Sonnambula a Venezia

Allestire Sonnambula, opera piuttosto popolare e mai uscita dal repertorio, non significa soltanto reperire una protagonista idonea, capace di portare a compimento la scrittura, in uno, patetica ed acrobatica al tempo stesso. Significa, soprattutto, reperire un deuteragonista in corda di tenore contraltino e una bacchetta  che sia in grado di realizzare compitamente il genere di cosiddetto mezzo carattere. Il genere di mezzo carattere annovera titoli fondamentali nel melodramma italiano come Gazza Ladra o Torvaldo sino a opéra-comique come Faniska e Lodoiska di Cherubini e, persino, Fidelio. Titoli tutti che per la persistenza in egual misura dell’elemento lieto e di quello tragico sino allo scioglimento finale creano problemi all’esecutore. Direttore in primo luogo. Direttore che a Venezia in questo nuovo allestimento di Sonnambula era Gabriele Ferro, che ha rappresentato il punto più infelice della produzione. Dire che cori come “in Elvezia non v’ha rosa” o la cavatina di Amina appartengono alla sensiblerie tardo settecentesca (quella di Nina, ruolo amatissimo dalla Pasta), che per contro il finale primo nulla ha per struttura drammatica e vocale di differente da qualunque finale d’atto di altro melodramma di Bellini o Donizetti, o che la sofferta introduzione con il corno solista del secondo atto ed il successivo coro “qui la selva è più fosca ed ombrosa” è già in sapore di piena stagione romantica  serve solo a delineare la complessità della partitura, cui aggiungere le vocali, soprattutto in capo ad Elvino, per aver il quadro di ciò che attende la bacchetta. Bacchetta che non può cavarsela per rispondere alle esigenze, come da quarant’anni suole Gabriele Ferro a battere metronomicamente il tempo, per altro con ondeggiamenti all’interno dello stesso brano, senza dare ai cantanti la possibilità  di prendere un fiato o di eseguire un rallentando piuttosto che un accelerando, con cadenze ridotte all’osso, tagli sistematici di tutti i da capo (escluso il concertato primo ed il rondò di Amina), colori assolutamente inesistenti, squilibri fra le  varie  categorie di strumenti.

 

Mi limito ad un esempio nella prima sezione dell’aria di Elvino al secondo atto, staccata ad un tempo piuttosto sostenuto (credo secondo i desiderata del protagonista) dove, però, il “battere” il tempo a metronomo senza tenere conto del fiato e della distribuzione dello stesso rende difficile l’esecuzione del passaggio “il  più triste dei mortali” dove oltre a salire al do5 il tenore fraseggia fra  fa4 e sol4 (ovvero canta sugli acuti) e Bellini prevedrebbe dei non rispettati “a piacere” che proprio lo scopo di concedere ad un tempo fiato ed espressione, avrebbero e che, dimenticati, rendono solo difficile l’esecuzione anche per un tenore come Mukeria che nell’esecuzione dei passi in tessitura acuta vanta la miglior caratteristica della voce. Ripeto è un solo  esempio, ma rivelatore di una mentalità lontana e dal bel canto e dal buon mestiere, perché i “praticoni” di un tempo, quelli che tagliavano in nome della tradizione ( e che non possono definirsi direttori da bel canto, anche se i tagli li praticavano gli autori in primis) in errori di questo tipo, come in quello di non centrare la cifra dell’opera non cadevano. Mai.

 

E di questa direzione hanno fatto le spese i due protagonisti. Ad onta di taluni difetti e limiti la coppia di protagonisti più pertinente che oggi un teatro possa proporre al proprio pubblico. Certo Elvino non richiede solo la capacità di reggere una tessitura astrale. Sulla astrale tessitura di Elvino e sul fatto che di qualche errore nel “prendere le misure” anche sul primo –mitico- protagonista si fosse macchiato Bellini medesimo, che prontamente (ossia l’anno successivo) vi pose rimedio abbiamo, già in tempi pregressi, parlato. Il problema di una completa aderenza al dettato vocale ed interpretativo belliniano è coniugare accento elegiaco e scrittura vocale. Ora con qualche taglio (dei da capo appunto e d’un paio di acuti) Shalva Mukeria ne è venuto a capo. La proiezione del suono e l’espansione in tutta la sala della Fenice, uniche in tutti i tenori di oggi,  appartengono o al ricordo di tenori di almeno trent’anni or sono (Alfredo Kraus, in primis) o, più ancora, alla memoria conservata dal disco. E questo è, nel desolato panorama di oggi, già un’eccezione. Ma per Elvino (più che per Arturo dei Puritani e fors’anche per Gualtiero del Pirata) occorre un gioco di colori che non abbiamo sentito da Mukeria o meglio non lo abbiamo sentito come vorremmo da un cantante di questa completezza tecnica, perché pagine come “Prendi l’anel ti dono” piuttosto che “il sembiante a sereno mattino” richiedono di essere sussurrate a fior di labbro. Per contro l’esecuzione della sezione centrale del finale primo “d’un pensiero” è stata unica per la capacità di slancio e di accento in tessiture proibitive.

