Hipólito Lázaro: Mi método de canto. Lezione nona

Introduzione e note di G. B. Mancini

Traduzione di Manuel García

 

La nona lezione del trattatello di Lazaro è dedicata alla mezza voce, strumento tecnico ed espressivo indispensabile non solo per cantare in modo completo, ma, cosa ancora più importante, per fare vera musica, esercitando un’opportuna varietà di colori ed intensità dinamiche, onde articolare un discorso sonoro in cui il contrasto tra le diverse tinte ed i diversi volumi riesca ad esplicitare il significato sotteso alle note ed alla struttura del brano eseguito. Per intendere ciò, si ascolti il basso Pol Plançon ed il baritono Heinrich Schlusnus.

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Tutte le voci, maschili e femminili, possono e debbono disporre della mezza voce, ma nelle voci maschili – soprattutto quelle acute – il passaggio dalla emissione piena, alla mezza voce (che, nell’ottava acuta, altro non è che falsetto sostenuto) è particolarmente manifesto e suggestivo, a causa dell’acceso contrasto in termini di colore e spessore vocale. A tal proposito ho trovato molto significativo riportare ciò che scrive Duprez, nel suo trattato L’Art du Chant (1845), a proposito della categoria dei tenori contraltini (“ténor élevé”):”Cette voix est recherchée en ce que l’octave superieur doit réunir à la puissance de la voix d’homme toute la douceur de la voix de femme”. Rockwell Blake e Giacomo Lauri Volpi a mio giudizio incarnano perfettamente questa doppia natura, questa ambiguità della voce del tenore contraltino.

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Giovanni Battista Lamperti (Die Technik des Bel Canto, 1905) attribuisce la causa della penuria di buoni tenori di grazia alla negligenza delle moderne scuole canore nell’esercitare il fiato nel registro che lui chiama “misto”, indispensabile per poter cantare piano o realizzare una messa di voce. L’ascolto che segue ci documenta la maestria di uno dei maggiori tenori di grazia di scuola francese, Edmond Clément.

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La padronanza della mezza voce è dunque per Lamperti uno dei discrimini fondamentali per discernere il vero bel canto dalla grigia e piatta vociferazione.

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Vediamo quindi cosa dice in proposito il nostro Lazaro.

 

 LEZIONE NONA: LA MEZZA VOCE.
Non ti ho parlato prima della mezza voce perché per potertela spiegare è necessario analizzarla con grande cautela e misura così da poterne dare un giudizio esatto: la maggior parte dei cantanti di oggi credono infatti di nascere già in possesso della mezza voce e quindi di essere in grado di eseguire ogni minimo dettaglio dello spartito.
Concordo col fatto che si nasca già con la mezza voce in quanto facente parte della voce che Dio ci ha donato al momento della nascita. Ma non si nasce con la voce già educata per un mestiere così complesso come quello del cantante lirico.
In tal caso credo di essere poco adatto per discutere quanto detto perché, casualmente, l’aspetto migliore del mio registro vocale è proprio la mezza voce, stando a quanto dicono le critiche. Ed alcuni miei colleghi affermano che questa è favorita dalla nostra natura fisica aggiungendo che non è necessario educarla come il resto del registro. Credo sia una affermazione alquanto pesante.

Con queste parole Lazaro ci fa capire che anche ai suoi giorni l’arte del canto era intaccata da una grave decadenza, per cui molti cantavano in virtù della sola accentuata predisposizione innata, senza nessuno studio e consapevolezza dei propri mezzi. Lazaro parla di “educazione” della voce, non di “costruzione” o “impostazione”, sottolineando come a ciascuno di noi sia data, in potenza, una voce per cantare, ma che solo attraverso lo studio essa potrà scoprire e sviluppare pienamente tutte le proprie possibilità artistiche. Insomma, non si tratta di stravolgere, camuffare, o artifiziare  la natura, ma al contrario si tratta solo di sublimarla.
Dunque, quando io uso la mezza voce, devo fare molta attenzione per ridurre il fiato al minimo di volume per poterla eseguire al massimo della perfezione; è evidente la grande complessità nel saperla controllare affinché il cantante sia in grado di eseguire tutte le sfumature richieste. A questo proposito mi oppongo apertamente a quell’errore di molti cantanti per i quali non è necessario lavorare per educarla: io credo invece che la mezza voce richieda numerosissime e faticose ore di studio per poterla eseguire alla perfezione. Dimostrazione di ciò, per chi ha memoria, sono le rappresentazioni a Barcellona nell’anno 1935 di “La Favorita”, “Il Trovatore”, “Rigoletto”, “Tosca”, “Africana”, “Pagliacci”, “L’ Elisir d’amore”, “Boheme” e “Il Piccolo Marat”, concluse con grandissimo successo, ottenendo grande trionfo nei generi drammatico, mezzo carattere, lirico e leggero. Non bisogna dimenticare che “L’Elisir d’amore” bisogna cantarlo tutto o quasi a mezza voce. Sempre a conferma di questa mia tesi,  vorrei ricordare quello che accadde nell’anno 1922 nel mitico Teatro Colon di Buenos Aires per il quale, al fine di favorire il teatro e aggraziarmi gli abbonati, dovetti cantare cinque funzioni settimanali, durante la stagione ufficiale. Queste furono le opere: “Il Piccolo Marat”, “La Dolores”, “Isabeau”, “Iris”… alternando questo pesantissimo repertorio drammatico con “L’Elisir d’amore”, riuscendo ad ottenere lo stupore e la sorpresa dei miei colleghi nell’ascoltare come ero in grado di ridurre la voce per cantare il repertorio più leggero.

