carmen_03. L’opera era eseguita nella versione originale senza i recitativi di Guiraud, ma con alcuni tagli, molto pesanti soprattutto nelle parti recitate (scelte del regista e/o del direttore dell’edizione zurighese che sono proseguite fino a Torino?). In particolare, fra gli altri, ridotto a zero il discorso fra José e Zuniga sulla fabbrica di tabacchi e le sigaraie, dopo l’Habanera, José non risponde alla domanda di Carmen su cosa sta facendo, tagli vari anche nel secondo e terzo atto, dove il duetto del duello fra José ed Escamillo è nella versione breve; nel quarto atto taglio di tutta la parte iniziale (coro n. 24 in partitura e dialogo seguente): si inizia direttamente con il coro “Les voici! Voici la quadrille” (che – come detto sopra – non si vede), taglio poi di tutte le battute da “Place, place au seigneur alcade!” all’inizio del duetto finale n. 26.
Orchestra e coro hanno suonato e cantato bene, more solito, ma l’opera è risultata moscia.
Responsabile di concertazione e direzione di orchestra il M° Asher Fish, che per le ultime due recite dell’opera (e quindi anche per quella di domenica 3) è stato sostituito dal M° Ryam McAdams. Stando così le cose non si può obiettivamente imputare con certezza a quest’ultimo il risultato finale, poco incisivo e banale, dato che deve presumersi che la concertazione è stata eseguita dal M° Fish.
L’inizio del primo preludio pareva promettere bene, ma poi è calata su tutta l’opera quasi una cappa plumbea di afa come quella che c’era e c’è su Torino e sul Piemonte in questo periodo. Non ho sentito errori dell’orchestra (vorrei vedere!), ma non c’era nulla che emozionasse, l’agogica e la dinamica erano da encefalogramma piatto. L’opera era del tutto priva di fuoco, sangue e sensualità.
4. La protagonista Anna Caterina Antonacci non è un vero mezzosoprano, ma un soprano corto e questo credo lo sappiamo tutti. Perciò è evidente che dove la partitura prevede che Carmen scenda più in giù di certe note ella era in difficoltà, talvolta risolte con una certa intelligenza (e non con i mezzi vocali), talvolta no, sì che alcune note le sono riuscite piuttosto male, mentre per altre ha trovato il modo di fingere di averle fatte. D’altra parte nemmeno gli acuti troppo spinti sono mai stati il suo piatto forte. Di positivo ho notato una tendenza a non involgarire il personaggio e ad evitare suoni sguaiati e frasi volgari; nel finale il “tiens” quando Carmen getta l’anello a José è stato (incredibile dictu!) cantato e non parlato o urlato in malo modo, anche se in qualche altra frase del duetto la sig.ra Antonacci si era discretamente rifugiata nel parlato. Il problema era che questa Carmen mancava di sensualità. Non so dire se fosse una scelta interpretativa della protagonista, del direttore o del regista (anche per Frasquita e Mercedes la sensualità era zero), ma così era.
11_Carmen_0Don José era il tenore Dmytro Popov, che incarnava una fattispecie di cantante oggi fin troppo facile a trovarsi: dotato di bella voce, notevoli mezzi naturali, ma tecnica non perfetta, sì che sembrava risolvere la parte solo con l’aiuto della natura e non della scuola. Partito abbastanza male, migliora nel corso dell’opera. Bell’acuto al termine della “fleur”, ovviamente a voce piena e non sfumato. Forse interpretativamente era ancora il più vario dei protagonisti. Nonostante non fosse affatto perfetto, al confronto dell’orribile Don José di Maksim Aksënov che si è sentito a Torino quattro anni fa, sembrava un Thill, un Corelli o un Gedda in stato di grazia.
Senza infamia e senza lode l’Escamillo di Vito Priante, un torero senza impeto e senza eccessiva personalità. La voce non risuonava imperiosa e sfrontata come ci si aspetterebbe ed appariva troppo piccola. Almeno non urlava e non sbraitava e non produceva suoni sguaiti. Tutto sommato il più corretto di tutti.
Suoni poco piacevoli, invece, li produceva la Micaela di Irina Lungu. Difficoltà di emissione e di appoggio, disomogeneità delle note emesse. Tanto per capirci: se uno ha presente la Micaela della Freni con Karajan, questa è proprio tutt’altra cosa. E pensare che Micaela non è Norma, né Isotta, né Abigaille! Non è difficile, per un soprano che abbia una voce piacevole ed un minimo di tecnica, affrontare la parte della giovinetta con la gonna blu e le trecce cadenti sulle spalle, cantarla decentemente e prendersi un sacco di applausi dopo l’aria del terzo atto. Qui invece non ci siamo affatto. Si tenga conto che la Sig.ra Lungu è stata scritturata per cantare Mimì per “La Bohème” inaugurale della prossima stagione e Mimì, pur non essendo affatto una parte impossibile, è più difficile di Micaela, vocalmente ed interpretativamente.