 

Il problema di Jessica Pratt alle prese con una parte scritta per Giuditta Pasta è  la tessitura centrale, quando non grave particolarmente nell’andante della sortita “Come per me sereno”, nella cosiddetta siciliana “Ah vorrei trovar parole” ed anche nell’ “Ah non credea mirarti”, atteso che la parte più brillante ed oggi unica della voce del soprano australiano è ubicata,  praticamente, una terza sopra le melodie di Amina ed infatti la protagonista ha trovato modo di emergere soprattutto nelle cabalette. Per la cronaca la Pratt chiude il rondò con un fa sovracuto penetrante e saldissimo. Ma non solo le cabalette: la cantante, alla sua prima Amina in un teatro importante dopo il debutto l’anno scorso nel circuito As.li.co., ha saputo trovare risorse d’accento soprattutto nel lungo recitativo, che introduce il finale e nella scena del sonnambulismo del primo atto da autentica interprete di valore e di riferimento. Per essere una Amina in grado di competere con le maggiori vuoi discografiche vuoi teatrali  Jessica Pratt deve acquisire quella libertà di intervento sullo spartito, di aggiusto ed accomodo, e la capacità di costruire il personaggio sulle proprie qualità di interprete e vocalista, che,  insieme al grande e costante studio, sono la sigla connotante la autentica primadonna.  Ieri come oggi, per ribadire non già  capriccio  e divismo, ma aderenza all’autore, servizio allo stesso. Oltre che per senso di agire ed operare nella storia dell’interpretazione.

 

Quanto agli altri interpreti di questa produzione veneziana : un doveroso silenzio.

 

Merita invece una notazione l’allestimento. Ci si è dati un gran d’affare per dire che era un allestimento al risparmio, nato all’interno del teatro senza sprechi. La funivia ed il torpedone (da sabato fascista al Terminillo) lo spostamento agli anni trenta non disturbano o non disturbano più di tanto. Tanto meno un pubblico ormai addomesticato ai cappottoni di brechtiana memoria. Poi, seguendo la diretta su SKY tv scopriamo che il torpedone è stata acquistato dal teatro e riadattato alla bisogna ed allora il dubbio che la gestione sia, sotto il profilo finanziario, davvero virtuosa appare almeno legittimo. Di questo tempi mi sembra il minimo.

 

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69 pensieri su “Sonnambula a Venezia

  1. Concordo in pieno con la recensione. Tutto lo spettacolo è stato compromesso dalla prova di Ferro, che definirei con un solo aggettivo: inconcludente. L’ho sentito ormai in Mozart, Rossini, Puccini e Bellini e mi ha sempre, sempre deluso… Non ho mai trovato una lettura ragionata, consistente, ma sempre passiva e incolore, se non addiritura totalmente fuori centro e fuori luogo. Io sono andata più che altro per la Pratt e alla fine ha svettato, nonostante l’emozione per la prima, che secondo me soffre non poco. Sono d’acccordo con i limiti che avete sottolineato voi sia in questa recensione che nella scorsa. Ma penso anche che è difficile trovare un’Amina migliore in giro e che nell’aria finale è stata proprio brava. Per il resto ho trovato davvero opaco Mukeria, penalizzato di certo dalla direzione, per colpa della quale ha potuto mostrare solo la sua correttezza e pulizia e poco altro. Per quanto riguarda le scene, a me non sono dispiaciute, forse avrei preferito una regia con maggiore personalità.

  2. Io ho assistito alla recita del venttotto aprile e concordo quasi in tutto. La direzione era a dir poco fiacca, mancava completamente ogni intenzione interpretativa, il suono piccolo e grigio, nessun guizzo, nessun canto. Quanto a Mukeria, mi sarei aspettato molto di più quanto ad accento e fraseggio e varietà di volume, ho sentito un tenore sonoro ma che tende ad appoggiare sul naso i primi acuti, fraseggia molto parcamente e fa passare uno splendore come il prendi l’anel ti dono come una melodietta di routine… davvero troppo poco, e non mi sembra che qualche acuto azzeccato possa controbilanciare la perdita del resto. Quanto a Jessica Pratt, concordo nel notarne i vizi ma anche qui il caro DOnzelli mi pare troppo buono: anche lei fraseggia ben poco (il sonnambulismo il 28 non mi è parso affatto ricco di sfumature e dinamiche). L’ottava grave e i centri erano appena udibili, qualche volta (nel grande duetto del primo atto ad esempio) si è sentito un bel canto sul piano e il pianissimo. Però è mancato sempre quell’abbandono, quel languore belliniano che non si può riportare senza varietà d’accenti e un fraseggio attento. Gli acuti molto grandi in verità hanno fatto una certa impressione, ma ripeto che anche qui s’è trattato di molto poco rispetto a quel che mi attendevo. E lo dico conscio del fatto che non ci si offre di meglio in questi tempi grami. Ma ricordo la Lucia dell’anno scorso e mi parve decisamente meglio, nonostante tutto il primo atto alquanto poco vario sotto il profilo interpretativo (e qui parlo di entrambi i cantanti). Non so insomma se tutte le colpe si possano attribuire a Ferro.

    • concordo al 100 % con silvio. Bellini senza la nenia e la malinconia è incompleto e perde la cifra. Anche la regia è stata in questa direzione. La cavatina di Amina è una esposizione dei sentimenti di amore e felicità nella metafora del paesaggio….amor la colorò….E il regista mi mette davanti una fanciullina un po capricciosa che serve il caffè e assaggia le torte di nozze !!!! Ma per favore, si concentrino meno sui torpedoni e le funivie e pensino……ci mettano della sensibilità. Ìl finale, notturno, sospeso, magico con luci da canicola in mezzo ai tavolinetti da bar!!! Ma andiamoooooooooo……..dov’è l’anima? Cosa mi interessa la funivia aitentica se tolgo a bellini la cifra più sua e più profonda?

      • Giulia, Giulia, cosa ci tocca vedere! Questa fa il paio con un Tristan di Monaco diretto da Metha dove nel primo atto si servivano cocktail tropicali con l’ombrellino al posto del filtro.

