Verdi Edission: Rigoletto a 78 giri

Proporre Rigoletto a 78 giri e proporlo con riferimento a tutte le pagine dell’opera è un’impresa ardua. Con riferimento alla pagine solistiche degli amorosi esistono realizzazioni, che fanno parte della storia del canto e dell’interpretazione, in qualsivoglia lingua la ingenua Gilda o il predatorio Duca si esprimano. Ad un primo pensiero mi viene in mente la realizzazione che ne hanno fatto un Bonci piuttosto che Schipa o Lemeshev o la Galli Curci o la Pareto o la Tetrazzini.  Nessuna eguale, tutte grandi e parte della storia del canto e dell’interpretazione e siamo cresciuti, se ascoltatori un minimo rodati ed esperti, con quelle esecuzioni. E allora la scelta è stata, pur essendo la più difficile, ovvero quella di concentrarsi sul protagonista. Non esiste baritono di una certa carriera e sino a qualche lustro fa di una certa complessione vocale che non abbia indossato la gobba del vindice ed infelice padre verdiano. Si può discutere fin che si si vuole,  ma nessun padre verdiano porta in scena la vastità dei sentimenti di Rigoletto. Grandi o meschini che siano perché la difformità è, per certo il motore di molti dei comportamenti riprovevoli o pesantemente pagati di questo padre.
Che cosa deve fare  munito di berretto colorato, gobba e  altri attrezzi del mestiere del buffone un baritono per essere RIGOLETTO? L’impossibile o quasi perché deve alternare lo sberleffo della prima scena nei giardini della reggia mantovana alla paura ed  al timore per sé e per l’adorata figlia dopo l’affaire Monterone quando si aggira nel “remoto ed oscuro calle”, e viene avvicinato da un losco figuro, poi deve essere affettuoso e dolce con Gilda, che non conosce l’identità del padre, senza dimenticare l’aspetto sospettoso del personaggio e, poi, al secondo atto, dopo l’atroce beffa dei cortigiani alternare al dolore, che lo distrugge e lo rode l’ironia professionale e, poi, accedere allo scatto insurrezionale del “cortigiani vil razza” cui subito segue la perorazione e, poi ancora, lagrime e pianto sull’onta e la distruzione di quel suo piccolo mondo, che credeva sicuro dietro un bastione della casetta sino allo slancio della chiusa dell’atto dove Rigoletto diviene non un padre, ma il padre alle prese con la dovuta vendetta. E non è finita all’uomo duro delle poche battute della trattativa con il sicario, subentra il padre, che deve salvaguardare la figlia e ancora il padre vindice con il sapore sociale di matrice hughiana, che davanti a quel sacco tiene la morale dell’oppresso, solo che il corpo agonizzante che il sacco contiene è – beffa suprema- quello di Gilda e allora Rigoletto deve cantare il peggiore degli strazi,  il più penetrante e lacerante rimorso perché il dramma lo ha creato lui solo.
Davanti a queste prospettive ed a queste richieste della partitura, costellata da prescrizioni dell’autore ed irta di difficoltà, in primo luogo la tessitura acutissima della parte e l’esigenza di cantare a fior di labbro in quella zona stratosferica del pentagramma è scontato condividere l’opinione di Rodolfo Celletti, classe 1917 ascoltatore dal 1932 circa, che dichiarava che, salvo Carlo Tagliabue in teatro non avesse mai sentito un vero e completo Rigoletto. Mai  come per questa parte verdiana solo ed esclusivamente i 78 giri sono in grado di restituire un’esecuzione rispettosa dello sfaccettato personaggio e del canto. Non solo spesso anche cantanti storici e che hanno lasciato pagine esemplari come del canto in chiave di fa come Antonio Scotti, Mario Ancona, Mario Sammarco cantano bene, con facilità, ma “non esprimono” come le loro registrazioni testimoniano con riferimento ad altri personaggi. Rigoletto ha trovato a 78 giri parecchie esecuzioni integrali a partire da quella con Giuseppe Danise del 1917, che, in quanto divo, cantò solo  i passi più importanti del ruolo a quella con Luigi  Piazza (famosa per la debuttante Lina Pagliughi) a quella con il declinante Stracciari, splendido, invece, nelle esecuzioni di qualche lustro prima e quella di Heinrich Schlusnus del 1944. Non solo, molti Rigoletto di levatura storica hanno inciso quasi tutte le pagine del ruolo, e parliamo di Titta Ruffo, Carlo Galeffi, Antonio Magini Coletti, Giuseppe de Luca.
