Scala, Sant’Ambrogio, fischi: la storia continua.

Qualche riflessione sugli avvenimenti che hanno preceduto e seguito il Sant’Ambrogio 2008, prima della seconda recita, che potrebbe finire come la seconda dell’Aida, che inaugurò la stagione 2006-’07 oppure senza incidenti di percorso da consentire ai quotidiani dell’11 dicembre la proclamazione di un trionfo storico ed epocale per tutti , Daniele Gatti in testa.

E se non succederà qualche cosa di strano sarà quest’ultima la scelta, perché abbiamo già letto il tentativo di imputare a pochi facinorosi, ovvero i prezzolati sicari dell’escluso protagonista la cagione dei fischi che hanno subissato soprattutto il direttore la serata del 7 dicembre.
Ritornerà tutto come prima. E nessuno rifletterà su quanto accaduto in teatro. Male! perché i fatti di questi ultimi giorni, a nostro avviso, sarebbero essenziali per trarre conclusioni e proponimenti.
Il primo, evitare di andar dicendo che una ventina di plauditores del tenore sarebbero gli artefici dei fischi, perché affermarlo significa dire, tenuto conto che la sostituzione è avvenuta quando non era più possibile mettersi in coda per gli ingressi, che venti biglietti sono stati sottratti alla vendita ufficiale e girati per esaudire una richiesta contraria alle norme che, ci illudiamo, regolano la vendita dei biglietti
Ciò premesso, questa volta concordiamo con la firma ufficiale del Corriere della Sera che, ieri, chiariva come quel proluvio di fischi non potesse, per forza maggiore, esser stato organizzato dall’escluso protagonista. Per la prima volta, e con stupore, sentiamo una verità da un rostro, che fu sempre il difensore di fiducia del teatro milanese, precipue del suo passato direttore principale Maestro Riccardo Muti.
Andar dicendo che il tenore escluso e invitato a farsi da parte, ma non ufficialmente protestato, sarebbe l’organizzatore della bagarre è una scusa pilatesca per assolvere la coscienza a chi, arrivato sino alla generale con quel tenore, poi lo ha scaricato, sperando di frustare la sella per risparmiare il cavallo.
Sbagliato sia da parte del tenore che da parte dei suoi, sino al 6 dicembre, mentori.
Sbagliato da parte del sig Filianoti rilasciare interviste fra il pietistico e il furente, prive solo dell’operistico anatema, dopo aver arringato in maniera ora lecita ora censurabile il pubblico, i componenti di blogs, ricercato incontri, favori e misericordia dopo un men che mediocre Edgardo e tutt’altro che esaltanti performances, tutte implacabilmente divulgate per canali assolutamente ufficiali.
Caro signor Filianoti, favori, sostegno ed affezione del pubblico non si propiziano con minacce e blandizie, ma con le proprie prestazioni in scena, con il riflettere sul perché la propria voce non giri più come un tempo e non scrivendo lettere che, solo per buon gusto, non abbiamo pubblicato, pur potendolo in quanto destinatari delle stesse. Una sua collega quarantaquattro anni or sono, solennemente riprovata dal pubblico della Scala, in tutte le interviste ha sempre ribadito di aver tratto maggior profitto per la propria professionalità e carriera da quell’insuccesso che da centinaia di successi.
Ma questo in una vicenda triste e squallida sarebbe il minor male e l’aspetto meno interessante. Ciascuno di noi ha il carattere che ha e la reazione che più gli sorge spontanea e poi, francamente, chiunque avrebbe diffidato degli amicali avvertimenti di chi non solo ti ha scrittura, ma ti è anche venuto ad ascoltare al debutto nello stesso titolo in Zurigo tre mesi or sono, ti ha fatto provare per un mese e, poi, nel dubbio, che possa andar male l’agognata prima, consigliato di startene a casa per ripresentarti, diciamo alla terza recita, una volta ufficialmente riacquistata la mai persa salute, ossia, più prosaicamente, cessato il pericolo fischiatori di Sant’Ambrogio (leggi: figuraccia in mondovisione). Anche perché non occorre né esperienza personale né fantasia per immaginare che il lasso di tempo dal 7 al 14 dicembre sarebbe stato quello idoneo per reperire il secondo Don Carlo, dopo la promozione del secondo a primo. E quindi, per il povero signor Giuseppe Filianoti, al danno la beffa. Sicchè per certi versi non possiamo che approvare le scelte del “licenziato” protagonista. Dobbiamo però consigliargli di risparmiare il tempo nelle sedute telefoniche o via internet alla ricerca della captatio benevolentiae, privilegiando l’ascolto di tenori quali Pertile, Tucker e magari Mc Cormack.

