Ricordando Rodolfo Celletti.

Sono trascorsi, oggi, dieci anni dalla morte di Rodolfo Celletti. Se la memoria non mi inganna al suo funerale dei “suoi” cantanti ne era presente una sola. Il decennale dalla morte potrebbe essere l’occasione per rinfocolare le polemiche che accompagnarono ( e forse turbarono) i suoi ultimi anni e che non sono certo cessate post mortem per il semplice motivo che Celletti vivo o morto era e rimaneva ingombrante. Il paragone con altro personaggio ingombrante come Indro Montanelli è esemplificativo. Poi i detrattori hanno buon gioco quando tirano fuori che non era un musicologo ( credo ritenesse il termine se rivolto a lui un insulto o quasi), non era un vero maestro di canto perché la vulgata pretende che il maestro di canto debba essere un cantante d’opera. I migliori cantanti d’opera nel ruolo di maestri di canto sono quelli che non hanno mai insegnato canto e dalle cui registrazioni altri cantanti si sono formati. Gli esempi Carlo Bergonzi con Aureliano Pertile, Marilyn Horne con Schumann-Heink, Onegin, Stignani e Ponselle, Sutherland con Amelita Galli -Curci. Quest’ultima per la cronaca, ragazza di buona famiglia, imparò a cantare per divertimento dalla nonna, che a sua volta ragazza di buona famiglia, intorno al 1840 aveva studiato canto. Ma non è questo il punto, il punto della celebrazione è, consentitelo, l’ingombro di Celletti. Basta leggere i suoi scritti e le sue ragioni critiche che partono sempre da un dato elementare “sapeva o non sapeva cantare” “quali difetti c’erano nell’imposto”, corretto da “attenzione al gusto del tempo” per avere la chiave di volta per capire il canto. Poi Celletti non era né onnipotente, né soprattutto onnisciente e, come credo di aver già scritto, non ebbe la possibilità di ascoltare o di ascoltare bene alcuni cantanti soprattutto quelli di origine tedesca, francese e russa che non si erano esibiti in Italia, Spagna o Stati Uniti e quindi le sue opera hanno assenti illustri o cantanti trattati al minimo sindacale perché non ne aveva quasi sentite le registrazioni. Altre volte – e questo capita a tutti- giudicava con il desiderio di reagire e superare certi cantanti che avevano monopolizzato la sua giuoventù. Dubito che, oggi, imputerebbe i difetti ed i limiti tecnici e più ancora di gusto, che imputò ad una Caniglia (che credo avesse sentito decine di volte) o ad una Cigna, che oltretutto giudicava con il filtro dell’ammiratore di Claudia Muzio e del quasi amico di Giannina Arangi Lombardi.

Rodolfo Celletti non è la bussola solo per il canto, ma per altro. Recentemente ho avuto occasione di leggere “sviluppo della coloratura rossiniana” un saggio del 1968 dove  Celletti mette in evidenza come la tradizione che faccia partire dai pessimi rapporti Rossini-Velluti la scelta del pesarese di scrivere in extenso la coloratura debba essere interpretata  alla luce di  una attenta disamina della produzione rossiniana a partire dal primo titolo ossia “Demetrio e Polibio”. Da rileggere e da utilizzare quale punto di partenza perché, forse, andrebbero studiati sotto il profilo della scrittura vocale i coevi o i di poco precedenti il pesarese.

Quindi Celletti e le sue idee rimangono inattaccabili, a noi se vogliamo provare a non essere “cioccolatai” (termine italiano, ma molto cellettiano) il piacere ed il dovere di indagare ulteriormente. Questo significa che Celletti era e resta un  maestro e se il “tiro deve essere corretto” non è per limiti dell’appassionato e studioso, ma dei mezzi che aveva a disposizione.