        Quando la smetteranno di fare gli spiritosi ad ogni costo, come se stessero a cazzeggiare in pizzeria?

          • E per favore, non facciamo passare le sciocchezze per innovazione (vedi il discorso di Giulia su Boulez nell’altro thread).

          • Lily, non prendermi in giro dai…..però sono tutte stupidaggini che vanno contro al clima che il musicista sta creando con il canto e l’orchestra….

          • Non ti sto affatto prendendo in giro. Hai detto che innovare si può e si deve, ma bisogna esserne all’altezza, come nel caso di Boulez. Come sempre mi pare perfetto.

          • Sembra che lo facciano apposta a dissacrare la poesia dolcemente melancolica di quest’opera stupenda.

            Comunque secondo me il problema non è la voglia di provocare, ma la pura e semplice ignoranza e lo scarso amore per (questa) opera da parte dei registi.

            Hanno mai ascoltato o visto la Sonnambula, prima di essere ingaggiati? Hanno fatto un confronto tra le varie edizioni? Si sono immedesimati e commossi per le vicende di Amina? Non credo.

            A New York, nel 2009, dopo essermi sorbito quell’indecente Sonnambula con Florez e la Dessay (la mia prima Sonnambula) sono uscito dal Met arrabbiato come una iena per lo scempio insulso che era stato perpetrato ai danni di una delle mie opere preferite.

            Amina, tanto per dirne una, entrava in scena parlando al cellulare, in pelliccia e con gli occhiali scuri, e dopo pochi minuti faceva il verso ad Elvino mentre questi invocava la benedizione della madre defunta sulla nuova unione: ossia, come snaturare la poetica belliniana con un unico, semplice gesto.

          • P. S. E’ lì che ho cominciato a guardare con sospetto alle “star” del momento. Il fatto che si prestino a tali dissacranti operazioni mi induce a dubitare fortemente della loro professionalità e del loro amore per la professione che esercitano…

          • Non ti preoccupare, Nicola, la Dessay ci ha fatto sapere che in futuro studierà il russo (forse per meglio comunicare con la Netrebko) e l’arte del clown.

  3. Rispondo, accordandomi, ai giudizi su Ferro. Anche a me non è mai piaciuto, moscio, banale e molte volte proprio fuori tema, ricordo che incise una Cenerentola con la Terrani, e riuscì a far sembrare noiosa anche una cantante così brava e piena di verve. Fra tutti gli artisti da lui diretti, non ne trovo uno in cui sia riuscito pienamente. Sulla Pratt devo ricordare che è una cantante si molto brava, ma non è più agli esordi, quindi farebbe molto bene a perfezionare (lei che può….) quelle piccole pecche, in modo da diventare una cantante completa, può far davvero bene, e le auguro tutto il meglio.

  4. sono proprio la poesia e l’abbandono a latitare… ma vogliamo parlare pure della seconda donna? Veramente indecente, superata solo dal gorgogliare del basso, incappato in una cadenza elementare che però l’ha punito, particolarmente nel momento della puntatura sul grave… incredibile.

    • Mancini, scusami, ma trovo tutt’altro che esaltante la Toti in questo ascolto. La voce è sbiancata, il timbro bambinesco e un po’ querulo. Del famoso equilibrio del “chiaroscuro” che dovrebbe presentare una voce ben impostata, qui manca abbastanza la componente dello “scuro”.
      Se dovessi portare esempi di grandi esecuzioni di quest’aria, oltre alla già citata Galli Curci, posterei la Muzio (http://www.youtube.com/watch?v=UMRppsR34tE&feature=related) e la solita Patti (http://www.youtube.com/watch?v=ETMEYF4IsvY)

      • Il “chiaroscuro” è un aspetto musicale, è il contrasto dei colori, piano-forte, chiaro-scuro… Che significa “sbiancato”? Per voce sbiancata io intendo una voce piccola e strozzata, schiacciata, stridula. La voce della Dal Monte è tutta “fuori”, sfogata, sul fiato, squillante, argentina, omogenea. E’ gravissimo che non si riesca a sentire che questo è un canto che sfiora la perfezione sotto il profilo vocale, legatissimo e perfettamente pronunciato ed intonato. Posso solo accettare critiche sullo stile esecutivo-espressivo, forse un po’ manierato, carente di colori e sfumature, ma comunque assai preciso.

        • Quando si parla di canto, intendersi sulla terminologia è spesso la cosa più difficile… Chiaroscuro è un termine storico della didattica vocale. Cito dal libro di James Stark “Bel canto: a history of vocal pedagogy”:

          “During the eighteenth and nineteenth century, the ideal voice quality for classically trained singers was sometimes described as chiaroscuro, or, “bright-dark” tone. The term was used as early as 1774 in Giambattista Mancini’s Pensieri e riflessioni pratiche sopra il canto figurato… In it, Mancini gave instructions in how to practice slow scales, saying “this exercise will make [the singer] master of coloring at will any passage with that true expression which forms the cantilena colored with chiaroscuro, so necessary in every singing style. Chiaroscuro was still the tonal ideal for Giovanni Battista Lamperti… “Although you may acquire a wide range of voice, you cannot modulate the sounds until the resonance of your tone becomes round and rich, chiaroscuro… The dark-light tone should be always present… “While Garcia’s method allowed considerable latitude in the use of voice colours, he considered the purest tone to be that which was emitted with éclat and rondeur. This voice quality combined the brightness that he attributed to strong glottal closure and the darkness that he ascribed to a lowered larynx and a widened pharynx. While Garcia did not use the word chiaroscuro to describe this quality, his vocal ideal was nevertheless consistent with the definitions of chiaroscuro found in manuals by Mancini, G.B. Lamperti, and other advocates of the old Italian school of singing.”