Mediocri, non esaltanti, gli altri, con le zingare Anna Maria Sarra e Lorena Scarlata un poco meglio dei contrabbandieri di Paolo Maria Orecchia e Luca Casalin, che la regia tratta come dei poveri pirla; pessimo il Morales di Emilio Marcucci. Al contrario davvero buono lo Zuniga di Luca Tittoto, decisamente una spanna sopra gli altri e per di più dotato di una vera bella voce sonora, forse quella che si sentiva meglio in sala di tutto il cast, assieme al tenore.
Teatro non pieno zeppo, come sempre accade nelle recite conclusive delle stagioni, ma con meno posti vuoti di altre recite di luglio, dato l’indubbio richiamo del titolo. Applausi, ma non troppi, la meno applaudita ovviamente la Lungu; più applauditi Popov e la Antonacci.
Come detto, per sintetizzare, spettacolo noioso, mediocre e banale, tutt’altro che memorabile. Quindi assolutamente inutile.
5. A questo punto conviene svolgere alcune ulteriori considerazioni sulla nuova stagione del Regio e sulle novità che gli abbonati si sono trovati in relazione ai settori della platea ed ai costi.
05_Carmen_0I titoli della stagione possono essere visti sul sito del teatro http://www.teatroregio.torino.it/stagione/2016-2017
La Bohème schiera un cast in cui capeggia la Sig.na Lungu come Mimì il che non ci fa ben prevedere, dopo averla sentita come Micaela. Colline è Vinogradov che aveva urlato, muggito ed abbaiato Raimondo nella Lucia di maggio, e nemmeno questo ci piace. Si spera in bene per il tenore Berrugi se è vero che – come si è detto su questo sito – ha tutto sommato ben figurato come Adorno alla Scala. Degli altri taccio non conoscendoli. Si può sperare una buona direzione da Noseda. Del tutto inutile mi pare la nuova messa in scena affidata al Sig. Ollé della Fura dels Baus per il 120 anni della prima dell’opera, anche perché questo mi sembra un anniversario ridicolo. Inoltre il Regio ha sempre la bella messa in scena firmata da Patroni Griffi nel 1996 che, fra l’altro, quest’estate verrà riproposta, con opportuni adattamenti, durante la tournée del teatro a Savonlinna. O che fosse troppo tradizionale per i gusti di squola (la q è voluta…) lissneriana del direttore artistico?
Si spera in qualcosa di buono per il Sansone, in primo luogo per la direzione di Steinberg, in secondo per la messa in scena di De Ana, a mio parere adattissimo per opere di questo genere, anche se il Regio aveva già un allestimento firmato Ronconi e Palli, semplicemente splendido. Causa certo un poco stupore vedere Kunde come Sansone se si pensa a quale era il suo usuale repertorio fino a qualche anno fa, ma se si pensa che ha cantato Otello, allora la cosa è meno strana; peraltro mi pare che Sansone non sia stato, storicamente, appannaggio solo di grossi calibri tipo Del Monaco o Vickers. Pregi e difetti della Barcellona sono noti.
West Side Story arriva in un pacchetto tutto completo per un così nominato “Progetto musical”, per cui nella scorsa stagione c’è stato “Cats”, fuori abbonamento e con prezzi non proprio popolari. Evidentemente quella dei progetti è un chiodo fisso della nuova dirigenza artistica, dato che ci sciroppiamo anche il “Progetto opera barocca” (da 2 anni, per cui ci siamo dovuti sopportare un non esaltante “Giulio Cesare” e sentire un piacevole “Didone ed Enea”) ed un “Progetto Janacek-Carsen”, appena iniziato.
Sicuramente apprezzabile l’idea di riproporre al Regio, dopo tanti anni un’opera così popolare come “Pagliacci”. I nomi previsti per direzione e regia (Luisotti e Lavia) sono nomi illustri ed il bozzetto che si vede sul sito del teatro dovrebbe rassicurare. Sartori, pur non essendo un mostro di finezza, potrebbe fare un Canio più che accettabile. Frontali è un buon baritono, di un livello decisamente superiore a tanti che sono oggi in giro; ho dei buoni ricordi di lui come Posa e Rigoletto, quindi dovrebbe non avere troppi problemi con Tonio. Erika Grimaldi, cui la Desdemona affrontata due anni fa stava troppo larga, dovrebbe essere adatta a Nedda. Discutibilissima è la scelta di proporre l’opera da sola, anche se dura solo poco più di 70 minuti, invece di abbinarla con “Cavalleria rusticana”, come da tradizione e come si è fatto nel ’90, o con un altro titolo in un atto (in occasione dell’ultima edizione torinese, a “Pagliacci” era abbinato “Il nano” di Zemlinski). La cosa è già avvenuta nella passata questa stagione per ben due titoli (“Carmina Burana” e “Didone ed Enea”) ed è veramente da segnalare in negativo perché rappresenta un tentativo da parte del teatro di ricevere dagli spettatori una determinata somma a fronte della fornitura di un servizio quantitativamente minore di quello usualmente fornito per lo stesso importo, alla faccia degli obblighi di buona fede e correttezza che dovrebbero valere in materia contrattuale. Non ci pare che sia questo il modo grazie a cui il teatro può – giustamente vantandosene, di fronte allo stato economicamente disastroso di tanti altri teatri italiani – conseguire l’attivo di bilancio e di fidelizzare i suoi abbonati.
