Quaresimal XIII: Siegmund Nimsgern

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“Pensi di meno e canti di più”: questo il consiglio rivolto dal compositore a Victor Maurel, primo Jago e Falstaff. E chissà che cosa avrebbe potuto suggerire a Siegmund Nimsgern, che proponiamo in una latrata esecuzione del Credo. Latrata, ed è questa forse la cosa più sorprendente, più nel registro medio che non in alto, gli estremi acuti (fa – “CIEL” conclusivo – e fa diesis – “GERme della culla”) risultando quasi a fuoco e intonati se confrontati ai primi, do, re bem e re (“credo in un Dio crudel che m’ha creato”, “questa è la mia fè”, “CREdo che il giusto”). Il che porta a ritenere che l’esecutore, qualora fosse stato in possesso di altra e ben diversa quadratura tecnica, avrebbe potuto affrontare con maggiore profitto il repertorio da tenore centrale. Il vero disastro, frutto della totale assenza di un corretto imposto, si verifica su frasette in zona centrale, ad es. “ti spinge il tuo dimone”, “dalla viltà d’un germe”, “fango originario in me”, in cui la voce bitumata e gracchiante non esprime la perfidia del personaggio, ma solo la limitata tecnica e per conseguenza l’insufficiente fantasia dell’interprete (pour ainsi dire), che non ha un colore, un’inflessione, un piano degno di questo nome da porre al servizio del losco e farisaico alfiere. In ultimo l’ovazione, che accoglie questo autentico disastro, ci rammenta come certi trionfali fenomeni di oggi abbiano avuto dei precursori, tanto sul palco quanto in sala.

49 pensieri su “Quaresimal XIII: Siegmund Nimsgern

  1. Lasciando stare oziose dissertazioni su chi o cosa sia geniale o meno (discussioni che lasciano il tempo che trovano), non sono d’accordo sull’ennesima e ormai stucchevole bordata contro “i direttori d’orchestra”, presunti colpevoli di cavarsela egregiamente con i più ardui autori della storia della musica, ma, inspiegabilmente, incapaci di allestire un qualsiasi melodramma. Così scopro che Solti, Levine, Karajan (e chi, poi…Kleiber, Knappertsbusch etc..?) non capivano un tubo di opera. Ricordo, a chi sostiene tutto ciò, che l’opera – volente o nolente – è soprattutto musica e non un circo per voci e presunti divi. Nimsgern non è stato scelto solo da Abbado e Muti, ma pure da Gavazzeni e Patané (che dovrebbero rientrare tra i direttori di tradizione). Questo per dire che trovo inaccettabile questo pregiudizio che relegherebbe l’opera a genere di serie B per cui van bene direttori mediocri.

    • l’opera è relegata amusica di serie b da direttori che non la amano capaci di far cantare eincidere dischi di rossini a una bestia come nimsgern . E’ prorpio l’indifferenza alle qualità dei cantanti da parte dei direttori che degradato l’opera a genere di serie b. Mi astengo dsll’esemplificare nel merito, ma la discografia, delle cui major le bacchette sono serve, è nutrita.

    • Si caro Gilbert,
      anche Kleiber e Knappertsbusch.
      Se l’opera e’ soprattutto musica e non circo per presunti divi, e’ del tutto inutile che esista allora ancora oggi, volente o nolente, un sito come il “Corriere della Grisi” che , mi sembra non ricerca nessun circo e nessun presunto divo, ma prestazioni, quando non d’alta espressione artistica, almeno di conprovata solidita’.
      Come sarebbe poco importate che gli autori stessi delle musiche si fossero cosi’ tanto interessati agli interpreti dei propri lavori-
      E, invece, meno male che c’e’ un sito del genere;
      E, invece, gli autori sceglievano, quasi sempre, gli artisti da impegnare.

