La magra stagione lirica del Comunale di Ferrara (quattro titoli in tutto, uno dei quali consacrato all’operetta) si è chiusa domenica scorsa con un’esecuzione del Rinaldo. Vezzo comune ormai anche alle stagioni di provincia quello di includere nella programmazione un titolo barocco, scegliendolo possibilmente, come accaduto nella scorsa stagione sempre nel circuito emiliano, fra i più ostici, non tanto per il pubblico, quanto per gli esecutori. Del resto l’operazione ferrarese (in coproduzione con Ravenna e Reggio Emilia) presentava tutti i crismi della moderna filologia applicata al teatro per musica del Settecento: orchestra specializzata (Accademia Bizantina, guidata al cembalo dal suo direttore musicale Ottavio Dantone), cast composto di collaudati professionisti del canto barocco, spettacolo storico di Pier Luigi Pizzi, epitome di uno stile che, all’epoca, non era ancora precipitato nell’autoparodia più o meno volontaria. Qualcosa, al solito, non ha funzionato. Del resto, di non funzionale o mal funzionante c’era, in questa operazione, ben più di qualcosa.
Già dopo le recite ravennati il previsto Rinaldo, Marina de Liso, aveva abbandonato il campo lasciando l’impervia parte del protagonista a Delphine Galou. A Ferrara si è consumato un altro dramma: Maria Grazia Schiavo, ufficialmente indisposta, ha mimato la parte di Almirena, mentre in buca Rosanna Savoia la sostituiva nel canto (tacendo però, incomprensibilmente, nell’ensemble della scena finale), con un effetto che non ha mancato di evocare le celebri e celebrate riduzioni liriche dei fratelli Colla. Notiamo en passant come la signora Savoia avesse già interpretato il ruolo nel medesimo allestimento (in occasione della ripresa milanese di pochi anni fa) e dunque avrebbe potuto agevolmente presentarsi in scena, anche perché l’impegno attoriale richiesto ai cantanti, nella regia in questione, appare estremamente limitato anche per gli standard abituali degli spettacoli di Pizzi. In subordine, sarebbe risultata meno abborracciata e più onesta la scelta di ripiegare su un’esecuzione in forma di concerto, atteso che il prestigioso allestimento non sembra avere ispirato al suo creatore (mancando ogni indicazione in locandina, è lecito supporre che la ripresa sia stata curata dallo stesso Pizzi) non dico radicali innovazioni, ma anche solo la richiesta ai cantanti di atteggiamenti e gestualità consone ai rispettivi ruoli (penso ad Armida, più simile a una sciantosa del varietà che non alla torbida incantatrice prevista dal libretto).
Perplessità ancora maggiori suscita la versione scelta, rectius assemblata, per l’occasione. Delle due versioni “ufficiali” (1711 e 1731) viene seguita, con abbondanti tagli e spostamenti di arie, la prima, eseguita però con una distribuzione dei ruoli vocali che in parte tiene conto dei mutamenti previsti dalla revisione (Goffredo diviene tenore, il Mago Cristiano basso, la parte di Eustazio è soppressa), in parte ripropone l’assetto della prima, vanificando così la diversificazione dei registri presente tra il pagano Argante e il Mago Cristiano e turbando l’equilibrio, come sempre sorvegliatissimo, tra momenti patetici ed energici: si consideri a titolo di esempio l’aria di presentazione di Argante, cui segue immediatamente, in questo allestimento, l’ingresso di un’altrettanto bellicosa Armida (nella versione del 1711 ben due arie, una sentenziosa di Goffredo e una languida di Argante, separano i due brani). Ancora, nel secondo atto, alla scena delle sirene Rinaldo non canta l’aria prevista, “Il Tricerbero umiliato”, ma la ben più infuocata “Abbrugio, avvampo e fremo”, che in entrambe le versioni dovrebbe invece seguire il drammatico confronto con Armida, che aveva assunto per un istante le sembianze di Almirena. Quanto poi alla grande aria patetica di Armida, “Ah crudel il mio pianto mio”, che nella revisione del 1731 passava ad Almirena (mantenendo però la sola prima sezione), viene qui cantata da Almirena (sezioni A e A’) e Armida (sezione B): se l’intenzione era quella di giocare sull’ambiguità delle metamorfosi operate dalla maga (metamorfosi che però non si producono nella scena precedente, complici gli abbondanti tagli ai recitativi, spesso letali per la comprensione della vicenda), l’effetto è quello di un’aria giudicata così complessa da dover essere proposta “a rate”, ripartita fra le due primedonne, con un effetto salomonico quanto mai estraneo alla poetica e alle convenzioni del teatro settecentesco (che avrebbe, semmai, optato per due arie ben distinte, magari di eguale peso drammatico e complessità esecutiva). E potremmo continuare, ma sarebbe sterile voler ribadire l’ovvio, ossia che quando si vanno a turbare equilibri drammatici e musicali complessi, come quelli delle opere di Haendel, sarebbe opportuno riflettere a lungo, prima di apportare modifiche che non siano state espressamente approvate dall’autore. A meno che ovviamente non ci si reputi più esperti dello stesso compositore, che per inciso era versato anche nell’arte dell’impresario ed era insomma uomo di teatro a tutti gli effetti.
La motivazione addotta nel saggio proposto dal programma di sala, secondo cui sarebbe lecito operare tagli e inversioni ad libitum, in forza delle prassi dell’epoca e più ancora della grandiosità e storicità dello spettacolo di Pizzi, naufraga miseramente di fronte al livello, diciamo deficitario, della ripresa cui va soggetto lo spettacolo in sé. Si conserva, adattandolo al piccolo palcoscenico ferrarese, il superbo apparato scenico, qui un poco ingolfato nei movimenti dei ventiquattro (eccellenti) mimi chiamati a trascinare scranni, destrieri, dragoni, drappi, barche e quant’altro, ma i personaggi stanno e si muovono (si fanno muovere) in scena in modo per nulla stilizzato e grandioso: a volte (scena del giardino, scena del carcere, finale del secondo atto) sembra di assistere più al teatro dell’affettazione che a quello degli affetti. O se si preferisce, a una sublime cornice che incornicia… ben poco. In ogni caso, se anche tagli e inversioni nascessero dalla volontà di preservare l’assetto stabilito dalla regia così come originariamente prevista, sarebbe quantomeno assurdo mantenersi fedeli all’allestimento a discapito del titolo allestito.
L’impressione di una caricatura di opera seria è corroborata da un’esecuzione musicale, che volendo essere benevoli potremmo definire claudicante.
L’orchestra, specializzata nell’esecuzione di musica antica (etichetta sotto cui viene d’abitudine raggruppato tutto quello che sta fra il tardo Rinascimento e Haydn), evita i suoni sgangherati e fissi di certe compagini, massime anglosassoni, di norma impiegate in questo repertorio (ma i violini nel “Venti turbini” stonano regolarmente, in questo ben imitati dalla voce solistica, e altrettanto dicasi delle trombe nell’ultima aria di Rinaldo). Manca però qualsiasi varietà nel suono, il colore è sempre quello arcadico e pastorale che ben si adatta alla scena del giardino o a quella delle sirene, ma che finisce per rendere l’entrata di Argante, le scene brillanti o di furore di Armida e la battaglia conclusiva altrettanti lacerti di opera buffa o al massimo di mezzo carattere. E in questo senso risulta determinante la direzione di Dantone, che nei momenti di maggiore slancio (su tutti “Or la tromba in suon festante” e le pagine sinfoniche del terzo atto) non trova di meglio che “pestare” rozzamente, sortendo effetti prossimi alla caricatura involontaria. Modesta anche la prestazione del clavicembalista, che nella grandiosa aria con strumento obbligato “Vo’ far guerra” si limita a compitare la propria parte, proponendo modeste variazioni che non fanno onore a un brano, reso celebre per il carattere spettacolare delle interpolazioni proposte, sera dopo sera, dallo stesso Haendel in veste di esecutore.
Quanto ai solisti di canto, si sposano perfettamente con il clima orchestrale, tanto da indurre a riflettere come, piuttosto che un mediocre Rinaldo, si sarebbe potuto allestire un dignitoso Matrimonio segreto. Un Matrimonio ovviamente adatto a un palcoscenico di provincia, ché nessuna delle voci coinvolte potrebbe esibirsi in un teatro di dimensioni appena più cospicue, senza suscitare fondate perplessità e legittime riprovazioni. Delle voci femminili la sola Galou, pur priva di fluidità nelle ornamentazioni, regolarmente cempennate ed eseguite a prezzo di visibili contorsioni, mostra una tenuta musicale almeno accettabile, scivolando solo occasionalmente nelle stonature e nei suoni fissi che caratterizzano invece la prova della recuperata Almirena, che dal sol4 in su emette solo autentiche urla (particolarmente nel celebre lamento “Lascia ch’io pianga”), e più ancora connotano l’Armida di Roberta Invernizzi (la sola, delle tre signore, presente nella produzione fin dall’esordio) che con voce da comprimaria, artatamente gonfia in prima ottava, puntuta e stridula in acuto, incapace di legato alcuno fa pensare a una maldestra emula di Mafalda Favero applicata alla scrittura virtuosistica e piuttosto acuta della stregonesca regina di Damasco (tanto che nella prima aria, “Molto voglio molto spero”, si rendono necessari raggiusti alla linea vocale in modo da evitare la perigliosa salita al do5). Egualmente deficitaria la prova del tenore Krystian Adam quale Goffredo, il più colpito, e giustamente, dai tagli della produzione, anche se è sufficiente l’attacco sul fa#3 al termine della prima sezione dell’aria di sortita “Sovra balze” con conseguenti suoni spoggiati e rauchi a inquadrare la pasta di siffatto virtuoso. Un poco meno deficitari i bassi, Riccardo Novaro quale Argante e Antonio Vincenzo Serra come Mago Cristiano, anche se le regolari difficoltà in basso, le agilità maldestre, la mancanza di proiezione e il legato, che eufemisticamente potremmo definire stentato, fanno pensare a due tenori non sfogati in acuto e pertanto costretti a ripiegare sulle tessiture solo apparentemente più abbordabili del basso cantante.