Con la Katia Kabanova continua il ciclo Janacek-Carsen di cui si diceva. Non conosco bene l’opera e non ho mai sentito i cantanti scritturati (anche se ho letto delle buone critiche su Didyk); se non erro la regia è quella già vista alla Scala. Perciò non mi pronuncio.
L’allestimento di Manon Lescaut è quello del Regio, assolutamente sfarzoso e tradizionale e, quindi, almeno si spera di vedere qualcosa di bello. Per il sentire è un altro discorso, in quanto sono dubbioso sulla Siri. Kunde come Des Grieux è l’ennesima sorpresa, ma non per chi ha sentito il tenore americano affermare recentemente più volte che, a questo punto della sua carriera, voleva togliersi la soddisfazione di cantare delle parti che non aveva mai cantato prima. In ogni caso lui sa cantare.
03_Carmen_0L’incoronazione di Dario di Vivaldi è un evidente omaggio ai fondi vivaldiani della Biblioteca Nazionale ed è l’opera che fa parte quest’anno del progetto opera barocca. Dei cantanti previsti la Mingardo era stata uno dei migliori nel noioso Giulio Cesare di due anni fa, gli altri non li ho mai sentiti. Dantone dovrebbe essere uno specialista del repertorio. I bozzetti che si vedono sul sito del teatro, che uniscono l’Iran attuale del petrolio alle statue persiane antiche, mi ispirano proprio poco. Non conosco l’opera. Potrebbe essere una vera scoperta, come una palla micidiale.
Il flauto magico è riproposto nello stesso bell’allestimento con cui era stato dato due anni fa. Si spera che la riproposizione dell’opera a così breve tempo dall’ultima sua presenza sul palcoscenico torinese non preluda ad un’edizione inutile come quella di Carmen. Speriamo in bene, dato che il direttore predicato è lo stesso Asher Fish.
Il Macbeth con cui la prossima stagione si dovrebbe concludere mi lascia assai dubbioso, sotto vari aspetti. In primo luogo, il protagonista annunciato Dalibor Jenis già non mi aveva convinto come Guglielmo Tell, quindi non so come potrebbe affrontare una parte onerosa come Macbeth (il re usurpatore scozzese nelle precedenti edizioni al Regio era stato interpretato da Bruson e da Nucci, scusate se è poco!). Anna Pirozzi, protagonista del secondo cast, nell’Aida inaugurale della stagione appena trascorsa si è dimostrata di molto migliore della Lewis protagonista del primo cast, ma non mi pare abbia una vera voce di soprano drammatico, quindi non so cosa potrebbe farle la Lady. Ho notevole timore di cosa potrebbe combinare Emma Dante con la sua regia.
6. Infine alcune considerazioni di natura monetaria. All’inizio della scorsa stagione il Regio aveva modificato il suo tradizionale modo di dividere i posti di platea in tre settori, A , B e C. I settori diventavano 5, oltre quelli a ridotta visibilità, ed il modo di individuarli diventava quanto mai macchinoso: ad esempio la fila 19 del vecchio settore B nei posti da 27 a 43 diventava del “nuovo” settore B, mentre i posti da 45 a 55 erano del “nuovo” settore D, mentre nella fila 20, immediatamente successiva, i posti erano in gran parte del nuovo settore C e per 1/3 del nuovo settore D. Intanto erano stati rinominati tutti i turni, facendo perdere ai turni speciali tutte le loro tradizionali denominazioni. In tale occasione qualcuno su questo sito aveva espresso il timore che tali novità portassero aumenti di prezzo a danno degli spettatori. Ciò si è avverato in particolare a danno di chi era titolare di abbonamento nelle prime file del vecchio settore B (che è stato assimilato alle poltrone delle ultime file e laterali del vecchio settore A), che si sono visti (parlo per i turni ordinari) aumentare il costo dell’abbonamento di ben 65 euro in una botta sola, da 585 a 650 euro, mentre gli aumenti per gli altri settori sono stati minori, a parte i posti del nuovo settore D già del vecchio settore C, assimilati a quelli ex vecchio settore B, con un aumento del costo dell’abbonamento di 55 euro.
E di fronte a questi aumenti si pretende di presentare recite brevi come quella di “Pagliacci” senza abbinamenti? La cosa sa o no di presa in giro nei confronti degli abbonati che, con la loro assidua presenza, sono quelli che hanno permesso al Regio di arrivare dove è arrivato nel panorama italiano ed internazionale, fornendo anche una sicura base economica a sostegno delle scelte artistiche del teatro?
O forse si spera di usare questi soldi per gli allestimenti da presentare come “novità per l’Italia” o per la programmazione di cicli e/o progetti più o meno pretenziosi?
Negli anni passati il Regio, senza tante corbellerie e pretenziosità, è riuscito a programmare delle stagioni solide, interessanti e di sicuro richiamo, unendo il grande repertorio a titoli meno noti, ma degni di interesse, che riuscivano pure essi a riempire il teatro (ad esempio “Sogno di una notte di mezza estate” e “Billy Budd” di Britten, “Assassinio nella cattedrale” di Pizzetti, “I diavoli di Loudon” di Pendereckj etc.) ed a fare aumentare il numero degli abbonati da un anno all’altro. Non vorrei che questa nuova politica abbia l’effetto contrario.

