Ory comparati: Flórez contro… Flórez (e Blake vs. Blake)

Que les destins prospères

Accueillent vos prières!

La paix du ciel, mes frères,

Soit toujours avec vous!

Veuves ou demoiselles,

Dans vos peines cruelles,

Venez à moi, mes belles,

Obliger est si doux!

Jʼaccorde les familles,

Et même aux jeunes filles

Je donne des époux.

 

Juan Diego Flórez:

1998 – Immagine anteprima YouTube

2003 – Immagine anteprima YouTube

2011 – Immagine anteprima YouTube

2013 – Immagine anteprima YouTube

Rockwell Blake:

1979 – New York City Opera

1984 – Immagine anteprima YouTube

1988 – Immagine anteprima YouTube

1999 – Immagine anteprima YouTube

 

La serie di recite scaligere de Le Comte Ory si avvia alla sua conclusione, orfana ormai definitivamente dell’indiscusso astro tenorile del canto rossiniano di oggi: Juan Diego Flórez. La circostanza e l’imminente apertura del Rossini Opera Festival, che deputato alla scoperta e riproposta di titoli dimenticati del Pesarese, per ben tre volte (le ultime due a un lustro appena di distanza) ha allestito l’opera, a suo tempo vagheggiata da Gino Marinuzzi (il progetto, al pari della Pietra del paragone con Nazzareno de Angelis ed Ebe Stignani, non andò mai in porto), nonché amata e più volte proposta da Vittorio Gui, ci hanno suggerito una comparazione un poco singolare, ma speriamo interessante, divertente e come suol dirsi, formativa. Abbiamo scritto in molte circostanze che il tratto che più ammiriamo di Flórez è la determinazione a confrontarsi, piuttosto che con questo gramo presente, con la grande tradizione dell’arte vocale, inverata tanto dai cantanti della Rossini Renaissance (quelli che oggi vengono, da molti, considerati poco più che fenomeni da baraccone) quanto dal ricordo (inevitabilmente mitizzato) dei primi interpreti. Talvolta questi “fantasmi dell’opera” sono stati affrontati, con esiti interlocutori, in sala d’incisione (esempio preclaro il disco dedicato a Rubini), ma più spesso il confronto è avvenuto sulle tavole del palcoscenico, segnatamente con i ruoli scritti per Giovanni David, parti in cui è inevitabile, oltre che regolarmente impietoso, il paragone con quanto proposto da un autentico simbolo e bandiera del virtuosismo rossiniano, come Rockwell Blake. blakeLe strade dei due cantanti si sono incrociate in un numero limitato di occasioni (ricordiamo a titolo di esempio una Donna del lago lusitana, in cui l’americano rimpiazzò all’ultimo il giovane collega, colpito da un’indisposizione) e anche per questo motivo abbiamo deciso di comparare i divi in primo luogo con loro stessi, proponendo per ciascuno quattro esecuzioni del medesimo brano, la sortita del conte Ory che, in mendace veste d’eremita, promette pace, fortuna e, ovviamente, amore alle fanciulle, che formano la corte della contessa di Formoutier. Brano in cui Rossini ricicla, genialmente, la musica, di per sé squisita, composta per la sortita di Madama Cortese (altra imbonitrice) nel Viaggio a Reims, opera che è un autentico capolavoro, come l’Ory, benché da quello diversissima per molte ragioni. Con quest’ultima frase abbiamo come l’impressione di friggere l’aria, e di questo ci scusiamo e facciamo ammenda, ma i recenti deliri di certa critica “specializzata” impongono, nella presenta circostanza, un omaggio a Monsieur de La Palice. Portate pazienza. Diciamo subito che il confronto delle esecuzioni più remote con quelle più recenti induce a riflessioni diametralmente opposte per i due cantanti. Il primo estratto proviene da un’esecuzione alla New York City Opera: il titolo è proposto in traduzione inglese, com’era nelle consuetudini di quel teatro. Consuetudini certamente datate e filologicamente poco consone, anche se non risulta che l’Ory abbia mai accolto, nella medesima edizione, una coppia discepolo-precettore paragonabile a quella costituita da Blake e Samuel Ramey. L’esecuzione di un Blake all’epoca men che trentenne si segnala per lo slancio e la brillantezza specie nella zona medio-alta della voce, ma se la confrontiamo con le prove successive, soprattutto con quella torinese di venti anni dopo, notiamo che, con il trascorrere del tempo, l’esecutore tratteggia con maggiore puntualità il ritratto del menzognero “sant’uomo”, che ricorre al primo dei suoi travestimenti religiosi per irretire e sedurre le fanciulle d’infinita fede (e moderata virtù). Così, ad esempio, il passaggio “Accueillent vos prières”, che porta la voce dal do centrale al la acuto attraverso un passaggio per terze, acquisisce inflessioni maggiormente carezzevoli e insinuanti, la mezzavoce (malgrado la progressiva usura di un mezzo, che non è peraltro mai stato straordinario per caratteristiche naturali) si fa via via sempre più calibrata, la gestione dei fiati, che consente all’esecutore impressionanti arcate di suono, è semplicemente impeccabile. Lo stesso timbro bianco e asessuato, che sempre più chiaramente si delinea con l’avanzare degli anni, serve egregiamente allo scopo di delineare la figura dell’ipocrita, la cui apoteosi è il passaggio in minore “Veuves ou demoiselles”, disseminato di accorti rallentando, che sottolineano l’allusività del testo, e più ancora la ripresa, in pianissimo, del tema principale “Que les destins prospères”, mentre sulle quartine presenti nella sezione conclusiva del brano (“Venez à moi, mes belles”) la vocalizzazione di forza, anche nelle esecuzioni più tardive, risulta, come al solito, impeccabile per vigore e precisione esecutiva.

