Sorella Radio – Maria Stuarda a Roma. “Meretrice, indegna, oscena” o “frasca, sciocca, impertinente”?

Stuarda RomaE’ andata in scena in questi giorni la ripresa di Maria Stuarda al Teatro dell’Opera di Roma, in coproduzione con il Teatro San Carlo di Napoli, per la regia di Andrea De Rosa.
L’opera mancava a Roma dal 2006, quando vide il debutto nel ruolo del titolo di Mariella Devia, poi interprete di numerose riprese, compresa quella napoletana del 2010, dove è nata la produzione. La presenza di Mariella Devia è stata, in questi 11 anni, la ragione alla base di numerose riprese dell’opera, giustificate dalla volontà e dalla sicurezza tecnica dell’interprete, che nel ruolo dell’infelice regina ha trovato il personaggio vocalmente e drammaticamente a lei più congeniale della Trilogia Tudor.

La ripresa di queste opere si fa infatti solo in presenza di un’autentica primadonna che ne giustifichi la scelta, altrimenti si rischia di fare, come ampiamente dimostrato dalla recente produzione scaligera di Bolena, un buco nell’acqua. Nel caso di Stuarda poi le primedonne devono essere due, perché il ruolo della rivale Elisabetta I ha grande rilievo e necessita di una vera e propria virtuosa capace di tenere testa alla protagonista in termini sia vocali che d’interprete.

E’ forse inutile dire come le categorie vocali di entrambe le protagoniste sembrino ormai irrimediabilmente perse, atteso una volta di più che a vestire i panni della protagonista venga scritturato un soprano lirico leggero, categoria cui a Roma viene affidato anche il ruolo della regina rivale, ma vale forse la pena dire come sembrino essersi perse soprattutto le tipologie drammaturgiche, la caratterizzazione dei personaggi, ossia ciò che permetteva ad una voce sottodimensionata o modesta alle prese con un grande personaggio, di poterne rendere comunque caratteristiche vocali, psicologia, rango. E’ il caso di Beverly Sills, che grazie al proprio magistero tecnico è sempre riuscita a cantare e a fraseggiare nel modo giusto i personaggi della trilogia senza svilirne la regalità e senza soccombere al peso delle richieste vocali, pur in assenza della giusta tipologia vocale. Stesso discorso vale per Leyla Gencer, altra grande interprete dei tre ruoli.

Il ruolo di Elisabetta I è da sempre stato appannaggio di cantanti dalla diversa natura, voci importanti come Bianca Berini, voci di tipo Falcon come Shirley Verrett o la giovane Stapp, fino a veri e propri soprani come Marisa Galvany, Eileen Farrell e Pauline Tinsley. Cantanti diverse fra loro per natura e tecnica, alle quali non mancava però la capacità di saper fraseggiare e rendere la grandezza e l’autorità della regina inglese.

A Roma viene chiamata a rivestire i panni di Elisabetta I Carmela Remigio, la quale esibisce ancora un centro gradevole e apparentemente sonoro, ma dal colore schiettamente di soprano leggero, fattore questo che non costituirebbe un limite se l’accento riuscisse a discostarsi da quello dell’opera buffa o di mezzo carattere, rendendo di fatto Elisabetta I più vicina all’Elisetta del Matrimonio segreto che non al grandioso personaggio donizettiano, e gli esempi, in questo senso, sono numerosi, iniziando dalla cavatina, al duetto con Leicester, fino allo scontro con Elisabetta dove frasi come “Ov’è mai d’amor l’incanto” e il grandioso avvio del finale atto II, “Va’ preparati, furente”, sono rese in modo lezioso e bamboleggiante, degne della peggior Gruberova. Mentre nel terzo atto la cantante, a causa di una prima ottava sorda e vuota, non può e non riesce ad avere l’ampiezza e l’accento necessario a “Quella vita a me funesta”. Del personaggio si perde tutto perché in Donizetti e nei suoi contemporanei, mettere in scena un soggetto come Maria Stuarda vuol dire soprattutto mettere in scena due regine, e non semplicemente due donne innamorate dello stesso uomo che fanno le bizze come nel finale primo del Turco in Italia.