La verità è che il licenziamento spetterebbe, più che al protagonista, a chi, a suo tempo, ha operato la scelta, offrendo prova di non saper adempiere l’incarico conferitogli. E qui con riferimento non solo al protagonista, ma tutto o quasi il cast di questo Don Carlos . Per tacere della cosiddetta parte visiva.
Che sia epoca di “vacche magre” non è neppure il caso di dirlo, tanto l’assunto, ripetuto esce dalle orecchie; ma un po’ di oculetezza e di capacità professionale è caratteristica che si impone sia per chi faccia il direttore da opera e, magari ambisca al ruolo vacante di direttore stabile, sia in chi, istituzionalmente, presso il teatro milanese venga qualificato come “responsabile delle compagnie di canto”. Il nome del primo troneggia in locandina, quello del secondo nell’organigramma del teatro, stampato o reperibile via internet, con la propria esplicita qualifica professionale.
Senso di responsabilità e professionalità, per non usare altra più plebea, ma efficacissima espressione, ossia “avere le palle”, avrebbe imposto di presentare il prescelto al pubblico soffrendone l’eventuale riprovazione.
Il fischio è una delle manifestazioni cui da sempre ha diritto il pubblico, che acquista con il biglietto questo suo, proprio, esclusivo diritto.
Suo proprio esclusivo diritto che carriere di cantanti e direttori pianificate a tavolino e non costruite sulle tavole del palcoscenico vogliono sottrarre al pubblico.
Anni or sono la Scala, e la sua dirigenza prona alle case discografiche “ammalò” la titolare di un ruolo protagonistico per mandare in scena il soprano prescelto, ufficialmente per il secondo cast. Fu una vigliaccata ben peggiore di quella patita da Giuseppe Filianoti, anche perché l’esclusa era la miglior interprete di quel repertorio e allo zenith della propria parabola artistica il pubblicò la “sgamò” e premiò l’imposto soprano con commentini e fischi per l’intero arco della serata. E siccome il pubblico, piaccia o non piaccia, ha molto più buon senso, orecchio ed onestà dei deputati alle scelte e della critica, la nostra imposta patì in ogni sua esibizione nel teatro milanese. Se volete, decorsi già ventun anni si potrebbero anche fare anche i nomi dei due soprani, oggi entrambe ritirate dalle scene. Scontato quello del direttore.
Direttore che, schiariamoci subito, ha creato con il proprio manipolo di fedelissimi, oltre al “totocantante” , il terrore da fischio. Perché, è ovvio, il fischio intacca il mito l’immacolata gloria del direttore senza macchia, dell’uomo dalle mille serate e dai mille ed uno successi.
Ignora il nostro ed il suo entourage che grandissimi direttori d’orchestra (in primis Arturo Toscanini direttore di Forza del destino nel 1909 in Scala, von Karajan in Traviata anno 1964, ma in tempi recenti Gavazzeni, Abbado, Maazel) sono stati fischiati in una produzione per essere, poi, issati sugli scudi in quella successiva. Ancor di più con riferimento ai cantati: le solite Callas e Tebaldi,i più recenti Pavarotti e Caballè. Adorati dal pubblico scaligero, ma, talora, contestati e che dalla fischiata non hanno avuto nocumento alcuno per la loro splendida carriera.
Due elementi poi emergono da questa vicenda:
La fobia da fischio e la spasmodica battaglia per minimizzarlo, limitarlo e deriderlo (ossia far intendere allo spettatore che lui non conta niente) è una delle tante deviazioni che oggi affliggono il melodramma e la mancanza, nel teatro milanese di ruoli e, quindi, responsabilità certe ed inequivocabili delle scelte proposte in palcoscenico.
Per minimizzare e irridere le intemperanze del pubblico si ricorre ormai ad una critica che ha omesso e dimenticato che il proprio solo compito sia quello di offrire criteri certi ed oggettivi al pubblico ed agli addetti ai lavori (soprattutto quei giovani che in varia veste e titolo si affacciano alla carriera artistica) preferendo il political correct nelle migliori ipotesi, la piaggeria nella maggior parte. In questo modo non si contribuisce a creare, forse si salva oggi il salvabile ma si distrugge per generazioni. La damnatio memoriae di grandi direttori di orchestra, eccellenti cantanti cui tutti i giorni assistiamo utilizzando tutti i media possibili sono tristi immagini di come si sia ridotta la critica. Obliano i critici di oggi che la firma della pagina dello spettacolo scaligera nell’era Callas –Franco Abbiati- mai conobbe la signora Meneghini Callas e che mai l’allora soprintendente avrebbe osato fare pressioni sulla proprietà del massimo quotidiano milanese per la scelta del critico musicale, consigliando i nomi di chi era “vicino“ al teatro.
Con riferimento al dovere di assumere le proprie responsabilità, non può tacersi lo smembramento in tanti rivoli delle due cariche istituzionali del teatro, Soprintendente e Direttore Artistico, il primo quale responsabile della gestione economica l’altro dell’artistica. Figure non riassumibili nello stesso soggetto, per le peculiari caratteristiche richieste, pena, come accade oggi in Scala, l’appalto ad altri soggetti di una parte delle prerogative professionali e la contrastante frammentazione delle responsabilità. Ma anche questo deve essere detto: esso è l’eredità del recente passato dove il direttore principale, che si arrogava la prorogativa di Direttore Artistico dei soli propri spettacoli, mal sopportava la presenza di un vero Direttore Artistico, sicchè la figura veniva assolta da vari soggetti, Soprintendente in primis.
Ed è pleonastico dire che di questo recente passato dai sofisticati e sofistici equilibrismi il pubblico e l’arte e la memoria cultura unica del melodramma pagano uno scotto pesante come un macigno. Quel macigno che la critica ed il pubblico a la page sembra scorgere solo in un tenore della pletorica complessione del quale si sa solo dire: “ Ma come fa il soprano ad innamorarsi di lui!!!!!!!!!!!!!”.

