Quali Contes d’Hoffmann?

“E’ con profondo dolore che veniamo a sapere della morte di Monsieur Offenbach, compositore de La chanson de Fortunio, Orphée aux Enfers, Deux aveugles e di tante altre divertenti opere (…). Ieri pomeriggio M. Offenbach presenziò alla lettura de Le cabaret de lilas. La sera, mentre tornava a casa, egli si sentì male per un attacco di gotta, di cui soffriva da lungo tempo. Diverse ore più tardi Jacques Offenbach non era più”. Con queste parole Le Temps, il 6 ottobre 1880, diede notizia dell’improvvisa dipartita del compositore. La morte di Offenbach, oltre a porre fine ad una delle più straordinarie carriere musicali del secolo XIX (anche se spesso sottovalutata o trattata con snobistica sufficienza, soprattutto in Italia – anche in tempi recenti – dove la supposta “leggerezza” è considerata peccato mortale), segnò le sorti del suo capolavoro, cogliendo il compositore prima che potesse ultimare la partitura e concludere le prove già in corso. Questa sfortunata circostanza sarà l’origine di un puzzle editoriale che, tra arbitrii, manomissioni e fraintendimenti di ogni genere, si è trascinato sino ai nostri giorni: infatti, dalla prima rappresentazione ad oggi, non esiste praticamente nessuna edizione dell’opera (incisa o rappresentata a teatro) uguale all’altra dal punto di vista testuale. Anche l’imminente spettacolo scaligero, peraltro, sarà l’ennesimo mix di edizioni (fatto gravissimo, da autentico terzo mondo musicale, laddove si pensi che oggi si avrebbe piena disposizione del materiale originale). Ma facciamo un po’ di storia. Offenbach inizia a stendere Les Contes d’Hoffmann già sul finire degli anni ’70 (anche se l’idea del soggetto, risale almeno a 10 anni prima), tanto che un “assaggio” della nuova opera, ancora in itinere, viene offerto ad amici e conoscenti in un concerto privato (presso l’abitazione parigina del compositore), la sera del 18 maggio 1879. L’anno successivo lo spartito è terminato – rimarrà da ultimare il finale dell’opera e l’orchestrazione di alcuni brani – e possono cominciare le prove in vista dell’esecuzione all’Opèra-Comique, nel corso delle quali il compositore sarà costretto a varie modifiche, dovute, soprattutto, all’inadeguatezza degli interpreti. Purtroppo il 5 ottobre dello stesso anno i preparativi vengono bruscamente interrotti dall’improvvisa morte dell’autore: da questo punto, la storia dei Contes si intreccia e si annoda in una continua serie di versioni più o meno spurie (almeno fino agli ultimi 20 anni). Una storia intricata e affascinante.

Edizione Guiraud (Chudens). L’incarico di portare a termine il lavoro viene affidato a Ernest Guiraud (già autore del famigerato rimaneggiamento della Carmen di Bizet) che non si fa scrupoli nell’intervenire pesantemente sul materiale lasciato da Offenbach. Guiraud, infatti, non si limita a orchestrare i pochi brani rimasti allo stadio di canto e pianoforte, ma stravolge l’intera partitura: trasforma i dialoghi in brutti recitativi (utilizzando, anticipandola, musica della stessa opera, vanificandone, di conseguenza, l’originalità e la forza); elimina la Musa (eliminando così, una delle più significative intuizioni teatrali di Offenbach) lasciando al personaggio – motore delle “peregrinazioni” di Hoffmann – il solo aspetto borghese dell’amico Nicklausse; in un primo tempo riduce ad un solo quadro l’atto di Giulietta (dai tre originari), anteponendolo a quello di Antonia, per poi – a seguito di una prova giudicata troppo lunga dalla dirigenza del teatro – eliminarlo del tutto (recuperando la sola Barcarolle, pur rimaneggiata, nell’atto precedente); spezza in due l’aria di Hoffmann nell’atto di Olympia, anticipandone una strofa all’ingresso in casa Spalanzani; e poi taglia cori, couplets e pezzi d’insieme, semplifica l’orchestrazione e trasporta di tonalità (l’aria di Olympia, ad esempio, viene privata delle colorature e abbassata al Fa maggiore). In questa forma Les Contes d’Hoffmann vanno in scena il 10 febbraio 1881 a Parigi (ancora con i dialoghi) e il 7 dicembre del medesimo anno a Vienna (con i recitativi che da allora verranno adottati sempre). Contemporaneamente Choudens pubblica ben quattro edizioni dell’opera, a cui ne succederà una quinta (nel 1887), ulteriormente rimaneggiata, dopo che il materiale d’orchestra originale, andò perduto negli incendi dell’Opéra-Comique e del Ringtheater di Vienna.

