Seduzione al convento, settima puntata. Usignoli oltre la Francia: Edita Gruberova e Beverly Sills

I fasti delle Manon francesi, morbide nell’emissione e castigate nell’accento, sono stati almeno in parte rinnovati, in tempi a noi più prossimi, da due soprani che presentano tra loro non poche affinità e differenze a tratti notevoli: Beverly Sills ed Edita Gruberova. Entrambe donne non particolarmente avvenenti (soprattutto l’americana), voci in natura non eccezionali, ma sonore e soprattutto duttili, in forza di una tecnica ferrea almeno quanto la navigata sicurezza che si addice alle professioniste di rango, e più ancora artiste, cui non ha mai fatto difetto il coraggio e a volte l’audacia necessaria ad affrontare ruoli al di sopra delle loro possibilità. Con risultati di volta in volta interessanti o interlocutori, benché sempre salutati dal plauso degli ammiratori. In questo, e solo in questo, i grandi professionisti e le imposture mediatiche si somigliano davvero.

La prima differenza che salta all’occhio per chiunque sfogli le cronologie delle cantanti in questione è la quantità dei rendez-vous con la spericolata seduttrice di Massenet: una relazione duratura nel caso della Sills, che dopo avere debuttato la parte all’inizio della carriera (Baltimora 1953, sotto la guida di Rosa Ponselle, e ci chiediamo fuor di retorica quale sia stato l’apporto di una simile tutor, visto che le cronache non ci restituiscono precisamente l’immagine di una Ponselle sublime attrice), la riprese più volte dagli inizi degli anni Sessanta e intensificò la frequentazione nel corso dell’ultimo decennio di carriera, fino al 1978, tanto che esiste, accanto a molti live, persino una testimonianza televisiva della Sills nelle vesti di Manon. La Gruberova si è invece limitata a proporre il personaggio per nove sere, fra il 1983 e il 1988, alla Staatsoper di Vienna e in una manciata di occasioni a Monaco di Baviera, sempre a metà degli anni Ottanta, in quello che è unanimemente considerato (sempre con l’eccezione degli “aficionados”) l’apogeo della sua carriera artistica. Tanto per essere chiari, prima che iniziasse la deriva di sempre più improbabili Devereux e Bolene, che oggi risultano tollerabili solo perché li confrontiamo con quanto propongono alcune improbabili eredi della cantante di Bratislava (che è, dal canto suo, ancora ben lungi dall’addio alle scene). E chissà che un simile destino non debba, presto o tardi, toccare anche a questa Manon, che potrebbe arrivare non a San Sulpizio, bensì alla Cripta dei Cappuccini in Vienna.