Con Paolo Fanale, alle prese con il personaggio del conte di Leicester, le cose non vanno meglio. La parte è cantata perlopiù sul forte, in modo muscolare, spingendo e forzando tutta sera, eludendo ogni possibilità di avere una linea vocale sfumata nelle tante scene dove Leicester è chiamato a cantare con nostalgia e una certa poesia. Esempio preclaro è la cavatina, scritta perlopiù sul passaggio di registro, cantata tutta di forza, rendendo impossibile ogni possibilità di fraseggiare ma anche vanificando i pochi passi vocalizzati della prima strofa e la possibilità flettere la voce quando sia richiesto di cantare piano, per culminare in una cabaletta dove la fatica produce un’alternanza di note spinte e falsettanti. L’interprete risulta migliore nel duetto con Elisabetta, ma sia al duetto con la protagonista che al terzetto il legato risulta piuttosto difficoltoso. Nell’affrontare il Belcanto ogni suono forzato dovrebbe essere evitato, pena l’impossibilità di rendere non solo la linea vocale, ma anche di caratterizzare la psicologia del personaggio.

La migliore in campo è dunque senz’altro Marina Rebeka, al secondo approccio con il personaggio della regina donizettiana, già debuttato in patria qualche mese fa. Marina Rebeka sembra musicalmente ben preparata e parrebbe anche più scaltra della collega nel camuffare la propria voce, di ascendenza chiaramente leggera, alle necessità della parte, con risultati alterni. Vi riesce bene ogni qual volta il personaggio può essere lirico e dolente, come al recitativo d’entrata e alla cavatina, così come nella seconda parte del Finale dell’opera (D’un cor che muore). Di Stuarda le manca però l’ampiezza e la saldezza tecnica che permette di affrontare le grandi arcate vocali e il canto di forza, come nella cabaletta Nella pace del mesto riposo, dove sarebbe richiesta una certa incisività di accento e dove anche la coloratura non risulta sempre precisa, cercando di sopperire con puntature un po’ avventurose. Viene risolta piuttosto bene l’invettiva, dove riesce a mantenere una linea vocale composta e ad evitare facili effetti poco eleganti. Al terzo atto invece, nella grande scena di confessione, la cantante risulta in difficoltà nella prima frase, “La perfida insultarmi anche volea nel mio sepolcro”, dove deve ricorrere al registro di petto per reggere la tessitura in prima ottava, cosa che si ripete identica a “volli un asil di pace ed un carcer trovai”, mancando inoltre di maestà e ampiezza al colloquio con Cecil e al successivo “Delle mie colpe lo squallido fantasma”, che rivelano impietose la natura leggera della cantante. Le grandi arcate vocali del duetto con Talbot le causano qualche difficoltà, a dispetto di un accento giusto e dolente e di una linea di canto che cerca di essere sempre composta e attenta, facendola arrivare stanca alla cabaletta, eseguita una sola volta, dove è in difficoltà nelle note tenute. Discorso analogo nella scena della Preghiera, cantata con attenzione alla linea vocale e ai segni d’espressione, ma inficiata, nella parte finale, da puntature acute incerte. Una buona prova di una cantante che sarebbe auspicabile sentire in un repertorio a lei più consono e meno pesante, contrariamente a quanto annunciato con titoli come Norma o Simon Boccanegra.

Come Talbot Carlo Cigni esibisce poco legato e linea vocale alquanto instabile, soprattutto al duetto con Maria, facendo così perdere la nobiltà del personaggio. Migliore Alessandro Luongo nei panni di Cecil, affrontato in modo efficace.

Paolo Arrivabeni porta a termine la serata con mano sicura, accompagnando i cantanti con tempi quasi sempre veloci, dove possibile, senza delineare però il clima vuoi grandioso vuoi maestoso e lugubre di alcune scene dell’opera, come la scena del carcere al terzo atto o il coro che apre il finale, “Vedeste? Vedemmo”.

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12 pensieri su “Sorella Radio – Maria Stuarda a Roma. “Meretrice, indegna, oscena” o “frasca, sciocca, impertinente”?