Comprendo che si versi nel gotha del canto baritonale fra la fine dell’800 e la prima metà del 900, ma le esigenze della parte richiedono la capacità di cantare a fior di labbro in zona acutissima  dove pure sono ubicate le invettive del personaggio, colorire due monologhi, dei quali il secondo, quello sul supposto cadavere del duca, quasi superiore per difficoltà espressive al famoso “Pari siamo” e persino dar senso ad ogni battuta del canto di conversazione. Si pensi con quest’ultimo aspetto alla frase “Egli è delitto, punizion son io”. A questo si aggiungano le prodezze vocali che sono la puntatura al la bem alla chiusa della vendetta, la puntatura al sol di “difende l’onor”  quella al sol  della chiusa del monologo “pari siamo” e soprattutto quella dell’attacco del finale secondo che nel passato imponeva la messa di voce nel senso che il Rigoletto di turno o attaccava pianissimo “un vindice avrai” per poi esplodere nel “si vendetta” o al contrario prevedeva la smorzatura di “un vincide avrai” per attaccare piano la stretta e rendere l’idea del crescendo dell’ira e della sete di vendetta del personaggio. Buona parte degli attuali Rigoletto omettono l’ultimo inserimento di tradizione perché richiede, quale delle due tradizioni si segua, un assoluto controllo del fiato su una nota scomoda come il mi bem; prediligono le altre perché sono relativamente facili se dotati in alti e propizie di applausi di pubblici facili all’entusiasmo per una nota. Oggi, giovane, maturo o senescente che sia non è in carriera un Rigoletto che possa eseguire questa tradizione dandole l’intenso significato drammatico che le conferiva l’inventore (probabilmente Felice Varesi medesimo). Insomma quello che sentiamo oggi è un distorto uso della tradizione perché –ripeto- indistintamente gli attuali Rigoletto non cantano a fior di labbro, berciano frasi, che dovrebbero essere cantate con dolcezza come tutto l’intervento di Rigoletto in “veglia o donna” o cantate con la necessaria ampollosità del personaggio romantico “culto, famiglia la patria, l’universo” . E come sempre entrambe le esigenze presuppongono o una tecnica completa o una dote ed una freschezza uniche. Perché anche nei nostri ascolti ci sono cantanti che risolvono le esigenze di Rigoletto  mediante la freschezza vocale e la dote naturale come accade per Titta Ruffo, indicato come “padre spirituale” della scuola del muggito. Il baritono pisano indulge ad effetti  vocali come “ah voi dormiste” nella scena coi cortigiani o a suoni nasaleggianti come “la giovin che sta notte al mio tetto rapiste “oppure in frasi come “ il retaggio d’ogni uom m’è tolto” la smorzatura è più un tentativo o nel “veglia  o donna” si sente che sul piano il controllo del fiato è quello di una dotatissima natura e null’altro. Ciò non di meno il padre spirituale della scuola del muggito e gobbo di levatura storica in tutti i maggior teatri italiani, spagnoli nord e sud americani sa perfettamente come debba esprimersi Rigoletto  e come debba piangere  (leggi tecnicamente parlando allegerire il suono) quando Gilda è agonizzante.
Devo aggiungere che l’idea che spesso Rigoletto debba avere voce chiara è evidente anche nelle esecuzioni di baritoni che non erano (in altre esecuzioni, magari verdiane) affatto dal colore chiaro e che si compiacevano della bellezza del proprio timbro. Mi riferisco a Pasquale Amato cui si deve attribuire la più completa esecuzione dell’aria, chiusa da una toccante perorazione ed un stupendo pianissimo su “pietà” che neppure i grand seigneur alla Galeffi eguagliano. In tutta l’esecuzione di Amato (anno 1911) non c’è un accento, una smorzatura o un crescendo, previsto o meno dall’autore, che non risponda ad esigenze di definizione del personaggio. Quando si dice  la perfezione, compresa anche di misura degli effetti si può indicare questo Pasquale Amato in questa pagina.
Certo che il timbro nobilissimo di Galeffi o la finezza di de Luca non servono a fare classifiche, ma a riflettere che si può essere egualmente di  riferimento pur con scelte differenti, ora privilegiando facilità del registro acuto  e del legato o l’accento, in presenza di un timbro tutt’altro che privilegiato o di una limitata ampiezza (secondo i parametri del tempo).
Confesso di avere reiteramente ascoltato il monologo di Galeffi  e di Danise maestri di idee interpretative e di loro esemplare esecuzione, ma la solennità e fors’anche l’ampollosità di Antonio Magini Coletti  o l’accento di un meno celebre Giovanni Inghilleri rendono ancor più facile ritenere  che si può essere grandissimi con ugual supporto tecnico e differenti idee e realizzazioni interpretative.
Perché –ripetizione molto cara ai grisini, ma che dovrebbe essere- si è interpreti solo con il controllo del mezzo tecnico e la riprova, se altre non ve ne fossero sta in cantanti come Giacomo Rimini e più ancora de Luca  e Domgraf Fassbaender, che in natura la voce ed anche l’ampleur di Rigoletto proprio non l’avevano.