Edizione Gunsbourg (Peters e Chudens). Le cose si complicarono ulteriormente nel 1904, quando Roul Gunsbourg, direttore dell’Opera di Montecarlo, decide di assemblare una nuova versione del capolavoro offenbachiano, sulla base dell’ultima edizione Choudens. E’ in questa occasione che l’opera assume la veste che per anni è stata considerata definitiva. Gli interventi di Gunsbourg e di André Bloch (che ne curò la riorchestrazione) sono pesantissimi e falsificano la struttura musicale dell’opera, con l’introduzione di brani apocrifi e riscritture che poco o nulla hanno a che fare con l’orginale. In particolare Gunsbourg interviene sull’atto di Giulietta (scorrettamente anteposto a quello di Antonia, come nella Choudens del 1887): introduce il cosiddetto “Settimino” (in realtà un sestetto con coro) rielaborato sul tema della Barcarolle; elimina “Tourne, tourne miroir” di Dappertutto (trasferendola nell’atto di Olympia, con nuovo testo “J’ai des yeux”, in sostituzione del “trio degli occhi”, già cassato dalle implacabili forbici di Guiraud) e la sostituisce con la celeberrima “Scintille, diamant” utilizzando, in modo assai disinvolto, alcuni temi estrapolati dall’ouverture de Le Voyage dans la lune (opéra bouffe risalente al 1875); trasforma la splendida pantomina che accompagna la perdita del riflesso di Hoffmann in un lungo e banale recitativo. Questa versione (su cui si basa anche l’edizione Gregor, edita da Peters nel 1905 in tedesco – che sarà la versione standard adottata nei paesi di lingua germanica), verrà pubblicata nel 1907 dal solito Choudens, e diventerà quella canonica (pur con diverse contaminazioni, ulteriori spostamenti e fantasiose alterazioni): quella che si diffonderà nei teatri di tutto il mondo e nei dischi (tanto da confondere intere generazioni di ascoltatori, che riterranno parte integrante dell’opera i brani rielaborati da Gunsbourg). Così la situazione sino agli anni ’70, quando si inizierà a ricercare una versione più autentica dei Contes, cercando, prima, di avvicinarsi allo spirito dell’originaria opéra-comique, poi, integrando e confrontando il materiale autografo (centinaia di pagine) che nel frattempo veniva fortunosamente rinvenuto.

Edizione Bonynge. Prima tappa di questo percorso è la cosiddetta edizione Bonynge, preparata nel 1971 dal direttore d’orchestra australiano. Edizione a mio giudizio assai sopravvalutata: infatti, accanto al lodevole ripristino dei dialoghi in luogo dei brutti recitativi di Guiraud (esperimento già tentato da Felsenstein nel 1958) e del fondamentale personaggio della Musa (recuperandone il monologo iniziale “La verité, dit’on, sortait d’un puits” e i couplets dell’atto di Olympia “Une poupée aux yeux d’email”, ma non quelli dell’atto primo, sostituiti da una più ingombrante aria), Bonynge interviene ulteriormente sulla drammaturgia, con soluzioni arbitrarie e poco accettabili negli anni ’70. Mister Sutherland, infatti, oltre ad alterare tessiture e orchestrazione (ad uso e consumo dei desiderata della consorte), mantiene la forzata suddivisione dell’aria di Hoffmann in due parti, l’apocrifa “Scintille, diamant”, la disposizione scorretta degli atti (quello di Antonia dopo quello di Giulietta), numerosi tagli e rielaborazioni nell’atto veneziano (tra cui una “nuova” scena della perdita del riflesso – per cui, purtroppo, non viene recuperata l’originale pantomima – con musiche tratte, ancora, da Le Voyage dans le lune), e una diversa sistemazione dell’ultimo atto: la Musa ricompare, ma vengono tagliati i cori degli studenti e la ripresa della canzone di Kleinzach, e in luogo del finale viene rielaborato il “Settimino” di Gunsbourg e trasformato in quartetto. Il risultato potrà anche funzionare sul piano teatrale, ma gli interventi di Bonynge, in sostanza, sostituiscono arbitrio ad arbitrio.