          Per chiarire quello che intendo per “voce sbiancata” cito invece il libro “Caruso and Tetrazzini On the Art of Singing”:

          “The white voice is a voice production where a head resonance alone is employed, without sufficient of the appoggio or enough of the mouth resonance to give the tone a vital quality”… “One of the compensations of the “white voice” singer is the fact that she usually possesses a perfect diction. The voice itself is thrust into the head cavities and not allowed to vibrate in the face and mouth and gives ample room for the formation of vowels and consonants. And the singer with this voice production usually concentrates her entire attention on diction.”

          Gli aggettivi che Mancini usa per la Dal Monte li condivido quasi tutti (forse per essere davvero “sfogata”, la sua voce avrebbe avuto bisogno di maggiore “rondeur”, per riprendere Garcia), ma non bastano a renderla per me modello di esecuzione di quest’aria.

          P.S. Neanche la Pareto mi entusiasma particolarmente… Mi tengo il trio Galli Curci, Muzio, Patti. 😉

  5. Di nuovo grazie, Mancini, perche’ ascoltando e riascoltando si impara piu’ che sui testi. Anche se sono molto carente quanto a strumenti interpretativi, anche io concordo con Silviobattaglia: ho seguito la sonnambula in TV ed ho chiacchierato con un collega che era alla Fenice : l’ottava bassa ed i centri erano quasi inaudibili dal fondo sala (della Pratt, ovviamente) , al finale atto primo, stecca sull’acuto e poi , rispetto alla Toti, mancata omogeneita’dei registri. Per interpretare Amina non basta forse essere un “discreto” cantante, ma abbisogna una perizia tecnica come quella della Toti

      • No, scusate, ma alla prima (21/04) non c’è stata traccia di uno sfacelo vocale della Pratt… Certo, ha alcuni problemi (puntualmente analizzati nelle recensioni) con partitura e registro della parte, ma, oltre a essere stata la migliore del cast (cosa che oggettivamente può essere irrilevante, ma tant’è), ha comunque dato una buona prova. Sono d’accordo con chi ha detto che è il momento che si dia una mossa e faccia un ulteriore salto di qualità, ma, ciononostante, almeno secondo me la scena finale l’ha comunque eseguita bene, con sensibilità e consapevolezza. Poi, è evidente, la Dal Monte è mostruosa, e confronto non può esserci. Tuttavia vorrei sottolineare che io avevo un posto abbastanza laterale, e ho sentito bene la sua voce, hai voglia. Tra l’altro il posto alquanto infelice mi ha almeno salvaguardato da alcune visioni oscene di cui avete parlato, tipo cosmesi e degustazioni varie… Tuttavia ho constatato anch’io: poesia zero, levità zero, sfumature zero. Continuo a pensare che la responsabilità maggiore sia di Ferro, tra l’altro ormai specializzato a eseguire Bellini come fosse Puccini, Rossini come fosse Verdi e Mozart come fosse il gelataio sotto casa. Certo, però, anche del regista: diciamo la vertità, la trama dell’opera ha un che di paradossale, spiazzante e visionario, che non ci vuole nulla a farla scadere nel risibile, se non si comprende la profonda ispirazione lirico-onirica dell’introspezione psicologica in essa contenuta.

      • La voce della Pratt in una sala come quella della Fenice non è certamente inudibile, canta discretamente bene, acuti e sopracuti sono facili e penetranti. Sono d’accordo che lei sia stata tutto sommato la migliore, ma la delusione per me è stato Mukeria, che se volesse potrebbe fare molto meglio, e con una voce sonora, capace davvero di correre per tutta la sala (il che NON significa voce grande e superdotata), ben più della Pratt, che in questo momento è troppo sbilanciata sul settore acutissimo. Per questo ho messo la Toti: paradigma per quanto riguarda legato proiezione e omogeneità nel medium.

        • caro mancini la toti è paradigma di ben altro, limitatamente al canto di un soprano di colorature che non ha mai esibito sovracuti facili e sonori e virtuosismi quanto meno scolastici
          ciao dd!!

          • Io invece mentre ascoltavo la Sonnambula della Pratt – che qui mi ha detto ancor meno che a Cremona, e la cui voce è piccola ossia poco sonora salvo sugli acuti (di cui farebbe meglio a non abusare, essendo gli acuti la tomba della voce): il confronto diretto con la sonorità di un Mukeria neanche in gran forma appalesava i limiti di tutte le altre voci sul palco, Pratt compresa – sognavo il centro puro e proiettato della Dal Monte, che riempiva sale ben più grandi di quelle della Fenice. L’aria da lei incisa non teme confronti con le versioni di tutte le cantanti venute dopo, ed anzi, si pone quale paradigma ineguagliato: forse non di espressività, ma vocale senza dubbio.

          • …che in sonnambula è uno stucco la Toti! Dimmi la galli curci…..la sutherland ma la toti….uhuh
            cmq non mi pare abbia cercato di risolvere la parte coi sopracuti….nemmeno trasportini di prammatica ha fatto. Qui dici una delle tue c…e.

          • la Sutherland? si può forse cantare bellini senza pronunciare una parola?

          • e poi la Sutherland… in Sonnambula non mi piace neanche un po’! Col centro tutto spappolato e indietro… recitativi insignificanti… fa bene solo nei pezzi acrobatici, ma i cantabili li trovo inascoltabili. La Callas in questo ruolo le fu nettamente superiore. La Toti poi è su un altro pianeta suvvia…

          • ma non voglio convincerti bensì dare a chi legge le coordinate assolute della tua critica alla pratt, sennò la gente che non ti conosce non capisce.. Ora le abbiamo enunciate…..la Pratt verrà giustamente colocata adesso.sono serena….hahahha….