Nel live dalla Staatsoper viene fin dalle prime battute in soccorso alla cantante il suo Des Grieux, un Araiza ancora fresco ma tecnicamente malsicuro, con suoni schiacciati soprattutto nella sezione conclusiva del duetto (ad es. nella frase “ma vie est dans ton coeur”, che l’autore prescrive “espressiva” e qui è solo berciata) e sistematici cali d’intonazione sugli acuti, mentre la voce va regolarmente, come suol dirsi, “indietro”, perdendo pienezza e voluttà timbrica. Anche l’interprete è meno che generico, con un canto tutto “forte” e privo dello sdegno, della disperazione e del languore che in successione si addicono al combattuto studente riconvertito in abate. Fin dalle prime frasi emerge invece nella Gruberova una precisa linea interpretativa, quella che vede nell’eroina una fanciulla sì “allegra” ma tutto sommato ancora innocente, quasi infantile nelle sue proteste e profferte. Ecco quindi piani e pianissimi, smorzature generosamente profuse, soprattutto quando la scrittura oltrepassa il do centrale (“dans ce regard qui m’accable”). In questa zona la voce della Gruberova è, oltre che sonora, brillante e luminosa, per quanto possa consentire un timbro non certo baciato dalla natura. Analoga brillantezza, comparabile sonorità si palesano ancora oggi, pur con gli inevitabili danni prodotti dal trascorrere del tempo e dall’oneroso repertorio sostenuto con invidiabile costanza dalla signora, che resta, malgrado gli eccessi, sapiente e parca amministratrice del proprio patrimonio vocale, un patrimonio che è stato, e a maggior ragione è oggi, tutta tecnica, puro artificio. Il che forse spiega come mai la voce abbia perso così poco, soprattutto in termini di ampiezza in zona centrale. Anche le frasi più basse della prima parte del duetto (“rappelez-vous tant d’amour”) sono affrontate senza concessioni a quel gusto deteriore, che in tempi più recenti ha caratterizzato la prima ottava della Gruberova. I cedimenti compaiono piuttosto sulla frase “Hélas, l’oiseau qui fuit” in cui la cantante applica un poco troppo alla lettera l’indicazione “avec des larmes” e produce suoni che inclinano al gémissement, compromettendo la sonorità del registro centrale e forzando un poco la salita al la bem acuto di “désespéré”, per poi scendere senza che la voce abbia, in basso, la capacità di eseguire la smorzatura sul fa grave prevista dall’autore. Troppo caricata anche tutta la sezione che segue, dalle parole “je meurs à tes genoux”, anche perché l’indicazione “con slancio e disperazione” mal si addice a una voce come quella della cantante slovacca. Nell’Andante “N’est-ce plus ma main” la Gruberova si disimpegna ancora una volta con saldezza e non senza finezze, come nella frase “n’est-ce plus ma voix”, in cui la voce, in pianissimo e in zona assai scomoda (sol-re grave), è non solo sonora ma morbida e intessuta di nostalgia e insieme di incredulità. Peccato che il la acuto di “pleins de chermes”, attaccato pianissimo e rinforzato, si spezzi, compromettendo la malia del fraseggio, e che l’indicazione “avec un sanglot” alle parole “à travers mes larmes” porti la cantante a imitare nuovamente l’effetto del pianto, aprendo eccessivamente il suono sui do centrali ribattuti e sul fa grave, per poi rendere con discutibile enfasi il crescendo che prepara la salita al la naturale, attaccato però a piena voce e smorzato a dovere, così come liquidi e dolcissimi sono i melismi che preparano la ricomparsa del tema principale, eseguito tutto a mezza voce, con una soluzione non di gran gusto, ma sicuramente d’effetto, al momento del si bemolle acuto su “n’est-ce plus ma voix”, attaccato “forte”, quasi con durezza un poco volgare, e immediatamente smorzato. Soluzione che prefigura quelle adottate nel successivo passo a due, in cui Manon, ormai certa del proprio trionfo, si abbandona a un canto a gola spiegata (sorprendentemente, il famigerato “enfin” è cantato e non parlato): solo con un timbro più malioso di quello della Gruberova la scelta potrebbe risultare, com’è certamente sulla carta, irresistibile. Siamo insomma al cospetto di una lettura compiuta e coerente, che può risultare indubbiamente suggestiva, ma che sottolinea a tratti oltre il necessario il carattere larmoyant di questa “pentita”, che di pentita ha in effetti ben poco, e che tutt’al più si serve dei ricordi del passato e della propria bellezza ammantata (ma solo ammantata) di dolore per riconquistare il suo uomo. Il video conferma una condotta scenica non proprio sorvegliata e da gran dama, anche se gli eccessi a venire (e pensiamo, di nuovo, ai Donizetti degli ultimi anni) sono ancora molto distanti. Per fortuna.

