Claudio Abbado (1933-2014)

claudio-abbadoClaudio Abbado è morto. E’ morto questa mattina. La notizia non coglie certo di sorpresa: da tempo il Maestro era malato e negli ultimi mesi le condizioni di salute – già minate e precarie – lo avevano costretto a cancellare molti dei suoi impegni, sino ad un ritiro di fatto che non lasciava presagire alcun miglioramento. Da anni tuttavia aveva diradato le sue presenze sul podio e aveva ridotto il repertorio ad un numero ristretto di lavori. Lascia una carriera esemplare che l’ha condotto a dirigere le più importanti orchestre del mondo, dagli anni milanesi (con la fondamentale opera di svecchiamento del repertorio scaligero: sinfonico e operistico), alla consacrazione berlinese, passando per Vienna e i progetti delle orchestre giovanili (la Mahler Chamber Orchestra e la Mahler Jugendorchester, oltre all’Orchestra Mozart, ormai destinata allo smantellamento, grazie alle politiche culturali del nostro paese). Figura storica – piaccia o meno – aldilà delle polemiche tra avverse tifoserie, dei pregiudizi, dell’antipatia, del culto di cui è stato oggetto e del gusto personale di ciascuno. Inutile ripercorrerne la parabola artistica: nota a tutti e già oggetto di precedente omaggio in occasione del suo ottantesimo compleanno. Vale tuttavia la pena ricordare alcuni momenti entrati di diritto nella storia dell’interpretazione musicale degli ultimi decenni. Non si può non ricordare il suo Rossini fresco e leggero, venato di malinconia e che diede il vero avvio alla renaissance di un compositore troppo spesso sottovalutato o maltrattato (soprattutto dal punto di vista orchestrale): il suo Barbiere di Siviglia rimane un punto di svolta nell’interpretazione rossiniana. Non si può non ricordare il Verdi degli anni scaligeri, il sodalizio con Strehler, il modo inedito di affrontare le partiture della maturità verdiana (dal Don Carlos allo storico Simone, passando per Macbeth e Ballo in Maschera). E poi Musorgskij, altro grande momento della carriera abbadiana: Boris e soprattutto Chovanščina. Infine Berg. Ma è ovviamente nel repertorio sinfonico che il Maestro ha lasciato i segni maggiori in questi ultimi anni: il generale ripensamento di Beethoven e Mahler, e l’approccio con Bruckner. Non è questo il luogo per parlare di occasioni mancate o di rapporti problematici a taluni repertori (ci sono state altre occasioni per farlo e ce ne saranno altrettante). Pare che i suoi ultimi progetti riguardassero un ritorno a Rossini, quello più amato, quello comico, quello de La pietra di paragone: purtroppo la morte l’ha lasciato incompiuto. Chiudo con due ricordi personali: due concerti di qualche anno fa. Dirigeva in entrambi Beethoven (Eroica e Coriolano nel primo, Pastorale nel secondo) e ricordo l’eleganza del gesto, l’energia sprigionata nonostante la malattia, il respiro con l’orchestra e, soprattutto, la gioia di far musica. Questa, forse, è l’eredità di Abbado: la gioia e la distanza dalla seriosa compostezza di molti suoi colleghi.

Gli ascolti

– Rossini:

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– Verdi:

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– Beethoven:

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– Schubert:

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– Musorgskij:

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– Bruckner:

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– Mahler:

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– Prokof’ev:

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– Berg:

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Strauss

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Stravinsky

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Mozart

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Wagner

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55 pensieri su “Claudio Abbado (1933-2014)

  1. Dal tono di questo ricordo si capisce molto bene che Duprez è giovane. Le cose che ho vissuto io, che non sono poi così lontano dai settanta anni, le vede da una distanza che a me pare siderale. Non può che essere così; ma non nego che mi faccia una certa impressione. Ciò che per me è stato la costruzione di un mondo e di una visione della vita diventa in Duprez l’analisi dell’operato di un grande direttore d’orchestra. E’ il tempo che passa, malinconicamente.