Nel 1947 la radio di Stato italiana propose un’edizione del Rinaldo affidata alla guida del maestro Previtali, protagoniste Ebe Stignani e Gabriella Gatti, che solo pochi anni prima avevano, al Maggio Musicale, rinnovato i fasti di un altro titolo allora come oggi dimenticato, Semiramide. Quell’edizione radiofonica non è stata conservata, pertanto ogni speculazione è lecita riguardo la disinvoltura dei tagli e l’assenza di rigore filologico nelle eventuali variazioni e interpolazioni, proposte dagli esecutori. Proponiamo quindi le due soprammenzionate signore in brani di musica settecentesca e ci chiediamo, forse retoricamente, quale sia il maggiore tradimento degli intenti haendeliani, se quello messo in pratica dai filologi di oggi, che hanno spesso l’arroganza di proporsi come unica alternativa possibile in questo repertorio, o quello perpetrato, con il conforto del buon canto e del buon senso, dai cosiddetti battisolfa e praticoni di ieri.
Gli ascolti
Vivaldi
Ingrata Lidia (Cantata RV 673) – Gabriella Gatti (1949)
Haendel
Serse
Atto I
Ombra mai fu – Ebe Stignani (1948)
Uff… Che barba. Che noia!
Recensione centrata, come al solito!
Non sono un assiduo lettore del sito. Ho assistito alla rappresentazione in parola ed anche a quella di Ravenna.
Su molte cose sono d’accordo, soprattutto su Pizzi, ma devo dirvi sinceramente, che leggendo qua e là le vostre recensioni, provo sempre un certo fastidio.
Ognuno ha diritto a dire la propria opinione, ma ergersi in cattedra come fate voi mi sembra un po’ esagerato. Vi manca , credo , l’umiltà di pensare che potreste avere anche torto, non dico molto, ma solo un po’…. Quando poi qualcuno vi da contro, magari con frasi non molto simpatiche, fate le vestali offese….. Ecco a me date l’idea di vestali a difesa di un dio assoluto.
Spero non vi offendiate se vi dico, da persona che ormai ha raggiunto la maturità (di età se non di intelletto) che guardare ostinatamente al passato, preferendolo comunque al presente, a volte fa uscire dai binari della razionalità: il passato è passato, i gusti si evolgono e non è detto che siano “sempre” peggio dei vostri solo perchè sono diversi. Per quanto riguarda il barocco ad esempio, secondo me, come viene cantato oggi, dai migliori cantanti, con variazioni ed abbellimenti, ma con tanta, tanta passione, intensità, chiarezza di didizione, e con il giusto significato alla parola cantata, è meglio di quanto veniva fatto dalle dive e divine, come le chiamate voi, mi sembra cioè più consono al periodo storico in cui sono state composte queste opere (e se sbagliano un fa diesis e lo abbassano o quant’altro, mi sembrano proprio peccati veniali). Ciò vale anche per le interpretazioni delle orchestre e dei direttori di oggi, ma non voglio tediare oltre
Questa è solo la mia opinione, seppure criticabile, ma che comunque vale quanto e come la vostra.
Cordialmente
Spero di non sembrare una vestale o un flamine offeso se chiedo a Claudio di rispondere nel merito alle mie osservazioni sul Rinaldo ferrarese.
Ogni opinione vale, è importante ed interessante, purché sostenuta da esempi concreti e osservazioni puntuali. Altrimenti si cade nel vaniloquio.
Non credo di guardare ostinatamente al passato rifiutando in maniera preconcetta il presente. Non posso, per converso, dimenticare il passato solo per accettare acriticamente il presente, come fanno molti (che per la verità non hanno bisogno di dimenticare il passato, perché non l’hanno mai conosciuto e di questo menano vanto. Poveretti). Non è questione di cattiva volontà, è che proprio non ci riesco.
Non discuto l’evoluzione del gusto. Dico solo che quando si voglia eseguire decentemente il belcanto, sia Haendel o Rossini, proiezione vocale, intonazione, legato, fluida esecuzione delle colorature non dovrebbero costituire un optional. Preciso peraltro che gli interventi degli esecutori sul testo non dovrebbero servire a schivare le difficoltà vocali, semmai ad incrementarle, e questo regolarmente facevano i divi dell’epoca di Haendel, e di tutte le epoche.
Se la passione, l’intensità e quant’altro sono rappresentate dalla signora Invernizzi e dagli altri interpreti ferraresi, allora non so che dire. Se non rispondere con questo ascolto: http://www.youtube.com/watch?v=8eQra6Xj0Yk
Scusate questo povero vecchio passatista.
Ribatto velocissimamente quanto mi ha risposto il recensore:
Secondo la mia sensibilità definisco una rappresentazione musicale è bella se mi emoziona e questa opinione è importante ed interessante, anche se non sostenuta da esempi concreti e osservazioni puntuali. “Altrimenti si cade nel vaniloquio” per me vuol dire, se non offeso, essere un po’ piccato.
Posso affermare di non essere un “poveretto che non ha conosciuto il passato, e per questo ne meno vanto” perché l’ho conosciuto (sono del ‘46…) e se non mi piace mi permetto di criticarlo, dicendo che ci sono cose che non mi piacciono.
“Ombra mai fu”della Signora Muzio (nell’incisione credo 33enne) mi è sembrata il canto di una persona della mia età. Ho trovato l’interpretazione, sia della cantante che degli accompagnatori, scialba, incolore, piatta, senza nessun cambiamento di clima nel susseguirsi delle sezioni A-B-A. ed è proprio l’esempio della diversità delle nostre opinioni.
Ma in fondo il mondo è bello anche per questo: o no?
Non sono piccato: mi secca solo che si butti alle ortiche l’occasione di un confronto anche duro, ma onesto, per trincerarsi dietro il “mi emoziona” e altre espressioni oggi di moda, ma che ben poco sale aggiungono alla discussione.
Poiché non propone argomenti nel merito della rappresentazione ferrarese, le rispondo che quello di Claudia Muzio è il vero canto sulla parola, come attesta la dizione cristallina, l’assoluta omogeneità vocale (confronti come risuona la voce alle parole “e che sospiri”, battute 9-11, che cadono sulle note che preparano il passaggio agli acuti, nell’esecuzione di Rosanna Savoia, questa sì senescente: http://www.youtube.com/watch?v=NsJ_RiKO1UM o dell’infortunata M. Grazia Schiavo: http://www.youtube.com/watch?v=Jlg74yV5FNA), il legato di scuola, proprio quello che manca ai baroccari di oggi. Sulla diversificazione delle sezioni, le faccio notare che questa è una delle pochissime arie dell’opera in cui non c’è un vero cambio di atmosfera tra sezioni A, B e A’… semmai si può rimproverare alla Muzio di non variare il da capo, ma in un’aria patetica questo limite è assai meno grave che non in una brillante (ancora una volta, si confrontino le ornamentazioni di una Sutherland o di una Sills con quelle ben più modeste, e non parlo solo di qualità dell’esecuzione ma proprio di quantità e pertinenza di abbellimenti, delle “specialiste” moderne).
Mi permetto di fare un’osservazione a quanto scritto da claudiodileva, da terzo lettore interessato alla lirica (ed assiduo lettore di questo blog) ma non ancora munito delle competenze idonee ad esprimere giudizi: l’assoluto pregio del Corriere sta nel fatto che ogni valutazione è compiutamente e professionalmente argomentata (spesso ciò che leggo mi risulta di difficile comprensione per la tecnicità e precisione: ed è anche questo che invoglia le persone tipo me ad informarsi di più, a cercare conferma di quanto si vede/sente nei video postati ed a fare paragoni ragionati, insomma ad evolvere la propria conoscenza).
A me poco interessa di leggere che questo è bello e quell’altro non è bello: a me interessa leggere PERCHE’ questo è ritenuto bello e PERCHE’ quell’altro è ritenuto meno bello. Mi interessa sapere (e chiedermi il perchè cercando di trarne le mie conclusioni) certe arie vengano ad esempio abbassate di tonalità, vengono fatti dei tagli ecc. ecc. Sono informazioni oggettive che consentono di imparare.
Qui le risposte, le informazioni (condivisibili o meno, saccenti o non saccenti) comunque si trovano, altrove no.