dd & gg

13 pensieri su “Scala, Sant’Ambrogio, fischi: la storia continua.

  1. La veritá é che una certa parte della Milano musicale,per intenderci di estrazione abbadiana,considera Gatti come il Principe Ereditario e Successore Designato della Real Casa.Nei loro voti,il 7 dicembre doveva essere l´intronizzazione del Delfino sul soglio profanato dall´Usurpatore di Molfetta.Invece non é andata cosí,e questo ha dato loro fastidio.Comunque,Gatti é stato fischiato anche a Bayreuth l´estate scorsa,e la cosa non gli impedirá di lavorarci ancora nei prossimi anni.Questo per dire che sono d´accordo con le vostre considerazioni.
    In tutti i modi,la Scala é sempre stato il teatro delle vedove:vedove Toscanini,vedove Callas,vedove Abbado,vedove Muti…io dico spesso che prima o poi scriveró un saggio:”Vedovismo,malattia infantile dello scaligerismo”.
    Saluti

  2. scusa carissimo mozart 2006, ma nell’albero genealogico del divo claudio della gens abadiana dove collochi il maestro ricccardo chaylli. per caso è il duca di windsor o i più biblicamente esaù, che per un piatto di lenticchie vendè la primogenitura?
    attendo illuminazioni…..

  3. Non sono certo fra coloro che desiderano la condanna di Gatti all’ergastolo, e spero che già stasera le cose siano andate bene – nel senso artistico ovviamente, non in quello di claque osannanti invece che buanti.

