Demetrio e Polibio a Napoli

Il teatro di corte di Palazzo Reale a Napoli ha ospitato questa ripresa del Demetrio e Polibio di Rossini, opera prima e precoce del genio di Pesaro. Le vicende della composizione di questa operina, che poi tanto operina non è, ve le narrò a suo tempo il nostro Duprez e dunque vi rimando al suo post.
Dirò soltanto che l’idea che regge, si fa per dire, la produzione allestita da D. Livermore, i fantasmi dei vari membri della famiglia Mombelli che si aggirano negli spazi di servizio di un teatro e che reincarnano la vicenda ellenistica del re seleucide DemetrioEumene, convince poco o nulla. Da un lato anche per chi conosce l’opera ciò che si svolge sulla scena resta poco comprensibile, caricato di trovate il più delle volte insignificanti o riuscite in parte, dall’altro perché Livermore non riesce mai a farsi perdonare la banalità ed il riciclo delle idee, come i doppi muti dei protagonisti in scena quando i rispettivi personaggi non cantano e sono fuori o a lato dell’azione, le presenza delle comparse che mimano il lavoro del personale tecnico, i pompieri con i fari che cercano i fantasmi etc.., tutte cose viste e straviste fino alla noia, che in questo caso riescono solo a comunicare un senso di non-riuscito allo spettacolo. Tutto è pretestuoso, artificiale e forzato, mentre il soggetto, con l’arcaismo del libretto che riecheggia i soggetti classici dell’appena trascorsa epopea barocca e a cui la Mombelli librettista rende il suo privato omaggio di dilettante, perde il significato originario. Ferdinando Fuga, poi, dà il suo contributo definitivo a smontare il lavoro di Livermore, perché il salone a doppio cubo in cui è collocato, la balaustra e le belle statue che occupano le nicchie perimetrali, gli stucchi dal disegno raffinato costituiscono una cornice architettonica che annienta la produzione di Livermore, e ce la fanno sembrare un corpo estraneo, ingenuo e velleitario, in un contesto visivo e sonoro con cui non può relazionarsi. Il mestiere, l’inventiva, la maturità che questo Gioachino bambino sa infondere al suo Demetrio destano, infatti, meraviglia: il musicista è già tutto lì, i motivi del Tancredi che verrà di lì a qualche anno a consacrarlo tra i più grandi di sempre sono già nell’aria, eppure la scena non partecipa di questo miracolo di precocità e lievità sonora. Anche Gioachino conosce bene l’arte del suo tempo, come i Mombelli conoscono il sistema delle convenzioni drammaturgiche che governano la costruzione del libretto d’opera, lo snodarsi dell’azione, i modi di introdurre i vari personaggi e di contrapporli nei duetti etc. Per la protagonista Mombelli – Lisinga il piccolo Rossini scrive un parte mozartiana di soprano assoluto, dal puro strumentalismo vocale, dove il canto acrobatico si unisce a quello lirico, patetico della scrittura spianata. Lisinga ha trovato qui l’interprete ideale nella voce di Jessica Pratt, che quando è chiamata al canto strumentale e suonato dà il massimo di sé e su questo terreno non ha rivali. Impressionante la scena virtuosistica dell’atto primo, “Sempre teco ognor contenta”per slancio e mordente, come pure la grande