Che poi leggere ad esempio una recensione che “stronca” una rappresentazione od un cantante non significa che, personalmente, andrò a quell’eventuale opera prevenuto e col fischio in canna: ci andrò solo con maggiore consapevolezza e cognizione; per quanto mi riguarda non c’è giudizio negativo che possa essere talmente convincente o suadente da superare le emozioni che si proveranno al momento.
avere lettori intelligenti e indipendenti mi consola….se poi sono interessati a cpmtinuare il viaggio da sè mi sento di avere ottenuto un risultato super. Grazie
ma che c’entra l’emozione poi? ma siamo ancora a questi livelli? se è per questo mi emoziona anche una puntata di Amici, se sono giù di nervi, ma mica lo tengo come parametro per recensirlo… (anzi!). Passatisti sono semmai, spesso, proprio quelli che, entrando in un tempio dell’arte, credono a priori di trovarvi per forza cose eccelse, perché condizionati dall’idea (anticulturale) che si sono fatti dell’Opera, della musica ecc. Medita, ragazzo mio, sei ancora in tempo a farti un’idea TUA, non è mai troppo tardi
http://www.youtube.com/watch?v=m9Eei2V6J0s
http://www.youtube.com/watch?v=fGc3gi8VkwA&feature=related
siccome l’esempio a mio avviso spess val più di ogni parola eccoti due esecuzioni una da diva e l’altra da attenta cantarice della medesima aria.
io la DIVA l’ho vista in orlando nel 1979 a Verona non credo servano parole
ciao dd
Giusto ! Parliamo di ‘evoluzione dei gusti’.
Partiamo dalla fine: molto improbabile che una come la Galou possa fare Arsace, Calbo, Tancredi anche in un teatro italiano di provincia. Sarebbe un insuccesso evidente. E perchè invece può fare Rinaldo ? Cosa hanno di diverso Calbo e Rinaldo ?
Il pubblico è diverso.
E’ stato allevato, soprattutto negli ultimi 20 anni, dalle case discografiche specializzate in collaborazione con gli ‘specialisti barocchi’ a cui è stato affidato completamente questo repertorio dai committenti teatrali.
Ancora a fine anni 80 veniva affidata la parte di Almirena a una Gasdia, alla Fenice, ad una non specialista. Sarebbe come se adesso chiamassero la Netrebko, impensabile.
Dunque, pubblico ‘specialistico’ per interpreti ‘specialistici’ (assomiglia un po’ al governo dei tecnici). In una situazione come quella di Ferrara il pubblico è misto: gli abbonati sono della vecchia guardia (qualcuno all’entrata si chiedeva se l’opera fosse in italiano) e se sentissero Adam in Alfredo non rimarrebbero inermi. Poi ci sono gli specialisti e questi bevono tutto, capaci di applaudire la Galou dopo Venti turbini.
Non sempre il nuovo è evolutivo, a volte è involutivo.
E’ sulla “…tanta, tanta passione, intensità, chiarezza di dizione, e con il giusto significato alla parola cantata” (che tradurrei in cantare parlato) che si misura il far di necessità virtù di cantanti che ‘non ce la fanno’ a cantare (e basta) tutto quello che ,putroppo per loro, Handel ha scritto.
Per chi era a Ferrara (o a Reggio) ascoltare la differenza con il riferimento (vivente) sia impressionante: http://www.youtube.com/watch?v=hbltMsfnivg
E lasciando stare la Horne, dietro l’angolo ci sono cantanti giovani in grado di eseguire correttamente Rinaldo (che per motivi a me misteriosi non sentiamo a teatro). Per correttamente intendo quello che dice Tamburini: “proiezione vocale, intonazione, legato, fluida esecuzione delle colorature”.
Sottoscrivo quanto dice Bernacchi, aggiungendo solo una personalissima perplessità di fronte alla disinvoltura con cui gli “specialisti” si bevono non solo le voci proposte a Ferrara (non che certi “divi” mainstream siano meglio: http://www.youtube.com/watch?v=02EMpYS9oag), ma anche una versione a-critica del testo haendeliano, un patchwork di versioni che neppure tanto velatamente sposa l’idea (tipica del pubblico poco o nulla avvezzo al barocco) che questi titoli siano solo raccolte di arie, senza alcuna coerenza drammaturgica o musicale.
bernacchi la ringrazio! La mia giornata web inizia ora e leggendola inizia bene. Mi piace che abbia puntualizzato la questione degli specialismi: più che specialisti però direi…speciali, pubblico e cantanti baroccari. I primi mi imbarazzano perchè sono incapci di apprezzare il barocco d’antan….ergo il canto di scuola. Di fronte a loro si resta allibiti.
Lo sapevo che entrare nel “santuario” di questo sito avrei preso solo schiaffi: nessun tentativo di comprensione……
Voglio solo puntualizzare che NON affermo che oggi sono tutti più bravi, cantanti direttori ed orchestre, ritengo solo che si sta cercando un approccio “non romantico” al barocco, (forse più giusto: chissà), qualche risultato funziona, qualcun’altro no, alcuni risultano pessimi.
Avevo premesso nel mio intervento che il Rinaldo così proposto non mi era piaciuto ed ho tentato di spiegare le ragioni pur sottolineando di non aver competenze tecniche che alcuni dicono di avere, anche se ritengo che per ascoltare ed apprezzare musica non sia necessario conseguire un diploma al Conservatorio…
Ma scusate: in quale vangelo è scritto che è meglio comunque il canto legato? Lo dite voi…. (e questo è solo un esempio)
Quando andate in un museo e vi fermate davanti ad un quadro: qual è il vostro primo pensiero? Mi piace!! Non mi piace!!… o invece vi colpisce il tipo di pittura (acquarello, tempera ecc.), o il tipo di tela e di pennello che ha adoperato l’autore?
E’ ovvio che è molto costruttivo “successivamente” conoscere la storia del pittore, la sua tecnica, lo stile ed il secolo nel quale è vissuto.
Davanti ad una rappresentazione musicale qual è il vostro primo pensiero? Vi piace perché vi “emoziona” o vi piace perché rispetta i canoni interpretativi che avete adottato o che altri vi hanno suggerito?
Già, ma “emoziona” non va detto perché così ci si trincera dietro la propria ignoranza…
Partiti da questi presupposti come potremmo mai confrontarci?
Se poi la Signora Grisi è imbarazzata perché sono “incapace di apprezzare il canto d’antan…. ergo il canto di scuola e rimane allibita da ciò”: che dire, mi dispiace per lei, si dovrà rassegnare a convivere con persone non d’elite come lei ed il suo entourage, stia solo molto attenta a non cadere dal suo piedistallo….
Concludo: la signora Horne, che pur ritengo una grande cantante, qui non riesco ad apprezzarla, mi dispiace, vorrei ma non posso, né come “interprete” (inesistente), e tanto meno come attrice (ridicola)
I gusti cambiano, appunto, si evolvono, appunto, peggiorano, forse, ma come dice la Signora Levi-Montalcini a 103 anni: io guardo avanti!
Non farò più altri commenti: dormite sonni sereni.
no no, guardi. La questione dell’imbarazzo alludeva al fatto che oggi la Sutherland o Ramey non vengano più riconosciuti come grandi esecutori barocchi. E per me è inconcepible……meglio un falsettista della Horne? Alludevo a questo e non a lei…
…rileggendola però, posso confrontarmi sui difetti della horne, sulla cui pacchianeria posso concordare in certi momenti o passi ( rinaldo no, in Orlando tanti ad ex), ma se dobbiamo confrontarci su una delle più grandi falsità del dogma baroccaro odierno, il canto legato….beh è dura. Che si possa cantare Lascia chPIo pianga senza legato …..se vuole, ripartiamo dai dogmi correnti ed alla loro genesi…..
“in quale vangelo è scritto che è meglio comunque il canto legato?”
Nello stesso in cui è scritto che è meglio emettere suoni decenti in luogo di latrati.
Il canto è UNO. Non esiste alcuna contraddizione tra il canto legato ed il recitar cantando, queste idee sono stupidaggini messe in giro chissà da chi, la gente si riempie la testa con queste cretinate strumentali al malcanto senza avere nessuna coscienza dell’arte canora. Ascoltatevi un Tito Schipa e sentite cosa vuol dire recitare cantando, sentite cos’è la vera pronuncia nitida, il vero legato, il vero canto. Quello che oggi ci propinano questi barocchisti è solo una scadente paccottiglia commerciale, il nulla artistico. Sono solo orrendi fenomeni da baraccone.
Non mi piace combattere dei dogmi con altri dogmi: di solito le guerre di religioni portano solo disastri e, al netto della “bontà” dei rispettivi intenti, sono solo variazioni sulla medesima chiusura mentale. Detto ciò bisognerebbe intendersi sui termini: gentile ClaudioDiLeva, quando si parla di “legato” è ovvio che lo si deve calibrare ad un certo stile musicale…ma non è una novità perché qualsiasi cantante professionale sa differenziare il proprio approccio esecutivo in base al tipo di musica eseguita. Certo che il suono burroso e gonfio di certo barocco d’antan può essere considerato una forzatura, ma negli stessi anni si percorrevano anche strade differenti. Le generalizzazioni sono sempre cattive. E bisogna anche saper storicizzare certe scelte: rigettare con disgusto (e non è il suo caso, ne convengo) certo Haendel degli anni ’40 o ’60 è atteggiamento altrettanto sbagliato e dogmatico di chi fa “di tutta l’erba un fascio” con le prassi esecutiva odierna…
E comunque, per mio conto, i suoi commenti sono sempre ben accetti: la mia posizione in merito alle discussioni circa la musica barocca e prebarocca (così come quella di Beethoven) è nota. Non coincide con quella di altri mie colleghi, ma è occasione di confronto.
