Fratelli streaming: Don Carlo dal MMF

I tempi mutano, non poco. Spesso, in peggio e non è un vezzo affermarlo. Il Maggio musicale Fiorentino nel 1950 propose un sontuoso don Carlos in cinque atti, che, come nelle tradizioni del Maggio di allora aveva, oltre che nelle voci, ebbe uno dei suoi punti di forza nelle scenografie di Mario Sironi. Del sontuoso cast taccio, per evitare l’usata taccia di passatismo. Lo spettacolo venne riproposto nel 1956 ed è doveroso osservare come a distanza di un lustro si fu in grado di offrire esecutori di identico, se non superiore, livello. Ma correvano i vituperati anni ’50 in cui ad ascoltare la critica di oggi l’unico raggio di luce in mezzo al mal canto era rappresentato dalla Callas. In quegli anni ed anche nei precedenti don Carlos era un titolo proposto con parsimonia, pur in presenza di grandi voci verdiane, preferiti, del tardo Verdi, Aida e Forza. I motivi posso essere vari. Risiedevano nel fatto che, anche ridotto a quattro atti il titolo verdiano è e resta un grand-opéra e come tale implica che,  anche le prime parti quelle che hanno grandi cachets, non sono impiegate al massimo delle loro ben remunerate capacità.  Dal 1970, invece, il drammone (rectius grand-opéra) desunto da Schiller è entrato stabilmente in repertorio, preferito a Forza ed anche Aida. Indicherei  due motivi il primo che alcuni direttori lo amavano e prediligevano per quella  massiccia critica politico-sociale di marca anti ecclesiastica o anti cattolica, che fu uno dei caposaldi della cultura francese,  coeva alla prima, e poi ha rappresentato uno dei capisaldi della pseudo cultura sessantottina. Apparentemente Don Carlo e Forza,  dove assistiamo alla messa in scena della “trionfal benefica fede ai trionfi avvezza” di manzoniana memoria sarebbero agli antipodi. In realtà -mi sia consentita la polemica- anche il don Carlo sarebbe sotto il profilo della fede e del rapporto uomo-Chiesa ossia uomo-religione quanto di più manzoniano vi sia, ma per capirlo sarebbe necessaria una conoscenza del Manzoni più approfondita di quella, che quei campioni di laicità avevano ed insegnavano. Il secondo è assai meno nobile ossia che i direttori di teatri, cronicamente a corto o in assenza di idee, credono che  don Carlo, un titolo che non esponga apertamente i cantanti (mica c’è la pira o “cortigiani vil razza” dannata o “pace mio Dio”), possa evitare scivoloni e disastri agli scritturati. Poi la recente storia di don Carlo usciti malconci ad opera del pubblico ne documenta, solo in Scala, più d’uno.

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Riprovazioni sono fioccate, mi risulta, pure a Firenze e pare anche che il pubblico che pure ha riconosciuto che lo spettacolo fosse scalcinato e ben lontano dal livello di decente professionalità se ne abbia avuto a male perché i fischi sono di casa solo a Milano. A ministero della Grisi a sentire le pagine dei giornali, che trascrivono le indicazioni degli uffici stampa dei teatri e invece no. Talvolta anche i non grisini si incazzano e fischiano. E dagli torto dalla proposizione televisiva si poteva ricavare solo il voltastomaco.Forse il meglio veniva dell’allestimento di tradizione e con qualche richiamo simbolico come la grande statua alla scena di San Giusto o il Cristo (chissà perché nudo integrale) all’autodafè o richiami alla tradizionale iconografia del titolo come i cipressi nel giardino di san Giusto e l’angolo di edificio in stile flamboyant al quadro del giardino della regina. Sontuosi i costumi dei protagonisti ed anche della corte, consueti gli errori di chi non sa che i domenicani non erano un ordine mendicante e  scalzo e che non gestiva il conforto religioso dei condannati a morte, che costituiva esclusiva dei francescani o l’inquisitore che, padre Pio ante litteram, è rappresentato stigmatizzato. Qui va rilevato che nella Spagna della seconda metà del XVI secolo un soggetto che avesse asserito di avere ricevuto le stigmate avrebbe avuto l’opportunità di sperimentare tutti i sistemi di ricerca della verità dell’Inquisitore.