Qui Lazaro, indugiando forse troppo nell’autocelebrazione della propria carriera (non so fino a che punto chi decide di scrivere un trattato voglia davvero tramandare munificamente i segreti della propria arte [non si impara a cantare dai libri], ma sicuramente un’ottima ragione per cimentarsi in questo genere di letteratura, è l’accrescimento del proprio prestigio personale), parla della mezza voce come di  un alleggerimento dell’emissione, una diminuzione dell’appoggio, e di conseguenza del volume di suono.  E’insomma solo questione di diversa pressione del fiato, che necessita di una attenta educazione. Chi non sa governare il proprio fiato otterrà solo suoni che anziché galleggiare leggeri sulle labbra, affogheranno sfocati nella gola, come spiega lo stesso Lazaro qui di seguito, e come ben esemplifica il seguente ascolto.
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In sintesi, credo che tutti i cantanti siano in possesso della mezza voce, quello che però succede alla maggior parte di questi è che non sanno emetterla poiché non hanno il fiato ben collocato nell’arco armonico. Sono infatti più che certo che se sarete in grado di dominare la collocazione del fiato nel luogo appena menzionato, sarete tutti in grado di dominare la mezza voce. Ma ricordate, solo se in possesso di una voce completa: vi sono infatti cantanti che cantano “a intervalli” avendo solo un registro acuto.
Per ottenere la mezza voce bisogna studiare a lungo.

In queste righe io leggo un riferimento a coloro che non dispongono di una organizzazione vocale equilibrata ed omogenea, presentando fratture tra i registri ed impossibilità pertanto di gestire modulazioni dell’emissione senza compromettere posizione del suono, uguaglianza di timbro e legato.

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Collocati davanti ad uno specchio, con la maschera a mo’ di sorriso, prendi fiato profondamente dal naso espirando lentamente, senza sforzo alcuno, con una nota che potrebbe essere un Do del terzo spazio del pentagramma. Attenzione: prima inspirare, poi espirare con una nota dolcemente come se la accarezzassi.

Invito nuovamente all’ascolto ed alla visione di come Rockwell Blake e Giacomo Lauri Volpi eseguano la mezza voce, con la posa serena del volto e le labbra atteggiate al belcantistico sorriso. Il suono è leggero e gentile, ma sempre raccolto e timbrato in quanto galleggiante sul fiato.
Dunque, con la nota ben collocata sul ponte, col sostegno del fiato sull’addome, grazie anche al diaframma, non sarà difficile imparare questo esercizio con il quale riuscirai a gestire perfettamente la mezza voce, necessaria per sfumare tutte le frasi, in particolar modo quelle d’amore.
Tutto ciò sembra facile, ma non lo è: come ho detto prima, dovrai ripetere diverse volte questo esercizio.
Fai molta attenzione nell’esercitarti nella mezza voce che questa non si trasformi in falsetto, errore assai frequente.

Il confine tra la vera mezza voce (che non è voce piena, ma è allacciata ad essa attraverso il dosaggio del fiato) ed il falsettino spoggiato, è molto sottile. Infatti molti cantanti poco scaltri nel controllo del fiato sono soliti propinarci i disgustosi falsettini in vece dell’autentica mezza voce.

