GIULIO CRIMI: Zazà “O mio piccolo tavolo”

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Giulio Crimi era siciliano di Paternò. Fra il 1875 ed il 1895 nacquero in Sicilia splendide voci di tenore Crimi, appunto, Lo Giudice e qualche anno prima Anselmi. Anzi Lo Giudice e Crimi erano entrambi di Paternò.  Tutti indistintamente ( e vale anche per cantanti di epoche successive o baritoni come Mariano Stabile, palermitano) vantavano una dizione chiara e scolpita. E se Anselmi fu il tenore di grazia per eccellenza Lo Giudice e Crimi, per contro, due fieri divulgatori del repertorio verista, con la differenza che Lo Giudice, come è facile capire dall’ascolto era autentico tenore spinto, mentre Crimi forzò e sacrificò al verismo ed alla  declamazione un’organizzazione vocale importante e rilevante, ma  che era nata per il melodramma ottocentesco. Crimi fu la prima “vittima” di Caruso e del desiderio di tutti i tenori di cantare secondo lo stile nuovo con la voce opulenta e turgida nei centri quale sinonimo di canto sensuale ed amoroso. Il tutto a scapito degli acuti e della durata della carriera (a meno che non si fosse dei fenomeni come Giovanni Martinelli). Per altro la carriera di Giulio Crimi fu sfolgorante perché dopo il debutto nel 1911 nel 1914 era già al Covent Garden e nello stesso anno a Torino primo interprete della Francesca da Rimini. Siccome nel 1913 aveva eseguito la Battaglia di Legnano con Rosa Raisa sotto la giuda di Cleofonte Campanini  approdò prestissimo negli Stati Uniti a Chicago, teatro diretto da Campanini e vi rimase a lungo. Intensa anche se limitata nel tempo (dal 1918 al 1921) la presenza al Metropolitan dove l’impressione fu immediatamente favorevole e Crimi, addirittura, cantò nella prima del Trittico sia come Luigi di Tabarro che come Rinuccio dello Schicci con ciò dimostrando una grande duttilità, oggi sconosciuta. Qualità che non può che derivare da una solida professionalità, che gli consentì di affrontare parti di Verdi, Donizetti (Edgardo), oltre che il repertorio verista al quale, appunto sacrificò le qualità vocali. Lo proponiamo nella Zazà (cantata fra l’altro al Met con la Mizio che del titoo era deputata specialista) dove appare evidente che la tessitura marcatamente centrale e discorsiva stanca il cantante. Oltre ad una fine repentina di carriera Crimi ebbe la sfortuna di registrare molte facciate per la Vocalion i cui metodi di registrazione risultano scadenti, come documenta l’arioso di Canio del 1921, tanto che le migliori registrazioni risultano essere il duetto di Aida ed il Miserere con la inarrivabile Rosa Raisa.

24 pensieri su “GIULIO CRIMI: Zazà “O mio piccolo tavolo”

  1. Non direi fenomenale la durata di carriera di Martinelli, anche perchè, come ce lo tramandano le incisioni, risulta sempre fisso e intubato nel registro di testa, meno nelle incisioni acustiche, ma molto nei famosi Victor degli anni 1925/29. Per non parlare poi dei broadcast dal Met del ’37-’43, in cui la sua voce risulta sempre più fissa. D’altra parte, quando riapparve in Italia a Roma nel ’29, sembrò già in accentuato declino. Certo, ebbe successo straordinario negli USA e probabilmente, il trono di Caruso, lo occupò lui. Cosa inspiegabile a pensarci, essendo presenti al Met negli anni ’20 gente tipo Lauri Volpi, Gigli e Crimi. Il quale aveva un’organizzazione vocale – almeno stando ai dischi – superiore a quella di Martinelli : timbro scuro , caldo e morbido, acuti squillanti e facili, stupenda omogeneità tra i registri tanto da creare un perfetto amalgama vocale. Praticamente i requisiti per essere un grande tenore degno d’un grande teatro. Certo, di Caruso prese essenzialmente i connotati del tenore verista, non poteva competere con la completezza vocale e stilistica di Lauri Volpi e del Gigli degli anni 20. La Raisa è stata una diva, sì, ma i suoi dischi sono molto deludenti: nei duetti del Trovatore e dell’Aida ad emerge è il suo partner, Giulio Crimi.