Ho letto con simpatia le sue osservazioni Dileva. Anch’io, e spesso, preferisco ascoltare un’esecuzione emozionante (almeno per me), ad altre che, pur migliori sotto l’aspetto puramente tecnico possano lasciarmi insoddisfatto dal punto di vista emozionale. Detto questo bisogna pero’ riconoscere che il legato e’ uno dei fondamenti del canto operistico quasi sempre e, si figuri in esecuzioni dove la vocalita’ venga usata in modo strumentale come nelle partiture haendeliane londinesi.
Ho ascoltato a Cremona la Sig. Invernizzi e proprio a cantare il Rinaldo, in quel ruolo poi, non riesco ad immaginarla se non in modo negativo. Manca forse una rubrica qui’ come altrove che spieghi cos’e’ un legato, termine che in tanti anni di frequentazione operistica ho sentito “spiegare”, da “intenditori” , secondo me, in modo fuorviante ed inesatto. Concludo facendole notare che non mi ritengo vestale di nessuno, e che, come lei non sono affatto d’accordo con tutto quello che viene scritto su questo sito. Continui invece a scrivere le sue impressioni, poiche’ le voci fuori dal coro non possono che essere utili e stimolanti, ma, “A tutelar l’antica arte del canto” e’ il sottotitolo di questo Corriere. A presto, spero.
si mi piacerebbe che il sign di leva, e non sono nè ironica nè altro, introducesse questo tema della non necessità del legato. Da dove ed in base a quali letture e o ascolti ha formato questa sua convinzione, perchè nel barocco moderno la questione dell’origine delle moderne teorie è fondamentale.
Però non giochiamo a fraintenderci…non esiste nessun “barocco moderno” e nessun “barocco antico”, ma semplicemente un’indagine sulle modalità esecutive della musica barocca: indagine che ha portato a risultati molto vari e diversi (la favola per cui tutti gli specialisti sono uguali è, appunto, una favola). Peraltro da nessuna parte si sostiene che il “legato” sia superfluo (lo è per alcuni interpreti che, appunto, scambiano la libertà col mero relativismo di comodo in nome del “si fa quel che si vuole”), non comprendo, dunque, a che si riferisca DiLeva. Queste discussioni, purtroppo, sfociano sempre nello scontro tra opposti estremismi, così che questioni importanti lasciano il posto a scambi di insolenze. Io mi sento libero di criticare certi cantanti sedicenti specializzati, ma allo stesso tempo salutare con favore le ricerche sulla prassi esecutiva e lo stile dell’epoca, così come, pur riconoscendo l’arbitrarietà di certi interventi (e il fraintendimento di uno stile, anche per ovvie ragioni cronologiche), posso godere di interpretazioni vocali splendide da parti di cantanti del passato. E comunque andare aldilà del mero dato accademico espresso in termini di correttezza e scorrettezza: di cui – quando ascolto musica – non m’importa praticamente nulla. Adorare il nuovo perché nuovo o il vecchio perché vecchio, sono, alla fine, due facce d’una identica medaglia. Pertanto se si vuole fare un discorso rigoroso sulle fonti, così come si citano il Garcia o il Tosi o il Mancini (trattati di canto) allo stesso modo si devono considerare di eguale importanza le questioni relative al diapason, agli organici (o meglio agli equilibri tra le varie famiglie strumentali), all’uso del vibrato, alla scelta dei tempi, alla perfetta dizione e pronuncia e, molto importante, alla realizzazione del basso continuo.
Per cantare il barocco e ancor più il recitar cantando servono voci ordinate e raffinatissime, prive della benché minima pomposità, suono puro, pulito, chiaro e semplice, variabile nei colori e nell’intensità, pronuncia impeccabile, che corra veloce per la sala del teatro. E’ un repertorio per virtuosi, sia del dire, sia dell’agilità e dell’ornamentazione. Oggi la situazione sul piano della vocalità mi pare desolante, si sentono cose anche stilisticamente poco serie e credibili. Nel campo strumentale individuo alcuni complessi isolati che non mi dispiacciono, non è tutto da buttare. Purtroppo lo studio dei trattati non è sufficiente ad apprendere l’arte di ben cantare.
Verissimo Mancini: pronuncia impeccabile e dizione perfetta sono condicio sine qua non per affrontare il repertorio barocco e prebarocco (soprattutto il recitar cantando che impone la prevalenza della parola sulla musica, oltre all’utilizzo della tecnica della “sprezzatura” che risulta impossibile da praticare con naturalezza per chi neppure ha idea di cosa sta cantando). In assenza di una resa chiara, pulita e naturale del testo si può avere anche un suono magnifico e sontuoso, ma resta un suono, appunto, e non musica… Stesso discorso per la pomposità immobile e la classica monumentalità che affliggevano certo “barocco d’antan”, seppur giustificato storicamente, è proprio l’aspetto che più fatico a sopportare (unito allo slabbramento strumentale e alla dilettantesca resa del basso continuo).
Sulle compagini strumentali e corali non sono molto d’accordo, nel senso che reputo vero il contrario: grazie al cielo sono pochi ed isolati i complessi che fanno della sgradevolezza sonora e delle soluzioni estremistiche la loro cifra identificativa. Anche qui, insomma, non si può generalizzare, perché un conto sono gruppi come La Scintilla, o i complessi di Koopman, Norrington, Malgoire etc…altra cosa Savall, Alessandrini, Suzuki, Anima Aeterna, Gardiner, Minkowski etc…
Claudio un sano interloquire, come scrivi più sotto, richiede anche una disponibilità a mettersi in discussione. allora a questo punto mi domando: ma tu hai capito che cosa sia il llegato? Perché ritengo un poco contraddittorio conoscere cosa sia e poi dire che non è più necesario. Come suggerisce Massimo Fazzari, ammettere di non sapere, non è mica un peccato! E rinvio alle risposte di Mozart, stefix e mia, più sotto.
E permettimelo: dire che la Muzio esempio di canto da manuale canti male non è evoluzione dei gusti, Caludio, ma beata non conoscenza del canto. E facciamocene una benedetta ragione! Quello è il canto ed è per gente che cantava in quel modo che da Monteverdi fino all’altro ieri s’è scritta della musica.
Ma anche coprendo tutta la vicenda con un rawlsiano velo di ignoranza, buon Dio, come diamine si fa a non scegliere una Muzio contro i nuovi urlatori di oggi??
In un clima di sereno dialogo, vorrei rispondere a claudiodileva su quel che dice: secondo me il Corriere non è vestale od osannatore del passato ma semplicemente un insegnante supplente della correttezza del canto in barba ai tanti “specialisti” pagati in giro per giornali e rete.
Senza offesa, credo anche che l’opinione del Corriere valga di più della tua quando si parla di analisi vocale e strumentale, in quanto il Corriere spiega cosa va bene e cosa va male (si può essere d’accordo o meno chiaramente, ma almeno si fa un discorso articolato), mentre tu fai il solito riassunto del cantante “pane amore e fantasia” come uniche discriminanti del merito di successo: non funziona di certo così se parliamo seriamente!
Le mode interpretative (e spesso anche gli stili) cambiano col tempo, su questo hai ragione; anche la tecnica in certi aspetti cambia col tempo (è impensabile credere che chi canta oggi Rossini lo cantasse esattamente come Garcia o David) ma di sicuro ci sono dei parametri che nel canto sono universali e eterni.
Prendo ora ad esempio la Ivernizzi: come si può apprezzare una voce in una parte dell’Orlando di grande estensione che risulta 1) vuota, ossia non “poggiata” sul fiato e sul petto 2) che stride in acuto perché non è appoggiata appunto ? Perché non si può più sopportare un Villazon o un Cura che urlano invece di cantare ?
La risposta è semplice: perché i cantanti che fanno il loro mestiere (pochi oggi come ieri) ci sono e danno esempio, ma non si sentono spesso, messi in secondo piano da questi pagliacci o fenomeni dei massmedia che non fanno altro che promuovere un’immagine di cantante fuorviante e non più un cantate vero e proprio. Parlando personalmente, credo che senza il “Corriere della Grisi” considererei la Bartoli un genio e prodigio vocale, quando invece è una grottesca imitazione di una cantante.
Quindi caro claudiodileva, ben venga un Corriere ed un pensiero di corretteza del canto innanzitutto, visto che oggi si sta perdendo completamente tanto da non ricoonoscere un urlo da un acuto!
Invernizzi in Vivaldi: http://www.youtube.com/watch?v=9w2jcgp1An0 vocalmente imbarazzante (un motoscafo che vuol fare il transatlantico)
Invernizzi in Monteverdi: http://www.youtube.com/watch?v=P3vJMlC9l54 stilisticamente imbarazzante per non dire scandalosa (la voce è a tratti timbrata, a tratti stimbrata; a tratti ben appoggiata, a tratti urlati; certi abbellimenti sono veramente brutti; ma la cosa in assoluto più ridicola sono i finali delle parole: in una parola piana, la penultima sillaba – accentata – è monocorde e privata di vibrato, mentre su quella seguente – ultima sillaba non accentata – si concentra un vibrato degno di verista incallito).