Dal canto suo Beverly Sills risulta invece esemplare, come attrice e soprattutto come cantante. Forse anche perché si trova a fronteggiare, nel live che abbiamo scelto (Città del Messico 1969), uno dei Des Grieux più trascinanti documentati dal disco, Alain Vanzo, prodigioso per voce non meno che per tecnica ed espressività, tanto da conferire al suo personaggio lo status di autentico protagonista almeno della prima parte del duetto. È infatti il neo-abate a dominare l’incipit della scena, che vede la Sills in difetto di sonorità nelle frasi di scrittura più bassa (ad es. “est-ce que tu n’aureais pas de pitié?”) e quasi schiacciata, come il suo personaggio, dalla veemenza, mai però becera o plateale, dell’antico amante. Il timbro fragile, la scelta di cantare quasi tutto a mezza voce (mezza voce sempre perfettamente appoggiata, però, e quindi penetrante e sonora), come se le parole pronunciate da Manon fossero veramente l’eco del passato che ritorna, la disperazione che si palesa nella voce alla frase “Hélas! L’oiseau qui fuit” preparano l’acme di questa lettura, l’Andante, in cui la Sills raggiunge una fusione mirabile di languore e sensualità, il tutto partendo da una voce che non è fresca e sensuale, ma suona estremamente carezzevole e flessibile, in virtù del perfetto controllo tecnico che la governa. E qui davvero il canto si fa espressione ed anche, per il pubblico, emozione, nel momento in cui il soprano, servendo l’autore e realizzando il personaggio, mette in luce al tempo stesso le proprie caratteristiche migliori. Anche alla ripresa del tema principale, in cui il canto passa a voce piena, l’interprete evita saggiamente ogni eccesso, concedendosi una lieve enfasi, peraltro a dir poco pertinente, sull’ultimo “Manon” e nella scelta di rendere parlato, come da tradizione, l’”enfin” che suggella la vittoria dell’adescatrice. Difficile isolare, in una simile lettura, un singolo momento capace di svettare sugli altri, ma dovendo sceglierne uno, la palma spetterebbe probabilmente alla facilità con cui è attaccato e legato al resto della frase il si bemolle acuto di “N’est-ce plus ma voix”, prodezza degna di un’autentica primadonna. Ma davvero in questa Manon la Sills, come nella sua Traviata, sbalordisce non tanto per la tecnica, quanto per quello che riesce a esprimere (nel caso in questione, la simulata remissività e la navigata seduzione del personaggio) servendosi di quella tecnica. Sia lei che Vanzo (mirabile nel turbamento della sezione centrale del duetto quanto nella foga erotica della conclusione) insegnano e ricordano che cosa significhi essere, prima ancora che artisti, veri e completi professionisti del palcoscenico. E mai come ai nostri giorni simili esempi risultano preziosi!

Alleghiamo all’audio proposto un video “in house” di una Manon realizzata alla New York City Opera nel 1977, protagonisti la Sills e Michele Molese, video che documenta, al pari della già citata trasmissione televisiva, l’approccio scenico del soprano, diametralmente opposto rispetto a quello della Gruberova. Una donna matura e conscia del proprio fascino, cui bastano pochi, essenziali gesti per riconquistare l’uomo che ama. Ancora una volta: esemplare, e più eloquente di ogni lungo discorso.

 

Gli ascolti

Massenet – Manon

Atto III

Toi! Vous!…N’est-ce plus ma main

Beverly Sills & Alain Vanzo (1969)

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9 pensieri su “Seduzione al convento, settima puntata. Usignoli oltre la Francia: Edita Gruberova e Beverly Sills

  1. Ho sempre considerato la Manon della Sills un assoluto capolavoro, forse l’intrepretazione “moderna” più convincente del personaggio di Massenet. E tutto ciò nonostante una voce tutt’altro che affascinante in quanto a colore e metallo. A tanto si può giungere in virtù di una tecnica strepitosa . Brava!

  2. Impietoso il confronto con la stupenda Sills, la Gruberova contrappone al suo charme irresistibile una interpretazione stucchevole, artefatta e poco credibile anche per l’ingannatrice Manon. Poi il cattivo gusto della recitazione, la ricerca dell’effetto abbinata ad una voce aguzza con pochi colori può sedurre, tutt’al più, per la sola tecnica prodigiosa….

  3. Inarrivabile la Sills sia vocalmente che come interprete persino nel 1977….Gruberova è comunque brava, una professionista d’altri tempi, ma non mi sembra una fuoriclasse, almeno in Manon….(L’audio del 1969 con Vanzo è un capolavoro….Grazie…)

  4. Brave entrambe, ma preferisco la Sills.

    Peccato non aver potuto ascoltare la recita del 1969, purtroppo mi capita spesso (ma non sempre) di non riuscire a sentire i file audio che allegate, a cosa può essere dovuto?

  5. Anche se il mio amore per la Sills è tutt´altro che incondizionato – qui per me è la migliore Manon dopo 1960 fino a oggi – chapeau! Con Vanzo un Des Grieux molto superiore a Araiza. La Gruberova come Manon non mi convince per niente. Canta le note e basta.

  6. Cari colleghi , care colleghe;
    vi scrivo per dirvi che vi leggo con piacere da un anno.
    Sempre interessanti i vostri suggerimenti e gli ascolti proposti.
    Ho solo una grande passione per l’ Opera come forma di Teatro ed è un gioia essere qui.
    Io trovo più di mio gusto la Signora Sills.
    Buona notte a presto

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