  2. Caro Gianluigi,io stavolta sono d’accordo con Celletti, la cosa che meno mi piace di Crimi e’ la “zona ” centrale” che mi sembra artefatta alla Caruso, il timbro poi, non mi sembra scuro , senti l’incipit dolcissimo di quanto postato da Donzelli,magnifica invece l’omogeneita’ tra i registri, facile il passaggio. Ti chiedo: in alcuni testi Crimi viene definito tenore lirico-drammatico, manon ti sembra che in realta’ sia un tenore lirico?,mannaggia al verismo !!1

  3. Il tipo vocale cui Crimi appartiene si può identificare nel genere lirico-drammatico, ma il fatto è che era in possesso di una voce veramente completa, quindi in grado di eseguire la maggior parte del repertorio tenorile, almeno stando a ciò che la sola organizzazione vocale gli avrebbe consentito di fare. Lo stile e la tecnica sono tutt’altro discorso. Caruso è nato come tenore lirico/di grazia, nel corso della carriera s’è tramutato in drammatico, continuando però ad eseguire l’Elisir, Rigoletto e Manon. Fleta, altra voce eccezionale e completa, eseguiva Pagliacci e Manon contemporaneamente. Crimi, voce certo non così eccezionale come le sopracitate, ma sempre omogenea e completa, se non avesse avuto limiti di stile e di gusto verista, sarebbe assurto a vette eccezionali, sicuramente. Raggiunse la celebrità, ma non fu mai tra gli Dei del Gotha tenorile degli anni ’10 e ’20. Il Martinelli del primo decennio al Met, dal 1913 al 1924, oltre a riprendere molte inflessioni carusiane nel timbro, poteva apparire come un tenore veramente completo, vocalmente e stilisticamente, spaziando tra Verdi e i tardoromantico/veristi con grande disinvoltura, senza contaminazioni e con purezza di stile. D’altronde i suoi dischi acustici,sì, denotano acuti alquanto fissi, ma la nobiltà e il contegno dell’interprete sono notevoli,e certo emblematici d’un tenore romantico.
    A Crimi probabilmente mancò questa versatilità stilistica, pur vantando un materiale eccezionale e forse superiore a quello di Martinelli. Il problema è vecchio: si può eseguire il verismo con stile e tecnica romantica, non si può cantare il repertorio romantico con gusto verista. Gli esempi sono molteplici.

  4. dati e date alla mano la carriera di Martinelli e la sua resistenza fisica furono davvero eccezionali. Trent’anni di Met con un repertorio onerosissimo sono e rimangono eccezionali anche se il cantante si deteriorò nell’imitazione della voce baritonaleggiante e scura di Caruso. Lauri Volpi, more solito quando parla di Martinelli sprizza invidia da tutti i pori della pelle, ma ci “azzecca”. Va, però, detto che il primo Martinelli ossia quello sino al 1923 (anno del Tell al Met) era un cantante straordinario per dote naturale e possibilità, però sempre molto piatto come interprete (vedi ad esempio cavatina di Ernani). Non era un cantante da verismo (mentre lo era Pertile e soprattutto De Muro e Merli) perché la voce al centro non era quello spettacolo che era nella zona acuta. Lo divenne, pagando pegno ossia suoni tubati e fissi. Poi potevano esserci anche momenti eccellenti nelle varie registrazioni live come accade nella Norma o nell’Ebrea del 1936 (certo quel poco che c’è del 1926 è ben altro). Quanto a Crimi, che si ritirò all’improvviso nel 1927 dopo una Francesca da Rimini genovese è un cantante composto e che non cade in eccessi di gusto del peggior verismo (quello che si imputa a Bassi o a Schiavazzi per intenderci, pure loro tenori non da verismo in natura) che non è verismo, ma parodia del canto, ma si capisce bene che il limite poteva essere la manon di puccini o la tosca e non già gli isabeau, piccolo marat etc eretti a sistema. A parte lascio Paolo il bello perché la parte non è affatto lunga e tale da non affaticare la voce più di tanto; Francesca è un titolo dove, se devono urlare, lo fanno la protagonista con moderazione e gli altri fratelli Malatesta, ma non paolo. Quanto ai duetti con la Raisa concordo e, credo, di averlo detto che la cantante venne, in raffronto a quel che si legge nelle cronache del tempo, registrata molto male, ma invito ad ascoltare nel duetto finale di Aida la precisione di esecuzione degli staccati. Nessun soprano, tanto meno la Rosa del Met (meglio registrata e dal timbro sontuoso) sanno fare di meglio.