Questo ultimo  aspetto ossia quello de “i mezzi a disposizione” è il vero motivo della celebrazione. Dal mese di marzo mi sono state cedute da una persona  molto vicina a Celletti, (preciso non la seconda moglie signora Giovanna, che comunque ringrazio perché ha assentito alla cessione) le schede di Celletti. Che cosa sono le schede di Celletti? Una montagna di fogli  ordinatamente catalogati in ordine alfabetico con biografie e brevissimi spunti critici sulle carriere di tutti i cantanti d’opera. Tutti significa da Vittoria Archilei (1550-1620) sino a Sara Mingardo o Barbara Frittoli. Ci sono poi nel materiale assolute perle come  una infinita serie di ritagli di riviste dedicate a Schipa all’epoca della morte del tenore o la copia del certificato di morte della Stignani, visto che la contessa Sciti si era sempre in vita cavata un anno o due o quello di nascita di altro illustre mezzo non ottantenne, oggi, ma ottantacinquenne. Questo è l’aspetto “melomane”?

Il lavoro immane, precisissimo anche perché Celletti e chi lo aiutò in questa follia, che solo un melomane autentico può portare a termine non disponevano di internet, ma solo di testi a stampa, di notizie frammentarie spesso ricavate da fonti secondarie. Eppure nelle ricostruzioni delle carriere non manca nulla, spesso quei dati sono stati trasferiti in articoli e saggi e nessuno ha rilevato errori. Nessuno che operi nell’epoca di internet e delle biblioteche in parte digitalizzate.

La domanda con cui chiudo ricordando una persona gentile, garbata, attentissima verso i giovani e sempre disponibile (non con tutti sia ben chiaro, il carattere spesso è definito cattivo carattere) è l’utilizzo di questi dati, che oggi non hanno più la rarità di quando raccolti, ma che sono una testimonianza dell’attenzione e della dedizione che Celletti dedicò all’opera.

Ovvio che ci siano gli ascolti, sono ascolti assolutamente cellettiani ovvero o i cantanti che amava di più o quelli le cui immagini con dedica troneggiavano fra scrittoio e pianoforte.

Immagine anteprima YouTube Immagine anteprima YouTube Immagine anteprima YouTube Immagine anteprima YouTube Immagine anteprima YouTube Immagine anteprima YouTube Immagine anteprima YouTube Immagine anteprima YouTube Immagine anteprima YouTube

18 pensieri su “Ricordando Rodolfo Celletti.

  1. Ho conosciuto bene il Maestro Celletti e ho avuto con lui un lungo rapporto epistolare. Potrei dire un sacco di cose, ma preferisco citare solamente la frase di un suo amico, che due anni fa mi fece l’ onore di scrivere un breve ricordo per il mio sito.

    “Un uomo unico, indimenticabile, insostituibile. Chi ne parla con livore o con poco rispetto, si è giudicato da sé.”

    Grazie, Donzelli!

  2. La Rai… ahi ahi, quella rai che nel bene e nel male lo ha avuto sempre presente, ha nel suo archivio decine di trasmissioni e commenti su cantanti ed opere; di quest’archivio che fine ha fatto ?
    E poi Donzelli la sua volontà di farti proseguire il suo libro ” il teatro dell’opera in disco” è proprio tramontata ?

  3. Riprendendo, se non sbaglio, una proposta di Mozart, perche’ non vi fate promotori di creare una foandazione Celletti ( o qualcosa di simile) che raccolga e cataloghi l’opera omnia di Celletti ? ( se e’ gia operante vuol dire che sono poco informato)

    • a Martina Franca, sede di quel Festival della Valle d’Itria da lui voluto, c’è una accademia di belcanto che porta il Suo nome ed una ricca biblioteca che raccoglie i Suoi volumi. Lo abbiamo ricordato con una giornata intera, alla quale ha partecipato Foletto

  4. Il livore , riversato da alcuni presunti “esperti” di canto, su Rodolfo Celletti e sulla sua memoria mi ha sempre impressionato. Ma poi, ripensandoci, ho sempre trovato sommamente ridicola la loro malcelata voglia di prendere il suo posto. Viva Celletti, oggi più di ieri (chissà cosa mai penserebbe della pietosa situazione in cui è caduto il teatro d’opera oggi!)

