Il soprano pre Callas: Dame Eva Turner (1892-1990)

Quando si parla di Turandot e delle prime interpreti dell’opera il nome di Eva Turner (1892-1990), anzi dame Eva Turner è uno di quelli che i cultori della storia dell’interpretazione vocale ben conoscono. Eva Turner, inoltre, è una delle pochi cantanti anglosassoni, in uno con Margareth Sheridan (1889-1958) che abbia avuto una ragionevole carriera italiana e non limitata al personaggio della principessa pucciniana.
Nata ad Oldham nel 1892 studiò in patria con Don Roothman, che era stato il maestro di Dame Clara Butts e possiamo aggiungere che si sentì per tutta la carriera la solida scuola anglosassone perché gli acuti di questa Turandot anche quando impegnata in altri ruoli ebbero sempre un qualche cosa di fisso e, più in generale l’emissione aveva un certo che di rigido, che non sono della scuola italiana e poco anche della middleuropea, se pensiamo ad una cantante come la Nemeth, che era ungherese.
Ciò non di meno dopo un inizio di carriera come corista e, poi, come solista nella compagnia di Carl Rosa; approdò nel 1925 alla Scala ed una audizione con Toscanini le consentì di cantare nell’allora tempio della lirica Freia e soprattutto Sieglinde.Fu l’inizio di una grandissima carriera italiana in primis perché nel 1928 a Brescia, quando i teatri di provincia schieravano almeno sotto il profilo vocale cantanti grandi e grandissimi, magari offendo loro la possibilità di un debutto, affrontò per la prima volta il ruolo di Turandot. Aveva debuttato in patria al Covent Garden nel 1925 e nel massimo teatro inglese si esibì sino al 1947 in un repertorio da soprano drammatico o quanto meno lirico spinto i cui punti essenziali erano il tardo Verdi soprattutto Aida e Leonora della Forza (cantava anche quella del Trovatore) Tosca, Turandot e Santuzza e le parti wagneriane, qui, alternando le liriche come Sieglinde alle dramamtiche come Brunilde e Isotta.Siccome cantò di frequente, come accadeva allora tutti i soprani spinti Contessa di Nozze di Figaro, Donna Anna e Agathe del Franco cacciatore gli inglesi hanno sentenziato che era una stilista. Si presentò nel repertorio che le era più caratterizzante anche nei teatri del sud America e sino al 1935 circa in quelli italiani fra cui la Scala, il comunale di Bologna, reale dell’opera e il san Carlo. Chiuse al carriera nel 1948 e si trasformò in insegnate di canto dalla cui scuola passarono tutti i più importanti soprani spinti di area anglosassone come Rita Hunter e pure Kiri te Kanawa. Passava per un’insegnate molto severa. La risposta che inflisse a Gwineth Jones riferita a Turandot che suonava circa “non solo si devon avere gli acuti, ma si devono saper fare” rende bene il personaggio. Ebbe come altre cantanti vita lunghissima arrivando alla soglia del secolo.
Quando poi si passa agli ascolti sussistono ragioni di perplessità nei confronti di questa celebrata cantante. Ad alcuni ho già accennato ovvero agli acuti un poco fissi e più ancor alla voce che manca di autentico calore e di qualità timbriche. Erano anni quelli della carriera della Turner in cui anche i soprani di area tedesca o nord europea sfoggiavano timbri caldi, sontuosi e morbidi e dove certi difetti di emissione erano in parte attenuanti o controllati. Difficilmente cantanti come la Lieder, la Flagstad o la Ohms suoneranno fisse sugli acuti.
Ad esempio nelle pagine pucciniane, di cui oltre a Turandot, cantò spesso Tosca e Butterfly non sembrano mai esserci difficoltà vocali e l’interprete è sempre molto misurata, ma nel Vissi d’arte del 1926 manca di colori, di varietà di fraseggio, di vero abbandono ed il si bem conclusivo suona piuttosto fisso. Nella sortita di Butterfly sono bandite tutte le leziosaggini del personaggio di cui abusavano molte esecutrici coeve, la cantante la esegue con facilità, ma la voce ha limitata duttilità e poche risorse di colori ed il rispetto delle dinamiche indicate da Puccini è parziale. Nell’aria “un bel di vedremo” , tratta da una esecuzione dal vivo del 1937 ovvero di una Turner quasi cinquantenne e dedita da tempo a Turandot, l’attacco uno scomodissimo sol è squadrato, nessuna magia e nessuna poesia, canta, ma la voce non colpisce per il timbro che è la risorsa delle Butterfly matronali quali una coetanea come la Rethberg e tempo dopo Renata Tebaldi e Leontyne Price. Facilissima la linea di canto, piattissima l’interprete. E le osservazioni si ripetono anche quando la Turner affronta una parte più pesante del dopo Verdi come Gioconda o la vocalità verdiana stessa, dove il facile superamento delle difficoltà vocali aiuta ad apprezzare dame Eva, ma non ad ammirarla. Ad esempio il Suicidio è misurato nello slancio, non è avaro di colori, è esente da cadute di gusto come “l’ultima croce del mio cammin” aperto e sbracato o gli acuti estremi ghermiti come in quegli stessi anni potevano praticare le cantanti italiane. Ma il contenuto ritegno di Giannina Arangi Lombardi, che in zona grave non era esente da difetti o lo slancio, magari incontrollato, di Bianca Scacciati si lasciano indietro questa Gioconda e di parecchie distanze. La cantante e, forse, l’interprete emergono meglio in Verdi e Wagner. L’aria del quarto atto del Trovatore dove nella sezione conclusiva la tessitura acuta e la frequente salita agli acuti (anche senza le varianti acute) mettono sempre in difficoltà le cantanti è eseguita con dizione chiara, buona dinamica (vedi la smorzatura di “conforta l’egra mente”) e se anche qualche acuto è vagamente fisso la cantante e la vocalista sono considerevoli. Ma la cantante solida e di buona scuola stenta a trasformarsi in interprete. Nel sogno di Elsa canta con estrema facilità, ma è stentorea e monocorde. Davanti a questa esecuzione del sogno una cantante dedita ai ruoli drammatici come la Flagstad stravince per mera dote timbrica, dote che è assente nella Turner, che canta senza slancio senza sentimento e che solo alla fine quando si decide a smorzare ed addolcire trova la cifra interpretativa propria e del personaggio. Quando poi arriviamo a Turandot, il ruolo di cui la Turner con la Scacciati e la Nemeth fu esclusivista sino al 1935 circa , ovvero ante Gina Cigna si ammira la facilità del canto, ma non lo straordinario mezzo della “bianchina” o l’accento davvero percussivo di Frau Nemeth. Mi sia consentito un perfetto prodotto del gusto anglosassone in fatto di vocalità.