Edizione Oeser (Alkor – Bärenreiter). Il fortuito ritrovamento in una collezione privata, da parte di Antonio de Almeida – direttore d’orchestra e attento studioso dell’immaginifico compositore – di ben 1.250 pagine di manoscritto autografo (comprendente alcuni schizzi preparatori, il materiale relativo al concerto privato del 1879, lo spartito realizzato dai copisti di Offenbach in vista delle prove e l’originale partitura per orchestra della versione Guiraud dell’atto di Giulietta), permette a Fritz Oeser (già autore di una contestata revisione della Carmen di Bizet) di pubblicare nel 1976 la prima edizione critica de Les Contes d’Hoffmann. Edizione critica assai criticata. E non a torto. Va detto che il primo effetto dell’inclusione del nuovo materiale comporta l’aumento di quasi un’ora della durata dell’opera (e questo dà un’idea tangibile dell’entità dei tagli tradizionali). Oeser, innanzitutto, riorganizza la struttura in tre atti con un Prologo e un Epilogo (in luogo degli originali cinque), ma ripristina, almeno, l’ordine corretto, con l’atto di Giulietta che segue quello di Antonia. Mantiene però i recitativi musicati di Guiraud. Gli interventi sulla partitura, tuttavia, sono molto pesanti, invasivi e spesso incomprensibili (quando non arbitrari): un vero e proprio bricolage di spostamenti interni, riorchestrazioni di brani scartati da Offenbach stesso, ricorso a versioni alternative, importazione di musica da altri lavori dell’autore (in particolare da Die Rheinnixen, la grande opera romantica scritta per Vienna nel 1864, da cui il compositore stesso “rubò” la melodia della Barcarolle), e brani composti ex novo partendo da spunti tematici offenbachiani e poi “liberamente” sviluppati. In particolare: nell’atto di Olympia inserisce una prima versione dei couplets di Nicklausse liberamente riorchestrata, in luogo di “Une poupée aux yeux d’email”; ripristina il “trio degli occhi”, ma pesantemente rimaneggiato; recupera la versione originale della aria di Olympia “Les oiseax dans la charmille”, ma la abbassa di mezzo tono (da La bemolle maggiore a Sol maggiore); nell’atto di Antonia introduce una nuova aria per Nicklausse, “Vois sous l’archet frémissant”, lasciata da Offenbach allo stadio di canto e pianoforte; nell’atto di Giulietta ripristina “Tourne, tourne miroir” (ed elimina l’apocrifa “Scintille, diamant”); rielabora una prima redazione sella canzone di Dappertutto e la trasforma in un duetto spurio tra Dappertutto e Schlemil; “compone” una nuova aria per Giulietta riciclando musica da Die Rheinnixen, “Vénus dit à Fortune”; elimina il “Settimino” e la scena del riflesso; fa terminare l’atto con una specie di “lieto fine”: Giulietta scappa in gondola con Pitichinaccio; nell’ultimo atto adotta l’Apothéose finale prevista da Offenbach e derivata da una sua vecchia romanza, che venne rinvenuta nel materiale ritrovato da Almeida, ma ne corrompe l’originaria orchestrazione. Così come la sua versione di Carmen, anche questa venne molto criticata: in particolare viene imputata ad Oeser una certa disinvoltura nell’operare le scelte editoriali, anche laddove la lezione autentica sarebbe pacificamente evidente. Inoltre lo stesso, travalicando il suo ruolo, riscrive molti versi – in un francese turistico – e modifica in modo incongruo alcune didascalie ed indicazioni sceniche. Resta, tuttavia, il merito di aver stravolto, per primo, le placide certezze di una tradizione fuorviante.