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Per finire, ascoltiamo il canto sfumato a fior di labbro di un grande baritono, Mattia Battistini:

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19 pensieri su “Hipólito Lázaro: Mi método de canto. Lezione nona

  1. Lezione alquanto enigmatica questa di Lazaro e molto auto-elogiativa come dice Mancini.
    Nutro dei dubbi su cosa Lazaro intenda col termine “mezza voce”.
    Mi spiego meglio: con termine “mezza voce” o “messa di voce” in campo vocale si intende un attacco di una nota piano ed in crescendo si raggiunge il forte, oppure si inizia forte e si decresce al piano, oppure si fa un piano-forte-piano (messa di voce completa). Dalla lettura di Lazaro, e sopratutto quello che egli non dice, a me sembra che la sua definizione di “mezza voce” oscilli tra 1) l’utilizzo controllatissimo dell’emissione e del fiato, di conseguenza creare un perfetto appoggio che attraverso delle piccole messe di voce ti permetta di sfumare ogni singola sillaba di una frase musicale (assimilabile al perfetto e continuo appoggio-legato che una voce ben addestrata deve ovviamente avere), oppure 2) l’utilizzo “teorico” di una messa di voce, ossia un momento in cui hai una nota in particolare lunga e con cui giochi con i colori e le dinamiche.
    In questo importantissimo video di Bonynge, Sutherland, Horne e Pavarotti sulla tecnica vocale, dal 5:06 di parla della “messa di voce” considerata come nella definizione 1) http://www.youtube.com/watch?v=XhwkHts8QTs

    Sarebbe interessante sapere come Lazaro chiama la mezza voce nel suo trattato in spagnolo, ossia se il termine che qui appare mezza voce è stato tradotto oppure ha mantenuto il termine italiano, in quanto il Garcia per esempio usa il termine “messa di voce”, che poi usa la stessa Marchesi (degna allieva) trasportando il termine fino agli inizi del ‘900) mentre Lamperti padre (Francesco) per esempio non usa il termine ma lo indica graficamente spesso con una forcella verticale sulla nota.

    Mi riservo la perla di Villazon che fa una messa di voce sbagliata in tutti e due le accezioni dallo 0:50: http://www.youtube.com/watch?v=jnDTo3d73o4 (all’inizio la voce “scatta” proprio perché inizia in falsetto e poi gira in voce piena)

    • Peraltro indecisione nella note di Mancini stesso, che a tratti considera la mezza voce come una messa di voce vera e propria, e a tratti come un ricorso più dinamico (il cantate in mezzopiano – “che non è voce piena, ma è allacciata ad essa attraverso il dosaggio del fiato” ) che un ricorso musicale come si intende nel video di Bonynge&co.

    • Grazie del commento. Il traduttore è il nostro Manuel Garcia per cui dobbiamo chiedere a lui quale sia il termine usato nel testo in lingua originale.

      Qui comunque si parla di mezza-voce, non di messa di voce. Non sono esattamente la stessa cosa. La messa di voce, come ben esemplifica la splendida Horne in quel video e come tu stesso dici, è un suono attaccato pianissimo e poi gradualmente rinforzato fino alla sua massima pienezza, prima di smorzarlo nuovamente e tornare quindi al pianissimo iniziale. La mezza-voce è quella che io ho esemplificato non tanto a parole quanto con gli ascolti. E’ quella di Gigli e di Schipa, di De Lucia e di Lauri Volpi… E’, cioè, voce alleggerita nell’emissione, un soffio di fiato su cui sfumare una intera frase musicale, non solo una messa di voce su una nota. Lamperti figlio ne parla addirittura come di un registro autonomo (“voce mista” la chiama). Chiaramente il principio della mezza-voce è rinconducibile a quello della messa di voce. La mezza voce è un piano o un pianissimo, la messa di voce è una forcella. Ma mezza-voce e messa di voce non sono esattamente sinonimi (Pavarotti in quel video dimostra di non capire neanche ciò di cui si sta parlando… probabilmente era la prima volta in vita sua che sentiva pronunciare il termine “messa di voce”…).

      • Concordo su Pavarotti – cade dalle nuvole e cerca di arrampicarsi!
        In realtà c’è stato nel periodo intorno alla guerra confusione su questo termine mezzavoce, mezza voce, mezza-voce, e non si capiva bene cosa si intendesse, per questo chiedevo numi. Speriamo il buon Garcia senta la mia richiesta!

        Anche Lamperti padre parla di registro misto, ma sapendo che aria tirava tra lui ed il figlio non so quanto coincidessero i due termini.