    Marco Ninci

  2. If…..se.
    se il sindaco pisapia chiede a lissner un concerto per abbado made by scala, e se si volesse celebrare un grande maestro in termini extrapersonali, ossia simboleggiando la cultura. Se si volesse concedere ad abbadonquellla musica che lui stesso aveva scelto a settembre per se stesso, ossia il requiem di verdi. Se si volesse andare oltre il personalismo, il culto della personalita’ e si volesse celebrare pubblicamente l uomo di musica con la musica. Se abbado ha davvero incarnato una parte della cultura italiana. Se davvero si volesse andare oltre l immagine commerciale del direttore per simboleggiare una continuita nostra di musica nello spazio musicale piu simbolico di tutto il nostro paese. Se volessimo andare oltre le fazioni politiche e piu ancora quelle musical loggioniste. Se fossimo per una volta all antica e sapessimo ammettere i veri valori in gioco. Allora la scala farebbe un grande gesto a fare dirigere il requiem di verdi a riccardo muti……per dare un senso non solo generico e retorico alla parola cultura. Sarebbe ….andare oltre il nostro solito costume.

  3. Ecco, però il discorso personale non è completamente irrilevante: Muti la rivalità con Abbado l’ha sempre vissuta a 360 gradi, a chi gli stava intorno era noto che la competizione la soffriva di brutto… Fargli dirigere ora il concerto commemorativo mi parrebbe di gusto discutibile, al di là del significato culturale.

      • Ma sì cara giulia, può darsi che tu abbia ragione e io non sia abbastanza oltre, e riconosco che l’idea avrebbe una forte suggestione simbolica: solo non sono certo che il defunto ne sarebbe stato entusiasta. Del resto è anche vero che lui adesso è decisamente “oltre” e, oltre a non poter protestare, guarderebbe forse alla cosa con serafica condiscendenza…
        Comunque anche per me Harding sarebbe stata la scelta migliore, anche per l’interesse con cui Abbado ha sempre guardato alle generazioni più giovani.

        • Non ho detto che TU non sai andare oltre. Dico che BISOGNA andare oltre. Se poi gli avrebbe fatto piacere o meno essere diretto da questo oda quello, son discorsi inutili….posto che dubito si sentisse affine ad un uomo come baremboim, al suo modo di lavorare e vivere il proprio lavoro,al suo stile. Mi son parsi due incontratisi per caso e convenienza nello stesso ambiente ma diametralmente opposti…..quel concerto di chopin…hem hem hem…

  4. Anch’io concordo con la Grisi: L’unico oggi in grado di dare un omaggio vero ad Abbado è il M° Muti; temo però che la Scala non sia in grado di farlo, e chiamerà quella metà di direttore che è Baremboim.

  5. io per il funerale del mio direttore preferito preferirei mille volte la forma privata senza commemirazioni con requiem diretto da tizio piuttosto che da caio. Sono felice di averlo sentito la prima e l ultima volta alla Scala e bravi col senno d poi quelli che l hanno convinto a risalire su quel podio. Per il resto tanta tanta tristezza come sempre succede quando nella gelida terra finisce il talento l arte e la fantasia

  6. Sì, anche a me sembrerebbe bellissimo che fosse il Mestro Muti ad onorare il suo grande collega. Di questo sono sicuro che sarebbe onorato. Le inimicizie in vita, tra i due musicisti o tra fan, non contano niente di fronte a questi fatti. Scusa, caro Idamante, però almeno ora che tutto è finito non bisognerebbe neppure ricordarla quell’inimicizia.
    Marco Ninci

  7. Premetto che la perdita di Abbado mi colpisce profondamente, anche se inevitabile e preannunciata.
    Sono in linea con quanto scrive la Divina Giulia e, personalmente, vorrei ricordare tra i mille ed uno due approcci per me fondamentali (anche per motivi personali) LE NOZZE scaligere con Freni, Berganza, Mazzucato, ed il lungo eccetera e la straordinaria edizione de L’AMORE DELLE TRE MELARANCE, spettacolo ancora vivido nella mia memoria.
    Poi certo, tutto il resto, dal SIMONE al MACBETH, dal DON CARLO al BORIS… fino al più recente COSI FAN TUTTE prima a Ferrara e quindi a Reggio Emilia.
    Riposi in pace, Maestro!

