I giorni della Valchiria – Terza giornata: atto III

Le otto valchirie attendono impazienti la sorella Brunhilde per muoversi con lei verso il Warvater, per portarvi le spoglie dei più nobili guerrieri caduti in battaglia.
La attendono con ansia e Brunhilde arriva senza portare con sè alcuna spoglia di eroe alla vetta rocciosa. E’ con lei Siegliende, entrambe in fuga dall’ira di Wotan, che sta sopraggiungendo assieme alla tempesta che già si vede in lontananza.

Brunhilde narra alle sorelle la sua disobbedienza al volere del padre, la morte di Siegmund e di Hunding. Il padre la punirà e sarà un punizione terribile che lei teme, ma comunque desidera salvare la donna indifesa che, rimasta senza il suo Siegmund, desidera la morte. Soltanto dopo che Brunhilde le ha annunciato di attendere il figlio di Siegmund, Sieglinde, felice, chiede a lei alle altre valchirie di essere messa in salvo. Le valchirie la porteranno presso la caverna del gigante Fafner, luogo inaccessibile a Wotan, portando con sé i pezzi della spada infranta che un giorno verrà ricomposta dall’eroe guerriero, Siegfried.
Sopraggiunge il dio irato, che aggredisce le valchirie, quindi è la stessa Bruhnilde a farsi avanti al cospetto del padre. Wotan sgrida le figlie che proteggono Brunhilde, quindi pronuncia la sua punizione per la disobbediente, da ora non più valchiria, condannata a divenire sposa ed assoggettata ad un uomo. Allontanatesi le altre valchirie, la scena è solo tra padre-figlia, lunga scena dialogata. Si intrecciano mille motivi nella complessità della scena, dalle Valchirie. E’ la natura del tradimento filiale al centro dello scontro, il tradimento di una falsa volontà di Wotan, condizionata da Fricka, secondo la valchiria, che, al contrario, avrebbe obbedito ed onorato l’amore per i Waelsidi e, quindi, per il padre, avendo amato il padre amando tutto ciò che il padre amava.
Il dio, inflessibile, non recede, perché deve compiere il suo dovere, ossia punire la figlia ribelle come già prima Siegmund. Acconsente solamente alla preghiera di Brunhilde, che dovrà addormentarsi sulla montagna sin tanto che un uomo giunga a risvegliarla per farla sua sposa, di circondarne il giaciglio con un muro di fuoco, affinchè soltanto un eroe possa giungere sino a lei.
Wotan compie dolorosamente il suo dovere divino, esegue la punizione della figlia adorata, che non potrà più tenere con sé e del cui affetto non potrà più godere. Bruhnilde si addormenta tra le braccia del padre, che la posa sulla catasta, invoca Loge, dio del fuoco, che circonda il letto della valchiria mentre il dio si allontana tristemente dalla figlia adorata.

Le amiche Brandt e Pasta vi hanno già fornito sufficienti argomenti di riflessione su grandi e meno grandi esecuzioni di Walkuere nel secolo scorso e presente. Esauriti i temi generali, possiamo ora divertirci a riflettere nel dettaglio su una grande scena dell’opera, quella conclusiva, il famosissimo Wotan’s Abschied, l’addio di Wotan.