  5. Dati alla mano sì, quindi come faccio a dire che Martinelli ebbe una grande resistenza fisica tanto da consentirgli una lunga carriera, se poi già intorno al 1925, a soli quarant’anni, dimostrò i primi segni di declino, palesi anche nei suoi dischi Victor di quel periodo, e apparendo poi a Roma nel 1929 sempre più declinante? Declino poi apparentemente superato scrisse qualcuno qualche anno dopo, sta di fatto che lo smalto e la vibrazione della voce originaria non c’erano più già dal 1925, e dopo soli 15 anni di carriera. Eccezionale resistenza fisica la intendo come capacità di conservare al meglio e più a lungo la voce. Me ne faccio poco d’un tenore, seppur celebre, che dopo il 15º anno d’attività appare declinante. Certamente fu idolatrato in America, la stessa America che si permise di mandare a casa un tenore tipo Aureliano Pertile nel 1921, dopo una sola stagione. Eccezionale resistenza fisica posso attribuirla a Gigli, che si conservò vocalmente intatto sino al 1949, o anche a Caruso stesso, che morì dopo 26 anni di carriera con la voce intatta. Considerando il Martinelli sino al 1924, mi pare possa proprio essere un cantante anche da repertorio verista: non mi sembra affatto piatto come interprete, e il suo medium, al contrario, mi piace di più rispetto al registro di testa sempre un po’ fisso anche nelle prime registrazioni. Anzi, direi che il contegno e la nobiltà d’espressione del primo Martinelli s’adattano bene al verismo, conferendogli quella morbidezza di linea e di declamazione ch’era stato precipuo appannaggio di Caruso. Quanto alla Ponselle e alla Raisa, il confronto neanche si pone, almeno per me.
    Che esegua bene gli staccati nel finale dell’Aida non mi dice granché, rimane interprete inerte. Il neo della Ponselle è quello d’aver perso la facilità del Do soprattuto dal 1925. Per il resto, oltre alla straordinaria ricchezza di voce, ci fa ascoltare anche il miglior canto d’agilità che un soprano drammatico abbia inciso tra le due guerre ( vedere soprattutto Casta Diva e cabaletta incise per la Columbia).

  6. una chiosa se trovi intatta la voce di caruso corto pesante e duro nelle ultime registrazioni (vedi duetto di elisir con de luca) martinelli è freschissimo ed integro sino al 1949!!!! Quanto ad Aureliano Pertile era ovvio che in America non potesse piacere perché la voce di Pertile non poteva in natura competere con nessuno dei tenori presenti al Met (Gigli, Martinelli, Crimi etc….)
    La Ponselle ed il do erano il diavolo e l’acqua santa perché la cantante come si mettesse la prima ottava ( a differenza di una Rethberg) non lo ha mai saputo. Solo che la natura era stata di tale generosità che…Se lo avesse saputo avrebbe cantato almeno sino al 1950!

  7. concludo neanche per me si pone il confronto raisa ponselle. La Raisa era una cantante, il prodotto più completo della scuola della Marchisio (mica la Toti) la Ponselle una superdotata, piatta come interprete, mediocre sotto il profilo tecnico, ma con una dote inarrivabile. Superiori al lei quanto a dote forse la Cerquetti o la Stignani. Quanto al canto di agilità della Ponselle se sono buoni la cabaletta di Norma e quella di Elvira, nel don Giovanni le venne abbuonato il rondò di donna Anna, che Rethberg, Arangi-Lombardi e Milanov eseguivano correntemente e Maria Muller se la cava molto meglio di lei nelle acrobazie di donna Elvira.

  8. Caruso duro nelle ultime registrazioni? Non modulava quasi più, è chiaro, ma io ci sento in quei dischi ancora morbidezza d’emissione e squillo, tipo nell’aria della Juive incisa nel 1920. Probabilmente abbiamo ascoltato cantanti diversi. È sicuro poi che Pertile non potesse competere con Gigli,Lauri Volpi e Crimi in quanto a organizzazione vocale, ma c’era il resto però, e parliamo di un tenore completo malgrado il timbro, quindi non mi pare così scontato che non potesse piacere al Met un tenore di questa eccezionale statura.
    La stroncatura sulla Ponselle, in questo termini, non la condivido proprio. Non la definirei personalità d’interprete d’eccezione, ma nemmeno mediocre. Il suo velluto e morbidezza del medium davano particolare rilievo allo stile patetico, come si evince dal “nume tutelar” inciso nel 1926, in cui la cantante raggiunge un pateticità veramente toccante. Le mancava “il diavolo in corpo”, sì, ma certamente non era un’interprete mediocre. Lasciando stare poi la straordinaria opulenza della voce. Se poi la Ponselle è mediocre interprete, la Stignani è espressiva quanto un esattore delle imposte. Poi, trovi scadente l’aria e cabaletta di Norma della Ponselle? Hai ascoltato la registrazioni acustiche Columbia? Mi lasci assai perplesso. Le agilità di Donna Anna poi non le paragonerei a quelle di Norma e di Elvira. Probabilmente le venne abbuonato il rondò nel 1934, quando era già declinante. Da ultimo, l’Arangi Lombardi la adoro, non certo per le agilità però.