  8. Anche secondo me le inimicizie tra fan o presunti “non gradimenti” sono discorsi oziosi. Sarebbe stato bellissimo che Muti onorasse il collega per tante ragioni: musicali e simboliche. Muti e Abbado rappresentano il volto della migliore musica italiana: due grandi direttori (molto diversi certo) acclamati da pubblico e critica, con carriere prestigiose e riconoscimenti importanti. Entrambi hanno significato molto per Milano e per la Scala: dal podio alla durata dell’incarico, e persino l’interruzione traumatica del rapporto (spiace parlarne in questa occasione, ma anche il rapporto tra Abbado e il teatro milanese si concluse male). Entrambi hanno lavorato per portare l’orchestra a livelli di eccellenza. Entrambi hanno dato una svolta al repertorio frequentato dal teatro e hanno cambiato il modo di approcciarsi all’opera. Entrambi hanno avuto dell’interpretazione musicale un’idea chiara e identitaria: forte e riconoscibile. Che c’entra Barenboim con Abbado? Che c’entra con Milano? O con la Scala di cui è stato solo un turista del podio? Che impronta ha lasciato? Il ricordo di occasioni mancate e brutti spettacoli (tolto il Tristan)…nient’altro! Almeno avessero scelto Harding che al Maestro Abbado era legato. Non mi aspettavo niente dalla Scala…e infatti hanno scelto proprio un “niente”. Resta un teatro che non perde occasione per fare la scelta peggiore. Sempre. Che amarezza…

    • “Che c’entra Barenboim con Abbado? Che c’entra con Milano? O con la Scala di cui è stato solo un turista del podio? Che impronta ha lasciato? Almeno avessero scelto Harding che al Maestro Abbado era legato. Non mi aspettavo niente dalla Scala…e infatti hanno scelto proprio un “niente”. Resta un teatro che non perde occasione per fare la scelta peggiore. Sempre. Che amarezza…”

      Esatto. D´ACCORDISSIMO, Duprez. Amarezza e delusione.

      • vedi caro enrico l’insensatezza (termine elegante e delicato) nasce dal fatto che questi signori (come quelli che gestiscono musei, organizzano mostre-evento per esporre una tela o una scultura) hanno in testa l’idea che la cultura sia un evento, possibilmente a facile amplificazione mediatica (primo errore) e che lo stesso non solo “si paghi” da solo, ma addirittura versi danaro nelle spolpate casse dello stato italiano. Purtroppo e lo possiamo vedere in ogni epoca la cultura ha necessità di mecenati per poter reggersi, difficilmente o meglio eccezionalmente si paga da sola, quasi mai è remunerativa.

        • Sì hai indubbiamente ragione. Questa è la superficialità propria di chi ragionando solo per risultati da portare a casa perde il contatto con tutte le implicazioni di significato di una scelta come quella.
          Che c’entra Barenboim con Abbado? Già… ma questi nemmeno la capiscono la domanda. Questo è triste.

          • Dai, spwriamo che almeno riesce per una mezzoretta a dirigere senza stravaccarsi sulla seggiolina e a nln gratttarsi la….dovde si gratta sempre….