Edizione Kaye (Schott). Il ritrovamento di ulteriore materiale (nel 1984 sono rinvenute nel fondo Gunsbourg, circa 350 pagine autografe, contenenti lo straordinario rondò di Giulietta “L’amour lui dit: la belle” e gran parte dell’atto veneziano prima delle manomissioni di Guiraud, e più recentemente, nel corso di un’asta, altre 24 pagine manoscritte contenenti il finale dello stesso atto nella sua forma definitiva) e una risistemazione più coerente di quello rinvenuto da Almeida, porta alla pubblicazione, nel 1992, di una nuova edizione critica (rivista nel 1999 per integrare le ulteriori scoperte). La nuova edizione curata da Michael Kaye, oltre a rendere disponibili alcune versioni alternative, presenta molte novità rispetto alla Oeser: la corretta suddivisione in 5 atti nella successione originale; il ripristino dei dialoghi e degli splendidi melologhi offenbachiani (musica altissima, ma scartata da Guiraud per inserire i suoi scadenti recitativi), nonché dei recitativi parzialmente composti dall’autore in vista delle rappresentazioni viennesi; nell’atto I, l’Introduzione originale di Offenbach (379 battute eliminate da qualsiasi altra edizione): ossia i couplets originali della Musa “Quelle Muse, une folle qui désert les cieux”, e il duetto completo Hoffmann/Lindorf; nell’atto di Olympia, la versione finale dei couplets di Ncklausse, il trio “J’ai des yeux”, l’aria di Olympia nella sua versione finale in La bemolle maggiore, l’aria di Hoffmann “Ah vivre deux” nella sua forma integrale e non suddivisa in due parti; nell’atto di Antonia, il ripristino della versione originale della romanza della protagonista “Elle a fui, la tourterelle”, la romanza di Nicklausse “Vois sous l’archet frémissant” e il suo recitativo introduttivo, il duetto Hoffmann/Antonia e il trio conclusivo nella sua forma originale; nell’atto di Giulietta (il più martoriato dagli interventi apocrifi), l’orchestrazione originale dell’entr’acte, il recitativo di Hoffmann “Messieurs, silence” (sempre omesso) che introduce la Barcarolle, il recitativo che introduce il Chant Bachique, il rigetto dell’apocrifa “Scintille, diamant” e il conseguente ripristino di “Tourne, tourne miroir”, la pantomima con la perdita del riflesso, la scena del gioco con l’impervio rondò di Giulietta scoperto nell’84 “L’amour lui dit: la belle” (brano di delirante virtuosismo e di straordinaria bellezza) il duettino seguente Hoffmann/Giulietta e la ripresa della Barcarolle, e infine la versione definitiva del finale col duello Hoffmann/Schlemil, la fortuita uccisone di Pitichinaccio al posto di Giulietta e la disperazione finale di quest’ultima sul suo corpo senza vita; nell’ultimo atto, il ripristino del coro di studenti e il finale originale secondo l’autografo del concerto privato del 1879, con la rielaborazione di una vecchia melodia per canto e piano (già trasformata in coro a cappella nel 1871 su versi di Hugo), senza i pesanti ritocchi di Oeser.

Edizione Kaye/Keck (Schott e Boosey & Hawkes). Dal 1991/99 a oggi, le ricerche musicologiche intorno a Les Contes d’Hoffmann, non si sono certo interrotte: anzi, il paziente lavoro negli archivi e nelle biblioteche, continua a portare alla luce fonti e nuovo materiale così da svelare – poco a poco – tutti i misteri racchiusi nel capolavoro postumo di offenbach. Jean-Christophe Keck, direttore della monumentale edizione critica delle opere di Offenbach (in corso di pubblicazione da Boosey & Hawkes), ha raccolto e ordinato tutti i nuovi materiali emersi negli ultimi anni e, nel 2009, pubblica insieme a Kaye, il risultato delle sue ricerche. Quest’ultima edizione oltre a ritoccare l’orchestrazione sulla base dei nuovi ritrovamenti, fornisce, per la prima volta, tutti i brani alternativi composti da Offenbach, tutte le redazioni successive e tutti gli aggiusti (tra cui un’altra versione del rondò di Giulietta, rivista da Guiraud prima di deciderne la soppressione). Ma, soprattutto, vengono inclusi nuovi pezzi di musica: da singole misure a intere frasi, perse nel corso delle successive redazioni (e quindi ricostruite dai curatori che si sono avvicendati) e, finalmente, riportate nella loro forma più autentica. Tra i brani riscoperti si segnala un nuovo duetto Stella/Hoffmann, nonché alcuni frammenti di una primigenia versione di Hoffmann baritono.