Don Carlo de Vargas

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7 pensieri su “Carta bianca ai lettori: Don Carlo de Vargas alla Carmen torinese.

  1. Domenica 26 giugno sono andato a vedere e ascoltare Carmen al Teatro Regio di Torino. Ho per ciò letto con interesse quanto ne è stato scritto qui, dato che, pur riferendosi ad altra data, riguardava i medesimi interpreti. Dato che le mie impressioni sono state molto diverse, mi è venuta voglia di scrivere a mia volta qualche riga. Procedo il più rapidamente possibile.

    La messa in scena mi è parsa suggestiva e coinvolgente, sia per quel che riguarda la “teatralità” contenuta dei gesti, sia per quel che riguarda l’atmosfera complessiva che scene, luci e costumi hanno saputo creare. Pazienza se Hartmann è un “illustre Carneade” (filosofo peraltro tutt’altro che insignificante, con buona pace di Manzoni): a me pare sia riuscito a trasmettere lo “spirito” di Carmen e farla parlare (anche) al presente, confermano che si tratta di un’opera davvero straordinaria, come Nietzsche aveva benissimo percepito.

    Concertazione e direzione del Maestro Asher Fish non mi sono parse esaltanti, ma decisamente
    buone e appassionate sì (peccato per i tagli).
    “Orchestra e coro hanno suonato e cantato bene”. Concordo, e assegnerei una menzione speciale al coro dei bambini, bravissimi sia come cantanti che come attori.

