Il dovere di non tacere

alfreddellerLa recensione del corriere al Giulio Cesare, confesso con stupore, ha scatenato reazioni a catena, talune anche prossime all’insulto nei nostri confronti. Precisiamo: insulti piuttosto scontati, non certo nuovi e che in parte un piccolo video pubblicato oggi e relativo ad un Giulio Cesare di circa trent’anni fa qualificano per quello che sono. La prima scontata contumelia: la recensione negativa al cast sarebbe dettata dall’insegnamento di Rodolfo Celletti, che detestava i falsettisti o controtenori, oggi diversi e per certo migliori di quelli ascoltati e censurati dal critico. A smentita della fanfaronata: Rodolfo Celletti,che aveva avuto occasione di elogiare Alfred Deller, evidentemente censurava l’antistoricità della scelta perché mai un falsettista aveva calcato le scene, perché le voci femminili erano a perfetta vicenda con quelle dei castrati, sempre “merce” rarissima anche per i ricchi teatri londinesi. Tesi condivisibili e documentate. Aggiungo, rispetto al pensiero di Celletti, due chiose: la prima, che anche nel mondo preillumista, dove rispetto della persona e della dignità umana non erano quelli dei Lumi, se un falsettista fosse stato equivalente del castrato, molti bambini di famiglia povera e buona  voce avrebbero salvato “i gioielli di famiglia”; secondo oggi ricordiamo “quei mutilati” come Niccolò Grimaldi, Senesino, Pacchierotti sino a Velluti, ma ci sono ignoti i falsettisti, che si esibivano negli oratori. Per essere vieppiù analitici le scritture vocali dei falsettisti erano ben differenti da quelle riservata ai castrati. Tutti questi elementi dovrebbero essere chiari nella mente dei critici, se costoro fossero preparati, capaci ed intellettualmente onesti. La verità è che su questa partigiana critica incombe Rodolfo Celletti, che con mezzi primordiali scandagliò la storia dell’opera e della vocalità, ed il cui pesante fantasma deve essere esorcizzato perché richiama un mondo diverso.,Pari ostracismo ed esorcismo ai i cantanti di una tradizione di canto di scuola, le cui raffinate qualità tecniche consentivano varietà di canto ed accento e vette di interpretazione, cui voci artificiali e di scarsa tecnica (non Deller per intenderci) non possono neppure sperare di avvicinarsi.

Possono le voci artificiose dei falsettisti dare una esecuzione sfalsata, che getta il dramma serio nelle braccia di commedia, intermezzo e farsa, che non erano di pertinenza del grande cantante castrato o prima donna come Senesino o la Cuzzoni, per citare i cantanti di Handel. Era la poetica dei generi fra loro tanto differenti quanto incomunicabili, che lasciava in un teatro l’evirato cantore ed in altro Celeste Coltellini o la Dugazon. In altri lavori, nati per altri teatri, segnatamente Venezia, era ammessa la compresenza di comico e serio, ma a Londra il genere serio tale era e tale doveva nell’anno 1724 restare.

Più che il canto di agilità erano e dovrebbero essere anche nella moderna esecuzione il grande recitativo accompagnato, la capacità di eseguire arie di genere tragico, patetico e di comparazione (che non è il mezzo carattere) a sancire l’appartenenza di Giulio Cesare al genere serio. Il genere serio, per chiudere questa digressione, non implica una catasta di cadaveri, fiumi di sangue in scena come Trovatore, Tosca, è costituito dalla rappresentazione scenica di situazioni drammatiche o addirittura tragiche, espressione del cosiddetto “sentire tragico” (concetto ovvio per lo studente di liceo) che lo scioglimento finale poco cambia o modifica. Stupiscono questi fraintendimenti, come stupisce che il pubblico non riconosca la qualità del canto, un tempo chiara anche ad ascoltatori di limitata scolarizzazione. Quest’ultimo fenomeno è, però, comprensibile Sono,infatti,circa trent’anni che il buon canto, il canto di scuola è oggetto di censure ed i cantanti, che lo hanno praticato o ci provano messi in ridicolo, oggetto di facile ed infondata censura. Forse più che infondata, strumentale a rendere graditi, acclamati ed in alcuni casi divi assoluti impiastri, incapaci e principianti del canto, della direzione orchestrale e dell’allestimento..

