Novità discografiche: Caterina Cornaro (ed. Opera Rara)

cornaro

Se per un inaspettato colpo della sorte, una burla o una circostanza imprevista, sparissero di colpo tutte le testimonianze discografiche di esecuzioni donizettiane e sopravvivessero – da qui ad un centinaio di anni – unicamente le ultime incisioni di Opera Rara, i futuri malcapitati ascoltatori non potrebbero che chiedersi i motivi per cui Donizetti fosse tanto stimato in vita e nel secolo successivo. Si chiederebbero, non senza ragione, come quei clangori da banda, quei rumoracci di piatti e percussioni, quelle marcette impazzite e battute con la clava, quel canto sbraitato quasi a gara per produrre  maggiori decibel dalla canna, quegli sbandamenti nei pezzi d’insieme che insieme non vanno, quella strana lingua in cui si esprimono gli interpreti, potessero, un tempo, suscitare delirio nei pubblici, invidia nei colleghi e onore tra i cantanti. Già perché la nuova nata in casa Opera Rara – la non rarissima Caterina Cornaro – appare all’ascolto, come un brutto incubo di fantascienza: la fantascienza di una volta, dove i mostri sono mostri e gli alieni sono cattivi. In questo caso l’esecuzione sembra provenire proprio da un altro pianeta tanto è aliena non solo al gusto donizettiano e al suo stile, ma al semplice buon gusto, a quella koiné – evidentemente perduta – che sapeva porgere con eleganza, partecipazione e coscienza di sé anche la musica meno ispirata. Caterina Cornaro non è un capolavoro, d’accordo: appartiene all’ultima stagione del compositore bergamasco (fu l’ultima sua opera rappresentata mentre era in vita), quella più sperimentale e problematica, dove Donizetti pare forzare la rigidità delle convenzioni melodrammatiche e la tradizionale scrittura della sua epoca per inconsuete asprezze, ardite sperimentazioni tonali, rivoluzioni strutturali. Non è un capolavoro, dicevo – naturale quando si cercano strade nuove percorrendole al buio – ma contiene molti spunti interessanti (nell’ottica dei futuri sviluppi del linguaggio operistico italiano) e diversi numeri di scrittura sopraffina, tra i maggiori – questo sì – del suo catalogo. Com’è noto la Cornaro fu un fiasco nel 1844 a Napoli, rimediato parzialmente dalla sua riproposizione a Parma l’anno successivo (con un nuovo finale), ma non entrò mai nel repertorio, tanto che dopo il 1845 il titolo sparì sino agli anni ’70 del secolo passato quando ad opera della compianta Leyla Gencer la sfortunata regina di Cipro tornò a calcare le scene (correva l’anno 1972). Da allora l’opera venne riproposta solo da dive con una particolare confidenza col bergamasco: Caballé, Mazzola, Rinaldi. Di tutte o quasi queste incursioni rimangono più che sufficienti testimonianze. L’incisione Opera Rara, dunque, non riempie un vero e proprio vuoto, ma mira a completare un catalogo di opere minori senza troppo scrupolo nel comporre un cast adeguato. Il difetto, come spesso accade con le ultime uscite della casa inglese, risiede innanzitutto nel manico: David Parry è, senza mezzi termini, un disastro. Ho letto una piccata difesa del direttore anglosassone, in cui si stigmatizzava la “moda” – in Italia – di dare addosso al povero Parry. Almeno, dico io! Come si possa ritenere accettabile una direzione il cui orizzonte estetico si ferma al fracasso e alla funzionalità della banda, resta un mistero che solo certi critici da carta(ccia) stampata possono rivelarci. Manca in Parry qualsiasi senso del carattere melodrammatico dell’opera, dell’abbandono lirico, del velo di malinconica mestizia, del patetismo, dell’eroismo d’antan così tipici ed essenziali nell’estetica dell’opera italiana del primo ‘800. Non si cerchino finezze o languori, ma neppure si trova quel minimo di mestiere che persino i peggiori batti solfa di ieri e di oggi dimostrano almeno di avere. Tutto il resto è perfettamente coerente alla direzione. Stupisce innanzitutto come il coro della BBC – che da almeno 20 anni – pratica questo repertorio per conto di Opera Rara (che pure dispone – lo si legge nei credits del cd – di una italian coach nella persona di Maria Cleva) – ancora non riesca a pronunziare decentemente la lingua in cui canta da un paio di decenni, dimostrando di non capire assolutamente nulla del significato di quello che esce dalla bocca. Taccio poi delle dinamiche inesistenti e incentrate unicamente tra il forte e il fortissimo. Ma sarebbe il problema minore in presenza di un cast almeno decente. Così non è. Carmen Giannattasio, ormai incoronata diva di fiducia della casa produttrice anglosassone, replica i “fasti” nefasti della sua Imogene: certo il ruolo qui è più abbordabile, ma i difetti sono i soliti (e pure fu una credibile Ermione). La voce intubata che callasseggia senza ritegno, la dizione farfugliata, la difficoltà nel percorrere la tessitura, l’affanno e i pasticci nella coloratura. Manca quella naturalezza che nel canto spianato di certe frasi liriche è la cifra privilegiata del patetismo in cui si circoscrive il personaggio di Caterina, così come latita in mordente nelle cabalette e nelle strette. Emblematico il finale del tutto sprecato, nonostante la straordinaria bellezza di una pagina come “Pietà o Signor”… Ma le cose non migliora con chi le sta accanto: liquido subito il Mocenigo inaccettabile di Vuyani Mlinde come la controfigura dell’orco cattivo, e il dilettantesco Andrea di Graeme Broadbent, per concentrarmi su Gerardo e Lusignano. Il secondo, Troy Cook, pare totalmente impermeabile al concetto di nobiltà e alla pratica dell’intonazione. Il primo, Colin Lee, è come un topolino che cerca di strozzare un elefante, tanto il ruolo non gli sta per carattere, note e interpretazione. E c’è chi oggi critica ancora Merritt o Ford! Alla fine che dire? Neppure un’occasione sprecata perché dell’occasione non c’era davvero l’esigenza. Piuttosto – visti i prezzi praticati da Opera Rara – si può dire l’occasione fa il ladro. Attendiamo ora l’imminente Belisario.

Gli ascolti:

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Un pensiero su “Novità discografiche: Caterina Cornaro (ed. Opera Rara)

  1. Comincio dal finale: ” Attendiamo ora l’imminente Belisario.”
    No, caro Gilbert, io non attendo un bel niente.
    Da una casa discografica che non sa che cosa sono ” il legato”
    la “messa di voce” il ” crescendo” il ” sostenere il fiato” lo “smorzare” e altre piccole cosette del canto, che cosa dovrei aspettarmi ?
    Come diceva Dante: non ti curar di lor, ma guarda e passa.

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