    I cantanti. Bravissima Anna Caterina Antonacci, la quale ha disegnato una Carmen che, a mio modo di vedere, non mancava affatto di sensualità, tutt’altro; certo, non è stata, la sua, una sensualità sguaiata, ma misurata e capace di trasmettere emozione; anche per questo ancora più coinvolgente. Che dire? una vera artista: canta benissimo è dà sempre il giusto peso scenico alla parola.
    Bravo anche Dmytro Popov: può darsi che, come leggo, abbia risolto la parte “con l’aiuto della natura e non della scuola”, ma l’ha certamente risolta positivamente.
    Vito Priante “senza infamia e senza lode”? Concordo: ha cantato in modo corretto, that’s all. L’avevo ascoltato un paio di mesi fa in Favorite a Venezia, e l’impressione è stata la stessa.
    Irina Lungu è stata una Micaela intensa e perfettamente calata nella parte. Non ho notato, nella recita alla quale ho assistito, le difficoltà che le vengono imputate, né ho ascoltato “suoni poco piacevoli”, tutt’altro. Ha cantano bene e con intensità, riuscendo a catturare il pubblico che, diversamente da quel che leggo a proposito della recita conclusiva, le ha regalato applausi meritati, pari almeno (talvolta superiori) a quelli riservati alla protagonista. L’ho applaudita anch’io, che non l’avevo mai vista in teatro; avrò l’occasione di riascoltarla in autunno in un Rigoletto bolognese, e la cosa mi fa molto piacere.
    Le zingare mi sono parse perfettamente nella parte, Anna Maria Serra, in particolare, sa utilizzare benissimo una voce naturalmente bella e non mi dispiacerebbe ascoltarla in parti più impegnative.
    Risultato alterni, ma non disprezzabili, quelli ottenuti dai comprimari.

    Un saluto cordiale a tutti e grazie per l’ospitalità.

  2. Premetto che non ho visto lo spettacolo e che ho solo ascoltato una registrazione, ma non voglio entrare nel merito di tutto perché mi pare che Don Carlo de Vargas sia stato più che dettagliato.

    Intervengo per dire due parole sulla Antonacci. Che sia una “vera artista”, suppongo inteso in senso interpretativo, lo lascio alla sensibilità di ciascuno perché per me questo è un fattore soggettivo, ma dire che canti benissimo è assolutamente inacettabile. Una voce in natura più che modesta, sorda sotto, corta e alla come mi viene mi viene sopra perché la tecnica è sempre stata deficitaria… una voce del tutto paragonabile a quella della Gasdia per peso e colore solo con una furbizia diversa giacché, resasi conto che gli acuti non li sapeva fare (la paura le si leggeva sempre in volto quando era il momento), si è poi spacciata per una sorta di mezzo acuto. Peccato che sia sempre inadeguata a cosa canta, si tratti di Berlioz, di Rossini o di Bizet. In Italia non fece questa gran fortuna (le prove degli esordi come la Pietra del Paragone, poi i grandi ruoli tragici sono semplicemente pessime… salvo forse le prime Ermioni nonostante i soliti problemi, ma solo perché la concorrenza in pratica non c’era) e allora andò all’estero dove è stata incomprensibilmente divinizzata. Da allora in Italia continua a cantar poco, anche perché la voce è ridotta a un lumicino, e continua forse ancora a piacere poco, ma per il solito senso di inferiorità culturale (inferiorità che c’è, ma certo non in tutto) è diventata gran moda esaltarla anche qui… mai per la voce, ovviamente, ma perché è una bella donna, una vera artista, un juke box emozionale.
    Mi viene da sorridere quando parlando di Carmen o altri ruoli si dice che la Antonacci è signorile, mai sopra le righe, evita sbracature, è misurata. Il motivo è semplice: con quello che le rimane di voce e tecnica non potrebbe permettersi assolutamente nulla di tutto ciò.

    • Quello che dice sulla voce della aca e’ vero. Ma va detto pure che risolve con eleganza i ruoli, grazie alla innegabile avvenenza e a un certo fascino. In questo e’ certamente una artista. Il problema è che con poca voce e il solo fascino non si ottiene molto. A questo punto preferisco la Carmen di lucianona d intino, che non c azzecca nulla col personaggio, ma ha ancora tanta voce.

    • Che vuol dire “inferiorità che c’è”? Con questo dogma, secondo il quale nel resto del mondo sono sempre più colti ed intelligenti di noi, abbiamo mandato a scatafascio i teatri d’opera, e non solo quelli.