      L’ Opera e’ ANCHE, arte vocale.
      Potro’ essere d’accordo o in disaccordo su questo o quel presunto divo, potro’ avere dei gusti non condivisibili, ma certo non avvallero’ mai una produzione operistica in nome del solo direttore, circondato pero’, da dilettanti spacciati per vocalisti.
      A me un Tristano infarcito di cani come quello acoltato a Milano diretto da Kleiber interessa proprio poco, seppur diretto benissimo. E sulle scelte vocali di Knappertsbusch, spessissimo, stendo un piu’ che pietoso velo .
      I NOMI erano ( e sono) quelli, e quelli i signori K and K si prendevano, amico mio.
      E’ proprio perche’ non ritengo l’opera arte di serie b, che la vorrei ben cantata, o quantomeno eseguita in modo professionale, ed e’ lo stesso motivo per il quale sono portato ad apprezzare molto meno qualche grandissimo direttore, quando impegnato in ambito operistico, rispetto alle spesso strepitose esecuzioni dello stesso, ottenute in ambito sinfonico.
      Tra i ricordi piu’ belli della mia vita a teatro ci sono lo Stravinsky della “Sagra” a Milano diretto da Bernstein cosi’ come i concerti di Mozart diretti da Abbado accompagnate Serkin, ma cio’ non toglie che Leonore, Florestan, Rocco e Jaquino, per non parlare dell’iniquo Pizarro, scelti da Leonard Bernstein per le recite milanesi di “Fidelio”, e, l ‘ Amelia, il Riccardo e l’Oscar scelti da Abbado per l’inaugurazione scaligera del 1974 fossero autentiche schifezze vocali, seppur di gran nome( Peraltro piu’ che meritato, in tempi e ruoli diffrenti, almeno nel caso della Gundula Janowitz).
      Ma non e’ che se tu aggiungessi alla lista Boehm, Klemperer o Rattle le cose cambierebbero di molto…
      Sono un melomane come dice la Giulia, e non me ne vergogno, e da melomane parlo.
      Preferiro’ sempre una Sonnambula con una grande Amina ad una Soonambula spledidamente diretta…se poi ci fossero entrambe le opzioni, meglio!
      Tu, pensala come vuoi caro. Ciao

      Per Giulia e Farinelli.

      Lapalissiano che sia io d’accordo su quanto avete scritto.

      • eh, Miguel. Direttori d’orchestra, complici oggi di managers, major del disco e casting managers imbecilli dei teatri che accolgono con compiacenza la schifezza che gli viene ammanita e trovano la forza di protestare solo i non tutelati, mentre davanti a chi ha lespalle protette si inchinano. non c’è altra verità nel presente, solo delle bacchette puttane del sistema per il prorpio personale tornaconto. Il canto non gli interessa, e cmq non esitano un secondo a sacrificarlo se gli torna utile.Perciò non se ne esce.

        • Mi spiace, ma è proprio questo che relega l’opera a genere di serie B. E i maggiori colpevoli sono proprio i cantanti (spesso musicalmente analfabeti) che si limitano a “fare i divi” mancando di dialogare col direttore e accontentandosi di due cose: fare quel che vogliono a prescindere dal senso musicale, o svolgere il compitino. Un pianista si pone alla pari del direttore: non pretende che si limiti ad accompagnare o a battere la solfa così come non accetta di essere l’ultima ruota del carro. Fino a che i cantanti (e certo pubblico) si accontentano del mero aspetto circense e si rifiutano di considerarsi musicisti allora si scontreranno sempre con personalità più grandi di loro. Io una Sonnambula mal diretta non la ascolto esattamente come una Sonnambula cantata da cani. Anche perché se il difetto è nel manico non gira nulla: a patto di non considerare l’opera un concerto per primadonna e battisolfa.

          • trovo la risposta figlia di un pensare per luoghi comuni. banalità da letteratura paraidealista quella che ritiene la musica lirica di serie b rispetto alla concertistica. i cantanti no pretendono che il direttore sia l’ultima ruota del carro….ti pare che la callas pretendesse questo? che la sills o la horne abbiano chiesto questo a schippers?
            mi pare solo che la mancanza di cuyltura del canto, capire che l’uomo non è una macchina e che le capacità vocali sono da individuare cantante per cantante sia compentenza, realismo e parte integrante del mestiere del direttore. oggi i difrettori non amano l’opera, la usano per fare carriera, non sanno distinguere un cane da una star, staccano tempi inadeguati ai cantanti che hanno.
            imparino da MItroupuolos, che mi pare fosse autorevole ed autoritario con i cantnati: 4 Tosche, 4 direzioni diverse, e tutte bellissime. Potremmo enumerare le serate inficiate dalle velleità dei Maazel, del Muti, degli Oren, come dei Luisotti nel organizzare buchi che cominciano in buca e in sala prova ancora prima che sul palco. Ma se vogliamo continuare a dire frescacce sul canto, avanti pure. tanto l’opera ormai è finita ( anche grazie a loro), e non cambia niente.