Giacomo Puccini

Turandot

Atto II

In questa reggia (1928)

In questa reggia (con Dino Borgioli, dir. Stanford Robinson – 1938)

Tosca

Atto II

Vissi d’arte (1926)

Madama Butterfly

Atto I

Ah! Quanto cielo, quanto mar!…Ancor un passo or via (con George Hancock, dir. Stanford Robinson – 1938)

Amilcare Ponchielli

La Gioconda

Atto III

Già ti veggo immota e smorta (1926)

Atto IV

Suicidio (1926)

Pietro Mascagni

Cavalleria rusticana

Voi lo sapete, o mamma (1926)

Giuseppe Verdi

Atto I

Ritorna vincitor (1926)

Ritorna vincitor (1928)

Atto II

Gloria all’Egitto (1926)

Atto III

Qui Radames verrà…O patria mia (1926)

Guy d’Hardelot

Because (1926)

Sometimes in my dreams (1926)

Ralph Vaughan Williams

Serenade to Music (1938)

Un pensiero su “Il soprano pre Callas: Dame Eva Turner (1892-1990)

  1. La Turner a Torino, fine anni ’20, era stata Leonora nella prima esecuzione locale del Fidelio diretta da Marinuzzi,
    Negli anni ’30 aveva poi partecipato, come Sigliende e Brunilde, alla Tetralogia diretta da Busch (poi sostituito da Erede), assieme a Rossi Mirelli e Fagoaga.
    Un vecchio signore melomane che li aveva sentiti quando, allora, era studente universitario, se ne ricordava ancora e me ne parlava negli anni ’90. Soprattutto ricordava il Sigfrido di Fagoaga e proprio la Turner.
    Incidentalmente: mi aveva raccontato anche di una Lucia con la Toti e Pertile…. roba che, nel bene e nel male, oggi ci si sogna. In compenso abbiamo avuto la Lucia “di” Michieletto ….
    vomito… terrore… raccapriccio….

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