        • Gli ascolti a commento della lezione dimostrano con somma chiarezza cosa sia la mezza-voce. Ascolta Lauri Volpi in quell’attacco, o Battistini nell’ultimo ascolto. Oppure pensa ai piani di Gigli. Quella è mezzavoce! Invece, stranamente, Lazaro che tanto si vanta delle sue mezzevoci, non ne fa quasi mai sfoggio nelle sue incisioni! 😀

          • Vorrei esporre a Mancini un dubbio che mi ha sempre “tormentato”: Schipa possedeva davvero un’autentica mezzavoce? Non erano piuttosto dei piani e dei pianissimi benissimo sostenuti? A mio avviso la mezzavoce dovrebbe avere un colore , un timbro, “altro” rispetto alla voce piena (esempio lampante, credo, è l’aria dei “Pescatori di perle ” cantata da Gigli o” Al dolce guidami” della Callas) mentre in Schipa (parlo delle incisioni che ci ha lasciato ovviamente) questo effetto di sublimazione vocale non lo avverto.

    • Lazaro nel testo originale usa il termine “media voz” la cui unica traduzione che mi è parsa accettabile e coerente è stata, appunto, “mezza voce”. Ammetto la mia scarsa conoscenza in ambito di metodo di canto: cerco sempre di scegliere termini coerenti col contesto. Ben vengano correzioni e consigli.

        • Ho già spiegato il motivo per cui ho fatto la domanda, ma forse c’è bisogno di ripeterlo: in seguito ad una confusione didattica del termine messa di voce e mezza voce sopratutto a partire dagli inizi del ‘900 fino agli anni 60 (Pavarotti ne è l’esempio, così come il famoso mezzosoprano di cui parla la Horne, che io ho ipotizzato sia la Simionato, ma non ne sono sicuro), volevo sapere se tale confusione si riscontrava anche in Lazaro.
          Consiglio comunque al caro Mancini di usare una grafia unica per il termine, ossia mezza voce, perché “in corso d’opera” si sono usati tre modi diversi di descrivere il concetto e ciò porta a pensare per transitorietà grafica a tre concetti diversi.

          • Nell’articolo ho usato una volta la dizione “messa di voce”, riferendomi appunto non alla “mezza voce”, ma alla messa di voce vera e propria. Stavo riportando, indirettamente, ciò che scrive Lamperti nel suo trattato. In ogni caso non c’è motivo di fare confusione, la definizione di questi concetti è già implicita nel loro nome, “mezza voce” e “messa di voce”. E’ chiaro comunque che le due cose sono collegate: se non sai fare la mezza voce non saprai fare neanche la messa di voce e viceversa! :)

  2. Rilevo come anche nel 1905 ci si lamentasse per la penuria di buoni tenori a causa della negligenza delle coeve scuole di canto. E, pensare, che per alcuni quegli anni sono la c.d. epoca d’oro dell’opera e del canto. Mi pare che, sin dai tempi di Catone, la moda per la “laudatio temporis acti” non sia mai cessata…. :-)

    • Non è solo una moda… tutta la storia della musica potrebbe essere riscritta come storia della decadenza musicale, e così la storia della vocalità. Non è solo un luogo comune, è un punto di vista che non è necessario condividere ma che è molto interessante cercare di comprendere.

        • Bella domanda ma non posso risponderti molto seriamente, è una questione troppo complessa e per ora non possiedo gli strumenti per darti una risposta ben ponderata. Se stiamo nell’ambito ristretto della vocalità, direi che lo zenith si è avuto con l’età dei castrati. Ma anche allora c’era chi parlava di decadenza, e le motivazioni erano di ordine musicale più che vocale.

  3. per billy budd il dubbio sulla mezza voce di schipa l’aveva e lo ha scritto anche celletti, che di schipa era un assoluto ammiratore. se ascolti però il werther scaligero del 1934 all’ingresso che si tratti di mezza voce credo si possa dire.
    ciao e ben venuto dd

  4. Schipa era così bravo da usare la mezzavoce senza far percepire nessuna manovra, nessun artificio… la grandezza di Schipa è proprio questa, la sua “arte” è “nascosta” così bene, da risultare inspiegabilmente semplice e naturale.

  5. Concordo su Schipa, ma che un cantante possa anche avere voci diverse (timbricamente parlando) lo trovo un pregio e non un limite. La mezzavoce, usata nel modo che intendevo prima, consente effetti interpertativi formidabili (seppur “artificiosi”)

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