        • La mia critica alla Pratt si riassume in questo: la voce è piccola perché troppo sbilanciata sul settore acuto e sopracuto, si preoccupa di esibire i suoi re, mib, mi, fa alla fine delle cabalette ecc.. ma tutto il resto non è niente di spettacolare, comprese la agilità. Sul versante espressivo-esecutivo poi non l’ho mai trovata una cantante particolarmente convincente. Rispetto alla Lucia dell’anno scorso adesso sembra in forma migliore, ma la parte bassa le è scomoda. La cosa più bella che io abbia sentito da lei sono i Puritani, Sonnambula non è allo stesso livello.

          • c’è di bello che potrai riempirti le orecchie con le poderose ed ampie voci omogenee di damrau, machaidze, ciofi, kurzak, peretytko, rancatore, dessay…..tutte di tuo gusto….

  6. vorrei aggiungere un´altra cosa. Avrà i suoi diffetti Mukeria, ma l´impostazione della voce nella zona media non è affatto male, la voce corre e la sua dizione ottima – come pochissimi cantanti oggi. Quando passa poi attraverso il passaggio la voce li va indietro, purtroppo.

  7. vorrei specificare che ero in loggione il 28, non alla prima, e che la voce della Pratt non era affatto granchè sonora nei centri e nei gravi. Non parlo nè di inaudibilità nè di sfacelo vocale. Parlo solo e unicamente di una voce con pochi armonici, chiusa e che non corre, e soprattutto di un fraseggio quasi sempre latitante e della mancanza che ha anche sottolineato donna Grisi. QUanto a Mukeria, cara Selma, direi che andare indietro sui primi acuti non è cosa da poco in ruoli come questi, soprattutto se le sfumature non pervengono più di tanto. RIepto, qualche acuto ben piazzato conforta poco. Ovvio che la dizione era buona e che la voce correva abbastanza, e questo oggi è già molto.

    • Anche io ero in loggione il 28 e la voce di Jessica Pratt non sembrava correre, in particolare alla sortita. Poi il problema si è risolto e la scena finale, in particolare l’aria (mentre ho apprezzato meno la cabaletta, nonostante sopracuto finale penetrante), è stata resa secondo me molto bene. Una prova positiva, anche se chiaramente ha spazio per migliorare.
      A me è piaciuto molto invece Mukeria: non ho una lunga fila di ascolti teatrali e devo dire che non ho mai sentito una voce di tenore che arrivava come la sua (meglio anche del grande divo Jonas :) ), con la facilità dovuta immagino ad una giusta tecnica di canto, con buona dizione.
      Abbastanza dimenticabile il resto, regia compresa…

  8. ho visto la prima, dal vivo e in teatro. Premesso che la tv ha reso miglior servizio al tenore rispetto al soprano, vorrei dire che rispetto allla Lucia scorsa la pratt aveva la voce più sonora ed omogenea. E data la scrittura dell’opera mi è parso un prpgresso. Se devo criticare, posto che la siciliana è sempre sorda salvo per la Scotto tra le moderne, avrei voluto un approccio diverso alla sortita, perchè lì si può far meglio, collaborando con bacchetta e regia. Trovo che tanto suono la pratt lo perda per strada a furia di metterci smorzature e messe di voce che rendono poco alla fine. Silvio sbaglia a dire che non interpreta: lo fa con modi non redditizi cercando vie extrastrumntali non sue. Magggiore strumentalità le sarebbe giovata al fine di quella nenia malinconica che ‘ è mancata in tutta la prima parte. Ho trovato però che dal finale 1 in poi tutto avesse un altro smalto ed un altro senso. La calibrazione del ruolo, che ho trovato meglio che a Pavia dovrebbe arrivare anche grazie al senso critico di bacchette e pianisti che qui latitano……perchè a ve bastava poco per wntrambi per fare cmq meglio…….

  9. Esatto, Giulia. Dovrebbe fare meno ma quello poi in modo eccellente. Troppi manierismi, che costano alla fine e non rendono molto. Punta anche troppo sugli acuti, al mio parere. Quanto all´interpretazione del personaggio di Amina mi pare ancora “a work in progress”.

  10. a questo punto mi avete fortemente incuriosito; io ho un biglietto per la recita del 20 Maggio. Vi farò sapere come avrò trovato gli interpreti dopo quasi un mese di repliche (chissà perchè la fenice sparpaglia 7 replice in un mese…?).

  11. quali sono queste altre modalità non redditizie che usa la Pratt? Io confesso di non averne notate granchè, ma può esser una mancanza mia. Così come quanto all’omogeneità della voce mi verrebbe da dire l’esatto contrario: in Lucia naturalmente si sentiva lo stesso il problema dei centri ma veniva risolto diversamente e il suono correva un po’ di più e con maggiori armonici.

    • ripetoà strumentalitz., suonare di piu’. Meno messe di voce e piaci, più mezzoforte e legato…..ha fatto tantissimo se la confronti ad altre. Cmq …..beh, la malinconia oggi l’ho sentita solo un po’ dalla massis inquesto ruolo…le altre ..mamma mia. Dessay? rancatore?Gutierrez? Per me sono tutte peggio. Vai sul tubo e senti cavatina di mariellissima e dimmi dove sta la malinconia….