Gli ascolti

Verdi – Rigoletto

Atto I

In testa che avete, signor di Ceprano?…Ch’io gli parliRiccardo Stracciari, Dino Borgioli & Duilio Baronti (1930), Heinrich Schlusnus, Helge Rosvaenge & Georg Hann (1944)

Quel vecchio maledivamiCarlo Galeffi ed Ernesto Dominici (1928), Riccardo Stracciari ed Ernesto Dominici (1930)

Pari siamoCarlo Galeffi (1926)

Figlia! Mio padre…Veglia o donnaAntonio Magini Coletti e Giannina Russ (1905), Pasquale Amato e Frieda Hempel (1914), Giuseppe De Luca e Amelita Galli Curci (1927)

Atto II

Cortigiani, vil razza dannataTitta Ruffo (1908), Pasquale Amato (1909), Carlo Galeffi (1928)

Solo per me l’infamia…Piangi, fanciullaGiuseppe Danise e Ayres Borghi Zerni (1917), Heinrich Schlusnus ed Erna Berger (1944)

Compiuto pur quanto…Sì, vendetta, tremenda vendetta – Giuseppe Danise e Ayres Borghi Zerni (1917), Carlo Galeffi e Maria Gentile (1928)

Atto III

Un dì, se ben rammentomi…Bella figlia dell’amoreMarcel Wittrisch, Margarete Klose, Erna Berger e Willi Domgraf-Fassbaender (1932)

Della vendetta alfin giunse l’istanteRiccardo Stracciari (1930), Heinrich Schlusnus (1944)

V’ho ingannato…Lassù in cieloTitta Ruffo e Graziella Pareto (1908), Giuseppe De Luca e Amelita Galli Curci (1918), Willi Domgraf Fassbaender e Hedwig von Debicka (1929)

 

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15 pensieri su “Verdi Edission: Rigoletto a 78 giri

  1. Assolutamente d´accordo che un Rigoletto del tutto convincente si trova solo con difficoltà e pochissimi ti fanno balzare dalla sedia – anche nei tempi dei 78 giri. Ho ascoltato anch´io il Rigoletto moltissimo in questi giorni, per altro motivo. Sopratutto il “Pari siamo”. Questo monologo è l´essenza della parte e congiunge tutti gli elementi del ruolo: lagrima, rabbia, tenerezza e malignità. A parte del´elemento interpretativo molti cantanti non sono all´altezza delle esigenze vocali. Già a “il pugnALE” molti stonano perche spingono troppo. Prossimo ostacolo: “il retaggio ogni uom m´è tolto: il PIANTO“, dove molti steccano. Poi il difficilissimo „ma in altr´uomo qui mi cangio“.
    A parte quelli che ha già mostrato Donzelli nei suoi ascolti bellissimi ho trovato abbastanza convincente anche Tibbett.
    http://www.youtube.com/watch?v=m65YclUII8w

  2. I brani da Rigoletto con Amato in duo con una splendida Hempel sono tra i miei preferiti, superati solo da Magini Coletti e da una divina Russ (….di questo baritono trovo veramente meraviglioso il pari siamo del 1907 mentre il finale d’atto con la Finzi Magrini meno riuscito).Dal vivo mi fece impressione MacNeil anni fa, mi parve morbido ( e con molta voce)……Grazie come sempre

  3. Tantissime sono fortunatamente le incisioni di Rigoletto risalenti ai primi del ‘900 (la voce di baritono era oggettivamente più facile da incidere con i rudimentali sistemi dell’epoca), tra i tanti confesso di aver sempre subito il fascino timbrico di Amato e la personalità “monstre” di Galeffi; poi tutti gli altri. Oltre a quelli proposti un grandissimo a mio pare fu Schwarz! http://www.youtube.com/watch?v=C68ts8EHXBQ

  4. Molto bello l’articolo di Donzelli.
    Mi ha molto colpito il giudizio di Celletti sul Rigoletto di Tagliabue; mi interesserebbe sapere la fonte di quel giudizio, per poterla inserire nel libro che sto ultimando di scrivere su Tagliabue.

  5. Nelle “memorie d’un ascoltatore” ed. Il Saggiatore 1985, Celletti sostiene che il Germont di Tagliabue ascoltato all’Adriano di Roma nel 1936, fosse il migliore ascoltato in vita sua. A proposito di libri, è uscito da poco la nuova biografia su Giuseppe Kaschmann, libro di oltre 400 pagine, ricchissimo sia di foto che di recensioni. Da avere

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