Questa, per sommi capi, è la storia dell’avventurosa riscoperta de Les Contes d’Hoffmann: una storia complessa e faticosa che da più di 100 anni affascina studiosi e appassionati e che, ad ogni capitolo, aggiunge sorprese e delizie. Ma tutto questo pare non interessare alla sovrintendenza della Scala che, anche in occasione di questa ripresa – nell’anno di grazia 2012 – ripercorre la scelta abusata della vecchia, decrepita, obsoleta Choudens con alcuni inserti dalla criticabilissima Oeser. Questa volta la scusa sarebbe l’allestimento (nato per quella versione trapassata) e i costi eccessivi per il noleggio del materiale Keck o Kaye (spendere denari per una partitura? Giammai! Meglio regalarli ai registi e ai loro costosissimi giochini di società). Ancora – dico io – si perde un’occasione e si sceglie di non scegliere…tanto più che qualche critico pronto a celebrare l’ennesimo “trionfo” scaligero si reperisce sempre con estrema facilità di questi tempi (soprattutto nella stampa milanese) e magari – come è successo con l’immaginaria Leonore III di Torino – neppure si renderà conto di quale versione starà ascoltando dell’opera…a patto che la ascolti veramente.

 

 

36 pensieri su “Quali Contes d’Hoffmann?

  1. grazie per questo splendido articolo che fa la storia dei “RACCONTI”. Un lavoro di grande pregio che serve ad illuminare chi come me non ha mai capito il perchè di tante differenti versioni dell’opera pur sapendo che l’opera non solo era postuma ma rimaneggiata piu’ volte.
    Soprattutto di gran valore la spiegazione delle varie versioni pubblicate negli anni. Esiste, chiedo, una versione in CD o DVD della piu’ recente stesura dell’opera e piu’ vicina allo spirito originale?

    • Esistono almeno due edizioni in cd della stesura più vicina al lavoro così come concepito da Offenbach:
      – quella diretta da Tate (PHILIPS), che si basa sull’edizione Kaye (anche se allora non era stata del tutto completata…e infatti alcuni punti necessariamente divergono)
      – quella diretta da Nagano (ERATO) che riproduce esattamente l’edizione Kaye nella sua completezza: offre anche – a mio giudizio – le migliori interpretazioni dell’opera (almeno nel complesso)
      La EMI ha pubblicato (negli anni ’80) l’unica incisione integrale della contestata edizione Oeser (diretta da Crambeling): utile per comprendere le differenze.

    • Il mio “sopravvalutata” – meglio chiarire – si riferisce, appunto, all’edizione, non alla bellezza dell’incisione.

      Mr. Sutherland non è un’acida definizione, ma una realistica constatazione…

        • Eppure credo di scrivere in italiano corretto: se hai la bontà di rileggere, troverai questa frase: “edizione a mio giudizio assai sopravvalutata”.

          Quanto al Mr. Sutherland: è innegabile che la fama di Bonynge (buon conoscitore del belcanto, direttore corretto, ma nulla di più) sia legata alle virtù della consorte più che alle sue reali capacità. Ebbe l’intelligenza di comprendere il fenomeno Sutherland e di guidarlo… Tanto di cappello, ma da qui a trasformarlo in un grande direttore ce ne vuole. A riprova di questo: una Sutherland senza Bonynge è perfettamente immaginabile, un Bonynge senza Sutherland credo sarebbe rimasto in Australia…

          Circa le mie affermazioni: credo vi sia differenza tra opinione (che viene ritenuta veritiera necessariamente da chi la esprime) e verità assoluta… Se tu non la cogli non so che dire: può sempre evitare di leggermi. :)