florezAscoltando l’Ory di Flórez, viene quasi il dubbio di avere che fare con un’opera profondamente diversa, o almeno con una diversa concezione della pagina considerata. Quello del peruviano è, semmai, un giovane novizio che invita le signore bene della parrocchia a partecipare all’annuale pesca di beneficenza. Non c’è, nelle prime esecuzioni, alcuna traccia della (mal) dissimulata libidine e sorniona ipocrisia del libertino, sostituita da una piattezza meccanica (verrebbe quasi da pensare a una lettura a prima vista, tanto parco è l’uso dei colori e delle inflessioni vocali) e da un accento languido e melenso, da opera di mezzo carattere. Per essere più specifici, da Paolino del Matrimonio segreto, che sarebbe peraltro un personaggio assai più consono alle possibilità espressive del tenore. Quanto all’esecutore, basta ascoltare il già citato inciso “Accueillent vos prières” per sentire una voce che, passando dal centro ai primi acuti (sol-la), muta bruscamente di posizione, spezzando l’omogeneità della frase. Ancora, nel passaggio “Veuves ou demoiselles”, emerge la fatica nel maneggiare una tessitura marcatamente centrale, risolta con suoni fiochi e poco brillanti, che fatalmente contrastano con la sicurezza degli estremi acuti, do e re, quest’ultimo peraltro fisso e stonato nell’esecuzione del 2013 di un Flórez appena quarantenne, che per l’occasione pratica ampi sconti alle battute immediatamente precedenti, mentre il quasi cinquantenne Blake del 1999 ricorre a un raggiusto, che porta comunque la voce al si naturale, prima di un do sovracuto (eseguito al posto del do centrale previsto in partitura) sempre impressionante per saldezza e corposità. Più ancora che per le singole prodezze (un’altra è costituita certamente dalla cadenza “oui venez tous”, con il mordente legato direttamente alla ripresa del tema principale), le esecuzioni di Blake si distinguono per la capacità di evidenziare, attraverso il virtuosismo, il significato profondo della pagina, mentre quelle di Flórez possono, al più, destare simpatia per il garbo dell’interprete, ma alla lunga, e complice l’inesorabile evaporazione della freschezza vocale, rischiano di risultare un compitino ben svolto, e nel caso del broadcast del 2013, anche qualcosa di meno. Ricordiamo en passant che, di lì a poco, il tenore peruviano avrebbe debuttato il ruolo di Arnold nel Guillaume Tell, di ben diverso spessore (in ogni senso) rispetto al canagliesco giovan Conte. Ricordiamo altresì che Rockwell Blake, che, pure, affrontò nell’ultima fase della carriera (e in teatri accuratamente selezionati) personaggi del pari onerosi, creati da Adolphe Nourrit, non ebbe mai la tentazione (o se l’ebbe riuscì a non cedere) di esibirsi nei panni dell’insorto elvetico. Poi offro un altro dubbio ovvero, ma come doveva essere il primo interprete che dì a poco sarebbe stato Raoul di Nangis e, soprattutto, il tanto tormentato quanto baritonale Eleazar?

6 pensieri su “Ory comparati: Flórez contro… Flórez (e Blake vs. Blake)

  1. il Blake 1984 complice lo spettacolo di Pizzi è irripetibile ed insuperabile! Viaggio splendido nella memoria e nel ricordo di un periodo, purtroppo, non più ripetibile e che si è voluto affossare con i bei risultati che da tempo vanno angosciando il teatro rossiniano!

  2. Al contrario della “stampa specializzata” io preferisco il Viaggio a Reims. Il sestetto ed il duetto Liebenskof Melibea, che Rossini non ha riutilizzato nel Comte Ory, sono due pagine di musica sublimi, irrinunciabili.

    Impressionante il Blake del ’79, do e re sembrano note centrali.

  3. credo che ad onta dei copiosissimi autoimpresti viaggio e conte ory siano due produzioni completamente diverse. Il primo privo di una credibile trama resta la passerella del teatro degli italiani, che dovevano omaggiare il nuovo re; l’altro un prodotto raffinatissimo elegante, pungente. E’ vero che due pezzi altissimi del viaggio non sono trapassati nell’ory, ma è altrettanto vero che per ory l’autore ha “inventato” il terzetto, che è qualche cosa di unico.

  4. a mio parere quello che faceva di Blake un cantante straordinario ancor più della precisione della coloratura, dei fiati o il controllo eccellente degli acuti era proprio la capacita di piegare la voce al senso della frase, e con l’età il fraseggiatore divenne ancor più vario e analitico. Ammiravo il Blake pirotecnico, ma ho gridato al miracolo qundo l’ho sentito cesellare l’aria di Rodrigo nell’Otello pesarese.
    Florez tratta tutto riportando i personaggi in un area di mezzo carattete che bene o male funzionava quasi sempre prima della deliberata scelta di cambiar repertorio. Ho sentito Florez a Marzo in La fille du régiment e quindi nel suo repertorio d’elezione, ma purtroppo ho dovuto contastare il voluto ingrossare dei centri (evidentissimo in “Pour me rapprocher de Marie” ) in cerca di una sensualità nel timbro che non c’é accorciando e indurendo i suoni soprattutto in acuto; i 9Do di “Ah! mes Amis” erano presi con la baionetta tra i denti e spinti ben più di quanto non risultino spinti quelli dell’Ory del 2013 postati da Tamburini. Peccato, perchè nel suo “mezzo-carattere” tutto sommato a me il giovane Florez non dispiaceva affatto.

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