scena finale al secondo atto, ma stupende anche le espressioni patetiche mostrate, ad esempio, il tutto il finale primo ,per l’esercizio del fiato nelle note tenute, o il duetto atto primo Lisinga-Demetrio Siveno. Insomma, una belcantista vera nel senso stretto della parola, che dovrebbe trovare il giusto spazio nel Mozart strumentale di Mitridate, del Silla, di Ratto al Serraglio, nelle arie da concerto, oppure nelle mostruose scritture del tardo barocco di Jommelli, Anfossi etc…
Il ruolo di Demetrio Eumene è stato sostenuto, come già a Pesaro, dal tenore cinese Yijie Shi che, personalmente, non mi piace per nulla. Spinge costantemente una voce non bella, nasale, che non sa girare all’acuto, a cui ricorre raramente anche negli abbellimenti, e che modula sul piano in qualche occasione scimmiottando malamente Florez. Non vi sono colori o accenti nel canto di questo tenore, i cui personaggi restano impersonali, mentre la voce alla lunga stanca e infastidisce. La parte sarebbe importante ed articolata, ma tutto passa via senza farsi ascoltare nonostante i suoi visibili sforzi. Un po’ meglio Victoria Yarovaya, che ha una voce di certo non grande ma più piacevole a sentirsi. Tratteggia un Demetrio Siveno garbato, giovanile e per nulla volgare. Certo, una tecnica di canto più solida le permetterebbe di mettere la voce a fuoco, guadagnandone in incisività nella vocalizzazione e in acuto. I mali esempi correnti oggi si sono sentiti tutti con molta chiarezza, lascio a voi il gioco di riconoscerli nel breve estratto riportato qui sotto. Polibio era Dario Russo, pure lui omologato all’andazzo corrente. Avrebbe anche una voce di buona qualità, ma l’emissione è molto ingolata e tutto va di conseguenza a delineare un risultato finale senza infamia e senza lode. Sul podio il maestro Alessandro De Marchi, di curriculum barocchista se non vado errato. Accompagnamenti abbastanza meccanici, imprecisioni sparse tra buca e palco, il coro in particolare, mai l’esecuzione di una cadenza. Abbiamo sentito di molto peggio, ma anche di meglio: un tocco di fantasia e poesia in più avrebbero allietato tutti quanti e forse conferito una cifra più alta ad una produzione che finirà archiviata in cambusa, come ogni cosa oggi.
Spettacoli che non sbocciano fino in fondo, che stentano a restare nella mente ( l’exploit del soprano australiano è la sola cosa destinata ad essere trattenuta dalla memoria), produzioni che come si vedono si scordano, perché credo che davvero nessuno pensi o intenda fare dell’arte o abbia qualcosa di vero e personale da dire. Anche le prove solistiche, parlo in generale oltre questo Demetrio, finiscono sempre annacquate e diluite in un minestrone generale di banalità, pressapochismi, velleità cui non si è in grado di dar forma, vuoto di idee e personalità, che rende l’andare a teatro un’esperienza ruotinaria e banale, come andare a fare la spesa o prendere il tram. Tutto passa e nulla resta, in piena contraddizione con la natura stessa del teatro. Non so se e quanto di questo ci si renda conto e quali deduzioni ognuno di noi ne tragga, ma è certo che di questi tempi è assai pericoloso, non credete?