WOTANS ABSCHIED

Gli ascolti prescelti cercano di documentare, nella misura del possibile, la storia delle incisioni del brano che coincide, di fatto, con la storia dei modi di eseguirlo e di interpretarlo.
Wotan, nella storia del canto, è ritenuto un esempio di vocalità anfotera, possedendo talora connotazioni tipiche della corda del basso come di quella del baritono, non sempre identiche nell’ambito delle quattro giornate dell’Anello, nel quale esistono anche altri bassi baritoni, come Alberich o Hagen, personaggi negativi opposti a Wotan, il dio tormentato, umano per certe sue contraddizioni, costretto a perseguire il proprio dovere divino, con animo disincantato e disilluso. E’ un dio dolente, anche irato, proprio come all’inizio del III atto di Walkuere e che talora stenta a comandare perché in crisi d’autorità a causa delle proprie debolezze. A volte è costretto ad imporsi suo malgrado, il comando gli appartiene, vissuto sentendo l’incombente presagio della fine di tutto. Il Wotan di Walkuere è forse il più baritonaleggiante per via di certi attacchi scoperti su Mi e Fa3 e certe frasi acute sparse nella parte. La scrittura si impenna nei momenti di ira, e tende a scendere in quelli pacati o dolenti. Alla fine della giornata, Wotan mette in atto la doverosa ma sofferta punizione di Brunhilde, e spetta a lui un grandioso finale, di canto solistico ed orchestra.
La scena è divisa, se così si può dire per Wagner, in tre sezioni, con introduzione, interludi e postludi orchestrali che separano i vari momenti del canto del protagonista. L’introduzione orchestrale riecheggia il tema delle Valchirie nei fiati, quindi una rielaborazione del tema del Sonno, che introduce il travolgente Addio di Wotan, il forte e disperato“Leb’wohl, du kühnes, herrliches Kind “ del dio, che attacca con il passaggio Si2 – Mi3, quindi Fadiesis2-Mi3 su meines Herzens, discendendo con l’ultimo Leb‘wohl al Re3-Dodiesis3. Il passaggio introduce al meno concitato Muss ich dich meiden, da eseguire sehr leidenschaftlich, molto dolorosamente, appassionatamente, secondo Wagner. Se proprio dovrà rinunciare alla figlia, alle gioie della vita con colei che tanto amava, allora sarà un fuoco ad avvolgerla e a proteggerla.
Il canto di Wotan attacca sul Dodiesis2 con una scrittura abbastanza orizzontale, che punta in alto in alcuni momenti, prima al Rebem3 di Mal, poi al Mi3 di lachende Lust , di nuovo al Mi3 di Schrecken mentre sul fondo si sente il tema dell’Incantesimo del Fuoco, ed ancora al Mi3 di Feige fliehe Nel fuoco convergono ed ardono in realtà tutti i conflitti, i sentimenti ed i presagi sul futuro messi in gioco da Wagner sino a quel momento dell’Anello.
La sezione centrale, Der Augen leuchtendes Paar, ampia e più lirica, langsam dice Wagner, perché è quella del ricordo e della nostalgia di Wotan per i momenti della vita vissuta con Brunhilde, sviluppa maggiormente il tema dell’Addio. Il canto inizia sul Sol2 ,alternando frasi ampie a altre più ritmate, puntando ora al Re3 e al Mi3 e scendendo sino al Ladiesis2 di Bangen. A Wotan che per l’ultima volta ora bacia la figlia, zum letzenmal……letzem Kuss Wagner prescrive finalmente un canto legato, e che è uno dei tratti distintivi delle grandi esecuzioni di questo finale.
L’ultimo bacio del padre alla figlia, Denn so kehrt… von dir., è scandito dal tema della Rinuncia e dalla discesa al La2-Si2 Si1-Do2 mentre inizia a serpeggiare sottile il tema della Magia del Sonno.
Un altro lungo interludio orchestrale, che introduce l’arrivo del fuoco attorno al giaciglio della valchiria, isola il canto dell’invocazione di Loge da parte di Wotan. Il dio bacia dolcemente la figlia mentre si addormenta, la depone sul tumulo accomodandole l’elmo e lo scudo,quindi si allontana dolosamente, prima di chiamare Loge. Durante l’azione si dispiegano ed articolano il tema della Magia del Sonno, dell’Addio di Wotan, quindi dell’Enigma del Destino, prima che risuoni quello del Patto,che riaccende il canto del protagonista.
L’incipit è imperioso, con il salto di ottava, La2-Re2-Re3, e la voce di Wotan deve svettare con squillo in acuto più volte, a chiamare il Fuoco, che arriva guizzante. Poi di nuovo altra invocazione a Loge, discendendo ripetutamente al Re3-La2, quindi Rediesis3, percuotendo ripetutamente il suolo la lancia. Si sviluppa lo sfavillìo del fuoco, nel tema dell’Incantesimo, che avvolge il sacro tumulo, quindi il lunghissimo sviluppo del tema della Magia del Sonno. Il dio ha compiuto finalmente compiuto la punizione, perciò inizia ad allontanarsi mestamente. Le sue ultime frasi sono autoritarie ed imperiose, Wer mein Speeres Spitze fuerchtet, durchschreite das Feuer Nie, ossia, chi teme la sua lancia non osi rompere il cerchio di fuoco. Il canto di Wotan è qui ampissimo e forte, spinto minacciosamente verso l’alto fino al Fa3. L’orchestra chiude la giornata, evocando Siegfried, con il suo tema affidato alle trombe, poi di nuovo quello dell’Addio rielaborato dai legni assieme a quello del Sonno, in un grandioso e scintillante finale di calma. L’azione viene sospesa, e sulla scena rimane solo l’addormentata Brunhilde avvolta dalle fiamme.

Di qui una tradizione esecutiva e di documenti sonori arcaici che da un lato annovera cantanti pressoché specializzati nel repertorio wagneriano tout court, da Wotan a Sachs all’Olandese sino ad Amfortas, genericamente individuati come bassi-baritoni e che hanno incarnato il cosiddetto “stile di Bayreuth” inaugurato ed istituzionalizzato sulla sacra collina da Cosima Wagner poi dai suoi eredi; dall’altro una tradizione di cantanti dediti non solo al canto wagneriano ma anche a certo repertorio italiano e francese, o comunque in grado di praticarlo possedendone modalità espressive e tecnica di tradizione ottocentesca. Tra questi anche due tra i più noti esponenti della tradizione vocale wagneriana francese, di scuola e formazione italianissima, per non dire belcantista, quindi due rappresentanti della tradizione esecutiva in italiano, seguiti, infine, da alcuni notissimi specialisti del dopoguerra sia del Wagner “cantato” che di quello “berciato” o “sforzato”, ossia di quella prassi che attualmente è istituzionalizzata nei teatri di tutto il mondo, a Bayreuth in primis.

Appartengono all’”archeologia wagneriana” i primi quattro protagonisti che vi proponiamo, H. Bachmann, A. Van Rooy, T. Bertram ed W. Soomer.
Del Wotan’s Abschied di Bachmann (1908), una sola volta Wotan a Bayreuth nel 1896, quindi durante la gestione di Cosima Wagner, ci rimane solo la prima parte della scena, cantata con voce facile in acuto, timbro ambiguo, da bass baritone, buona tecnica, come quasi tutti i cantanti del periodo, formati su di un repertorio anche italiano e francese, che praticavano regolarmente. Il suo fraseggio è abbastanza monotono, ma il cantante era tecnicamente capace, a differenza di Bertram, Wotan dal colore di basso, apprezzatissimo dalla vedova Wagner, e che infatti canta orrendamente. Il brano è inciso ad una dozzina d’anni dalla data del debutto sulle scene, e mostra un cantante incapace di gestire gli acuti dell’incipit della scena, Leb’wohl , senza stonare. L’emissione è aperta, gridata in alto, più accettabile nella sezione centrale Der Augen leuchtende Paar, ma il canto rimane modestissimo in fatto di legato. Ciò nonostante fu Wotan a Bayreuth in quattro produzioni, dal 1901 al 1906, di cui resta forse uno dei più preclari modelli delle teorie declamatorie di Cosima.
Sulla stessa linea il baritonale A. Van Rooy, celeberrimo wagneriano anni’10, nonché cantante di fama internazionale. A differenza dei due precedenti, Van Rooy, Wotan a Bayreuth dal 1897 al 1903, riuscì ad approdare al Met nel ’98, dove rimase una decina d’anni, anche come cantante di repertorio italiano e francese. Anche lui cerca la frase epica, il canto altisonante e retorico come Bachmann e Betram, con suoni fissi e calanti in acuto ad onta della sua naturale vocazione baritonale. Si percepisce forse qualche maggiore intenzione di fraseggio nel rallentare e smorzare
Der Eine nur…der freier…”, ma è poca cosa.
Il solo che forse si stacca dai precedenti è W. Soomer, Wotan a Bayreuth dal 1908 al 1914 per cinque produzioni. Cantante di una generazione successiva ai precedenti, appartiene già al novero dei cosiddetti “specialisti” del repertorio wagneriano. La scena è incisa in due mandate le prime due sezioni nel 1907, l’invocazione a Loge finale nel 1913. Il colore della voce è scuro, pressoché da basso, manovrata in modo solido ma piuttosto piatto nel fraseggio. Il mezzo pare importante anche nei limiti di una incisione arcaica, ma anche piuttosto spinto e forzato.

