Un weekend a Berlino, parte seconda: Tannhäuser alla Deutsche Oper

Il 16 dicembre la Deutsche Oper presentava l’opera di Wagner nella versione di Dresda con Peter Seiffert nel ruolo omonimo, Petra Maria Schnitzer nei ruoli di Venere e Elisabeth, Christian Gerhaher come Wolfram ed Ain Anger come il Langravio.

L’allestimento a firma di Kirsten Harms è molto bello da vedere, con qualche rara deviazione speculativa dal libretto di Wagner, sempre con uno scopo ed una idea chiari, anche se non particolarmente innovativi. Cosi Venere e Elisabetta portano lo stesso semplice vestito bianco. L’unità ambigua tra amore erotico e carità è resa con nient’altro che un gesto laconico, poco attrattivo dal punto di vista puramente visivo, ma cionondimeno eloquente. Particolarmente belli i costumi dei cavalieri e dei nobili della corte – un riferimento stilizzato alle immagini ed all’immaginario del medioevo tedesco.

L’orchestra è stato diretto dal giovane maestro Constantin Trinks che ha guidato l’insieme di palco e buca con grande solidità. Fin dalle prime battute dell’ouverture, Trinks ha scelto dei tempi abbastanza pomposi ed un fraseggio magniloquente che è stato tenuto fino alla fine della recita con effetti impressionanti sopprattutto nel preludio al terzo atto e nelle grandi scene corali eseguite con esatezza, musicalità e grande vigore dal coro della Deutsche Oper. Trinks è stato sempre presente e sveglio anche come accompagnatore dei cantanti la cui maggioranza, però, è stato incapace di sostenere l’ampiezza della linea del canto wagneriano.

Questo vale meno per il veterano Peter Seiffert, il Kunde tedesco, che con una voce al massimo da lirico, sta cantando Tannhauser, Tristan e Otello. A causa sia dell’età avanzata che del repertorio che sistematicamente frequenta da molti anni la sua voce ha ormai perso ogni bellezza timbrica e fa sentire un vibrato eccessivo. Cionondimeno, è ammirevole la sua resistenza fisica e l’energia con cui si butta sin dall’inizio in un ruolo impervio come Tannhauser, non risparmiando mai la sua voce. C’è una volontà, una sicurezza ed anche uno stile di recitazione che sono quelli di un autentico divo d’altri tempi. C’è anche il vuoto e la crisi nella categoria vocale dei tenori drammatici che rende il professionalismo di un Seiffert una delle ultime garanzie di uno stabile funzionamento dell’industria operistica. Malgrado le sforzature a cui ricorre spesso, il divo riesce comunque a dare un chiaro senso e forma musicale e drammatico alle frasi. Più spinge, più diventa sonoro. E cosi fino alla fine della recita. Chapeau. E’ in questo ambito che diventa incomprensibile perché abbia scelto (perché di scelta si tratta) di gridare nel monologo del terzo atto certe frasi nello stile di un pessimo Turridu che urla „Dell’ira tua non mi curo!“

Nemmeno l’ombra di qualsiasi qualità degna di una buona cantante wagneriana, quando canta Petra Maria Schnitzer. La voce, che sarebbe quella da lirico-leggero, è completamente priva di cavata, di legato, è poco udibile, perennemente stonata in acuto e corta di fiato. Nel primo atto trasforma Venere in una Zerlina capricciosa di cui spesso si sentono solo le consonanti teutonicamente aspirate. La sua Elisabeth lascia una sensazione di vuoto, perché le sue capacità non corrispondono neanche al terzo di quello che sarebbe necessario per l’ampiezza di voce e di fraseggio idonea a Elisabeth.

Ain Anger, basso gutturale come ogni altro basso contemporaneo, possiede una voce dal volume notevole e dimostra una certa saldezza che li consente di essere credibile nel suo ruolo regale.

Christian Gerhaher, uno dei liederisti più noti dei nostri giorni, accolto con applausi fragorosi al pari di quelli ricevuti da Seiffert, è in fondo una caricatura di Dietrich Fischer-Dieskau. Un parlato poco sonoro e spoggiato da liederista declamatore nella sezione centro-grave della voce e sia smorzature che frasi vigorose emesse in modo quasi identico alle sonorità del deceduto baritono tedesco. Cantante più da concerto e liederabend, Gerhaher approccia Wolfram come un lied da eseguire nello stesso modo di elegante insipidezza e superficiale malinconia che fuoriescono dalle sue immagini pubblicitarie. Ed ecco pronto e servito il luogo comune del Wolfram cantato come un lied, simulando un legato che non c’è ed una dolcezza che nell’aria del „Abendstern“ è priva di vera sonorità: il pubblico ha ottenuto la sua porzione di baritono lirico e poetico. Mi chiedo quanti Fischer-Dieskau ho già sentito in teatro, sopprattutto in Germania, e non capisco l’entusiasmo del pubblico per un cantante che non è vero, che non è mai se stesso, la cui voce non è la sua. Mi chiedo anche se dopo l’era dei Seiffert e delle Gruberove che con voci leggere ma con grande professionalismo, hanno saputo offrirsi come surrogati dei cantati autenticamente drammatici, non siamo già in piena era di facili imitazioni in cui un falsettino basta per suggerire lirismo, in cui l’ingolamento e l’oscuramento della voce ti rende subito un tenore drammatico ossia la materializzazione del concetto superficiale di un tenore drammatico che ognuno deve copiare? Pregiudizi ed effetti facili serviti in high definition e con sempre maggiore velocità e quantità.

 

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8 pensieri su “Un weekend a Berlino, parte seconda: Tannhäuser alla Deutsche Oper

  1. Constantin Trinks è considerato uno dei migliori giovani direttori tedeschi del momento. È stato Generalmusikdirektor a Darmstadt, dove ha diretto, tra le altre cose, un Ring di grande successo prima di dimettersi dalla carica a causa (tanto per cambiare) di una feroce litigata pubblica con l’ Intendänt John Dew, pernicioso esponente del Regietheater più demenziale.

  2. Guardo gratos recuerdos del Tannhäuser de Seiffert en Barcelona en 2008. Entonces la voz todavía no acusaba un vibrato tan exagerado como el que mostró sólo dos años más tarde con Tristan (ahí, claro, el cansancio le ocasionaba más dificultades). Es cierto que ya entonces la voz había perdido calidez y que ya “spingeva” en ciertos pasajes (aunque sin llegar a chillar), pero no es menos cierto que, a pesar de las limitaciones de sus medios líricos para roles de estas características, el fraseo, la variedad de acento, la “italianità” de su canto, la entraga sin reservas y la solidez inquebrantable con que afrontaba todo el rol, eran francamente admirables y modélicos. Ciertamente algo de otra época.

    • Anch’io ho sentito il suo Tristan, nel 2010 a Berlino. Aveva già un vibrato brutto, ma anche li, soprattutto nel terzo atto, ha dimostrato di essere un grandissimo professionista. Non ha mancato neanche una frase.

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