Ps. con tempi così rapidi e folli è anche un miracolo che riesca ad articolare le parole!
come è vero, infatti la Bartoli è un genio solo per quelle poche centinaia di migliaia di persone che assistono ai suoi concerti e comprano i suoi dischi, ma poverini, loro non leggono il Corrierie del Grisi
Centinaia di migliaia di incompetenti, carissimo. se poi tutti venissero a rompere le balle sul sito come sta facendo lei, avremmo dei seri problemi! stia bene nelle sue certezze, ma attento che crollano! e per la cronaca, la Bartoli qui non sappiamo chi sia, perchè noi trattiamo di musica, non di pappagalli col raffreddore. Si rivolga ad un blog di volatili. Buona giornata.
la bertoli è una cantante che senza la pubblicità ed i dischi non esisterebbe perchè in teatro semplicemnte…..non esiste. E’ il frutto del culturalame delle riviste. Voce sgradevole, squittente, agilit
Da singer e genrica nevrosi esteriore. Insomma….una pena. Leggete e crescete sulle sue interviste ed i panegirici dei panflettari delle major del disco. Compratela e godetevela.
Io la Bartoli l’ ho vista più volte. Uso questo verbo non a caso, perchè oltre la decima fila non si sente. Lei e la Kermes sono semplicemente due Lady Gaga dei poveri, visto il repertorio di smorfie e ammiccamenti stile Ambra Jovinelli che impiegano.
Caro Antonio, non credo vi siano molte speculazioni da fare circa i tagli, gli spostamenti e le interpolazioni dell’edizione del ’47, giacché non ritengo fossero “peggiori” di quelle subite dal Rinaldo di Ravenna, ma con una differenza fondamentale: nel ’47 non c’era possibilità di fare diversamente per riportare sulle scene titoli del tutto spariti, vi erano solo cattive edizioni ottocentesche (zeppe di errori e interventi posteriori) e non vi era ancora alcuna ricerca in merito allo stile esecutivo e alla prassi barocca, oggi – invece – sì. O almeno dovrebbe. Tanto più grave, dunque, intervenire così pesantemente (e aggiungo stupidamente) su un testo che è fruibile anche al semplice appassionato (basta una visita in biblioteca) in entrambe le sue versioni, soprattutto perché oggi – che siamo tutti più informati e ci crediamo più intelligenti – ben possiamo comprendere che gli equilibri dell’opera seria settecentesca, sono calibrati per un meccanismo teatrale perfetto, che alterna – attraverso uno schema razionale che prevede esattamente dove inserire arie di segno opposto, recitativi, duetti e cori – gli affetti e gli effetti, in modo da rendere scorrevole e agile anche la partitura più lunga: è ormai assodato – e sperimentato – che più si interviene sull’opera barocca (con tagli e interventi), più appare lunga e “noiosa”. Oggi – aldilà del modus esecutivo (specialistico o meno) – si dovrebbe partire da questo aspetto e riconoscerne l’imprescindibilità, senza avere la presunzione di “saperne più di Haendel” o pretendendo di “venire in soccorso dell’autore” elucubrando su presunte volontà inespresse. Che poi lo si voglia fare con strumenti moderni o antichi, con organici più o meno ridotti, con tempi più o meno spediti, con un vibrato discreto (a patto, naturalmente di non trasformare Haendel in Bruckner: ma neppure 50 anni fa succedeva) o senza…sono problemi marginali, giacché sono convinto che sia più importante il come si suona (e si dirige), rispetto al cosa: lo strumento è sempre “strumentale” a un’idea…se manca anche uno Stradivari suona loffio. Estendendo il discorso, oggi – si può dire – che la riscoperta filologica del barocco e delle sue potenzialità e peculiarità espressive ha generato – accanto ad ottimi prodotti e musicisti (io sono favorevole alla specializzazione) – anche un figlio “bastardo”, ossia una sorta di relativismo postmoderno (rubo la felice espressione) che esaspera la libertà della musica barocca in un “ognuno può fare quel che gli pare”…ed è evidente che così non può e non deve essere. Questo non per attaccamento ad una tradizione o per paura dell’ignoto o per culto del passato, ma per semplice logica e sensibilità musicale. E anche per rispetto, perché no. Credo, ad esempio, che il Vivaldi dei Musici non possa essere “buttato a mare” con l’infame appellativo di “scorretto”, perché non vi è nulla di sbagliato (anche rispetto al tempo in cui è stato eseguito). Sbagliata è invece l’ideologia per cui la musica viene tolta al musicista e affidata al ricercatore che si alambicca sul com’era e ignora il com’è…
Ps: non ho sentito questo Rinaldo, ma il Dantone direttore (non nuovo alla cesoia, usata più dei vecchi Serafin o Gavazzeni – e senza possedere la loro sensibilità musicale) lo conosco abbastanza per prenderne le distanze. L’Accademia Bizantina è, invece, un’ottima compagine e mi spiace leggere di certe cadute (ma evidentemente in uno spettacolo “nato male” alla fine tutto va storto). Sui cantanti non mi esprimo. Dico solo che qualche mese fa, a dicembre, ho assistito ad un altro Rinaldo (all’Auditorium di Milano) allestito in forma concertante, integrale e senza pasticci tra le versioni, con un’orchestra affiatata e musicalissima e un direttore che evidentemente ama quel che dirige senza la presunzione di cambiarlo. Spettacolo che non era certo perfetto, ma che nel complesso è risultato gradevolissimo. Ecco, per fare musica – qualsiasi musica – occorre serietà, professionalità e rispetto.
Insomma anche per tagliare bisogna sapere che cosa e quando tagliare… non si può fare “a sentimento”… anche se poi il pubblico “si emoziona”
Rispondo volentieri alla signora Grisi che così gentilmente mi ha formulato una domanda.
Purtroppo non ho studiato musica, non leggo trattati musicali, do una scorsa a qualche recensione qua e là a riviste musicali e quotidiani.
Vado qualche volta a teatro, sia a concerti sinfonici o di canto che operistici. Adoro la musica del ‘700 napoletano, apprezzo molto la musica da Monteverdi a Mozart, passando da Lully, Rameau, al barocco italiano, e quello “in” italiano. Su Beethoven ovviamente non mi soffermo, non mi piace tutto l’ottocento italiano, ma adoro Rossini, Verdi e il Donizetti comico, trovo prolisso Wagner anche se ha scritto pagine splendide. Del novecento italiano salvo il primo Mascagni e Puccini, che mi fa rabbia perché non riesco a non amarlo ed infine adoro Strauss e Mahler.
Quando vado a teatro, a vedere un’opera, vorrei capire quello che vedo e sento indipendentemente dalla conoscenza della trama…..
Quindi non sopporto registi che non “leggono” il libretto, direttori incapaci di sfaccettare l’esecuzione in relazione ai vari climax della composizione, cantanti che non si capiscono e che non capiscono e/o non esprimono quello che cantano.
Ho notato che la espressività non è un elemento fondamentale per alcuni lettori del suo sito, io lo trovo assolutamente indispensabile, basilare capitale: se costretto a fare una scala di valori, l’espressività la antepongo alla tecnica, ma con questo non voglio dire che la tecnica non sia importante: anzi credo che un grande cantante, di solito, ha una tecnica perfetta accompagnata ad una giusta espressività.
Arrivando alla questione del legato la mia è stata una provocazione e sicuramente non è una affermazione ma è una domanda : è proprio così indispensabile sempre e comunque?
Mi chiedo e vi chiedo: è proprio così necessario il cosi detto “bel canto”? Un cantante deve esprimersi sempre in modo “bello” o deve esprimersi in modo efficace, naturale, spontaneo: rappresentando cioè lo stato d’animo del personaggio che racconta in quel momento?
La signora Grisi mi propone l’esempio di “Lascia che io pianga” ed è giusto perché con il legato è molto bello, ma mi chiedo: potrebbe una cantante soffermarsi su “Lasciac hiopianga” per dare l’idea di una esitazione? Almerina potrebbe non avere il coraggio di mostrare il suo tormento perché teme la reazione del mago Argante…..
E’ una cosa possibile? E’ brutta o è da ritenersi sbagliata? E in questo caso perché? Perché esiste solo quel famoso “dogma”? Questa risposta non mi soddisfa e comunque i dogmi non piacciono
Chiudo con una riflessione che mi era sfuggita in precedenza, parlando della rappresentazione del Rinaldo a Ferrara.
Le recensioni dovrebbero essere il più possibile non malevoli e parziali.
Il recensore, pur parlando male della Signora Invernizzi avrebbe dovuto precisare, essendo presente alla rappresentazione che la stessa si scusava, per mezzo della voce ufficiale del teatro, delle sue non buone condizioni vocali, essendo appena uscita da una fastidiosa laringite che l’aveva colpita già a Reggio Emilia.
Dire che la Signora Schiavo era “ufficialmente indisposta” vuol sottintendere un’altra cosa: il recensore aveva prove della pretesa bugia della cantante?
Quando le due cantanti (Savoia e Schiavo) si sono presentate in proscenio alla fine della rappresentazione, il recensore non ha notato la diversità di taglia tra le due signore? Come era possibile adattare costumi così sfarzosi in poche ore?
Sempre il recensore afferma che la Signora Savoia ha già cantato tale parte “pochi anni fa”: e lui ha la pretesa che la cantante la potesse “introiettare” in meno di 24 ore?
Il lavoro degli altri può essere benissimo criticato, ma va comunque rispettato.
“Un cantante deve esprimersi sempre in modo “bello” o deve esprimersi in modo efficace, naturale, spontaneo: rappresentando cioè lo stato d’animo del personaggio che racconta in quel momento?”