Quando incise, nel 1928, in francese, questa ampia porzione dell’addio di Wotan, Marcel Journet aveva 61 anni! Ci ha lasciato un documento straordinario del suo modo di cantare Wagner, di cui ebbe in repertorio per più di un quarantennio sia ruoli di basso puro che di bass baritone, da Hunding a Hagen, Wotan, Klingsor, Hans Sachs etc.. Il brano è assai significativo perché documenta il cantare Wagner extra Bayreuth da parte di artista dalla carriera singolarissima nella sua evoluzione perché partì come basso e finì come baritono acuto, cantando Rigoletto a 66 anni. Un prodigio vocale, di fatto, per qualità naturali, tecniche e personalità d’artista.
Ad onta dell’età l’attacco di Leb’wohl…qui tradotto in Adieu, adieu..arriva facilissimo, giovanile ed ardito. Sale benissimo ai Mi3 emessi come note centrali, il biglietto da visita di quanto farà udire dopo, ossia un canto legatissimo e privo di fatica, capace di facili e naturali espansioni in ogni zona della voce, di una potenza regale compostissima. Il suono di Journet resta sempre molto alto nella maschera, astratto e perfettamente immascherato. Nella zona centrale del brano, Der Augen leuchtendes Paar….Cex yeux si pures…, canta con paterna dolcezza, degna di un dio gigantesco, fermo ed accorato, dal canto italianissimo, anzi dal belcanto italianissimo. La voce galleggia perfettamente sul fiato, e sale verso l’alto senza peso e senza la minima costrizione dei suoni, la dizione chiara, sempre col dire a fior di labbro. Allo stesso modo le discese ai gravi prima dell’introduzione del tema della Magia del Sonno, all’interludio che precede l’invocazione di Loge, che manca all’incisione. Tutto è facile e scorrevole nel canto di Journet, e come lui solo pochi altri gli staranno pari, pochi altri mostri sacri di questa serie.

In effetti sin lì ci era riuscito, ma soltanto in disco A. Kipnis, due anni prima, nel 1926. Forse l’incisione di chi avrebbe voluto liberarsi dai panni di Hunding per vestire quelli di Wotan, magari al Met o a Bayreuth, ove cantò dal 1927 al ’33. Ma Wotan non ebbe mai la voce di Alexander Kipnis in teatro, sebbene l’incisione discografica sia assolutamente formidabile. La sua è la corda del basso puro, dal timbro scuro, capace di impressionanti discese ai gravi come di facilissime salite all’acuto, potentissimo, morbido e di una omogeneità inumana. E’ noto come questo cantante, in forma, costituisca un modello di perfezione assoluta di canto sul fiato, sempre immascheratissimo, emissione astratta, senza alcuna inflessione stomacale o ingolata. Il suono è sempre là, fuori dal corpo, gli acuti addirittura…squillanti.
Il brano è per Kipnis di una facilità elementare ( come tutto quello che canta, del resto….), eseguito con un tempo in generale abbastanza sostenuto, l’iniziale Leb’wohl soprattutto, eseguito con forza epica. Il suo Wotan è monumentale, statuario, in primo luogo il capo indiscusso degli dei. Der Augen leuchtendes Paar è cantato legatissimo, con dolce potenza. Su …strahlenden paar.. e… mir geglanzt dà volume al suono, che arriva tanto ampio quanto facile. Quindi la discesa al Ladiesis2 di Bangen con la voce pare adagiarsi sulla nota, alta e sonora. Si permette poi di sussurrare le frasi Denn so kehrt der Gottvon dir con grande facilità, sempre tenendo il suono alto. Terribile poi la chiamata finale di Loge per la potenza degli acuti, quindi le frasi finali, mentre Wotan si allontana dalla figlia Wer mein Speeres….di una potenza impressionante.