 

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9 pensieri su “Demetrio e Polibio a Napoli

  1. Appena di ritorno dalla mia terza recita (con secondo soprano, purtroppo…). Sicuramente con questo spettacolo si è persa la grande occasione di fare una produzione di riferimento di un’opera meritevolissima, lo si poteva fare soprattutto per la presenza di una superba Lisinga, ma il resto del cast non è stato all’altezza di una tale ambizione – anche se nel complesso delle recite non mi è sembrato malvagio. D’accordo per l’impegno profuso dal tenore, ma soprattutto per il suo timbro davvero sgraziato che sugli acuti rischiava costantemente l’“effetto Al Bano”, nobile e suadente invece il timbro del basso, ma anche lui ingolato come tanti (meglio del tenore sicuramente). Entrambe le voci monocorde, fluidità zero nell’emissione e una certa acerbità nella performance. Alla fine, seppur per motivi differenti, tutti e due scolastici così come Siveno, che tuttavia aveva dalla sua un interessante timbro da vero mezzosoprano (il timbro non l’impostazione) che creava una bella disomogeneità con quello del soprano. Ma bastavano i pochi acuti piccoli e brevi eseguiti senza slancio a tradire una sostanziale anonimità (tranne, in una certa misura, per il timbro, come detto).
    La regia aveva il grande pregio di non indugiare in stupri, spaccio di droga e/o onanismi psichiatrici vari, e il regista dava l’impressione di aver studiato anche il libretto (voler creare un effetto comico-esagitato nel celebre quartetto “Donami omai Siveno”, effetto dovuto al fatto che in un primo momento il padre dell’uno tiene in ostaggio il figlio dell’altro, per poi creare sempre nel suddetto quartetto un forte movimento facendo girare i cantanti su una specie di pedana – circostanza assolutamente deleteria per l’emissione delle voci che giungevano, in questo vortice, a intermittenza costringendo i cantanti a voltarsi continuamente – potevano anche risultare intuizioni originali se meglio sviluppate), ma alla fine troppa roba a casaccio: c’era l’“originalissimo” teatro nel teatro, ma anche l’“originalissimo” sdoppiamento delle proiezioni di quelli che in realtà erano già fantasmi… Insomma un’accozzaglia stupidotta, anche se le scene risultavano garbate.
    Concordo con la direzione, che aveva tra le mani un materiale spesso magnifico, che non è stato sfruttato a dovere. Non è stata valorizzata la cifra più propria di quello che sarà tutto Rossini, ovvero la sublime coesistenza di toni lirici, comici e drammatici: la leggerezza estrema che si alterna allo scandaglio introspettivo più profondo.
    Ma il livello dello spettacolo è stato esponenzialmente elevato dalla presenza della Jessica: cosciente di ripetermi, non temo di ribadire che questa è stata una Lisinga perfetta, ideale, suprema. A maggior ragione dopo aver sentito la Petrova stasera: mamma mia, poverina… il confronto è stato atroce, nonostante si possa dire che abbia portato tutto sommato a casa la prova – spianando una serie interminabile di agilità, of course… L’audio postato non rende per niente giustizia, ma davvero: certo il teatrino non è grande, tutti sembravano avere delle voci importanti, ma bastava sentir cantare la Pratt insieme agli altri dallo stesso punto e dalla stessa angolazione per apprezzare qualità, volume e impostazione. I virtuosismi pirotecnici, gli acuti e i sovracuti, tutti squillanti, penetranti e adamantini, sono stati uno spettacolo. Così come l’espressività donata ad alcuni tra i momenti più lirici, come la struggente soavità dello splendido passaggio musicale di “Mi scende nell’alma un dolce sapore”.
    Negli ultimi tempi ho sentito la Pratt dal vivo in Amina, Lucia e Lisinga: più che buona Lucia, sufficiente Amina (tranne “Ah non credea” ecc., eccellente), stratosferica Lisinga, lei sì che è da considerarsi a tutti gli effetti l’attuale Lisinga di riferimento e non solo per COME e per COSA ha cantato, ma perché, come dice giustamente da sempre madame Grisì, nessuna, nessuna potrebbe neanche lontanamente avvicinarsi…

    • guarda dioniso, è vero ciò che scrivi. Alla lucia occcorre un ripasso per trasformarla in un grande lucia, senza alcuni eccessi ed ingenuità che derivano dall’essere il pri o debutto di una giovane che iniziava. Speriamo che per la scala la riveda e ne faccia una parte perfettamente ricalibrata e…..da camtante esperta. Della sonnambula, che le sta poco per tessitura, c’è questo grande finale, ma deve trovare scioltezza e malinconia nella cavtina e nel duetto con elvino. Resta cmq una cantante strumentale, ripeto da mozart acuto, certo barocco, certo rossini. Hai visto che impressione faceva l’altra sera nel suo terreno?….assecondi la sua natura anziche accettare giovanne d’arco del piffero, traviate premature e borge……ha una vita davanti per arrivarci, non ha i 60 anni della devia. Cantare quello in cui si è unici ed eccellenti e non cose in cui si è una delle tante sciacque qualunque di oggi.