  9. Come molti me l’aspettavo da un giorno all’altro, il che non diminuisce il dispiacere per la sua perdita.
    Ed è un’altra falla, enorme, incolmabile e, ahimè, irreparabile nello scarso, ormai quasi squallido, panorama culturale italiano.
    Personalmente, oltre al grande direttore, ammiravo molto il suo spessore umano e le sue opinioni, in tutti i campi, e il suo modo di “far musica” mi mancherà molto.
    Quanto alle scelte commemorative, non posso che unirmi a Selma e Duprez : chi ha ridotto la Scala a quello che è oggi non poteva, nè avrebbe saputo, fare altro, il livello è quello e non vedo rimedi.
    …mala tempora currunt

  10. La Scala e Lissner in particolare, dimostrano ogni giorno di più la “pochezza” culturale di cui son pervasi. Affidare a Baremboim un concerto commemorativo sembra più una piccineria tra piccini, che una scelta responsabile da Grande Teatro. Sembra una scelta tra agenzie teatrali. “Padre perdona loro perchè non sanno quel che fanno!”

  11. Caro Marco Ninci, mi dispiace se le mie parole ti hanno in qualche modo urtato, non era peraltro assolutamente mia intenzione aprire una polemica con il mio breve e incidentale intervento. è evidente che in situazioni come queste le reazioni e le sensibilità possono divergere radicalmente, cosicché può apparire indelicato un commento come il mio che in realtà mirava proprio a sottolineare, in maniera peraltro interlocutoria, una possibile indelicatezza. La Grisi ha fatto un discorso molto consapevole su Muti-Abbado a sfavore del dato personale e in favore del significato simbolico, Donzelli ha alluso chiaramente a cosa comportava il riferimento al “personale” citando il rapporto Toscanini-De Sabata. Non mi sembra quindi di aver fatto chissà quale inopportuna rivelazione esplicitando un discorso che non avevo peraltro aperto io: il senso del mio intervento era molto banalmente di rimarcare come in queste situazioni magari un po’ di attenzione al personale la si può concedere. Qui non si sta celebrando un decennale o costruendo un famedio, si sta dando l’ultimo saluto a uomo,un grande artista, appena scomparso: e allora magari si possono tenere presenti, oltre ai legittimi desideri degli appassionati, anche le possibili reazioni delle persone più direttamente toccate dal lutto, cioè il defunto stesso e i suoi cari. Poi la Grisi e Duprez mi dicono che sono questioni inutili e oziose, tu addirittura sei certo che lui sarebbe stato onorato: che vi devo dire, mi inchino alle vostre superiori certezze e mi ritiro in buon ordine.
    Su Barenboim una constatazione altrettanto banale. Non credo sia stata una scelta “mirata” volta a sottolineare una presunta affinità artistica, ma semplicemente una scelta “istituzionale”: fino a che Lissner è ufficialmente in carica Baremboim è sempre il “maestro scaligero” di riferimento, e dunque è stato chiamato semplicemente per rappresentare la Scala. Se Abbado fosse scomparso durante la gestione Pereira sarebbe probabilmente stato chiamato Chailly. Poi certo, anch’io avrei preferito la scelta “mirata” di Harding.

    • Anch’io penso, come Idamante, che la scelta sia stata meramente “istituzionale” e credo inoltre che da un Lissner non ci si potesse aspettare altro. Tra gli aggettivi (quelli meno severi) che possono essere attribuiti all’ultima gestione della Scala c’è anche l’assoluta superficialità. Unico dettaglio che, al limite, potrebbe calzare: mi risulta che Abbado, Pollini e Barenboim formassero un trio di amici di lunghissima data, se non artisticamente (come nel caso della coppia Abbado-Pollini) almeno sul piano strettamente personale, Ripeto, questo a quanto mi risultava già in precedenza, niente oro colato. Per quanto concerne l’evento prossimo, rimango su ben altre preferenze, quella di Muti in primis.