Il Wotan di Kipnis rimarrà sempre un sogno per il melomane antiquario, questo è certo, ma F. Schorr, ritenuto il più grande Wotan di quegli stessi anni ’20-’30, non ammetteva molti sostituti.
A Bayreuth lo cantò in cinque produzioni tra il ’25 ed il ’31, al Met addirittura vi si installò per un ventennio, sino al ’43, sull’intero repertorio wagneriano oltre che straussiano e qualche incursione nell’opera italiana. Eclissò la memoria di ogni suo predecessore nel grande teatro americano, e gli audio del cantante in piena forma ne documentano bene le ragioni.
Nel 1926, a 38 anni, incise, sotto la direzione di Leo Blech, il duetto del III atto di Walkuere con Frieda Leider. Ne aveva circa una quindicina di carriera. Il disco è strepitoso per la qualità del canto della coppia restituita da una grande qualità audio dell’incisione. La voce di Schorr, baritonale, è morbidissima, lirica ma anche potente, capace di piegarsi ad ogni intenzione musicale, di salire agli acuti con proiezione e compostezza. Facilissimo e chiaro in alto, anche Schorr manovrava il suo mezzo senza mai stimbrare il suono o lasciarlo andare fuori posizione. Inutile ribadirne la qualità del legato. Svetta subito nel Leb’ wohl, dove esegue già delle sfumature. Canta la prima sezione in modo sonoro, epico e squillante, con dizione scanditissima, sulla velocità sostenuta di Blech, Der Augen leuchtendes Paar in un modo che ricorda moltissimo un altro grande baritono di quegli anni, A. Endreze, che vedremo poi, per la qualità del legato ed il colore della voce. Schorr possiede forse un maggior distacco, suona più monumentale e meno lirico del francese, ma resta sempre dolcissimo. Sfuma tanto e rallenta anche ove gli occorre per liricizzare al massimo il canto. Esegue numerosi piani a fior di labbro, smorza, è dolente, si compiace di dare volume a certe note centrali, che risuonano proiettatissime, mentre esegue molte note tenute a cercare una maggior solennità del personaggio. Qui è il canto che governa tutto: una grande aria per baritono, che lascia l’orchestra in secondo piano. Il che è quasi incredibile, data la magnificenza dell’invenzione wagneriana da cui è impossibile distogliersi. Leo Blech si esibisce nell’ultimo interludio, quello del tema dell’addio di Wotan, dove dirige benissimo.

Assomiglia a Schorr il cantante che sostituì Journet nei ruoli di bass baritone in Francia, ossia Arthur Endréze. Alla sua incisione, in francese, del 1932, manca, come al suo predecessore, la sezione finale, l’invocazione di Loge.
Di fatto siamo davanti ad un baritono dalle qualità tecniche da belcanto ( celeberrimi i suoi trilli dell’Alphònse di Favorite ). Non era un cantante di grande potenza, piuttosto un vocalista elegante ed aristocratico, di grande tecnica. La voce decisamente baritonale ha anche un lievissimo vibrato, un’ emissione composta, dolce e stilizzata. Della sua esecuzione colpiscono non tanto il mordente e gli acuti che caratterizzano la prima sezione e che conferiscono al suo Wotan un carattere giovanile ed epico, quanto la malinconia che screzia anche le frasi iniziali. Gareggia con Schorr in quanto a legato in Der Augen leuchtendes Paar, dove tiene sempre il suono alto, sonoro anche nei gravi estremi. Di Endréze colpisce la facilità con cui esegue smorzature nella prima come nella seconda sezione del pezzo, che risulta elegantissimo e struggente al tempo stesso.

Anche i massimi esponenti del canto wagneriano in Italia incisero tra le due guerre l’addio di Wotan, in italiano naturalmente, poiché erano ancora gli anni delle opere tradotte nelle lingue nazionali. Nel 1929 N. De Angelis aveva già cantato Wotan alla Scala nelle produzioni di Valchiria del 1910 e del 15, a Napoli nella stagione ’26 –’27. Fu il grande basso, cantante anche su ruoli bass baritone di Wagner, sino agli anni ’30 e ’40, poi sostituito da L. Rossi Morelli, specializzato nel canto wagneriano, già alla Scala dal 1928 al 1931, a sua volta sostituito nelle grandi produzioni degli anni a seguire da Tancredi Pasero.
Di De Angelis ci è rimasta una incisione famosissima, monca dell’invocazione a Loge. Voce notoriamente poderosissima, di grande qualità timbrica, De Angelis canta un Wotan assai poco umano e molto dio, gigantesco e terribile nell’incipit, straordinariamente “all’italiana”nella sezione centrale del Der Augen leuchtendes Paar, cantato a fior di labro con una dolcezza ed un legato straordinari. E’ forse il più sfumato di tutti i Wotan in disco, facilitato,come già Kipnis, da una dote naturale eccezionale. Quando poi arriva a cantare le frasi espressamente scritte legate da Wagner, corrispondenti al zum letzenmal……letzem Kuss, momento in cui il dio bacia la figlia per l’ultima volta, De Angelis suona letteralmente con la voce a fior di labbro, un canto struggente, per poi chiudere l’incisione con le discese ai gravi che precedono l’invocazione a Loge, su note cupe ma sonorissime. Gigantesco De Angelis cui soltanto Pasero saprà stare di fianco nella tradizione italiana. Rossi Morelli, baritonaleggiante e con lieve vibrato, canta bene, con voce piena e parecchie intenzioni di fraseggio, ma non può competere col suo predecessore, non foss’altro per il mezzo. A noi, però testimonia, seppure in uno spezzone brevissimo corrispondente alla seconda sezione dell’addio, la continuità del gusto anche su cantanti di secondo piano rispetto a queste figure enormi della storia del canto. Nessuno dei primi quattro wagneriani con cui abbiamo iniziato questa piccola rassegna può stare al fianco di Rossi Morelli.