    • cattivella la frase mister e madame. Senza Bonynge ci sarebbe stata la Sutherland? Lei si stava avviando verso Wagner. Bonynge non solo ha scoperto in lei la belcantista assoluta ma l’ha guidata, seguita, consigliata e preparata . Poi Bonynge è un direttore d’orchestra di buon livello. Non ha mai preteso di dirigere opere al di fuori del suo repertorio. Inoltre è stato un eccellente accompagnatore dei cantanti sia con orchestra che con pianoforte. Doti oggi assai rare. Entrambi, mister e madame sono ora ben saldi nella storia del canto e fari da seguire .

  2. ….l’edizione bonynge resta esattamente valuta per ciò che è, per la stratosferica Dame e la bacchetta brillante. meno per placidone biagione, che la signora acconcia come merita, poco per gli altri. così è valutata.Amen

    • Infatti, ma io non parlo di valore artistico, bensì di correttezza testuale (del resto il mio pezzo di quello parla): spesso si legge che la versione di Bonynge sia un passo avanti verso i Contes “autentici”…ecco, io dissento… E’ splendida per certe cose: la bacchetta brillante e i cantanti (Domingo compreso)…anche se la Olympia più stratosferica per me resta quella della Dessay (1996) e la Sutherland, purtroppo, non può cimentarsi con lo splendido rondò di Giulietta (immagino cosa sarebbe stato nella bocca della Stupenda!).
      Quei Contes, comunque, restano lontani dall’opera scritta da Offenbach.

  3. Se non sbaglio per ora di Nagano abbiamo due documenti:quello del 1993 a Lione riportato in DVD e l’incisione del 1995. Qualcuno dei lettori del corriere ha potuto assistere a Lione allo spettacolo? un mio conoscente, pianista, mi riferi’ di rimanere “piacevolmente sconcerato”dalla regia di Erlo,e affascinato dalla Dessay.

    • L’ edizione di Nagano in DVD è una versione “adattata” dei “Contes” differente dall’incisione ufficiale che segue Keye.
      La regia di Erlo è davvero straordinaria, fatta con pochissimi elementi, ma ricchissima di idee e la Dessay è all’apice delle proprie risorse!
      Te la consiglio.

      Marianne

    • Ma stellare dove? L’aria è incisa con una lentezza esasperante, una bambola catatonica può essere una trovata ma non fa per me. E poi vuoi mettere : i tre ruoli dovrebbero essere interpretati dallo stesso soprano. Te la vedi la Dessay cantare Giulietta e Antonia????

      • In Scala fu bravissima, anche se, col senno di poi, l’aria nella voce già c’era e si sentiva. Ma non udimmo quella sera, rapiti dal brio, dalla verve e dalla punta della voce della signora Dessay col pancione, simpatica e…vera primadonna! Fu u trionfo, ma la dame resta altro, per l’ampiezza e la purezza del suono cristallino e sontuoso che la Dessay non ha mai avuto. Insomma, aldifferenza tra un leggero puro e un lirico di coloratura ……….il live del Met con domingo rende un suono gigantesco, di un’ampiezza inimmaginabile ed irresisitibile….e il povero Domingo no può che sparire dall’audio ai primi acuti della Sutherland. UN MONUMENTO DELLA STORIA DEL CANTO DEL NOVECENTO, scusate ma su questo N-O-N- C-I S-E-N-T-O!!!

        • Però Olympia è scritta per un leggero puro. E la Dessay, in questo, è perfetta. La Sutherland interpreta tutti e tre i ruoli, in una visione fortemente modificata dell’opera, con tutta una serie di aggiusti. Oltretutto la sua versione dell’aria della bambola è molto più semplificata rispetto alla scrittura originale come rinvenuta nell’edizione Kaye.

          • Io trovo che la facilità in acuto dell’Olympia della Dessay sia difficilmente eguagliabile (Sutherland compresa, e l’ascolto del trio di Antonia lo dimostra: quella è la parte più congeniale alla Stupenda). La Streich non mi è mai piaciuta moltissimo…gli acuti sono un po’ forzati (come nella sua pessima incisione di “Popoli di Tessaglia”, dove prende i respiri dove cavolo le pare, pasticcia col solfeggio, stona e…ORRORE, salta i due Sol sovracuti: una vera porcheria!).