  2. È questione di rispetto e di competenza . Es. Quella che ci ha propinato il maestro Muti ( con la presunzione di essere il vero Salvatore e purificatore dell’opera) e ‘ sempre stata una falsa filologia ( la prova ? Cabalette eseguite con il daccapo non variato ad es.) servita solo a frenare le doti vocali e la fantasia dei cantanti. Basta ascoltare le registrazioni EMI di Traviata e Puritani .Avere a disposizione uno dei più grandi fraseggiatori di tutti i tempi ( Kraus ) e costringerlo ad essere un metronomo umano la dice lunga . Ascoltare Kraus nelle stesse parti accompagnato da bacchette sensibili fa riflettere .

  3. Caro Farinelli, il segno si “corona” non è da interpretare sempre come libertà di ficcare nel tessuto musicale qualsiasi fesseria acrobatica. Un conto è Rossini (dove variazioni e cadenze sono indispensabili, purché guidate da conoscenza di stile e buon gusto, oppure – e sarebbe sempre meglio – utilizzando quelle scritte dall’autore), altra cosa è Bellini e Donizetti, altra cosa ancora è Verdi, dove lo spazio di acrobazie assortite è assai limitato (le cadenze sono ridotte e sono scritte, le cabalette con da capo sono un ossequio alla forma, ma vanno variate con parsimonia, magari concentrandosi su altri aspetti che non le “notine”). Diversissimo, poi, il caso di Mozart dove variazioni e cadenze dovrebbero essere perlopiù bandite, dato che già ci ha pensato l’autore (che espressamente scrive che se avesse voluto una determinata ornamentazione l’avrebbe messa sul pentagramma).

    • Su dai, Duprez. Basta con questa idiozia del “se le avesse volute, le avrebbe scritte” per compositori ante Rossini. Sai benissimo che così non è perché prima gli ornamenti erano un comune linguaggio che i cantanti sapevano usare, sapendo dove metterle e come!
      Gli studi su Mozart in questa materia stanno andando sempre più avanti e se per esempio abbiamo pagine autografe delle variazioni che Marchesi faceva (ps non scritte da Mozart, ma scritte ed eseguite dal Marchesi!), si sta riscoprendo anche un codice di variazioni generali per Mozart, dove ovviamente ce n’è bisogno e come dici tu, se usate con misura, gusto e stile!!!

      • L’idiozia, mi spiace, non l’ho scritta io. Mozart non è da trattare alla stregua di Handel o Rossini. Che poi alcuni cantanti abbiano variato ovunque, magari in pieno ‘800, vabbé…chissenefrega. Restano svariate lettere di Mozart in cui si lamenta di alcuni interpreti che aggiungono variazioni e cadenze perché se avesse voluto variare l’avrebbe fatto lui. Mozart appartiene ad un diverso stile di scrittura operistica, basterebbe aprire una partitura e vedere come non esistono “da capo” riconducibili alle convenzioni italiane da Idomeneo in poi. Peraltro l’ambiente in cui lavora – operisticamente parlando – è quello del neoclassicismo e della riforma gluckiana (dove interventi dei cantanti sono banditi, a meno di fare come i baroccari che inseriscono variazioni anche in Orfeo ed Euridice). Certo non dubito che qualche ignorante primadonna con la complicità di direttori dello stesso livello abbia voluto inserire acuti e roulades anche contro una scrittura musicale già perfetta e equilibrata, ma francamente mi chiedo che valore possa avere (se non meramente documentaristico).

        • Caro Duprez, in generale apprezzo i tuoi commenti per competenza e moderazione, ma in questo caso la tua contestualizzazione dell’ornamentazione mozartiana non mi sembra centrata: è un po’ semplicistico ascrivere Mozart tout court all’ambiente della riforma gluckiana (dalla quale fu ovviamente influenzato, soprtattutto nell’Idomeneo), e la graduale diradazione dei “da capo” e “dal segno” è elemento comune a tutta l’opera italiana dagli anni ’70 del Settecento in poi. Ti pregherei comunque ti precisare in quali lettere Mozart avrebbe detto quelle cose sull’ornamentazione e in quali termini esattamente. A me questo proprio non risulta, ma sarei lieto di venire a conoscenza di una testimonianza così interessante.

        • Duprez io non sarei così assolutista nel bandire le variazioni in Mozart, almeno nell’opera seria. Le variazioni, se non esagerate e di cattivo gusto (vedi Jacobs), si possono inserire – se pur con moderazione e attenzione – almeno nell’Idomeneo e nella Clemenza (il rondò di Sesto è scritto spudoratamente per essere variato, c’è poco da fare). Diverso l’opera comica, variare nelle Nozze o nella Zauberflote è ridicolo.