Due generazioni di cantanti si esibirono a cavallo dell’ultima guerra, la prima di nati alla fine dell’ottocento ed attiva sino agli anni cinquanta, la seconda, figlia dei primi anni del novecento, arrivò anche a vedere gli anni settanta.
Alla prima appartengono R. Bockelmenn e H. Janssen, alla seconda F. Frantz ed il leggendario H. Hotter.
R. Bockemann, a Bayreuth per quasi un ventennio, Wotan per nove edizioni, tra il 1931 ed il 1941, incarna lo “stile Bayreuth” del periodo, di scuola, repertorio e carriera prevalentemente tedeschi ( aveva avuto tra i suoi primi maestri anche Soomer ).
Il brano è estratto da un live famosissimo del Covent Garden di Londra, nel 1937 in compagnia forse del più straordinario direttore dell’Anello, W. Furwaengler, dalla cui direzione è impossibile separare il canto come, invece, nelle esecuzioni precedenti degli altri Wotan.
Furtwaengler stacca un tempo veloce per il baritono Bockelmann già nel Leb’ wohl, perché il suo cantante manca di peso nella voce, sebbene sia facile e proiettata in alto. Il suo Wotan è avvolto da una spirale di sentimenti, e la sua angoscia è descritta con chiarezza dal modo in cui il direttore gestisce gli archi. Dal magma sentimentale iniziale si passa poi all’epica, con il motivo di Siegfried, squillante. Furtwaengler realizza un effetto esasperatissimo nel breve interludio che introduce la sezione centrale, con l’orchestra che passa continuamente dal piano al fortissimo, eseguendo forcelle di grande ampiezza, spinge l’orchestra al parossismo, per poi tornare a placarsi prima che Wotan ricominci il canto. Lentissimo e quasi caricato il Der Augen leuchtendes Paar, solenne e dolente, con il baritono che lega bene il suo canto, efficace ed anche abbastanza sfumato sebbene non eclatante rispetto ai cantanti che abbiamo visto prima, di cui non ha la morbidezza ed il legato. E’ Furtwaengler che col tempo sembra coadiuvare il cantante, compensandolo dove gli mancano carisma e pathos. Dove non c’è Bockelmann c’è Fuertwaengler. Lentissima la sezione musicale che precede l’invocazione a Loge. Il motivo del Sonno arriva piano piano, quindi il motivo del Walhalla. Nell’addio Furtwaengler scatena gli archi, che toccano l’ascoltatore quasi come un brano cameristico. Poi l’orchestra cresce per intensità, volume, compattissima ed intensa. Dal tema dell’Enigma del Destino tutto prende un carattere tremendo e terribile, poi arriva Loge, nevrotico, quindi il tema dell’Incantesimo del Fuoco, scintillante e guizzante, con l’orchestra brillante. Il canto dell’orchestra sul tema di Siegfried arriva con i fiati solenni, poi di nuovo il lirismo ampio degli archi, mentre il tema dell’Incantesimo continua a guizzare sul fondo, Bockelmann canta le ultime frasi con assoluta facilità in alto, ma gli manca, come forse un po’ a tutte le voci baritonali in questo passo, l’ampiezza necessaria al monito finale del dio.

Con il Wotan di H. Janssen, invece, siamo ancora di fronte alla prevalenza del cantante sulla bacchetta, seppure esimia, alle medesime soglie cronologiche del caso precedente.
Janssen non fu certo un cantante “Bayreuth style”, ove cantò nel 1930 e ’37 in vari ruoli anche minori, ma mai come Wotan. Il personaggio fu per lui, principe del Met, un approdo tardivo, che contribuì ad accelerarne il declino vocale.
Sotto la guida di Szell, nel 1944, Janssen creò un Wotan lirico, di grande dolcezza, autoritario per lo squillo in acuto ma non certo per la potenza della voce. L’attacco del Leb’wohl è brillante, facilissimo sui Mi3, non a caso in questa sezione che richiede imperio. Trasforma il suo dio in un padre quasi disperato, travolto dal vortice dell’emozione. Con Szell rallenta il passo solo quando, sul tema di Siegfried, denn Einer.., proclama che solo un altro uomo potrà risvegliare la figlia, un uomo libero, più libero di lui. E Szell segue la stessa via, quella dell’epica e dello struggimento prima dell’attacco in piano di Der Augen leuchtendes Paar, il capolavoro del baritono tedesco che sussurra alla figlia con dolcezza ed apprensione infinita. E’ una separazione dolorosa, da cui traspare continuamente la tenerezza del padre per la figlia e quasi la culla con il canto, con cui descrive l’ultimo abbraccio di Wotan. Il tema della Magia del Sonno arriva lentissimo e sommesso, mosso solo dal tema del Walhalla dei fiati. Poi attaccano i legni l’Addio di Wotan. Nella chiamata di Loge Janssen si affida di nuovo al suo squillo tenorile.
E’ un modo diverso di cantare il finale, un modo in linea con il precedente di Schorr ed in sintonia con il Wagner superbamente cantato e fraseggiato degli ospiti fissi del teatro newyorkese, dalla Flagstad alla Leider, da Schorr a Kipnis alla prima Lawrence etc…

Per quanto concerne i bass baritone del dopoguerra, fatta eccezione per il gigantesco Hotter, monopolista del ruolo per più di vent’anni in tutte le grandi produzioni con tutte le grandi bacchette, da K. Krauss a H. Knappertsbusch a K.Boehm etc., saranno attivi soltanto cantanti più modesti anche dello stesso Bockelmann, quali F. Frantz. Sarà anche stato uno dei Wotan prediletti di Furtwaengler, ma il bass baritone tedesco è già un cantante abbastanza “difficile” per i vociomani.

Nel celeberrimo live della Scala del 1950, diretto magnificamente da Furtwaengler, Frantz suona spesso legnoso, soprattutto nel Der Augen leuchtendes Paar, dove lega poco e male. Gli acuti non sono ancora le note ingolate e fibrose dei moderni interpreti di questo ruolo, anzi, hanno ancora una certa qualità ed altezza. I piani, invece, non sono a fuoco, suonano opachi e difficili. L’emissione dura, talora fissa nell’invocazione a Loge, ove arriva stanco, lo penalizzano mentre la buca suona stupendamente un finale scintillante.