A furia di avallare fesserie del genere, che han sempre l’afrore di alibi pelosi utili solo ad esaltare certo culturame, siamo arrivati a leggere che le stecche di Licitra erano espressive; che le stonature di un soprano ormai in disarmo erano secondarie all'”interpretazione” che ne veniva fuori; che i guaiti di Cura erano funzionali alla visione interpretativa della bacchetta che lo dirigeva. A questo punto mi chiedo quale funzione – sempre che ne abbia ancora una – possa avere la critica oggigiorno. Io ne vedo due: mandare il recensore a teatro “a divertirsi” (come abbiamo letto in tempi recenti…) e issare la pippa mentale a istituzione.
Cara “signora” Se ha frainteso la mia opinione, mi dispiace, mi sarò espresso male, comunque le mie “fesserie” sgorgano dal cuore, non oso immaginare da dove spuntino le sue cattiverie….
Gentile sig. Dileva, non si offenda, però deve capire che ciclicamente sul Corriere viene riproposta questa polemica sul primato – e non solo la priorità – dell’emoZZZIOne sulla tecnica…Non ci rimanga male, ma è una cosa trita e ritrita per chi legge questo sito, figuriamoci per chi ci scrive…E quindi non deve ritenere i toni della Carlotta offensivi, perché seguono un filo del discorso che in parte giocoforza le sfugge. L’unica cosa che posso dirle è che a me del Corriere piace proprio questa passionalità sanguigna, a volte veemente, questa vis polemica brillantissima, che non teme di esprimere in prima persona posizioni anche radicali, e quindi a volte necessariamente anche problematiche (sulle quali personalmente anche io non sono sempre d’accordo). Non sopporto infatti i blandi buonismi, e di questo per fortuna qui non c’è traccia. E poi, sul merito della questione: il problema è un altro. Per chi è educato da ascolti – sia dal vivo che registrati – di alto livello, per chi studia e approfondisce le dinamiche del canto semplicemente SE NON C’E’ TECNICA NON C’E’ EMOZIONE!!! Semplicemente a sentire certi latrati, imprecisioni, errori ecc., non si prova proprio nulla… se non fastidio o primi sintomi di cirrosi epatica… Cordialmente.
non è solo il primato della tecnica è l’effetto espressivo della tecnica. cito due esempi opposti l’esecuzione di vissi d’arte dell’olivero al met. età 65 anni incipit della romanza a testa indietro sul canape. la divina madga fa quello che fa solo perchè controlla il suono alla perfezione altrimenti le idee , singol eo generali del brano resterebbero nel mondo delle idee. Altro esempio “venti turbini prestate” anno 1975 marylin horne ci sono due o tre fiati oltre che la rapidità e precisione di esecuzione congiunte che sono solo pura tecnica. poi certo con la tecnica e per tecnica entrambe sono due grandissime
Vorrei dare una spiegazione più razionale. L’immedesimazione totale dell’ artista nel personaggio è un fraintendimento delle teorie di Stanislavskj e a mio avviso non vale per nessun tipo di attore. Men che meno per il cantante, che prima di tutto deve fare i conti col fatto che sta facendo musica e che ha a che fare con una partitura la quale pone parametri precisi da rispettare, come il rispetto della linea melodica, del valore delle note e delle indicazioni dinamiche scritte dall’ autore. Se non ci sono questi presupposti non si tratta più di canto operistico, ma di qualcos’ altro, non sta a me dire se migliore o peggiore, ma in tutti i modi non più canto lirico nel senso che noi diamo al termine.
Saluti.
“Non è solo il primato della tecnica è l’effetto espressivo della tecnica”. Giusto, Donzelli. Parlo per me: per grandi performance tecniche che però risultano fredde o carenti dal versante interpretativo, il rischio di non emozionarsi non solo è possibile, ma anche altamente probabile. Io farei una differenza tra godimento ed emozione: personalmente, di fronte a un’impeccabile esecuzione provo godimento, ma non sempre emozione. Questo non vuol dire che però non sia pregevole anche il solo godimento, ma assolutamente imparagonabile a quello che si prova quando si realizza “l’effetto espressivo della tecnica”, in cui si è trascinati in un vortice emotivo che coniuga, appunto, godimento ed emozione. Non so se mi sono espressa con chiarezza: quello che voglio dire è che di fronte a un’esecuzione perfetta, non si può non provare qualcosa! Mentre di fronte a una performance tecnicamente carente è quasi inevitabile non riuscire a provare nulla! Quello che si dovrebbe raggiungere non è la sola perfezione esecutiva, ma anche una profonda ispirazione interpretativa.
E’ chiaro che quello che ci propinano per la maggior parte i teatri oggigiorno non garantisce né godimento, né emozione…
mi soffermi su un solo particolare della sua esposizione ossia il “lascia ch’io pianga” il punto è qua e la risposta non sono io a fornirgliela ma l’ultimo musicista del bel canto ossia rossini. le premetto , ma credo lo sappia che il bel cantista non è un buon cantista. sono due concetti differenti e li esemplifico: gigli fu un modello boi buon cantista, ma non un bel cantista percè mai canto l’opera da handel a rossini
Rossini in un dialogo con Wagner stenografato da Michotte e pubblicatopiù volte (personalmente lo lessi in appendice al libro di Rognoni su Rossini) parla della sua musica come arte ideale. Ovvero non deve descrivere non deve raccontare deve rappresentare il sentimento (alla latina del personaggio) . Questo esclude in sede di esecuzione qualsivoglia connotazione realista . Almirena non ha la voce rotta dal pianto Almirena canta ed esemplifica l’idea della disperazione. se il pubblico nonha chiara questa idea è ovvio ch ei latrati in armatae face ed amguibus della bartoli o della invernizzi sarannopresi per furore, ma quel furore non è lite di due erbivendole è altro.
chiarito questo concetto e ci aiutano a chiarirlo il confronto in letteratura italiana fra un verso di monti da un lato e di manzoni dall’altro tutto discende. negato il principio possiamo dolerci che emma carelli non abbia inciso la scena di ermione. Sai che furore sai che temperamento sai che slancio!!!!!!
Appunto…come dice Canio nei Pagliacci “Il teatro e la vita non son la stessa cosa”.
sono rientrata adesso e vedo che la polemica ha preso la via dell’ìnvernizzi o dell’insulto…..ufff….io volevo ” servirmi” di lei per parlare delle fonti che hanno alla base i signori baroccari di cui lei utilizza la volgarizzazione corrente tra i melomani per parlare di espressione. Prego, mi lasci posare la valigia e le risponderò in prorposito anche se lei non mi è d’aiuto circa la faccenda delle fonti. A prestissimo
E le frasi che “vengono dal cuore” lasciamole a Federico Moccia, per cortesia! La musica d’ arte è qualcosa di più e di diverso.
finora ho letto solo una spiegazione alle mie domande dal Signor Donzelli che ho apprezzato e che ringrazio
Ma che cos’è questa spocchia che avete?
Ma chi credete di essere?
E giustificate anche la maleducazione?
Credete veramente di essere “superiori” che dileggiando o compatendo il prossimo?
Io le ho sempre risposto nel merito.
Da lei aspettiamo ancora invano, Di Leva, qualche commento un minimo informato e circostanziato su questa “bella” esecuzione.
Può tranquillamente limitarsi a impartire lezioni di bon ton, ma poi non si dolga delle risposte che riceve.
Saluti.
direi che avere la sicurezza di essere dalla parte della ragione (cosa perealtro sempre pericolosa in sè) non esima dalla buona educazione, senza quel tono stizzitto da Opera Queen così disdicevole, non trova?
cara tato, ma quale cantante è più da meloqueen della bartoli? Mai andato a un suo concerto? Paiono dei gaypride! E poi i messaggi a grappolo senza nulla da dire….non interessano. Mandaci argomenti per illustrarci la sua arte . Per me non è una cantante ma una caricatura
Infatti. Tutti sanno che il titolo del suo CD, “Sacrificium,” è frutto di un refuso, dove, al posto della seconda “i” ci sarebbero dovute essere una “r” e una “o”
ahahahahahahahahaha
Caro sig. Di Leva, io voglio solo puntualizzare (molto educatamente, almeno spero) una questione: secondo me la musica d’arte è tecnica ed emozione, due criteri che si fondono, perchè senza la tecnica non c’è l’emozione: se ascolto un brano indubbiamente eseguito male, non credo che possa dire “beh, però mi ha emozionato”, perchè a parer mio le cose che emozionano sono per forza belle (l’emozione negativa è l’impressione, altro concetto). Noi (uso un po’ a sproposito questo pronome, perchè io non sono registrato da moltissimo). Le pongo, poi, un’altra domanda: lei ci accusa di sentirci superiori compatendo e dileggiando il prossimo. Ma lei crede davvero che ineggiando a tutto e a tutti si dimostri di essere “superiori”, cosa che noi per lei non siamo? perchè la sua riflessione mi porta a pensare che il contrario di noi siano coloro che indistintamente accettano tutto, quindi per lei persone “superiori”. Mi creda, io sono fermamente convinto che la carriera (come diceva Leyla Gencer) si fa anche (aggiungo sopratutto) coi no. E dire la verità(questo nella musica, ma anche nella vita) può sicuramente far male, ma può aiutare a migliorarsi. Da ultimo non vedo in nessun articolo parole di scherno o discriminazione verso artisti reputati “meno bravi”, solo sapiente ironia. Rispondo, infine, ad una sua domanda: chi ci crediamo di essere. Vero, noi non siamo artisti, non sappiamo il disagio che si può provare a venire fischiati, o la tristezza che può causare un insuccesso. Noi siamo “solo” il pubblico pagante, senza il quale i teatri non potrebbero tirar sera, e da tale esprimiamo le nostre opinioni, criticabilissime, per carita. Ma criticabili quanto le sue, e dato che siamo in un contesto di libertà nessuno le nega di affermare il suo pensiero fino alla morte, cosiccome nessuno può negare a noi di contrastare il suo pensiero. Grazie e a presto.