    • eppure pertile non piacque. I gusti del pubblico e della critica erano quelli. Al Met non piacque neppure la Toti e qui gli do ragione. Così litigo con Mancini.
      Quanto alla Ponselle nel “o nume tutelare” hai guardato la zona in cui è scritta l’aria? Quindi ancora solo dote naturale strepitosa.
      Guarda che accade in “tu che invoco” dove la cantante quando appaiono le frasi acuti e tese non è in grado di modulare e smorzare.
      Posso riconoscere solo in Marì Marì la dote di interprete alla Ponselle, ma ti assicuro che in “marechiare” l’agente delle tasse è straordinaria….per accento ed eleganza

  9. il “nume tutelar” è prevalentemente centrale, e parlo dell’incisione elettrica del ’26. Sì, dote naturale straordinaria, che si riverbera anche nell’interpretazione con la pateticità e nobiltà del timbro. Parlavo poi delle incisioni acustiche Columbia che la Ponselle realizzò tra il ’18 e il ’25, quando era intatta. Il Do dell’Aida è raggiunto con morbidezza, così anche il La della chiusa di “cieli azzurri”. Le agiltà della Norma e dell’Ernani sono bellissime poi. Tengo a ribadire che sto parlando della Ponselle delle incisioni acustiche. La Rethberg è splendida cantante, non posso ascoltarla se non che per pochi minuti: se è inespressiva la Ponselle, la Rethberg che com’è?

  10. vedi cantanti come la rethberg, la stignani, la morena, la kurt, declinano il principio “si canta con la voce”, ma la loro voce ed il loro imposto è perfetto o di livello elevatissimo. quando questo manca (basta sentire la zona medio grave della ponselle) il principio non tiene.
    Tutto qua. Quanto al do dei cieli azzurri quello della Ponselle era il degno compare di quello della Tebaldi. Scusa ma guarda quante recite fece la Ponselle di Aida e ti sei mai chiesto perché non cantò mai il ballo?

  11. No, calma un attimo, ti ho citato tre volte l’incisione acustica del 1919 della Ponselle, quando i problemi in zona acuta era quasi impercettibili e quando riusciva a sostenere il Do. Dopo il 1924/25 s’accorciò ulteriormente e riusciva solamente a toccarlo, senza poterlo sostenere. Se mi citi poi il Do dell’Aida della Tebaldi nell’incisione del ’59, posso essere d’accordo. Altra cosa è quello dell’incisione del ’52 o l’altra incisone singola del ’50. C’è una Giovanna d’Arco del ’51 con la Tebaldi in cui canta un Do diesis. E poi la Tebaldi, almeno fino al ’54,assottigliava frequentemente anche negli acuti.

  12. la tebaldi omette in giovanna d’arco la variante al do diesis della cavatina.
    non prendiamoci in giro la ponzelle il do come si facesse non lo ha mai saputo Se guardi le opere che ha cantato di do ben pochi Evitò ballo, cantò aida con il contagocce preferì sin dall’inizio le tessiture centrali di ebrea, cavalleria e chenier, evitò tosca credo per la difficoltà del secondo atto. E se ascolti proprio i primi dischi (trovatore aria quarto atto) ti rendi conta che il difetto stava nel primo passaggio inesistente. E si scassò presto. Se proprio la vuoi tutta il difetto lo aveva, sia pure attenuato, anche la arangi lombardi (vedi disco di gioconda dove in basso fra lei e la stignani si sente chi sappia veramente scendere) solo che poi aggiustava il tiro e arrivava (credo per merito degli studi con la russ) il famoso do dei cieli azzurri e la facilità in alto. Solo che non si scassò come testimoniavano celletti e la gencer che la sentirono ritirata da tempo.
    Poi ti preciso stiamo ascoltando e discutendo di grandissimi e ad un certo punto entra in gioco il gusto personale e l’attenzione e la preferenza per certi dettagli che fanno preferire l’uno all’altro. E sicuramente per parte mia non preferisco la Ponselle che mi dice poco sia per la voce che per l’esecutrice.