L’era di Hotter, nove volte Wotan negli anni tra il ’52 ed il ’66 a Bayreuth, ha due facce, quella del cantante prima maniera sino agli inizi degli anni ’40, e quella successiva. Contrariamente a Journet, il grande basso tedesco dal bass baritone originario divenne sempre più scuro come colore di voce e grave. Anzi, a dire il vero, la voce acquisì anche, coll’andare del tempo, un posizione più bassa di quella originaria, anche per via dei problemi di asma che notoriamente lo condizionarono. Voce di grande qualità, potente, ottima tecnica, è l’ultimo rappresentante, a mio modo di vedere, del Wagner cantato oltre che declamato sulla parola.
La sua incisione del Wotan’s Abschied del 1944 (nel video)è in linea con la grande tradizione precedente.
Timbro piuttosto baritonale ma dotato di ampiezza di canto, approcci la scena con un tono pacatamente solenne, voce sonora, pulita, senza fibra. Il canto è qui assai più vitale rispetto al dopoguerra, dove tenderà ad appesantirsi coll’andare del tempo. La dizione sempre chiarissima e scandita, questa si “Bayreuth style”. Della tradizione precedente possiede ancora il legato e la tendenza al canto sfumato, sin dalla prima sezione, Leb’wohl, dove solo grandissimi inseriscono smorzature etc.. Der Augen leuchtendes Paar è cantato con grande dolcezza paterna, sussurrato a fior di labbro, le frasi sfumate, come già Janssen e Schorr e Kipnis… Sempre come negli esempi precedenti, Zum letzen Mal….. è legatissimo e sfumato come prescrive Wagner, la discesa al ladiesis grave mestamente cupa e rassegnata.
Molto diverso, invece, il cantante dell’incisione del 1957, direttore H.Knappertsbusch ed imparagonabile ormai a se stesso oltre che ai mostri sacri predetti.
La voce è ancora bella ma non ne ha il legato, nè la proiezione, né i piani sono brillanti quanto quelli di un Kipnis o di un De Angelis. Le salite all’acuto si sono fatte faticose, anche se il cantante, per formazione e metalità, cerca sempre il suono composto e stilizzato. Il suo dio è diventato un grande vecchio, solenne, come l’orchestra di Knappertsbusch. ma il canto non ha più slancio, è stanco. In questo audio si canta ormai diversamente dal passato, sia come tecnica che come modo di fraseggiare. Le intenzioni espressive sono tante, ma spesso si realizzano a discapito dell’ampiezza della frase e del canto. Knappertsbusch dirige un’orchestra aulica, degna di arcaici dei del Wahlalla, statuari ed ideali. La sua orchestra ha un sound di inumana perfezione, compattezza, brillante, intensissima, struggente come sul fortissimo che apre al tema dell’addio di Wotan di Der Augen leuchtendes Paar. Hotter attacca dolcissimo, lirico, dolente come pochi, sussurra alla sua figlia il il doloroso ricordo del passato. I suoi piani però non sono a fuoco come un tempo, quindi la tessitura pare farsi alta per lui, tanto che spinge gli acuti un tempo facili, mentre la dizione resta chiarissima, nitida e scandita, senza intaccare il legato. Il risultato è un Wotan anzianissimo, distante, quasi…… un Gurnemanz. L’ultimo interludio, precedente l’arrivo di Loge, è per me il capolavoro di Knappertsbusch. Suona, come già nel Parsifal, come in una composizione mistica, il tema dell’Addio.
Terribile l’esecuzione del tema del Patto, con la voce di Hotter che è quella di un dio tuonante, autoritario e spaventoso. Loge arriva a moderata velocità, perché anche il dio del Fuoco ha diritto alla sua solennità divina per Knappertsbusch. Quindi l’ultima terzina di Wotan, con quelli che forse sono i migliori ma anche gli ultimi acuti di Hotter Wotan, non certo squillanti. Epico il tema di Siegfried dei fiati, e seraficamente monumentale tutta la chiusa dell’opera da parte dell’orchestra.
Knappertsbusch è stupendo, oratoriale, un ‘orchestra compatta come uno strumento solo. Gli archi astratti, suona con dolcezza composta ed astratta, nella sezione centrale. Monumentale la sezione finale con l’arrivo del fuoco entro un’ orchestra magmatica.

Il post Hotter è cronologicamente segnato da un trend negativo per il canto, per voce di interpreti cosiddetti più o meno specializzati, e magari anche consacrati dai cartelloni della Sacra Collina, come T Adam, ininterrottamente Wotan dal 1964 al ’75. Trend nel quale, a mio modo di vedere, il solo T. Stewart costituisce un elemento in controtendenza, anche se con limiti oggettivi.
Nel duo T. Schippers – T. Adam di Tokyo è il direttore prevalere e a cantare,come spesso da ora in poi, ma la proposta non poteva mancare perché si tratta di una delle più belle direzioni d’orchestra documentate di sempre. Il grande direttore americano, occasionalmente dedito a Wagner, si esibisce in una direzione poco convenzionale e di grande suggestione. Introduce il Leb wohl con grande ampiezza e parca velocità. La sua direzione è ampia, lirica e dolce, quindi si velocizza quando attacca il canto. Adam è un baritono chiaro, abbastanza esteriore come interprete in particolare nella prima sezione, preoccupato solo di avere la voce avanti, di squillare sugli acuti, ma cantando senza sfumature e pathos. Spesso la sua emissione è aperta, la linea di canto poco sfumata ed il timbro baritonale viene sforzato sino a suonare chioccio.
Schippers suona con epica il motivo di Siegfried che introduce il primo interludio, poi si getta a capofitto nella musica. Fa seguire forcelle esasperate all’orchestra come già Furtwaengler, amplificando anche i crescendo di volume dell’orchestra. Si allarga in un fortissimo strepitoso, esagerando al massimo l’effetto, che poi placa, con i legni che arrivano solenni sull’addio di Wotan. Der Augen leuchtendes Paar è staccato molto lento, troppo per il modesto legato di T. Adam: al maestro sarebbero stati adatti gli Janssen o i Kipnis. Impone al cantante di tenere molto le note in chiusa di frase, e l’effetto sarebbe bellissimo se Adam non cantasse con quelle a orribili, tanto scoperte. Gonfia poi i bassi delle frasi “Dem glueclicke Manne….muss es schedend sich schliessen”, lontanissimi dalla corretta impostazione di cantanti come Schorr o Janssen.
Quindi tocca di nuovo a Schippers, con la sua dolcissima lentezza, composta e narcotizzante suonare il tema della Magia del Sonno e tutt la porzione che porta al tema dell’Addio di Wotan, una delle più lente e stupende lenti esecuzioni del passo che si conoscano, intensa e soggiogante. Si compiace di procedere tranquillo, perché, sulla scena, il padre ha compiuto la sua scelta doverosa, il tempo sembra immobile.. L’orchestra si accende poi con l’invocazione di Loge, che arriva con forza, con l’epica di un dio, quindi l’incantesimo del fuoco, brillante e veloce, alla Furtwaengler. Sulle ultime frasi di Wotan il tempo si velocizza, l‘orchestra accellera, vitalissima, e procede fino alla fine lirica, dolcemente ….stupenda. Insomma, la serena genialità di Schippers con la relativa complicità del Wotan di Adam.