  12. Certo, un grande direttore ed un eccellente musicista, anche se il suo Rossini mi è sempre sembrato pallidino e decaffeinato, e il suo Beethoven poco significativo e il suo Verdi troppo omogeneizzato ad uso degli snob che non apprezzano la carne e il sangue e le passioni. Molto però lo ha aiutato ad acquistar fama e plauso la sua appartenenza alla “gauche caviar” ( come Bernestein, Baremboim, Pollini e altri): appartenenza che conferisce automaticamente “nel bel mondo – onor di filosofico talento” .

    • insomma don giovanni d’aragona meglio il rossini di schippers, il beethoven della grande scuola storica tedesca , il Verdi di Mitropoulos o di Levine giusto?
      quanto ai compagni di gauche caviar mi permetto un paio di distinguo ossia che Bernstein subì ben altre e più profonde emarginazioni e che era veramente strepitoso come direttore (sentito dal vivo due volte) e che l’impegno di Pollini per la cultura è stato da vero ministro di certe idee. Poi qualche volta le idee sono diventate ideologie e il pianista mi lascia perplesso davanti a quelli di Santa Madre Russia tipo Yudina o Greenberg, per citare le prime due.
      ciao dd

      • Certamente, questioni di gusto: d’ altra parte è proprio la diversità di gusti che rende interessante la vita. Per un Ernani, ovvio che Mitropoulos sia un mito o quasi. Per Rossini, non penso solo a Schippers, ma per esempio, per vitalità e vivacità, al Barbiere di Patané ( funestato purtroppo dalla Bartoli ) o all’ Italiana di Chailly . Per Beethoven, fatta salva la venerazione per la grande scuola tedesca, mi ha emozionato come non mi capitava da tempo Carlos Kleiber. Il Verdi di Abbado è un eccellente vino bianco, mentre a me (sempre questione di gusti) piace il corposo vino rosso. Se posso permettermi una glossa extravagante, anch’io, come Donzelli, credo che la Judina e la Grimberg siano le ultime espressioni della “Santa Madre Russia” ( e non dell’ URSS, dalla quale furono pesantemente perseguitati), così come , in un suo modo nevrotico ma irresistibile, Sofronitzky. E per restare al pianismo, grande certo Pollini : ma il mio cuore batte per Richter, Gould e Ashekenazy. Pollini ministro della cultura ? Meglio che niente; ma ci rifilerebbe Berio, Nono e soci: roba che per le mie orecchie, che non vanno oltre Richard Strauss, è tossica.

  13. Per motivi anagrafici non ho mai avuto l’onore di ascoltarlo, ma almeno sono rimaste centinaia di testimonianze.

    Devo dire che è anche grazie a lui se sono diventato melomane, infatti dopo il primo amore a 11 con le Nozze di Figaro di E. Kleiber (con Della Casa, Siepi, Gueden, Danco, Poell, Corena- edizione che ancora oggi ritengo insuperabile, forse per motivi affettivi), mi diressi completamente a caso sul Rossini di Barbiere (Gui), Cenerentola (Abbado) e Viaggio a Reims (sempre Abbado) che mi convinsero che non era un’infatuazione, ma un amore quello per l’opera:)

    Anche se pare infantile, a me piace immaginare un paradiso come una sorta di teatro sempre attivo e con numerosi palcoscenici in cui si rappresentano a random tutte le opere composte con compositori, cantanti e direttori del passato che si cimentano in ogni repertorio, all’apice dei propri mezzi e deposta ogni rivalità. Credo che Abbado abbia diritto a un posto tra i direttori.

      • In senso positivo o negativo? Io a dirla tutta mi innamorai di Rossini, ma ammetto che saranno molti anni che non lo riascolto perché Barbiere è una delle opere di Rossini che ascolto meno e se dovevo scegliere optavo per quello con la Callas. In realtà mi paiono insoddisfacenti praticamente tutte le edizioni a me note… un po’ comr Don Pasquale anche se recentemente ho trovato vivace e nel complesso gradevolissima l’edizione del Met con Peters, Valletti, Corena e Guarrara diretti da Schippers.