Mettere in scena tali facezie professionali è stato il funesto capolavoro di agenti e direttori teatrali. Ma questi  hanno vita agevole o, quanto meno, agevolata   In grazia di aiuto e supporto di una critica, che ha smesso di essere tale e che compra ed ignorante impera, imperversa. Il capostipite di questa accolita anni fa consumava il dizionario dei sinomini e utilizzava il superlativo del superlativo, inseriva l’avverbio a supporto di altro a beneficio dei divi della case discografiche più in voga (le famose cinque sorelle)  disprezzando quelli che una delle cinque non avessero alle spalle  e con il solo fine di lucrare pubblicità per la propria rivista. La rivista è praticamente estinta, il maestro di piaggeria ed aggettivazione ridotto su palcoscenici di provincia, ma i metodi sono rimasti, la discendenza, però, aumentata, impossessata di ogni canale di comunicazione, web in primo luogo, divulga falsità e falsi storici, spaccia per novità articoli da straccivendoli e raccolta differenziata e quando qualcuno, che campa di altro e vede l’opera come un riposo per lo spirito ed un luogo di crescita culturale richiama i cosiddetti principi generali reagisce con insulti, contumelie, falsità e più il pubblico ci crede più l’opera affonda.

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15 pensieri su “Il dovere di non tacere

  1. Personalmente – ma si tratta dell’impressione di un semplice appassionato e non di un filologo dell’opera barocca – trovo che il canto dei falsettisti abbia ben poco a che fare con quello dei castrati e ne costituisca una maldestra e spesso sgradevole caricatura. In un teatro grande come La Scala il risultato è ancora più fiacco e discutibile. Diciamo che in teatri di dimensioni inferiori trovo il canto dei falsettisti meno molesti. Naturalmente del canto dei castrati possiamo solo farci un’idea dalle testimonianze scritte e questo non facilita i giudizi e le analisi ( non credo del resto che le remote incisioni di Alessandro Moreschi possano fare testo ). Ho trovato poi, complessivamente, il cast del Giulio Cesare piuttosto modesto (il pubblico ha parecchio gradito, bisogna prenderne atto). Devo però aggiungere che di opere barocche eseguite davvero bene ne ho viste poche o nessuna, né mi entusiasmano le registrazioni audio e video che conosco. Talvolta con positive eccezioni in Monteverdi. Per esempio il dignitoso livello del recente Orfeo di Vicenza: in particolare Valerio Contaldo, nel ruolo del titolo, è stato eccellente. Per quanto riguarda la regia di Carsen mi hanno stupito sia le voci dei detrattori che dei laudatori. Si tratta di un allestimento certamente ben fatto, in alcuni momenti non privo di suggestione e che scorre piuttosto gradevolmente. Il problema a mio avviso è che ricicla idee viste e riviste. Francamente mi è sembrata una regia di riporto: direi, un po’ provocatoriamente, una sorta di Zeffirelli aggiornato al gusto del nuovo millennio. Se Carsen è oggi questo, prevedibile e innocuo, la sua “spinta propulsiva” sembrerebbe piuttosto infiochita. Altri sono i registi oggi creativi. Trovo del tutto fuori luogo le recensioni da me lette in cui si lodava la “modernità” di tale regia. Personalmente credo che tale regia sarebbe stata “moderna” venti o più anni fa. Oggi è mainstream di buona fattura, anche piacevole, ma di poca inventiva. Lorenzo Mattei, nella conferenza introduttiva al Giulio Cesare scaligero, ha sottolineato come le opere eroiche siano uno spettacolo astratto, assolutamente lontano dal realismo, addirittura un “congegno distanziante”: in questa luce trovo comunque fuorviante allestire opere simili – e dunque anche Giulio Cesare – secondo criteri narrativi di stretto realismo, come fa Carsen e secondo una voga ormai pluridecennale.

    • Gianmarco caro,
      Dici che è fuorviante allestire il Giulio Cesare di Händel in questo modo perché si tratta di un’opera astratta… Domanda provocatoria: lo stesso discorso non dovrebbe valere anche per la Semiramide di Rossini messa in scena da un certo Graham Vick? E per tanti altri titoli del cigno di Pesaro?