Ben peggio di Adam, Otto Edelmann, bass baritone buffo, eccezionalmente Wotan al Met con Mitropulous. Caso preclaro di malcanto di una voce molto legnosa, di pochi armonici, coniugata ad un canto povero di intenzioni e dal suond molto forzato. Edelmann canta tutto forte nella prima sezione Leb’ wohl, e non gli basta la grande velocità staccata opportunamente da Mitroupulos. Anche per il maestro greco, la ricerca di effetti molto esasperati, con forti accellerazioni nell’interludio che precede Der Augen leuchtendes Paar, che Edelmann attacca orrendamente, con voce dura e anche calante. La dizione è chiara, ma la scansione delle parole prevale sul legato. Gli acuti suonano indietro, i gravi ingolati, e proprio il timbro resta ostile alle orecchie. Il direttore è nuovamente velocissimo anche nella sezione che precede l’invocazione di Loge, che il cantante esegue con la sua vociaccia da Ochs sgangherato, nonostante la velocità della bacchetta, che può solo limitare i danni e fuggire via verso il finale.

T. Stewart fu un celebrato Wotan a Bayreuth per 5 edizioni, dal 1965 al ‘71, ultimo grande cantante sul ruolo nella cronologia del festival. Il live salisburghese del 1967 è notissimo, immediatamente successivo all’incisione discografica dell’opera e terza edizione teatrale dell’Anello di Karajan, quella che avrebbe realizzato appieno la sua personale concezione “riformata” dell’opera.
T. Stewart è il solo Wotan degli anni recenti che può essere messo a fianco di quelli del passato per la morbidezza del canto, il legato, la voce timbrata, il canto composto, ma resta poco significativo di fianco ai giganti del passato sul piano del fraseggio, delle intenzioni espressive, e questo anche per colpa o volere del maestro.
Karajan introduce il brano con buona velocità guidando un’orchestra straordinaria per qualità di suono. Stewart ha grande qualità timbrica oltre che buona potenza, ed in questo risponde appieno all’edonismo sonoro della bacchetta.
La prima sezione è cantata con bel legato ed una certa ampiezza, ma mancano i colori, gli accenti, le intenzioni espressive dei grandi del passato di fronte ai quali risulta piatto ed assente.
L’idea di Karajan è estrema, parossisitica: appaga l’orecchio ma alla lunga annoia perché snervante. Il tema di Siegfried non ha alcuna cupezza né epica, è mera suggestione sonora, come tutto il primo interludio del resto, molto lento e astratto dal senso dell’azione e dell’intreccio dei leitmotiven.
L’addio Der Augen leuchtendes Paar è anche’esso staccato lentamente, cantato in modo soffuso dal protagonista, che cerca il legato e la dolcezza. La voce gli và indietro sul Mi3 di “wild webendes..”, peccato veniale del bravo Stewart. Al secondo interludio il tema del Sonno arriva lentamente, dolce e sospeso, poi il tema dell’Addio con gli archi quasi senza forza, sfiniti, suonano con un languore mai sentito prima ( e forse mai cercato ..). Idem il tema dell’Enigma del destino, per nulla profetico. Quindi il Patto, e l’invocazione di Loge, in sintonia col cantante, che ha bella proiezione, ma non è certo ieratico o possente. Al finale, l’Incantesimo del Fuoco è descrittivo, tutto sound, con l’orchestra che suona benissimo, sempre dolce, mai ieratica o eroica, come nel tema di Siegfried dei fiati; idem dicasi per la ripresa da parte degli archi dell’addio.

Alla fine non posso fare a meno di collocare, senza commento, alcuni dei successivi cantanti che hanno vestito il ruolo in produzioni celebri anche recentissime, lasciando a voi la riflessione sulla moderna arte del canto bass baritonale wagneriano. Per parte mia non posso che constatare il naufragio vocale di tutti i Wotan post Stewart su livelli ancora più bassi degli antichi “cosimeschi” . Le conclusioni traetele voi!

Gli ascolti

Richard Wagner

Die Walküre

Atto III

Leb’ wohl, du kühnes, herrliches Kind!…Der Augen leuchtendes Paar…Loge, hör’!lausche hierher!