        • L’edizione Met del Barbiere è purtroppo diretto dal mediocre Leinsdorf. È suonato malissimo da un’orchestra vergognosa e l’unico cantante che vale l’ascolto è Valletti (anche se il rondò è proprio mal cantato). La Peters è insopportabile (oltre ad essere un falso storico)

          • Sinceramente non conosco quella edizione del Barbiere, ma ho sentito spesso parlar male della direzione di Leinsdorf. Proprio oggi, dopo anni, sto riascoltando quello di Gui che è proprio un bel sentire. Eppure quello che intendevo è che in Barbiere e Don Pasquale (sono le prime che mi vengono in mente) trovo che ci sia sempre qualcosa di insoddisfacente o per un motivo o per l’altro che pregiudica il godimento complessivo… per Don Pasquale l’edizione del Met di Schippers cui accennavo sopra, per ora, di quelle che conosco, è quella che più mi ha convinto globalmente.

            Io ho un debole per i soprani leggeri e ammetto che la Peters mi piace molto come soubrette, perché ha un’ottima dizione e la voce è sempre gradevole dai gravi agli acuti, insomma, mi pare un’ottima professionista del passato e molto più attendibile di altre dive antiche e moderne più censurabili o per gusto o per vocalità.
            Posso chiederti perché la ritieni addirittura un falso storico?

          • Sorry, avevo frainteso: pensavo ti riferissi al Barbiere (edizione Met).
            La Rosina della Peters è un falso, perché Rossini scrisse la parte per un mezzosoprano, non un sopranino soubrette o coccodé. Come i rossiniani sanno, il loro autore aveva una predilezione per le voci femminili centrali o gravi (mezzo o contralto), soprattutto nel repertorio comico. Ma aldilà della tessitura – anche all’epoca dell’autore ci furono Rosine soprani e Rossini scrisse pure un paio di arie per tali versioni (ma se si usa la versione sopranile allora, coerentemente, bisognerebbe utilizzare i numeri sostitutivi d’autore) – è proprio la vocalità petualente e svolazzante della Peters che fa a pugni con lo stile di scrittura rossiniano.

          • Sì sono assolutamente d’accordo! Le voci troppo leggere soffrono moltissimo nella tessitura della protagonista, infatti sono rarissimi i risultati soddisfacenti. Se i momenti solistici possono essere straordinari, il resto può essere davvero sgradevole! Penso a una Pons (piacevole solo nelle arie della scena della lezione), ma anche a moltissime altre. Sarebbe ottimo se queste cantanti si limitassero a cantare in concerto le varie arie tra cui quelle alternative, tenendosi lontane dall’opera integrale.

            Proprio poco fa ascoltavo Contro un cor sul tubo cantato dalla Gruberova nell’80 o 82 e trovo sia una delle esecuzioni più memorabili… però non mi sentirei di affermare che il resto le sia venuto se non così bene, almeno decentemente; e questo nonostante io abbia un debole per lei. Purtroppo non ho la registrazione (non so neppure se esista) che potrebbe fugare questo dubbio :(

          • Esatto: la Rosina della Gruberova è l’esempio perfetto. Soprattutto nella cavatina del primo atto la voce appuntita del soprano soubrette fa a pugno con la malizia del personaggio e il calore della scrittura.

  14. Vorrei dire la mia, ricordando un fatto storico. La cerimonia della Marcia Funebre beethoveniana eseguita a porte aperte e teatro vuoto, creata in onore di Toscanini, fu ripetuta per la prima volta nel 1967, in occasione della scomparsa di Victor De Sabata. L’ onore di dirigere in quella circostanza spettava a Gianandrea Gavazzeni, a quel tempo direttore artistico e direttore stabile, predecessore di Claudio Abbado. Il maestro Gavazzeni declinò l’ invito con queste parole: “Io non mi sento degno di fare per De Sabata ciò che De Sabata ha fatto per Toscanini”. L’ orchestra suonò senza direttore, guidata dal primo violino Franco Fantini. Ecco, credo che in questo caso le cose dovrebbero svolgersi allo stesso modo e Barenboim dovrebbe imitare il delicatissimo “Domine, non sum dignus” di quel grande gentiluomo che era il musicista bergamasco.