Dei cantanti si è salvata la sola Julianna di Giacomo, Elisabetta di Valois. La cantante vanta timbro apparentemente sontuoso e da soprano almeno lirico, poi, arriva la salita agli acuti. La Valois non ha ne troppi,  compensati da parecchie frasi scomode, che  ora battono il passaggio superiore (esemplare “il ritorna al suol natio” dell’aria del primo atto) oppure richiedono la genuina veemenza della voce importante come l’invettiva contro il figliastro e l’invito al parricidio e che la trovano in difficoltà con suoni stimbrati e se la cantante regge è solo perché è giovane e la voce fresca. Freschezza e gioventù passate per la Gubanova, che sarebbe stata un mezzo acutissimo adatta al repertorio pre-verdiano;   esegue un grottesco velo privo dell’eleganza, della sottigliezza e del virtuosismo che la pagina richiede e si  arrangia maldestramente al don fatale.

Gli altri esecutori sono tutti inadeguati ai ruoli. Se dobbiamo scendere nel dettaglio nessuno sa da che parte si salga agli acuti per cui Massimo Cavalletti vocia l’aria in stile affettuoso del secondo quadro del primo atto aggiungendo alla propria bolsaggine quella dell’accompagnamento orchestrale. E per carità taccio che cosa accada per le difficoltà vocali  alla scena della morte, ma non già alla sezione finale “io morrò, ma lieto” di tessitura acuta,  bensì alla iniziale “per me giunto” assai più agevole. Roberto Aronica non lega un suono, presenta gravi problemi di intonazione ed appena sale e, come abbiamo detto più volte, don Carlos è un tenore da grand-opéra cui è richiesto squillo negli acuti, sono suoni duri, tesi e di gola. Non è certo il caso di parlare di accento, di senso del personaggio.

Quanto a Beloselskiy realizza la più autentica imitazione di Ghiaurov post 1975 privo, naturalmente del timbro, della voce e dell’ampleur del cantante bulgaro, la voce e l’ampleur sono solo suoni duri e stomacali nella peggior tradizione del canto dell’Est. Peggio ancora perché  incapace di legare un suono, di eseguire una frase dandole con il canto e non con il parlato senso alcuno l’inquisitore di Eric Halfvarson. Impresentabile.

E poi il peggio della serata. Il peggio perché Zubin Metha, ancora attivissimo nei teatri italiani e con fama di essere uno dei maggiori direttori d’orchestra ancora in carriera, ha tirato miseramente a campare con accompagnamenti meccanico, spesso pesanti e metronomici ( quello che il pubblico di un tempo chiamava “mena risotti”), mai un guizzo, mai una differenziazione nel colore orchestrale per cui l’orchestra è greve e pesante all’introduzione nel giardino della regina ed egualmente nell’incipit dell’autodafè. Intendiamoci bene i cantanti sono di assoluta e totale mediocrità, ma una frase che sia una frase in tessitura centrale, che si capisce risponda  ad una indicazione del podio non l’abbiamo sentita in tutta la serata. E’ da molto tempo che i direttori anche famosi si limitano ad accompagnare e adesso senza neppure prendersi la briga di differenziare i singoli momenti scenici.

Proprio per ricordare ai meravigliati, agli stupiti ed agli indignati dei fischi certi principi fondamentali, che fanno la differenza fra un vero direttore ed un falso direttore l’unico ascolto sono i lacerti del don Carlo viennese di Bruno Walter. Prima di storcere il naso dicendo”cantano in tedesco” ascoltiamo come la voce dell’inquisitore (in natura un basso baritono che cantava anche Sachs) all’incontro-scontro con Filippo cambi di colore (oltre che di inflessioni) a seconda che il terribile personaggio divulghi il verbo di Dio o “chieda il signor di Posa”.

 

3 pensieri su “Fratelli streaming: Don Carlo dal MMF

  1. Ho ascoltato il brano proposto e devo dire che l’ho trovato impressionante. In quanto al Don Carlos del Maggio Musicale Fiorentino 1956, di cui per fortuna è disponibile la registrazione dal vivo, tremano i polsi al leggerne il cast. Non riesco però a trovare notizie circa quello precedente del 1950 e vorrei tanto sapere chi fossero gli interpreti.
    Purtroppo l’ascolto di queste registrazioni non fa altro che mettere in evidenza l’estrema modestia e inadeguatezza delle edizioni attuali.
    Come si fa a non essere passatisti?

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