    Ricordo a mozart2006 che a Bayreuth, mentre il regista (Herheim nella fattispecie) dorme fra 4 guanciali, poichè i costi del suo allestimento vanno ammortizzati e quindi nessuno lo può licenziare, il Kapellmeister non ha garantito nulla in partenza (vedasi il caso Oue del 2005, dopo un deludente Tristan). Già il 26 luglio scorso lassù c’era chi giurava su una non riconferma del Daniele per il 2009 e successivi. E se questo Carlo non “vira” al bello, il nostro rischia di risparmiarsi anche le proverbiali sudate giù nell’Orchestergraben!

  4. Cari amici, nuovamente permettetemi di esprimere il mio più affettuoso plauso al blog, che – vanamente criticato, blandito stuzzicato – prosegue una battaglia culturale che dovrebbe indurre la critica musicale “togata” a riflessioni profonde sul senso del proprio mestiere (che in questi casi dovrebbe, dico dovrebbe, corrispondere ad un sentito percorso di studi).
    La recensione di GG ed il commento di DD rappresentano la mglior risposta ai refrain sul passatismo, la vociomania etc.
    Il senso vero mi sembra questo:
    a nessuno importa di questo genere di spettacoli, tutti uguali ormai in qualunque teatro del mondo, tutti finalizzati alla produzione di inutili DVD (sarebbe interessante conoscere le statistiche di vendita di questi “prodotti”);
    il pubblico della Scala si sta trasformando dall’espressione del meglio delle tradizioni di Milano ad un indifferenziato blocco di turisti e businessmen che vanno alla Scala con lo stesso spirito mordi e fuggi di chi va a Firenze e visita gli Uffizi in un’ora e mezza;
    ci tocca di leggere sul Domenicale del Sole 24 ore- edizione speciale dei 25 anni un commento di Carla Moreni che dice “si canta molto meglio ora di vent’anni fa” e poi puntualmente recensisce lo spettacolo con frasi ampollose, salvando tutti senza dire niente;
    ci tocca di vedere penose operazioni di marketing tipo la serata del 4 dicembre;
    venti/venticinque anni fa la Scala era piena di giovani, lo può testimoniare anche il “vociologo” della Scala;
    al “vociologo” della Scala, persona con cui abbiamo condiviso molte esperienze di ascolto, ed agli amici del blog mi permetto dire: ci sono alternative, eccome!
    Quali?
    ognuno di noi lo può dire, per misurare ed immaginare come un approccio “locale” e non “globale” – vedi ottima recensione della Turandot di Rovigo – possa riportare interesse sulla musica.
    Don Carlo: Fabio Armiliato (forse anche Giuseppe Giacomini, e non è una battuta)
    Elisabetta: Giovanna Casolla;
    Eboli: benissimo Dolora Zajic, alternata con Marianne Cornetti;
    Posa: probabilmente, ove ben irreggimentato, Leo Nucci (è la spia della penuria dei tempi)
    Filippo II: Roberto Scandiuzzi (modesto direte: forse, ma meglio di Furlanetto – perfetto uno dei commenti del blog sulla misteriosità delle ragioni della carriera);
    Inquisitore: un Don Carlo senza Inquisitore passa…
    Direttore: Nello Santi.
    Una serata così sarebbe stata: omogenea, ben cantata, ben diretta, caratterizzata dal fatto che questi validi professionisti avrebbero dato l’anima…
    saluti e sempre grazie a GG e DD.
    Signor Sovrintendente, caro Luca: leggete qualche volta il blog?

  5. …caro Murgu,quest’opera non s’aveva da fare.
    Quanto a tenori e bassi, io debbo dissentire anche da lei nè saprei indicare alterantive……..

    per certe tipologie vocali, siamo male in arnese.