    • A dire il vero nella cavatina di Giovanna, la variante è al RE, o meglio al RE arriva il testo principale, la variante (o meglio l'”oppure”), semplifica il passaggio abbassandolo al SI e rivedendo la successiva quartina discendente.

    • Non entro nel merito della Ponselle, cantante che ho ascoltato troppo poco e sulla quale non mi sono ancora formato una opinione tecnica approfondita, ma il discorso che tu fai secondo cui le difficoltà in acuto deriverebbero da un difetto nel passaggio dai gravi ai primi centri, seppur astrattamente possa essere corretto, tuttavia concretamente è poco plausibile. Le cantanti esenti da difetti sul cosiddetto “primo passaggio”, che poi è l’unico vero e proprio cambio di corda nella voce femminile, sono pochissime, troppo poche perché si possa sostenere che un difetto in quella zona della voce finisca matematicamente col compromettere le estreme frange acute: avremmo allora eserciti di soprani che arrancano sugli acuti. Al contrario, numerose sono specialmente nell’ultimo mezzo secolo le cantanti con registri acuti facilissimi e risonanti contrapposti ad una totale imperizia nel posare correttamente la voce in basso e nei primi centri.

      • il fatto è che le cantanti dell’ultimo cinquantennio non si scassavano perché in basso evitavano suoni aperti e privi di appoggio che sono la degenerazione dei suoni di petto corretti. Esempio caballe versus nieto

        • Ma che significa “evitavano suoni aperti e privi di appoggio”? A parte che un suono aperto non è un suono privo di appoggio, e comunque spoggiano eccome, non aprono ma vanno indietro, intubano, ingolano, da mezzo secolo l’organizzazione vocale delle donne in prima ottava è una fiera degli orrori. Sanno usare un solo registro, quello acuto, spesso bello e sano indipendentemente dalla mancata risoluzione dei problemi in basso. Certo nel lungo periodo il difetto può portare a gravi conseguenze in tutti i registri.

          • siccome la pratica vale più della grammatica esemplifico suoni aperti e privi di sostegno li emette la baldassarre tedeschi sostenuti la russ o la galli curci. In tempi recenti il timore di emettere suoni alla baldassarre tedeschi che ti rovinano nelle cantanti migliori ha portato a suoni poco sonori e piuttosto tubati vedi sutherland o callas.

          • Callas che di petto ci dava dentro eccome! Non che sia un difetto d per sé, usare il petto, anzi. Il problema, in verità, è che il tabù del registro di petto ha condotto le cantanti moderne ad emettere suoni in prima ottava del tutto inconsistenti, questi sì davvero privi di appoggio, in quanto la voce non può riempirsi nel medium se non viene esercitata anche la corda di petto. E allora per simulare pienezza e spessore intubano ed ingolano la voce. Meglio la Baldassarre Tedeschi allora!

      • Non è una cantante che mi abbia mai particolarmente interessato, ed infatti non l’ho mai ascoltata molto. Diciamo che non mi ha mai impressionato né in positivo né in negativo. Ma il problema è che pure la Raisa, cantante che invece conosco meglio, sul primo passaggio ed in tutta la prima ottava è spesso tutt’altro che impeccabile, pare un pesce un fuor d’acqua. Anche lei ovviamente è una cantante dotata di mezzi naturali eccezionali, forse non come la Cerquetti o la Stignani, ma mica possiamo fare di questi casi estremi lo standard, al di sotto del quale non si possa più parlare di “bella voce”… Qui poi si discute a proposito di un do. Ormai siamo talmente assuefatti alle vociuzze che corriamo il rischio di considerare il do come una nota da niente, mentre invece per un vero soprano drammatico è una nota al limite. Il do dei cieli azzurri, tanto per fare un esempio, è decisamente brutto anche nell’incisione della Raisa, che pure aveva nel registro acuto la sua arma vincente.

  13. La Tebaldi inserisce un Do diesis non nella cavatina della Giovanna d’Arco, ma in un altro punto dell’opera che non ricordo. Parliamo della Tebaldi del ’51. Appena ho un pò di tempo la riascolto e ti dico dov’è esattamente. Tu mi citi ancora la carriera della Ponselle, è vero che cantò poco Aida, io ti cito ancora le incisoni acustiche Columbia in cui riesce ad arrivare al Do senza forzare. Il resto è chiacchiera. L’Arangi Lombardi scende in basso male e poi aggiusta il tiro arrivando bene al Do? Carina questa!

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