Orlando di Haendel a Ferrara.

orlando_furioso_46Primo appuntamento di spicco della stagione concertistica di Ferrara Musica è stata la proposizione, in forma oratoriale, di Orlando di G. F. Händel, nell’ambito delle celebrazioni per il quinto centenario della prima edizione del poema ariostesco. Merito dell’istituzione estense è stato quello di convocare per l’esecuzione il complesso The English Concert, dal 1972 specializzato nel repertorio barocco e classico e impegnato, in queste ultime stagioni, nel proporre ogni anno un titolo del copioso catalogo del compositore di Halle. In una sala scarsamente popolata, in cui spiccavano più che altro spettatori sonnecchianti (e in qualche occasioni russanti) e altri così entusiasti (o più verosimilmente confusi) da partire con gli applausi prima della conclusione delle arie (sciupando, nel dettaglio, il postludio dell’aria del sonno al terzo atto, con il passo affidato alle viole), l’esecuzione ha evidenziato luci e ombre, anche se il bilancio complessivo può ritenersi positivo, anche in considerazione dei tempi (magri, anzi, di carestia) che corrono. Harry Bicket, dal 2007 direttore stabile dell’ensemble, attività cui affianca una regolare carriera (in un repertorio anche differente) in teatri quali Metropolitan e Covent Garden, dirige al cembalo l’opera in versione pressoché integrale: il taglio di due sole arie (quella di Orlando “Già lo stringo, già l’abbraccio” e la successiva di Angelica “Così giusta è questa speme”, rispettivamente alle scene III e IV dell’ultimo atto), soluzione che turba, seppur in misura marginale, l’equilibrio musicale e drammaturgico tra le diverse parti solistiche, è verosimilmente dovuto all’esigenza di concludere il concerto entro la mezzanotte. Più ancora che per la quasi integralità, la lettura di Bicket risulta apprezzabile per la varietà e pertinenza dei colori orchestrali e per la scelta di dinamiche e agogiche non forsennate né esasperatamente lente, come spesso capita con i complessi specializzati nel repertorio settecentesco. Orlando è opera eroica solo di nome, l’argomento e soprattutto il trattamento dei personaggi (con la significativa eccezione del mago Zoroastro) rimandando decisamente all’opera pastorale, quando non a quella comica. Solo il delirio di Orlando (scena XI del secondo atto) è un passo autenticamente tragico, e proprio in questo punto, complice anche l’insufficiente prova del solista (di cui diremo) la direzione non è in grado di cogliere lo scarto rispetto al resto dell’opera, nonché la novità di una scena (sviluppata prevalentemente in recitativo accompagnato) in cui Händel di fatto anticipa le grandi scene di delirio del melodramma proto ottocentesco, a partire da quelle rossiniane (caratterizzate da analoga doppia combinazione di arioso e aria). Per il resto, la tensione drammatica risulta adeguatamente sostenuta e non si rimpiange troppo l’assenza della componente scenografica, pure importante in un’opera parzialmente a soggetto magico-fantastico, con molteplici “mutazioni” e precise prescrizioni rispetto ai movimenti e alle “macchine” richieste. Quanto agli strumentisti, danno ottima prova di sé soprattutto nelle arie languide e patetiche (menzione speciale al primo violino Nadja Zwiener, che si mette in luce soprattutto alla chiusa della prima aria di Medoro, e alle viole alla già citata aria del terzo atto), mentre qualche limite affiora nei brani brillanti (i corni naturali al primo assolo tripartito di Orlando “Non fu già men forte Alcide”). Tra le voci la più importante risulta quella di Sophie Junker, che nei panni della pastorella Dorinda sfoggia un mezzo più ampio della principessa Angelica, al netto di un’emissione occasionalmente fissa (forse frutto della ricerca di un discutibile effetto “British”, più che di differenti problemi), ottima dizione (al pari degli altri solisti) e il giusto mélange di freschezza e malizia. Meno brillanti Diana Moore (ingolato Medoro, che imita i vezzi o per meglio dire i malvezzi di Anne Sofie von Otter) e soprattutto Erin Morley, voce di soubrette in una parte pensata per una grande primadonna (Anna Maria Strada del Pò), che richiede saldezza al centro e primi acuti luminosi e sicuri. Matthew Brook sembra più un tenore che un autentico basso (difatti in prima ottava c’è ben poco) e l’emissione è tutt’altro che esemplare, ma l’agilità è discreta (anche qui, rapportandola ai “capi d’opera” attualmente applicati a questo repertorio, non solo in questa corda) e gli acuti abbastanza sicuri. Iestyn Davies ha tutti i limiti del controtenore applicato a una parte da autentico contralto maschile: suono ovattato in basso, chioccio al centro e in acuto, agilità faticose e occasionali slittamenti d’intonazione, man mano più evidenti nel corso della serata. Il gusto risulta, se non altro, castigato.

Gli ascolti

Haendel – Orlando

Atto I

Se fedel vuoi ch’io ti creda – Lella Cuberli (1985)

Se fedel vuoi ch’io ti creda – Valerie Masterson (1985)

Atto II

Non potrà dirmi ingrata – Valerie Masterson (1985)

Verdi piante, erbette liete – Lella Cuberli (1985)

Verdi piante, erbette liete – Valerie Masterson (1985)

Atto III

Così giusta è questa speme – Lella Cuberli (1985)

 

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3 pensieri su “Orlando di Haendel a Ferrara.

  1. Non ne abbiamo mai parlato ed al di la del nome (spesso associato a quello più famoso della Ferrier) ben poco sapevo sino a quando ho raccolto il tuo invito e mi sono messo ad ascoltare. Impressione è che non sia una vera voce di contralto perchè il colore è chiaro o comunque non ricorda quello dei contralti tipo metzger e schumann-heink quanto eseguono ad esempio erlkoening. Rispetto alla Ferrier sale meglio anche se il suono mi sembra un poco in alto perda smalto e vibrazioni

    • In effetti anche secondo me la voce è troppo chiara per pensarla contraltile. Grazie della risposta.

      Per tornare al presente, sicuramente sapete che a metà dicembre Mariotti dirigerà Werther a Bologna… attenderò con ansia la vostra recensione!

      Saluti

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