    Quanto a Daland, che mi chiedeva della FIALS: si dice che l’orchestra non abbia mancato alcuna prova per gli scioperi….dunque…

  6. D’accordo con Grisi: quest’opera non s’aveva da fare. come, oggi, non s’hanno da fare molte altre opere di Verdi. a meno che si ritenga che, per motivi di repertorio, certi titoli debbano comunque sempre figurare regolarmente in cartellone. se questa è l’ottica, bene, ma non ci si azzardi a spacciare per qualità spettacoli indecorosi. si ammetta che a contare è la presenza del titolo in cartellone, prescindendo del livello dell’esecuzione. almeno in tal modo vi sarebbe onestà. il fatto è che oggi, un baritono verdiano autentico, un tenore verdiano autentico, un basso verdiano autenticonun soprano drammatico autentico semplicemente non esistono. vi è al massimo qualche artista che si impegna, con mezzi modesti ma tali da apparire prodigiosi stante la mediocrità che lo circonda e, quindi, capace quindi di portare in salvo uno spettacolo (verdiano). ma nulla più. lo si ammetta una buona volta. anzi lo si constati.
    l’unica speranza è che, come rossini trent’anni fa è rinato trovando una schiera di interpreti in grado di rendergli giustizia, ciò possa accadere pure con verdi. speriamo non troppo tardi…

    cordiali saluti a tutti.

    Emanuele

  7. alla fine io ci provo ad inventarmi un cast così poi voi mi “riprovate” come un tempo agli esami unversitari
    DON CARLOS
    Ramon Vargas, Sung-Kyu Pak, Marcelo Alvarez, Fabio Sartori, Francisco Casanova
    FILIPPO SECONDO
    Ildar Abrazakov, Giacomo Prestia
    IL MARCHESE di POSA
    Peter Mattei, Vittorio Vitelli
    ELISABETTA di VALOIS
    Irina Makarova, June Anderson, Marianne Cornetti
    LA PRINCIPESSA EBOLI
    Marianne Cornetti, Giovanna Casolla, Irina Makarova, Dolora Zajick, Daniela Dessy
    IL GRANDE INQUISITORE
    Ruggero Raimondi (almeno parla bene)
    direttore
    Riccardo Chaylli, Nello Santi, James Levine

    regia
    si riprende l’allestimento di Visconti, ossia di Ponnelle (scala 1969) ossia di Ronconi (scala 1977)
    in epoca di tagli al fus un nuovo allestimento è come dire agli Italiani spendete!!!!!!

  8. A Murgu: sulla possibilità che Armilliato possa ben cantare la parte di Don Carlo sono abbastanza scettico. L’ho recentemente ascoltato nella Tosca di Trieste, accanto alla “gentile” consorte, che di Tosca continua ad avere la cavata ma purtroppo non più gli acuti, ed è stato a dir poco deludente: acuti calanti, voce indietro, piani in falsetto, centro artefatto ed ingrossato, espressività prossima allo zero, al di là di una generica baldanza, di stampo abbastanza chiassoso e maschilista-sciovinista. Per quanto concerne la possibilità che la Dessi possa ben cantare la parte di Eboli sono molto d’accordo. In un suo ultimo cd di arie verdiane la Daniela osa cimentarsi nell’aria della Principessa, ed è la cosa migliore, insieme alla Luce langue, di tutto il cd.
    Straordinaria sarebbe stata la possibilità di ascoltare la Anderson nella parte della Valois… Sarò a Trieste per assistere alla sua Norma, e sono quasi certo che sarà un’esperienza degna di ricordo…

  9. Io appoggio la proposta di Irina Makarova, una cantante straordinaria, scritturata due anni fa come Amneris in primo cast e poi messa in secondo cast con tre recite per fare spazio alla Komlosi. Un’Amneris che ricordo ancora come elettrizzante da una cantante eccezionale, non priva tra l’altro di una notevole presenza scenica e di capacità di fraseggiare. Peccato che la Scala se la sia fatta passare sotto al naso senza assicurarsela per altre opere, e dire che sull’Amneris sentita in Scala si poteva fare affidamento per più di un’opera. Dovremo lanciare un appello “Desperetely seeking Makarova”, qualche teatro non si lasci scappare una vera cantante una volta ogni tanto.

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