No Claudio. È che ad un certo punto scappa la pazienza quando si assiste alla pretesa secondo la quale ogni interpretazione su ogni fatto della vita sia lecita e legittima. Non è così e non lo deve essere nemmeno per l’arte del canto. Questa è la vera spocchia che dilaga tra i frequentatori di loggioni, platee e consimili consessi spacciando idee come quella da te – scusa, mi permetto di darti del tu – evocata e da Carlotta veementemente colpita. Per carità: non è il tuo caso, giacché ti presenti come amatore della musica ed in te la domanda che fai può sorgere legittimamente. Ma devi sapere che per altri, e a quelli più che a te mi sembrava rivolto l’attacco della Marchisio, quello che tu ti chiedi è posto come il nuovo dogma. Se vogliamo parlare “per dogmi”; ma io sostituirei alla parola “dogma” quello di “codice”, perché se il canto è un arte fatta per rappresentare e quindi poi comunicare i sentimenti umani, come ti ha ben detto Donzelli richiamando Rossini, allora dei codici li deve avere. E nel codice, per farla breve, rientra anche tutto ciò che ti ha scritto Mozart circa il fare i conti con una partitura.
A quanto ti hanno detto loro, non ho nulla da aggiungere se non questo: certo che sarebbe ammissibile interrompere il legato per, che so io, singhiozzare. Ma “ci deve stare” riguardo al repertorio che si sta cantando (il barocco e il verismo sono lontani anni luce) e riguardo al buon senso, che vale anche nell’apprezzare le cose d’arte. O almeno io la penso così. Il legato prima ancora che essere un elemento tecnico funzionale all’espressività è esigenza di dare un senso a quello che si sta dicendo cantando. Né più né meno che come quando parlando si pronuncia una frase di senso compiuto. Ho già detto altrove con altri termini che il canto o è sublimazione del parlato o non è. Stando così le cose è lecito attendersi da chi ascolta un minimo senso critico nel riconoscere quando l’interuzione del legato non sia un effetto espressivo, ma affanno per palese incapacità a sostenere i fiati. Nell’un caso il singhiozzo si inserisce in armonia con il resto della frase e; nell’altro urta l’orecchio. Questa minima intelligenza oggi si è persa e, in buona o malafede, oggi la si maschera l’incapacità per espressività naturale e spontanea.
Mi permetti di giudicare questa tesi? Palle.
Rispondo a Dileva che mi accusa di malevolenza e prevenzione.
Soltanto la sostituzione Schiavo/Savoia è stata ufficializzata a Ferrara prima della recita pomeridiana (cui l’articolo si riferisce) con il consueto annuncio da parte del teatro. Ignoro se poi la signora Invernizzi abbia esposto altrove (privatamente?) le ragioni del basso livello della sua prova (prova che comunque le è valsa l’approvazione, anzi l’entusiasmo, di buona parte del pubblico, almeno a fine recita). Noto en passant che, mal cantando con sistematici e prolungati sforzi di gola, la laringite è il minimo che possa capitare, e la storia clinica di tanti divi del nostro presente ne è dolorosa dimostrazione.
Peraltro, l’indisposizione della Schiavo si era palesata tal quale già alla recita del venerdì, quindi con preavviso sufficiente perchè la Savoia “rinfrescasse” e la parte e le movenze sceniche (limitatissime) richieste.
E poi, Pizzi non è forse un eccellente costumista? Quale occasione migliore di mettersi alla prova adattando su due piedi il costume per la recuperata Almirena?
Infine, una nota di gossip (visto che il livello della discussione ormai è quello che è…): due signore in fila poco distante da me alla biglietteria discutevano a voce piuttosto alta su come il forfait della Schiavo fosse legato, al pari di quello della De Liso, a contrasti con il direttore. Personalmente sono propenso a credere che i maggiori contrasti fossero tra le cantanti e le parti per cui erano state improvvidamente scritturate, ma a questo punto ogni supposizione è legittima (a meno di non credere che una persona seriamente raffreddata, magari anche febbricitante, possa sostenere, sia pure in veste di mimo, una rappresentazione lunga oltre due ore). Resta il dato di fatto di una performance globale modesta, che ora si vuole far passare per gradevole e addirittura esemplare. Misteri!
rispondo al Signor Tamburini. Mi spiace aver frainteso, ma mi riferivo alla recita di venerdì a cui ho assistito in cui effettivamente c’è stato l’annuncio da parte del teatro per le due signore. Se poi la prova della Signora Invernizzi “è valsa l’approvazione, anzi l’entusiasmo, di buona parte del pubblico, almeno a fine recita” vuol intendere che il pubblico non capisce niente?
Conosco personalmente la Signora Schiavo ed il Signor Dantone ed escludo categoricamente quanto supposto dalle due signore e mi dispiace che un recensore dia spago a queste dicerie da donnette (il gossip lo ha fatto solo lei)
Anche mia moglie, insegnante elementare, soffre spesso di laringite, ma le assicuro che non ha febbre , non ha il raffreddore e che, in casa, non sta certo sdraiata sul divano in attesa di guarigione…
Infine il Signor Tamburini dovrebbe sapere che il regista (ed in questo caso costumista) presiede solo alla prima rappresentazione poi se ne va per altri lidi: è vero avrebbero potuto adattare ma credo che certi personaggi siano vere “prime donne” molto suscettibili e non gradiscono interventi senza il loro beneplacito.
Concludo: certo signor Tamburini ora la sto accusando anche di arroganza.
E mi fermo qui!
…che lei conoscesse personalmente “la Signora Schiavo e il Signor Dantone” lo avevamo capito tutti, dal suo primo intervento. Lei dice di leggerci poco, e va bene così. Ma se ci leggesse con maggiore frequenza ben saprebbe che ad interventi, come dire… mirati, siamo ben avvezzi: ormai le difese interessate sono all’ordine del giorno. Alcune portate avanti scongiurando il vero e ribaltando la realtà, altre invece perseguite con l’ingenuità del luogo comune. Mi pare che la sua arringa in difesa di amici o colleghi si inserisca bene nell’ultima prassi.
Lei oltre ad essere maleducata è anche perfida: ho detto che conosco non che sono miei amici e non miro a niente se non alla verità: lei è veramente una persona da poco.
Basta con queste polemiche spurie, mi sono stufato, avrei voluto un sano interloquire evidentemente non è questo il posto!
carlotta ha la borsettata facile! a me non importa risponderle sei lei è amico di tizio o caio….anzi, lo dirò a lei come lo dicessi a loro. Domani le risponderò qui con calma. PS sono certissima anche chi sta sul palco ha idee analoghe alle sue in fatto di espressione dunque…..a maggior ragione.
Caro Claudio, suvvia, abbandonare tutto per una “borsettata”? Lei mi pare un po’ prevenuto su questo fronte “eh già lo sapevo che sarei stato preso a schiaffi”.
Sa però una cosa? Da questo post chi come me invece non ha l’anzianità di teatro e di ascolti sta imparando pian piano a comprendere e a farsi una coscienza critica proprio in base a queste borsettate di colore abbinate alla puntuale disamina con ascolti e confronti di canto. Suvvia, ora che c’è non si lasci fuorviare, alimenti il suo punto di vista anche con confronti, esattamente come fanno questi buoni Grisacci tanto demonizzati. Si divertirà.
Lei si riferiva alla recita di venerdì. Peccato che nel post si parlasse chiaramente della recita di domenica (si rilegga la terza riga).
Se il regista non svolge il proprio compito (e soccorrere uno spettacolo in evidente difficoltà rientra fra i compiti di un regista), non è un regista, è solo un “firmatario” di allestimenti. Come il maestro Pizzi ha più volte dimostrato, in questi ultimi anni, di essere (vedi gli ultimi Vespri parmigiani).
Un pubblico che applaude quella versione malamente rappezzata di Rinaldo dimostra quanto meno di avere le idee molto confuse su come si possa e si debba dirigere, cantare, allestire il barocco.
Lei mi accusa di essere arrogante. Le rispondo che preferisco passare per arrogante piuttosto che risultare condiscendente verso certi spettacoli, al di sotto di ogni minimale decenza.
Mi scusi Di Leva,
io e i commentatori stefix e Tamberlick abbiamo replicato alle Sue asserzioni con argomenti precisi. Ci degna di un Suo pregiato parere al riguardo oppure devo pensare che Lei sia venuto qui solo a cercare liti da condominio? Se cosi fosse, sappia che esistono siti più consoni alle sue esigenze. Se così non è, aspetto una Sua risposta a quanto da me postato sopra.
Saluti.
Purtroppo mi sembra un dialogo tra sordi (o meglio con un sordo). La tecnica e’ quella sperimentata da un nefasto partito politico: di fronte ad argomentazioni serie, la risposta viene dai visceri. Inoltre , se non si padroneggia un codice, si accettano le osservazioni di chi lo padroneggia : ma e’ cosi’ difficile riconoscere di non sapere ?
di chi pretende di padroneggiarlo direi, sino a prova contraria
Gentile Claudio Di Leva,
In base alla mia quarantennale esperienza di lavoro in giro per il mondo (da Scala, Met, Chicago, Parigi, Berlino, Vienna, Salisburgo, Edimburgo in giù) vorrei rispondere a un paio delle sue domande (retoriche) sperando di non essere tacciata di spocchia.