  12. beh più di quaranta interventi per uno spettacolo che al più assiduo interveniente non è piaciuto sono davvero tanti e del livello di molti di essi mi compiaccio, anzi li assumo ad esempio ed insegnamento!
    poi rilevo anche che il traed si è spostato da alcune critiche alla protagonista al problema più generale della vocalità della protagonista.
    Mi pare (memoria deficit et senectus increscit) che già altrove e parechio tempo fa abbiamo parlato della vocalità di amina e del suo piegare verso lidi ben diversi da quelli di norma, altro ruolo della pasta. Quanto alla malinconia che sembra essere la sola caratteristica di amina devo dire per parte mia che dagli ascolti in teatro (serra, anderson, aliberti, devia, dessay, pratt) la sola che in parte e ad onta del timbro abbia fatto centro può essere la serra. non collocherei jessica pratt all’ultimo posto anzi. anche perchè il timbro ed il colore, che non sono di soprano leggero possono aiutare a realizzare una delle caratteristiche di amina.
    una delle caratteristiche perchè nonostantetutto non è la sola.
    Quanto alle copiose registrazioni a78 giri credo che il vero centro lo abbiamo fatto solo selma kurz ed amelita galli curci. La prima poi aveva un colore caldo e scuro (o meglio non era affatto un soprano leggero nonostante cantasse zerbinetta) che aiuta e l’altra disponeva di un legato e di un controllo dell’emissione che rendono quasi impercettibili i continui cambi di sonorità che colgono l’essenza delle melodie lunghe protoromantiche.
    Il tutto , e questo lo dico da sempre manca alla toti, la cui amina fa pensare tanto a cappuccetto rosso. Magari quella dei fumetti della mia adolescenza……
    ,

    • Io non ho proposto l’ascolto della Dal Monte pensando di illuminarvi circa l’ideale resa espressiva di Amina, né tantomeno la propongo quale voce ideale per i ruoli Pasta… Tra le Amine del Dopoguerra, voci adatte per i ruoli Pasta erano la Callas (per me la migliore in questo ruolo), la Dragoni…

      Ho proposto la Dal Monte come esempio di soprano leggero capace di reggere senza difficoltà una tessitura piuttosto bassa mantenendo una perfetta sonorità e omogeneità nel centro. Ciò su cui in questo momento dovrebbe lavorare la Pratt, la cui Amina tolti gli acuti per me non è di nessun interesse.

  13. tutto era la toti fuorchè un soprano leggero. non aveva i sovracuti e il timbro non era chiaro come la galli curci o anche la pacini. ma semplicemente sbiancato artificiosamente
    quanto alla maria amina subì ben più di te la suggestione della bambina e dell’orfanella varata dalla toti!

    • Guarda che soprano leggero non significa mica vociuzza, né necessariamente significa soprano coloratura (per inciso se si critica l’agilità della Toti cosa bisogna dire di quella dura e macchinosa della Pratt?). I sopracuti poi sono l’ultima cosa che m’interessa nel canto (comunque la Galli Curci li ha persi presto). Si canta nel centro, mica sui sopracuti. E non è proprio il caso di arrivare a negare la natura di leggero della Dal Monte per spiegare il fatto che avesse voce sonorissima, al cui confronto le odierne Devie sono ridicole nullità. E’ un fatto di SCUOLA, nello specifico scuola Marchisio. La Raisa, l’altra famosa allieva di quella scuola, nonché il soprano drammatico d’agilità più impressionante documentato dai dischi, canta esattamente allo stesso modo. E ripeto che reputo assai grave negare il valore di questo che è il vero canto all’italiana.

    • E la Maria dalla Dal Monte ha appreso quanto meno la pronuncia scolpita, che NON E’ UN OPTIONAL, ma è la base di tutto il canto, dell’appoggio, della proiezione, del legato. Ed è la ragione per cui il canto di una Sutherland tutto può dirsi fuorché italiano.

      • La Maria dalla Toti ha imparato solo a bamboleggiare e a sbiancare…da lei o dalla sua maestra, la de Hidalgo…altro non vedo
        La coloratura della Callas stende quella monotona e sempre a suon di picchettati della Toti in un batter di ciglio….

        • E ha imparato una cosa buona che tutti i cantanti di scuola antica facevano, e che non è quel che voi chiamate “sbiancare” (non si arriva a reggere una carriera lunga ed impegnativa come quella della Toti snaturando sempre il proprio timbro), ma è un normalissimo utilizzo del color chiaro, che anche un belcantista come Blake utilizzava. Garçia docet.

  14. allora siccome io non capisco niente di suono e di canto attendo, caro mancini, di essere illuminato sulla differenza per me chiarissima fra i suoni bianchi della toti anche oltre la zona di passaggio ( ecco l’errore per me !) e quelli della galli curci!!!!

  15. Accidenti , però , mai che vi soffermiate sull’INTERPRETAZIONE.
    (Lo so , lo so che senza la giusta emissione, tecnica ecc. ecc.). Questo per dire che , basandoci su quanto testimoniano le incisioni, (giacchè come cantasse la Pasta non lo sappiamo) ciò che rende l’Amina della Callas superiore, e di gran lunga, a tutte le altre è proprio l’interpretazione. Tanto per fare un esempio, la Callas è l’unica che sappia differenziare splendidamente la voce di Amina addormentata da quella dii Amina sveglia! (e non mi sembra particolare INTERPRETATIVO di poco conto)

    • La Callas è in grado di differenziare proprio perché dispone di una tavolozza adeguata di colori, di un’emissione sulla parola capace di modularsi liberamente in base alle esigenze musicali ed espressive. Sia chiaro che io non sono un callasiano, non considero la venuta della Callas come l’anno zero del melodramma, al contrario la considero, con i suoi pregi ed i suoi difetti, l’ultima importante rappresentante dell’antica scuola del belcanto. Penso che con la Callas si sia chiusa un’epoca e non il contrario.