  1. La Remigio da un punto di vista teatrale e’ stata bravissima, ma in teatro l’entrata in scena della Rebeka e della sua voce corposa e morbida, dopo mezz’ora di Remigio, ha fatto veramente sensazione. Non c’era paragone. Fanale per me terribile. E non e’ il primo. Quest’anno all’Opera di Roma ho ascoltato delle voci maschili francamente imbarazzanti. Alcune erano sostituzioni dell’ultimo minuto, quasi, ma altre erano proprio in cartellone dall’inizio.

      • Infatti. Ho ascoltato sia la Sills che la Gencer è dire che ciascuna a modo suo sia stata una grande Stuarda sarebbe ovvio, ma di fatto è così. Sinceramente, delle due mi conquista di più la bellezza assoluta del timbro e lo splendido registro acuto della Sills dalla quale avrei desiiderato solo una migliore dizione per l’invettiva. Ma più la sento e più la vorrei ascoltare.
        C’è da dire che la Gencer ha una rivale come la Verret e non è poco.

  2. Ero presente alla recita del 1 Aprile e devo dire che la voce cristallina di Marina Rebeka è stata un balsamo per le orecchie. L’intensità del suo canto particolarmente al momento della confessione mi ha impressionata. Molto bella la messa in scena, sobria
    ed elegante, particolarmente raffinata la scena in cui Elisabetta medita illuminata solo da un grosso candelabro acceso ai suoi piedi. Peccato il tenore.
    Mi sono piaciuti molto sia l’orchestra che il Direttore.

    • come ascoltatore sono ormai stagionato e la mia prima Stuarda fu nel 1971 alla scala il 18 aprile. il candelabro in terra nello studio di Elisabetta c’era già allora. credo sia una indicazione del libretto. posso sbagliare 😁

  3. Tristan und Isolde è stato lo spettacolo che ho preferito, finora. Quattro ore e passa cantate in tedesco filate via come se niente fosse. Coinvolgente e ipnotico.
    A me del “Il Trovatore” è toccato il secondo cast, con Giugliani che ha cantato un “Il balen del suo sorriso” agghiacciante, peraltro salutato alla fine da un paio di “Bravo” urlati nel silenzio attonito della sala (ma all’Opera di Roma c’è la claque a pagamento?), e con Diego Cavazzin che per me canta semplicemente come un dilettante. Menzione negativa anche per lo stentoreo Ivan Magrì come Duca di Mantova.

    • Il tristano era semplicemente magnifico. Il primo cast del trovatore, se può consolarti saperlo, era una porcata. Spettacolo atroce, però eccellente la semenchuck e molto brava la serjan. Del rigoletto si salvava solo il soprano del primo cast (brava, ma non ricordo il nome). Mi fa piacere condividere con te le impressioni sugli spettacoli romani. Comunque non credo ci sia una claque… È il pubblico romano del volemose bene, dei turisti e dei nobili decrepiti in leopardo e isotta fraschini…

      • Dopo anni di assenza ho ripreso a frequentare il teatro romano a partire dal Trovatore di cui ho visto la prima il 28 Febbraio. Se vogliamo dirla tutta il vocione della Serjan possiede un fastidiosissimo vibrato e risolve tutto con i pianissimi che ha belli, perché non riesce a dare un’acuto vero e proprio, la Semenchuck è priva delle note gravi che un’ autentico mezzo deve possedere per interpretare Azucena, Piazzola canta molto bene ma si sente pochino, il basso tutto sommato ci poteva stare, il tenore semplicemente imbarazzante. Allestimenti demenziali e irrimediabilmente brutti come quello dei Fura disturbano e distolgono l’attenzione da ciò che realmente conta ovvero la partitura peraltro egregiamente suonata e diretta.
        Esilarante l’eliminazione fisica di madre e figlio a pistolettate!,,,

        Amici mi hanno parlato bene del Tristano.

        • D accordo con te quasi su tutto: sarei più clemente con la semenchuck e molto meno con il basso, per me atroce. La serjian ha come tu dici un fastidioso vibrato nella voce, che comunque fu molto più evidente in altre opere come macbeth con muti o la battaglia di legnano. Questo mi è sembrato il titolo in cui era più a suo agio.
          I blogger del cdg saranno clementi se abbiamo un po’ sviato dall argomento principale della discussione.
          Saluti

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