      • L’alternativa al teatro narrativo però è il concerto in costume. Non ho visto questo Giulio Cesare per cui parlo in senso generale, tuttavia credo che il teatro – musicale e non – debba aver come fine quello di non annoiare. L’opera handeliana ha una grandissima vitalità teatrale e spetta al bravo regista estrarla – poco mi importa che l’ambientazione sia antica o moderna – attraverso i contenuti drammatici e musicali. Nessuno oggi resterebbe 4 ore a teatro a guardare un concerto in costume con scene e costumi immobili e dove non accade nulla salvo entrare a destra e uscire a sinistra dopo aver cantato interminabili arie tripartite. Ma poi che significa “opera astratta”? Io a teatro voglio vedere teatro, non pachidermi che strabuzzano gli occhi con la mano sul cuore e l’altra che arringa la folla, non voglio vedere duetti d’amore con i cantanti distanti 15 metri. Se l’opera non è un concerto ci sarà un perché… Poi potrà piacere o meno il singolo allestimento, ma non si può pensare che l’opera sia solo esecuzione musicale, perché altrimenti basterebbe mettere su un disco…magari sul grammofono a manovella

        • Non so se rispondessi a Gianmario o a me.
          Sono comunque d’accordo sul fondo. Con un distinguo: il bravo regista dovrebbe sapere non annoiare rispettando allo stesso tempo la cifra stilistica dell’opera. Troppo facile non annoiare con le baracconate. Questo non significa che l’alternativa sia mettere fondali dipinti o non fare interagire i cantanti tra di loro. Tra l’altro non mi sembra che un tale desiderio sia stato espresso negli articoli o nei commenti.

  2. Per quanto il prof. Mattei intenda per “spettacolo astratto” si può attingere direttamente dalla conferenza pubblicata in rete (in particolare dal minuto 8.56 ):
    https://www.youtube.com/watch?v=yJp6t6Chu50
    Per il resto posso dire che concordo pienamente, parola per parola, con quanto sostenuto da Duprez: nulla di più tedioso e anacronistico di un concerto in costume. Riconosciuto ciò non necessariamente si dovrebbe trattare Giulio Cesare come se la sua cifra drammatico-musicale fosse assimilabile a quella del teatro naturalistico. Non penso che l’alternativa al concerto in costume debba per forza essere il piatto realismo ( che mi infastidisce perfino nelle opere veriste ). Credo ci possano essere altre impostazioni di fondo: dirò – ma solo ad esempio e senza voler limitare il campo – visionarie, favolose, meravigliose (nel senso barocco). E non ho nessun timore delle soluzioni più radicali se al servizio dell’autore e del pubblico. L’opera, quella barocca a maggior ragione, è incantamento e antirealismo: una strategia narrativa e di recitazione da serie televisiva mi convince poco. E questo non vuol dire che i cantanti non debbano saper recitare, e benissimo se possibile: su questo piano i progressi negli ultimi anni sono stati considerevoli. Per quanto riguarda la domanda di PaulineViardot (che ringrazio per l’attenzione anche se pare mi attribuisca il ruolo di avvocato d’ufficio di Vick, non una delle mie principali aspirazioni) posso solo osservare che la Semiramide pesarese sarà stata non particolarmente riuscita e discutibile ma sicuramente tutto meno che piattamente realistica. E comunque non mi sembra che la definizione di melodramma eroico cui mi riferivo sia quella più pertinente per un’opera come Semiramide.

    • Ma quando mai qui si è chiesto il concerto in costume? Questo è solo un luogo comune trito e ritrito che si usa per giustificare spettacoli inadeguato figli di una.non comprensione dei contenuti del testo

        • Ma aggredito dove? Sei pazzo. Quello che scrive aggredendo sei sempre tu. Rileggi bene perché non c e nulla di aggressivo. Le frasi di disprezzo circa I centurioni etc etc sono tue. Se non hai fatto in tempo a vedere quella frazione brevissima fatta di episodi sporadici ed incompleti di barocco ben fatto di cui parla Gianmario non credo tu possa sapere e capire che il barocco si può fare mooooolto bene anche col costume. Ma purtroppo è il parametro teatrale che ti manca, come ben si vede quando parli del costume. Ho visto spettacoli che non erano affatto concerti in costume ma con ambientazioni barocche consone e meravigliose. Cito l Orlando veneziano di Puecher il Rinaldo di Pizzi…ma anche registi come.Cobelli o Ronconi hanno fatto cose bellissime senza mancare del tutto la cifra. Il punto è che per farlo bisogna essere molto più preparati di Carsen o di Sellars…..molto di piu

    • E chi mai ha scritto che la Semiramide è un melodramma eroico? Io parlavo della dimensione astratta.
      Dici che non era realistico: e la sveltina sul divano, solo per fare un esempio?
      Non dico che tu sia difensore di Vick, tanto meglio se non lo sei. Ma non riesco a conciliare il tuo intervento di oggi con la tua difesa dello spettacolo pesarese di quest’estate. Tutto qui.

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