  3. Concordo con tutto quanto espresso nel post, anche per i vari aspetti che esulano la Carmen (stagione passata e futura, prezzi degli abbonamenti, ecc).
    Dal 1996 ad oggi si sono succedute varie Carmen al Regio, nessuna indimenticabile, ma questo era l’allestimento più insulso, soprattutto nel primo atto. Ma i registi leggono i libretti? Anche solo di sfuggita, per carità! Almeno la Carmen di Bieto era interessante, sensuale; era dissacrante, ma c’era un pensiero dietro. Qui nulla. Solo il III atto si salva, ma per meriti estetici.
    Sono stato un (tiepido?) ammiratore della Antonacci in passato, ma nello stato in cui è oggi, non può emozionare. Ha la testa ma le manca la voce. Certo, da scottiano quale sono, benissimo che fraseggi, che scandisca le parole come ormai non fanno più, che abbia un’ottima (pur se non complete te perfetta) pronuncia francese, però almeno un terzo del ruolo lo ha parlato e basta. Facendo tutta una serie di contorcimenti (cambi di emissione, diminuendi, ecc) anche all’interno della stessa frase, per mascherare le difficoltà ottenendo sempre un risultato decente (a volte mi chiedevo: e adesso dove andrà a parare così?? Si spezza…ma lei cambia l’imposto e si slava!). Poi, se dal vivo non era sempre percepibile, dall’ascolto in radio era impietosa la ripresa di un’intonazione spesso fuori fuoco. In queste condizioni l’intelligenza e il magnetismo, il carisma scenico che pure ha, non possono portare a un risultato da delirio.
    Sono contento anche di leggere qui commenti interlocutori sulla Lungu: la voce più presente in sala, tanta rispetto agli altri, e molto applaudita alla mia recita: ma qualcosa non mi ha convinto.
    Priante almeno canta bene.
    Teatro con molti posti vuoti alla mia recita (il 1 luglio sono tutti in vacanza??) ma se non è nazional-popolare Carmen…che dovrebbe succedere per Katia Kabanova?
    Qualcuno in sala suggeriva che finite le scuole il teatro non si riempie più con le scolaresche; spiegazione che avrebbe un senso considerando parte del pubblico delle altre serate.
    Vedremo cosa ci riserverà il prossimo anno! Saluti

  4. Fine anni ’80 (mi pare nell”88) avevo una Carmen diretta (in modo tutt’altro che memorabile) da S. Baudo. L’orchestra (che non era certo ai livelli dell’attuale ma molto più in giù) ci aveva dato del suo per rednere la parte orchestrale assai discutibile. Per lo meno sul piano vocale le cose erano soddisfacenti dato che come Carmen si alternavano la Valentini Terrani e la Mueller-Molinari (era lei carmen alla recita cui avevo assisstito), Micaela mi pare fosse la Sighele, Lucchetti Don José e Zancanaro Escamillo. Messa in scena tradizionale con scene e costumi più che accettabili e regia con alcune trovate “ingenue” che potevano muovere al riso: ricordo in particolare un pupazzo di neve trasportabile che veniva portato in scena al terzo atto…
    Dopo questa ho sentito altre tre Carmen (non ho sentito quella del 96, ma non me ne hanno parlato in modo troppo entusiastico), ma di voci paragonabili a quelle di quasi trent’anni fa non ne ho sentite.
    Della prima Carmen al nuovo Regio, quella diretta verso il 74 -75 da Maag avevo letto una critica di Celletti che giudicava idiote certe idee del regista circa la recitazione dei personaggi. Peraltro credo che dal punto di vista di scene e costumi dovesse essere stata in assoluto la più bella di tutte, dato che la messa in scena era quella famosa del’Opèra di Parigi con bozzetti e figurini di Lila De Nobili.
    Passando di palo in frasca, mi pare interessante la stagione concertistica della filarmonica del regio. Vi sono alcuni titoli intriganti, assieme ad altri grandi classici.
    http://www.filarmonicatrt.it/stagione/

  5. Non mi esprimerò sulla Carmen di Torino, perché non ho visto lo spettacolo, ma ho letto la recensione con i rispettivi commenti e ascoltando gli interpreti “storici” ho scoperto che di Don Jose’ bravi ce ne sono stati molti,
    per non parlare della Carmen dall’Arena di Verona che riunisce quattro grandi insieme, così come se niente fosse, anche se avrei preferito Mirella Freni nel ruolo di Micaela. Tornando all’oggi direi che mettere in scena una Carmen è certamente un’impresa difficile visto l’attuale panorama canoro e nessuna regia sensata o avveniristica potrà mai rendere lo spirito di un’opera così complessa se latitano gli interpreti giusti, perché l’opera è fatta di voce e podio. Mi chiedo spesso se qualche addetto ai lavori fa mai il giro dei nostri conservatori per scovare giovani talenti.

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