      • scusate il ritardo, ero in viaggio per lavoro.

        sicuramente abbado, nel 1986, non era più particolarmente interessato alla scala, e non lo nascondeva. pero’ la sua uscita fi sostanzialmente altrettanto traumatica di quella di muti: il primo invitato ad andarsene dagli orchestrali che in una letterina consegnata in un intervallo gli imputavano la scarsa presenza e altro; il secondo cacciato pubblicamente in una assemblea degna della corea del nord dove votavano anche i pensionati della scala e, che so io, i dipendenti addetti alla mensa del teatro (muti non c’e’ mai stato in mensa, lo so per certo, e dalla nomea del buffet se lo avesse fatto probabilmente non sarebbe più in giro a fare musica), accusato di esserci “troppo” e di non dare spazio ad altre eccellenze musicali.
        Ognuno dei due ha vissuto lo smacco in maniera diversa: abbado da signore milanese blasé e con altri mille interessi, muti da terrone sanguigno e con altri mille interessi.
        Entrambi si sono volutamente tenuti lontano dal teatro e anche dalla città per molti anni, e di abbado ricordo alcuni ritorni con altre orchestre (c’ero a un memorabile concerto con i Wiener e Pollini nel 1987), cosa che muti, a parte aver voluto/dovuto onorare un concerto con i Wiener a maggio 2005, non ha mai fatto, penso più per non sollevare polemiche che per spregio.

        abbado è tornato in scala quando ormai dei suoi defenestratori non c’era più traccia, mentre per muti mancherebbero almeno una decina d’anni; inoltre abbado è stato coccolato da lissner, ripetutamente visitato per essere convinto (con il giusto appoggio di barenboim, che almeno una cosa buona la ha fatta per la scala), mentre muti, al di la’ di inviti pubblici, non mi risulta avere mai ricevuto nemmeno una telefonata di approccio: penso che avrebbe aiutato a ricucire un rapporto col teatro, e magari questo avrebbe potuto portare al riavvicinamento definitivo con la scomparsa di abbado.

        per quanto riguarda la rivalità tra abbado e muti, e quella tra i “tifosi”, avendone spesso parlato con muti ho la netta sensazione che i diretti protagonisti siano molto piu’ “avanti” dei loro sostenitori. Sicuramente non ci fu amicizia (persone troppo diverse, e non parlo della musica), ma gran parte del resto e’ inventato. E sono sicuro che negli ultimi 20 (30?) anni abbado e muti abbiano avuto di meglio cui pensare che non alle presunte tensioni tra loro. Sono i fan “a prescindere” che fanno danni: gli abbadiani (itineranti o meno” con “dopo abbado tutto m*rda, escluse poche perle a lui riconducibili” e i mutiani incalliti “siamo le vedove inconsolabili: prima di lui il nulla veterocomunista, dopo di lui il nulla e basta”.

        ebbene, io fui abbadiano e poi (sono ancora) mutiano, un po’ per anagrafe un po’ per possibilità di ascolto (alla scala dal 1982), e ricordo spettacoli e concerti mirabili di entrambi (e anche qualche grossa cacata), e posso dire di essere stato molto, molto fortunato: ho sentito dal vivo abbado, giulini, muti, carlos kleiber, solti, sawallisch, von karajan, pretre, gavazzeni…
        Ora invece posso sentire ancora muti, poi pappano, magari harding, wung chung, temirkanov, chailly, esa pekka pipponen e altri; tutto bene per carità, ma inZomma…

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