          • però qualche puntatura ed accomodo nella seconda aria della regina della notte è documentata e non credo sia così deleteria. non credo si possa addurre come scusa che si tratti di un singspiel perchè nel ratto ci sono fior di accomodi autografi ed autentici

          • No Domenico: non confondiamo quello che è stato combinato da alcuni cantanti (in riprese estranee per luogo e tempi all’originale mozartiano) da quanto è coerente con una scrittura già perfettamente costruita intorno a equilibri che vengono inevitabilmente scombinati con aggiunte o modifiche. Nel Ratto e nel Flauto non ci sono accomodi d’autore (ancora: il termine puntature non indica “acuti”). Esistono varianti in alcuni brani (penso a “Marten aller arten”) dove l’autore si limita a consentire alcuni tagli, ma questo avvalora la tesi che se Mozart voleva qualcosa lo scriveva in partitura. L’orrendo acuto, invece, che certe bolse primedonne aggiungono alla fine dell’aria della Regina della Notte è, invece, sintomo di quell’idiozia divistica che pur di sparare cartucce inutili, manda a farsi benedire equilibri musicali delicatissimi (spesso poi queste ignoranti dive capricciose aggiungevano l’acutazzo orrendo e non sapevano eseguire i gruppetti nel vocalizzo, ridotti a semplici trilli)

      • volevo scrivere le stesse precisazioni di Duprez a Farinelli poi visto che quest’ultimo é ultimamente in “estasi da post”, cioé quella che i pediatri chiamano comunemente “postite acuta”, ho pensato di lasciar perdere e non inflazionare il blog con i miei interventi. Comunque condivido in toto quanto scritto da Gilbert e aggiungo che il Bellini di Muti (Puritani, Norma e Capuleti) non sarà sicuramente ancilla vocis ma ha una struttura (quasi una de-struttura anzi) che valorizza le ispirazioni di un musicista eccelso. Mi sono sempre domandato come sarebbe andata avanti la carriera del cigno di Catania. Voi cosa ne pensate?

      • I documenti dimostrano anzi che avanzando verso la fine del secolo l’ornamentazione divenne sempre più ricca (e spesso abusata per mero protagonismo circense). A parte Marchesi che era un MOSTRO (le sue variazioni lasciano senza fiato, semplicemente sbalorditive, altro che Farinelli), anche la prassi di altri castrati dell’epoca lo dimostra. Certo questo non vuol dire che ciò possa giustificare le buffonate baroccare di Cecilia & Co., ma nemmeno il purismo e la fedeltà assoluta e fideistica alla lettera del compositore è altrettanto arbitrario.

          • Appunto, Megacle. Come si è detto, negli ultimi anni sono usciti diversi studi sull’ornamentazione mozartiana, e se Mozart avesse effettivamente scritto affermazioni così “pesanti” come quelle citate da Duprez, senza dubbio sarebbero state tenute nel debito conto. Ma Duprez ricorda male, e in realtà nelle sue lettere Mozart dice cose di tenore opposto: a proposito dell’Idomeneo (proprio l’opera più “gluckiana”) lamenta che il castrato Dal Prato non sia nemmeno in grado di improvvisare un “Eingang” (la cadenza che conduce alla riesposizione del tema). Altrove ha parole di elogio proprio per Marchesi , che era il più esuberante degli ornamentatori, e a cui per un momento parve che sarebbe potuta toccare la parte di Sesto nella Clemenza…
            Fra l’altro negli anni ’80 lo stile vocale ricco di variazioni di Marchesi andava per la maggiore a Vienna (che pure era stata la patria della riforma gluckiana!) e la Storace, “intima” di Mozart, era proprio nota per essere una perfetta imitatrice dello stile di Marchesi… Che poi la scrittura di Mozart sia spesso di una complessità tale da inibire la possibilità di ornamentazioni troppo radicali è indubbio, ma insomma il contesto culturale era quello, e quindi sull’argomento bisogna andarci cauti con le affermazioni troppo decise…

  4. infatti caro Gilbert io non mi riferivo alla scrittura verdiana ma a quella belliniana ( infatti ho parlato dei puritani ) dove il segno di corona si puo’ interpretare inserendo anche solo un gruppetto e non necessariamente un acrobazia . sono d’accordo sul fatto che le caballette in Verdi debbano essere variate con parsimonia ma assolutamente variate .