“Com’era possibile adattare costumi così sfarzosi in poche ore?”
Non solo è possibile ma è doveroso, e le sarte hanno mille accorgimenti per farlo. Se poi arrivasse la Signora Norman a sostituire la Signora Devia, è responsabilità della sartoria concottare una mise decente che le permetta di andare in scena. In teatro il difficile si fa subito, l’impossibile richiede qualche ora in più. Il giorno in cui si sceglieranno le cantanti in base alle taglie non è ancora giunto (anche se – di questo passo – potrebbe arrivare domani).
Se la cantante – in un tempo più o meno remoto – ha già sostenuto lo stesso ruolo nello stesso allestimento, è sufficiente qualche ora di lavoro, prima con un Maestro sostituto (o Ripetiteur), poi con un aiuto regista per “introiettare” (noi in teatro diciamo “ripassare”) la parte e i movimenti. Qualunque artista professionista lo sa e lo fa.
Tutto questo per dire che il lavoro del critico può essere a sua volta criticato, ma la controcritica va fatta secondo i parametri (antichi e consolidati) del mezzo. Buon senso ed emozioni sono spesso – almeno nell’Opera – fuorvianti.
“Il giorno in cui si sceglieranno le cantanti in base alle taglie non è ancora giunto (anche se – di questo passo – potrebbe arrivare domani).”
Confesso che ci ho pensato (le cantanti scelte sulle taglia) vedendo la sostituzione di Ferrara, che ha seguito di pochi giorni la sostituzione a Reggio sempre nel Rinaldo: questa volta era indisposta la Invernizzi, sostituita in buca dalla Biccirè, che aveva già sostenuto lo stesso ruolo. Due teatri diversi, stessa soluzione.
… Un’epidemia, questo Rinaldo!
Caro Claudiodileva, lei ci parla di emozioni. E vede dalla polemica sull’audio della Sutherland che il tema dell’emozione e dell’espressione non è affatto marginale o estraneo a noi tutti.
Lei mi fa esempi concreti sulla serata cui non ero presente, ma il concetto è chiaro e le rispondo in termini generali.
L’arte è sempre stata ESPRESSIONE, anche quando era tacciata di essere finalizzata se stessa ( l’arte per l’arte ). Fare arte, se ho capito bene, è avere qualcosa da dire ed esprimersi secondo le regole proprie di un mestiere che si apprende tutt’ora empiricamente, con la pratica. Mai l’arte, soprattutto la musica, ha mancato di avere qualcosa da dire: l’uomo ha sempre espresso le proprie emozioni suonando, dipingendo, cantando.
Nel tempo sono cambiati i MODI di esprimersi e anche in parte ciò che poteva essere detto ( penso a tutto quello intorno alla personalità umana che è entrato nell’arte dell’ottocento e poi delle avanguardie ). L’uomo non ha iniziato a piangere col verismo, lo ha sempre fatto. O a ridere. O ad arrabbiarsi. Gran parte della storia dell’arte in generale potrebbe consistere nel racconto intorno al MODO DI ESPRIMERSI, soprattutto alle soglie cronologiche relative all’opera lirica ( si veda la storia della pazzia di cui abbiamo parlato qui da Paisiello in poi..).
Almirena vuole piangere, ma il suo pianto non sarà mai quello di Mimì, perché nel mondo di Haendel il pianto si esprimeva secondo altri codici e sentimenti. L’arte tutta è fatta di codici. Cosa vuole dire per noi oggi che un edificio che adotta l’ordine ionico assume un carattere femminile? Per noi nulla, mentre per un uomo del rinascimento come del XVIII secolo significava eccome! L’arte ha passato tutto il XIX secolo a liberarsi e a trovare nuove vie da quella modalità peculiare di tutto il classicismo che fu il procedimento della “mimesis”, o imitazione.
Nulla può essere espresso tal quale in natura, sennò non sarebbe arte, ma deve essere espresso per “immagini” o idee o rappresentazioni. Un pianto, dunque, non sarà mai un vero pianto, ma una rappresentazione del pianto. La rabbia non coinciderà mai con una espressione arrabbiata come in realtà, ma sarà sempre una possibile rappresentazione di essa. La realtà non è un modello da copiare, bensì da imitare, ossia subisce una comparazione per immagini, e l’arte risiede là dove si compari l’immagine prodotta dall’arte con la realtà. La ripetizione conforme della realtà era quella, nel mondo classico, delle arti meccaniche ed industriali, mentre la ripetizione imitativa, sempre variata, quella delle belle arti o dell’arte come la intendiamo noi.
E’ evidente che l’espressione artistica era guidata da codici specifici, da cui oggi non possiamo prescindere nel rendere un capolavoro musicale di un tempo molto diverso dal nostro e che l’esecutore a questo procedere non possa sottrarsi. Quanto al pubblico, sarebbe stato inconcepibile al tempo di Haendel, ma credo che anche oggi lo sia, che si potesse esprimere un apprezzamento meramente intuitivo astratto dalla razionalità quale quello che lei qui mette in campo. L’”emozione” anche per i contemporanei del tempo doveva sempre essere guidata e governata dalla razionalità ( basta leggere Montesquieu: non c’è piacere senza la razionalità ), perché la pertinenza o meno di un’opera d’arte al gusto, ai canoni del tempo etc influivano sul giudizio artistico ed erano ritenuti attività intellettuali in grado di interagire con l’intuizione e l’emotività nuda e cruda.
L’arte barocca è codificata e a questi codici non può venir meno, pena esserne snaturata. Oggi abbiamo smontato anche i canoni vocali stessi che la governavano, facendo dire a i trattatisti settecententeschi, come pure ad altro genere di fonti scritte, cose che non dicono perché in realtà tendiamo a calare in modo induttivo concezioni da noi formate oggi sul passato. L’artista ha il dovere di portare nel presente il passato affinchè riviva, di creare una mediazione tra quei codici a noi oggi estranei per renderceli accessibili, ma quanto e fino a che punto può agire liberamente? In fatto di tecnica di canto, noi non riteniamo che nel barocco si cantasse come pretendono i baroccari odierni, ma che si cantasse come la tecnica propria nel belcantismo italiano ottocentesco, secondo prassi stilistiche e gusto barocchi. E secondo noi l’apprezzamento dei musicisti, cantanti o direttori, di oggi non può avere luogo per mero sentimentalismo intuitivo, l’emozione di cui lei parla, ma vada oltre, e passi anche per una sfera razionale che è comunque profondamente connessa a quella precedente. Diversamente tutto sarebbe bello, ogni cosa che mi piace, sempre e comunque e a chiunque. Il che potrà anche essere la grande libertà ( o anarchia ) dell’estetica contemporanea, valida per l’arte attualmente prodotta, ma non certo il parametro estetico di un rapporto colto col passato quale quello che gli esecutori barocchi di oggi pretendono di instaurare con la musica del XVIII secolo.
Cara Signora Grisi,
la ringrazio di cuore per la sua meditata, sincera ed approfondita interessante risposta.
La tornerò a rileggere con calma e cercherò di interiorizzare e approfondire i concetti da lei in essa espressi.
Come immaginerà non ho le competenze musicali atte a controbattere o fare affermazioni su stili e metodi di canto, ed anche la mia cultura della storia del canto ha non poche pecche.
Sono dispiaciuto di aver dato risposte risentite, ma come lei sicuramente avrà intuito, sono stato letteralmente aggredito e messo all’angolo, in modo un po’ troppo aggressivo e maleducato mentre il mio scopo era, certo anche provocando, e partendo dalla recensione di Rinaldo la cui rappresentazione, ripeto, non mi aveva convinto, quella di avere le spiegazioni che gentilmente ho avuto da lei ed anche da Enrico, se posso permettermi di chiamarlo così, a cui va altrettanto ringraziamento.
Cordiali saluti
….meditata non molto a dire il vero…..vede questa gazzarra sutherlandiana ha travolto la mi amattinata. Avrei voluto scriverle di altro con altri argomenti ma a volte mi sconvolgo anche di certe cose che scriviamo qui. Del resto, facciamo a borsettate ma democraticamente. Non si sconvolga troppo, questo sito è come una piscina….se entra piano l’acqua le parrà fredda. Si tuffi ed andrà meglio. Benvenuto!
Mancava giusto un poco di autocommiserazione mista a captatio benevolentiae. Grazie.
La ringrazio caro Tamburini per avermi attribuito uno stratagemma della dialettica eristica di Artur Schopenhauer: lo sfoggio di cultura ha sempre scioccato la mia ignoranza: benvenuto!
E noi tutti ringraziamo il signor Di Leva che ci ha imposto questo – come da piccola mi dicevano le Orsoline – esercizio di virtù.
A nessuno viene il dubbio che la cantante che ha cantato dalla buca con lo spartito lo abbia fatto perchè non aveva la parte a memoria? anche se l’aveva cantata pochi anni fa non è così facile rimetterla a memoria in 24 ore senza preavviso, anzi è impossibile.
Lode al dubbio ………..
Avanti Savoia!
Dubitare è sempre lecito.
Mi compiaccio che lei non dubiti ma che sappia esattamente come stanno le cose.
Ne prendo atto con immenso piacere, d’ora in poi saprò a chi fare riferimento per risolvere casi del genere.
Buona giornata.
Sempre disposta – per quanto è in me – a dare una mano agli amici.