        • Mi sembrano generalizzazioni poco plausibili, con rispetto parlando. Peraltro – anche io non sono un “vedovo Callas” – non sono d’accordo sul fatto che la Callas fosse l’ultima cantante di tradizione ottocentesca, dato che il suo modo di intendere il melodramma donizettiano e belliniano è statto inequivocabilmente una “rivoluzione copernicana” rispetto al periodo immediatamente precedente. Se si prende Lucia o Sonnambula o Norma ci si rende conto che certi bamboleggiamenti, certi ghirigori liberty, certe ampollosità vittoriane, sono spazzate vie da una “forza” maggiore unita ad una scolpitura nella dizione che non trova molti precedenti. Se ascolto la Callas, percepisco effettivamente qualcosa di “nuovo” e di “diverso” rispetto a tutte le altre. Contesto anche che si possa ritenere il canto dei primi ‘900 come espressione diretta del belcanto ottocentesco, atteso che il canto – come qualsiasi disciplina umana – non è alieno dai mutamenti storici.

      • Usare il color chiaro ripeto non è bamboleggiare. Non si può cantare tutto con la voce oscurata. Il canto di grazia richiede tinte più chiare e leggere. E la voce non può essere monocromatica.

        Le maniere vocali della Callas comunque sono analoghe sotto molti aspetti a quelle della tradizione di canto italiana documentata dai 78 giri, la stessa pronuncia scolpita possiamo trovarla in una Dal Monte o in una Raisa, la Callas è figlia – anche attraverso la sua maestra – dei cantanti di quell’epoca. Certamente ha portato anche delle migliorie (e dei peggioramenti), in generale ha apportato dei cambiamenti, ma ritengo più significativo sottolineare ciò che la mette in relazione col passato, piuttosto che evidenziarne la cesura con esso. Il canto prettamente strumentale, incurante della parola e attento solo ai bei suoni, era fenomeno soprattutto anglosassone (Melba), e la Sutherland fu l’erede di questa concezione. Non esistono due cantanti più diverse della Sutherland e della Callas. E’ assurdo per me leggere da parte dei critici che che la Sutherland fu la continuatrice del modus esecutivo inaugurato (??) dalla Callas.

      • Chi? La Callas? O sono diventato sordo d’un pezzo o abbiamo differenti idee di “bamboleggiamento”…basta ascoltare il “Care compagne” (nelle edizioni live e studio: Bernstein e Votto). Certo non si ascolta OVVIAMENTE l’approccio tragico di Norma, ma neppure il bamboleggiamento infantile delle tante che l’hanno preceduta. Noto centri robusti, dizione scolpita ed emissione omogenea in tutti i registri (cosa che non posso dire di tante altre celebrate dive).

  16. La sonnambula un mese dopo. Ho assistito alla recita di ieri pomeriggio, quasi a un mese dal debutto e non posso nascondere una certa delusione. Regia scene e costumi, totalmente slegati e indifferenti alla musica. Non so che opera pensasse di allestire il regista ma ha totalmente ignorato i carattere larmoyant della partitura, con punte di insulsaggine sparse qua e la. Direzione inesistente, fiacca, lenta, bravi i pur annoiati orchestrali a non addormentarsi. Preferisco non commentare il basso che peraltro debuttava ieri sera, non era lo stesso udito da chi mi ha preceduto. I protagonisti: era la prima volta che sentivo Mukerian dal vivo e non sono stato fortunato, forse non in perfette condizioni di salute, voce un po’ stanca, in odor di stecca nel “Prendi l’anel ti dono”, si sente un buon imposto la voce corre e risolve la parte, ma ieri sera sembrava camminasse sulle uova con un fraseggio ridotto ai minimi termini. La Pratt, brava è brava, in gran forma ieri sera; voce piccola, centri un po’ vuoti computa la parte con dovizia, tutto il primo atto è un susseguirsi di piani, pianissimi e smorzature, che finiscono non col rendere vario il fraseggio ma monotono. Concordo con quanto ha scritto donna Grisi, la pratt interpreta, ma lo fa con modi non reditizzi, il primo F della serata arriva al finale del primo atto, dopo un ora e passa!! Ma un po’ di dinamica, un po’ di contrasto nel fraseggio? Un Amina esangue. Acuti e sovracuti in abbondanza e sempre ben piazzati. La temperatura si alza all’improvviso al “Ah! Non credea mirarti” quando comincia ad interpretare veramente, il fraseggio si scalda e si fa più vario (a questo punto persino in orchestra ci si ricorda di interpretare quello che si legge) e né escono 10 minuti di poesia! Un po’ tardi però…

    p.s.
    Ho visto dai programmi delle prossima stagione che la signora Pratt sarà Violetta Valery con la regia di Carsen e la direzione di Matheuz alla Fenice, in Agosto/settembre 2013, ecco, questa non me la spiego…