  5. Verdi fu un amante e sostenitore assoluto del Belcanto, sarà bene ribadirlo: non mancò da studente le grandi prime scaligere, si entusiasmò per i trionfi canori di questa o di quell’altra virtuosa, visse in un’epoca in cui il successo di un autore dipendeva dalla messa in luce vocale e interpretativa dei solisti, fosse il soprano o il baritono, il tenore o persino il basso. In occasione di una ripresa di Ernani pregò l’amico Donizetti di inserire variazioni e puntature (i famosi acuti aggiunti al termine di una cabaletta o nel corso di una grande aria) per tutti i cantanti. Prassi normalissima che giustifica quindi i da capo .

    • Questo non corrisponde al vero Farinelli. Verdi amò il belcanto come tutti i compositori della sua epoca perché quella era l’unico genere musicale che imperava in Italia. Non facciamo dietrologie. Amava quel che poteva conoscere. E ti invito a leggere quanto riferì all’amico Muzio in occasione dei Masnadieri londinesi dove deprecava la smania “fiorettatrice” della Lind, definendola roba che poteva andar bene nel secolo precedente.
      Del tutto falsa la questione Ernani e sbagliatissima la tua definizione di “puntatura”. Donizetti si ritrovò a dirigere una rappresentazione di Ernani e il giovane Verdi “autorizzò” il più celebre collega di preparare l’opera con le puntature necessarie ai cantanti di cui disponeva. La puntatura – già ne abbiamo parlato – NON è l’acuto aggiunto, ma va intesa in senso “sartoriale” ossia di aggiusto e quindi anche semplificazione, abbassamento di un acuto etc… Il termine trae in inganno perché richiama qualcosa di appuntito, di acuto. Non è così. E non lo dico solo io, ma si legge in un qualsiasi manuale di teoria musicale. Nell’800 soprattutto, puntatura significa, aggiustamento. Per intenderci, l’abbassamento di “credeasi misera” e quindi l’omissione del FA sopracuto, è una puntatura, fatta proprio per evitare la nota acuta.

  6. Forse non riesco a farmi capire. Non ho assolutamente parlato ne di acrobazie vocali fuori luogo ne tantomeno di puntature ( verissima la tua osservazione ) ma solo del rispetto che certe bacchette dovrebbero avere nel confronto dei cantanti. Infatti ho citato Kraus il quale ti assicuro conosceva la prassi esecutiva di Bellini molto meglio di direttori maniaci di protagonismo

  7. Caro Duprez considerando la competenza , la precisione e non ultima l’ educazione che contraddistinguono i tuoi interventi mi pare strano che tu non abbia capito lo spirito della mia considerazione. Ritengo una cosa fondamentale per l’opera l’armonia che si deve creare tra canto e orchestra . Scusami ma non è sempre così . Ciao

    • Infatti il problema di questa discussione, già prcorsa in pubblico e in privato con Duprez, è la mancanza di realismo, ossia il continuare a parlare per queste figure comuni, il divo cantante, la cantante che fa chicchirichi, il direttore feedle al testo, senza le dovute contestualizzazioni ed esemplificazioni. parlare in questi termini non avvicina, anzi distanzia, perchè poi, al momento dell’analisi del singolo casol le differenze di opinione tendono a sparire. che il cantante si imponga sul direttore oggi è forse vero per due, tre cantanti. gli altri vivono in uno stato di vassallaggio completo alle bacchette, mangari pure loro inferiori come capacità professionali, e aquell’altro mostro della lirica che è diventato il regista. altre volte abbiamo avuto modo di vedere come la gesamtkunswerk lirica sia oggi sbilanciata come mai veroso le componenti sceniche e direttoriali, mentre quelle vocali sono anche accessorie ( infatti si canta generalmente molto male).
      detto ciò, o passiamo agli esempi, oppure possiamo cessare la diatriba che, in questi termini, è meramente oziosa, e non va oltre l’esercizio dialettico.
      ripartirei dall’esempio preclaro fatto da fleta, il fidelio di bernestein alla scala, prototipo della grande direzione con pessimi cantanti. a duprez quel fidelio piace o no? a me non piacerebbe e non ho sentito anima viva raccontare di una serata divertente e musicalmente appagante

  8. Per Giulia .
    .Ahhhhhhhhahahah, Il nostro Duprez ti ha gia’ risposto.
    Pensa quando fra una trentina d’anni qualcuno ti chiedera’ dei resoconti su alcuni spettacoli storici che tu hai visto in questi anni….
    Mi piacerebbe campare sino a quel momento anche solo per vedere la risposta che gli darai…ahahahahah, Buona Pasqua.

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