1902 – Anton Van Rooy
1902 – Theodor Bertram
1908 – Hermann Bachmann
1913 – Walter Soomer
1926 – Alexander Kipnis
1927 – Friedrich Schorr
1928 – Marcel Journet
1929 – Nazzareno De Angelis
1930 – Luigi Rossi Morelli
1932 – Arthur Endrèze
1937 – Rudolf Bockelmann (dir. Wilhelm Furtwängler)
1944 – Herbert Janssen (dir. George Szell)
1950 – Ferdinand Frantz (dir Wilhelm Furtwangler)
1957 – Otto Edelmann (dir. Dimitri Mitropoulos)
1957 – Hans Hotter (dir. Hans Knappertsbusch)
1967 – Theo Adam (dir. Thomas Schippers)
1968 – Thomas Stewart (dir. Herbert von Karajan)

5 pensieri su “I giorni della Valchiria – Terza giornata: atto III

  1. Cara Giulia, grazie mille per il pezzo e per le esecuzioni accluse. Un vero godimento.
    A parte l'assenza George London (forse non casuale), direi che l'elenco dei degni-di-nota è pressoché completo. Solo, leggo che Hagen sarebbe un basso-baritono: immagino si tratti di un refuso per "Gunther", poiché Hagen, sebbene salga (urlando) addirittura al sol(!), è e resta un tiefer Bass: un basso profondo, cui è richiesta voce nerissima. E nera, per la verità, dovrebbe anche essere la voce di Wotan, il cui primo interprete, Franz Betz (primo a Bayreuth, non a Monaco nel 1869 [Rheingold] e nel 1870 [Die Walkuere]) presentava caratteristiche vocali lontane da quelle del basso-baritono; tanto lontane che le sue difficoltà in zona acuta (l'estensione di Wotan si spinge, nella Walkuere, al fa# [reite zur WAL], non al fa naturale: un semitono che marca un'importante differenza) fecero lumeggiare a Wagner la possibilità di trasportare la parte in zone meno impervie. Dunque per Wotan l'interprete ideale sarebbe un basso non baritonaleggiante, e tuttavia fornito di acuti. In questo senso, Kipnis rappresenterebbe un modello di estremo fascino – non certo i terrifici (e belanti) bassi di inizio secolo, creature di Cosima, dinanzi alle quali il Maestro sarebbe illividito d'ira e orrore. Al contrario, Hotter non sarebbe dispiaciuto al buon Richard, proprio per il colore nereggiante della voce, nonostante l'evidente disagio in zona acuta, così come probabilmente il Maestro non avrebbe disprezzato Ferdinand Frantz, di cui noi, tristemente, possediamo testimonianze del declino vocale, ferma restando una granitica dizione e un colore a mio parere non deprecabile. Magnificamente mediterranei i francesi, ma, appunto, solo in parte adeguati a calarsi nelle vesti del Goettervater; stesso discorso per Nazzareno de Angelis, la cui resa dell'Addio è comunque seducente e "diversamente bella", mentre i patenti limiti di Rossi Morelli (un vibrato ben oltre i limiti dell'ammissibile – certo non aiutato dalla pessima qualità della presa del suono – un colore pallente, portamenti fuori ordinanza e un eccesso di pathos ausonio) lo rendono poco plausibile nella parte. Di Edelmann bisognerebbe ascoltare anche la registrazione di Solti con i Wiener, che rende maggiore giustizia a un interprete profondamente "umano" di Wotan.
    Evidentemente, la subordinazione del "legato" alla dizione tedesca (colpi di glottide obbligatori prima di ogni vocale, assenza pressoché totale di sandhi vocalico, ma anche di raddoppiamenti sintattici) è un dato di fatto, il cui rispetto era preteso dallo stesso Wagner (importanti, al riguardo, le Erinnerungen an Ludwig Schnorr), pena lo sconfinamento in tutt'altro terreno linguistico e musicale. Con questo non si difenderà l'indifendibile: ossia gli ululati spesso percepiti in luogo delle note e il fraseggio sgangherato o volgare. L'interprete che voglia rendere onore alle intenzioni del maestro, insomma, non potrà cantare indegnamente, né perdere di vista la chiarezza della dizione e le regole inderogabili della pronuncia tedesca. E il "legato", che non è cifra puramente vocale, ma è il portato di un'intera concezione musicale, quella romantica e tardoromantica, sarà da intendersi alla maniera strumentale (e non belcantistica: di nuovo, le Erinnerungen di Wagner dicono tutto nel modo più chiaro), ossia nei termini di una ben calibrata unità e coesione del fraseggio, e mai e poi mai come impastata giustapposizione di suoni vocalici, magari sostenuta da improbabili portamenti.

    Con questo, trovo che il tuo ottimo lavoro di analisi sia di straordinaria utilità per chiunque voglia calarsi nei meandri di uno dei personaggi più complessi dell'intero teatro musicale dell'occidente. Grazie!

  2. Magnifica selezione.
    Manca all'appello un solo grandissimo Wotan (meglio, una sola grande incisione del brano): Mark Reizen. Paragonabile a Journet e Kipnis per la bellezza della voce, la morbidezza del canto, l'ampiezza del cavata e la proprietà di accento.

    Saluti a tutti.

    Emanuele

  3. Hans Hotter sarà anche stato un Wotan di portata storica, ma resta a mio avviso un baritono – non un basso – bolso e fibroso da far spavento (e non solo da vecchio). La sua voce non è "nereggiante", come qualcuno scrive: è tutta impiastricciata e affogata nel catarro. Inascoltabile, una tortura abominevole.

    Spettacolare Kipnis: la voce di un vero Dio.

  4. Ignoro se il baritono Hans Hotter abbia mai cantato con il soprano di coloratura Kathleen Ferrier, con il tenore di grazia Christa Ludwig, o abbia conosciuto il contralto rossiniano Matti Salminen. Consta, tuttavia, che egli abbia interpretato diverse volte il ruolo di Wotan in compagnia del basso profondo (ottavista) Birgit Nilsson.
    Non c'è che dire, il fascino della musica sta proprio nel suo sfuggire a qualunque dogma.

    Buon pomeriggio.

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