      • Sia chiaro, dal vivo a me la Pratt ha oltremodo entusiasmato anche come Lucia e mi è piaciuta anche come Amina, ma volevo dare una misura per far comprendere che specie di miracolo alieno sia stata questa Lisinga, senza dimenticare che l’intelligente scelta del repertorio è il vero discrimine su cui si gioca anche la sua carriera. Perchè Rigoletto se puoi cantare Ciro in Babilonia? Naturalmente lo dico pur conoscendo la frequenza dei due titoli nei teatri… ma solo per far capire che nel caso di Lisinga si può parlare di una cosa che semplicemente non esiste nel sistema di oggi: LA PERFEZIONE DELL’ECCELLENZA. Quindi Giovanna D’Arco sembra anche a me un azzardo (MOLTO più di Gilda), e sia per Traviata che per Lucrezia (soprattutto per la prima) anch’io penso che sia presto.
        Poi, se vogliamo parlare di sogni proibiti per il futuro, per me ci sono sempre Semiramide e Cleopatra, oltre a una già da voi invocata, questa sì che si può fare al più presto, Konstanze (a cui spetta una delle arie più sconvolgenti della storia della musica, Traurigkeit ward mir zum Lose).

        • perchè scritturare un cantante in ruoli dove può solo cantare e non fargli cantare quelli in cui può essere eccezionale? Sai perchè dioniso? Perchè è tuttaagente che non sa cosa fa, chi chiama e su cosa li mette a cantare. Persone che qlcsa di eccellente non lo hanno mai sentito oppure non hanno i mezzi per distinguere la normalità dall’unicità. Sto teatro che non sa di niente, dove tutto passa, tutto scorre senza lasciare traccia è peggio di quello che organizza grandi fiaschi. Oggi andiamo a teatro senza sentire nulla, inodore incolore e insapore. E a questo andazzo hanno costretto anche cantanti come la devia etc….dunque costringerando anche la lisinga dei canguri

  2. Ciao a tutti.
    Mi presento (per modo di dire): disgustato dalla maggior parte della sedicente critica (altamente incompetente e spocchiosa, dico io) operante su riviste e siti o blog vari, chiedo asilo presso Madame Grisi, della quale pur spesso non ho condiviso pareri e giudizi, ma che si avvicina ben più di altri al mio modo di pensare e valutare l’Arte del Canto.
    Non nascondo di essermi occupato in passato e di occuparmi attualmente (ma molto saltuariamente) di recensioni, seppur con piglio e prospettive assai diverse dal diffuso lassismo che permea il vomitevole “politically correct”.
    Il mio atteggiamento critico ha due assiomi imprescindibili: dire o scrivere sempre ciò che penso senza “addolcire la pillola”, evitando però l’offesa tout court. L’altra faccia della mia medaglia consiste però nel “salvare il salvabile”, cercando sempre un pezzetto di cuore all’interno del mio vogoroso petto. Se mi accetterete, prevedo molte discussioni accese ma anche qualche soddisfacente condivisione di opinioni. A voi…

    • mi fa specie l’uso di un nickname di un’altra persona attiva sia qui che altrove. E mi lascia perplessa. Come pure la lettera di proclama introduttivo. Se vuoi scrivere, fallo, esattamente come gli altri. Per il resto, forse ho capito male ma…..noi non cerchiamo nessuno, nè raduniamo. Chi sente di dovere e volere dire la sua lo fa e basta. Senza forzature o strombazzamenti

  3. caro alberto emme secondo te in un sito come il corriere della grisi qualcuno potrebbe apprezzare la cucina molecolare o destrutturata. Questo è il posto del carrello di bolliti o di arrosti…….

  4. si qui hai ragione…ora sono all elba e ieri prima d partire cosa ho ordinato? bollito…ma non basta ho convinto (con le buone) anche un mio amico a papparselo prima d lasciare le serenissima per il gran ducato

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