    • Caspita Aureliano avevi anche scritto che ieri saresti stato alla Fenice, mi sono dimenticato di contattarti che potevamo berci un prosecco assieme durante la pausa!
      Sarà che ero reduce dalla penosa Boheme di sabato scorso, ma ieri sono uscito da teatro soddisfattissimo, per quanto i miei parametri di giudizio siano molto limitati.
      Concordo sulla regia, ho notato anch’io il distacco di cui parli ed anche e soprattutto la confusione…seguire tutti i movimenti che avvenivano alle spalle dei cantanti voleva dire perdersi, troppe cose.
      Quanto ai cantanti, ripeto nei limiti della mia conoscenza, sono stato felice di aver sentito ancora una volta il duo protagonista. I miei termini di paragone sono quel che sono, quindi – rispetto a tenori/soprani che ho ascoltato dal vivo – senza dubbio Mukeria/Pratt sono i migliori che ho sentito, per timbro, pulizia del suono, facilità di emissione ed espansione della voce in sala.
      Forse la voce di Mukeria correva un po’ meno rispetto ad esempio alla Lucia dell’anno scorso, ma ho apprezzato molto soprattutto timbro, espressività, omogeneità della voce e facilità di canto (peccato il taglio del daccapo di “Tutto, ah! tutto in quest’istante”).
      La Pratt è la terza volta che la vedo e che la applaudo sempre con gran fervore. Ho notato anch’io le frequentissime smorzature ed il fatto che sia andata sul forte dopo un bel pezzo. Però non ho sentito sbavature, il canto risultava facile e “pulito”, la voce non “ballava” mai in acuto e non dava mai l’idea di “rompersi” nelle smorzate e nei piani (non avendo ancora sentito dal vivo una soprano migliore della Pratt e con centri notoriamente forti non so dire se quelli della Jessica siano o meno discutibili, prendo atto della cosa dai vostri commenti, però – per mia fortuna – non ho percepito questo aspetto). Ad esempio il paragone con Lisa e Teresa, quanto a “pulizia” della voce ed omogeneità nelle diverse linee di canto, è emblematico. “Ah non credea mirarti” poi è stata poesia: per interpretazione, sentimento rappresentato, colori e saldezza della voce (vi sono stati applusi a scena aperta).
      Quel che più mi ha colpito e “scosso” è stato il finale del I° atto… mi è sembrato esservi una perfetta sintonia tra orchestra, coro e voci predominanti: l’orchestra non ha sovrastato i cantanti (a differenza, ripetesi, della triste Boheme dove non so in quale percentuale fosse distribuibile la colpa dell’inudibilità dei cantanti) e le voci di tenore e soprano si sentivano nitidamente con ottima espansione.
      In conclusione: aver assistito a questa recita mi ha invogliato a riacquistare il biglietto, mi ha alimentato curiosità e rinnovato interesse. Là dove opere precedenti, con interpreti e resa complessiva di ben più basso livello, mi stavano consigliando di tenere i soldi nel portafoglio e di, semmai, comprare un buon cd!

  17. mi prenoto il prosecco per la prossima volta! La delusione non deriva certo dl fatto che la coppia di protagonisti non sia stata all’altezza; deriva dal fatto che mi aspettavo di più, sono partito sependo di andare ad ascoltare probabilemnte la miglio coppia di protagonisti reperibile sul mercato attuale, tutto qua. Mukerian ieri non era in giornata, con questo tempo può capitare qualche raffreddamento e se il direttore non t’aiuta quando non sei al 100%…Rimane la miglior tecnica in gola a un tenore ch’io abbia sentito negli ultimi anni. La Pratt canta bene, l’interprete mi ha un po’ deluso. Il suo primo atto mi ricorda una pagina di un libro in cui sono state sottolineate tutte le parole,…alla fine è come se nulla fosse sottolineato. Non so se mi spiego. Manca di senso della frase; un fraseggio d’alta scuola, ma pur senpre un po’ scolastico. Oramai non è più una “giovane promessa”, mi aspettavo un interprete al livello della vocalista e secondo me l’interprete è stata del livello della vocalista solo nella scena finale. Strepitosi gli acuti, concordo con Mancini che dovrebbe farne un uso più parco. Non vedo come possa pensare di cantare Violetta.

    • Anche io ero presente ieri.
      Stendiamo un velo pietoso sul basso, o meglio sul cavernoso uomo delle nevi, che ha pure sbagliato platealmente due attacchi.
      Anche io sono rimasto, se non deluso dalla performance dei due protagonisti, francamente indifferente.
      La Pratt mi ha emozionato di più nei recitativi che nei cantabili, e in generale le arie le son venute meglio delle cabalette. Davvero riuscito l’ “ah non credea mirarti”.
      Mukeria ha cantato secondo me meglio nel primo atto, anche se nel finale la voce non svettava assolutamente sull’insieme, come invece dovrebbe. Nel secondo atto sembrava stanco, non legava molto e la voce a tratti andava indietro (penso a “ah perché non posso odorati”).Il fraseggio era purtroppo del tutto assente. Per me era la terza volta che ascoltavo questo tenore, e devo dire che mi ha convinto maggiormente rispetto alla Bolena fiorentina.
      Quanto allo spettacolo, l’ambientazione era anche piacevole, era l’azione scenica a tradire del tutto la poetica di Bellini…

  18. la poetica di bellini ed in generale quella del genere di mezzo carattere è la più difficile da capire e da rendere. Oggi ingenerale noi , figli del romanticismo, stentiamo a capire le differneze dei generi a partire dal linguaggio cui espressi.
    ho ascoltato mukeria per la seconda sonnambula veneziana(l’avevo sentito tempo fa a genova ma sono passati almeno cinque anni) credo che più che indietro i suoni in particolare il sol 4 sia poco sonoro (nei soprani accadeva lo stesso alla deutekom) perchè il cantante ha il dubbio fondato se si tratti già di un acuto o di una nota di passaggio. è un dubbio legittimo perchè spesso si ode la stessa nota aperta sopratutto dai superdotati. credo poi che le difficoltà della parte lo frenino molto come interprete. l’ho trovato rispetto alla prima in minor difficoltà nell’aria e mi è piaciuto moltissimo nell’andante del finale primo. da dove ero io (di fattoin proscenio) la voce era molto sonoria e proiettata.

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