          • Ho risentito diverse Olympia-Dessay degli anni 90 sino ad Orange 2000; molto bene, per carità, eppure, a seconda delle edizioni con maggiore o minore frequenza, trovo sempre suoni fissi, schiacciati, acuti strillati… la Streich, a mio avviso, è di altra levatura: ha una tecnica migliore, il suo canto è sempre saldo, la voce morbida ed ha una gran classe.

          • Guarda…non so cos’hai ascoltato, ma la Dessay dell’edizione audio diretta da Nagano è difficilmente contestabile: non c’è nessun suono fisso e la scalata agli acuti è fluida e facilissima. Al contrario la Streich – cantante assai mediocre – fatica terribilmente in acuto, stona (spesso) e incespica nell’agilità (tanto che l’aria di Olympia è tenuta su tempi larghissimi). Credo vi sia un pregiudizio nei confronti della Dessay…

          • Caro Duprez, avendo con la Dessay solo il video di Orange ho potuto ascoltare esclusivamente tutto quello che ho trovato sul Tubo…in assoluto non ho pregiudizi nei suoi confronti, anzi trovo che sia un’ottima interprete, non sempre di mio gusto perché assai caricata ma qui è un’altra questione….. come non ho amori particolari per la Streich . Si parlava di Olympia come leggero puro ed in tal senso trovo la Streich perfetta per voce e superiore alla Dessay per tecnica.

          • Cara Olivia, non voglio insistere o convincerti, ma ti suggerisco – davvero – di ascoltare l’incisione audio: è molto più riuscita e spettacolare. :)

      • Billy Budd, è evidente che neppure sai di cosa parli: l’idea di Offenbach di affidare i tre (o meglio quattro) ruoli ad un’unica interprete non si è pienamente realizzata (soprattutto per la scrittura di Antonia). La parte di Giulietta, invece (di cui evidentemente tu hai un’idea fortemente condizionata dalle riscritture successive), nella sua stesura autentica è per un soprano leggero: non il mezzo soprano cui la tradizione ci ha abituato.
        Ps: non capisco che ci trovi nei petulanti gorgheggi della petulante Peters

        • Piccino mio davvero mi sottovaluti. Conosco a memoria le (due) versioni dell’aria di Giulietta “L’amour lui dit la belle”. Se mi leggessi con meno distrazione avresti visto che cito la lentezza dell’esecuzione dell’aria di Olympia nell’edizione di Nagano, che contiene anche l’aria “perduta” di Giulietta. L’dea di Offembach non si è realizzata compiutamente perchè è morto prima di fare i necessari aggiustamenti. Ma come ben sai (vedi che non ti sottovaluto) alcuni soprani sono riusciti nell’impresa trovando un compromesso accettabile. (Anche la Zeani, se è per quello). La Peters l’ho postata perchè trovo la sua esecuzione molto DIVERTENTE e non cimiteriale come quella della Dessay (cantante che detesto). I tuoi interventi mi irritano come poche altre cose in questo periodo. Mi sa che ti sfiderò a duello …….

          • Bah…trovo la Peters cantante mediocre e noiosa, così come la Streich. Se ti piacciono AMEN…non ti farò certo cambiare idea. Rilevo, però, che il tempo staccato dalla Peters è identico a quello della Dessay. Forse il tuo detestare la Dessay obnubila la serenità di giudizio…
            Sulle idee iniziali di Offenbach ho già abbondantemente scritto: è morto prima di realizzarle…lo sanno anche i muri. Tuttavia credo che Stella, Olympia, Antonia e Giulietta abbiano caratteristiche vocali e caratteriali assai diverse: ostinarsi a farle interpretare da un’unica cantante è una forzatura secondo me (come le arroganti pacchianate di Christoff che nel Boris faceva Pimen, Varlaam e Boris…).
            Quanto all’irritazione che ti provocano i miei interventi…che dire? Se vuoi sfidarmi a duello ti lascio la scelta dell’arma! :)

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