  5. Ha lasciato osservazioni interessanti, ma negli ultimi anni le sparava a più non posso………..basterebbero i suoi giudizi esaltati su Giuseppe Morino………….qualcuno di voi li ricorda…………?……….e ce ne sono molte altre di sparate……..

  6. Celletti negli anni ottanta e novanta del secolo scorso ebbe molta influenza sul pubblico italiano d’opera. Non c’era loggione dove non trovavi chi ripetesse a pappagallo e a raffica giudizi, predilezioni, idiosincrasie esposte da Celletti nel suo “Teatro d’opera in disco” o negli articoli comparsi su riviste musicali. Una vera e propria epidemia. La cosa più fastidiosa era l’appiattimento totale, l’incapacità di elaborare un giudizio e un gusto proprio ma di mutuarli di peso e acriticamente dagli scritti del vate dei vociomani. Ma questa non era responsabilità di Celletti, era anzi una testimonianza dell’efficacia della sua prosa e delle sue analisi. E infatti scriveva e argomentava assai bene. Personalmente lo leggevo sempre e talvolta torno a rileggerlo oggi. Non sempre i suoi giudizi mi trovano d’accordo e quello che dovrebbe essere un’ovvietà diventa – nei circoli cellettiani – fonte di perenne riprovazione. Trovo spesso un intolleranza di fondo, negli ambienti cellettiani, che mi urta più di quanto non mi urti la diversità di inclinazioni, gusti e pareri. Tale intolleranza trova la sua origine nella fonte: Celletti – nei confronti di alcuni cantanti – non si è limitato all’analisi critica ma è passato al dileggio e all’insulto ( sovente espressi con irresistibile verve ). Una pratica violenta. Come violenta la pratica di etichettare con epiteti assai poco lusinghieri il pubblico amante delle voci a lui indigeste. Il presupposto era quello che l’arte del canto fosse esclusivamente questione di meccanica oggettiva, una scienza esatta per cui la valutazione di un’interpretazione potesse essere integralmente sottratta alle inclinazioni e ai gusti personali per assumere una sorta di intangibile oggettività. Una oggettività fondata sulla elevazione della “tecnica” a dogma assoluto, una vera e propria ipostatizzazione. E naturalmente la piccola schiera di coloro che ben conoscono i dogmi costituiscono la casta sacerdotale in grado di sceverare – oggettivamente – il grano dal loglio. Chi non s’adegua è reprobo, vittima di viscerali manie, financo sottoposto a condanna morale. E’ questo l’aspetto del cellettismo che trovo deleterio e male sopporto. Non ha mai capito e dunque amato Wagner o l’ultimo Verdi, per non parlare del Novecento. E Giuseppe Morino, una sua creazione, era un vero e proprio monumento alla naftalina. Malgrado questo onore al valoroso vociologo, purché del cellettismo non se ne faccia religione. ( La pubblicazione online delle sue schede sarebbe una grande cosa ).

  7. Morino, che ho ascoltato più volte dal vivo (dal vivo figurava molto meglio che nelle registrazioni) è stato un “esperimento” belcantistico più o meno riuscito (dipendeva dalle opere) ma comunque molto interessante. Non valuterei l’importanza di Celletti basandomi sugli ultimi scorci di carriera….. Molte grandissime personalità verso il finale hanno perso qualche ….colpo…(vi ricordate l’amatissimo Sandro Pertini ? e che dire degli ultimi anni di Karajan?)

    • Ma ben vengano 10, 100, 1000 Morino! Non comprendo proprio quelli che si scandalizzano ad ascoltare una onesta riscoperta del tenore romantico pre verismo. Certamente il timbro non era splendido ma la voce dal vivo era sonora ed ne Il Pirata resta praticamente l’unico ad aver affrontato la parte come scritta e a fraseggiare sulla tessitura acuta e sovracuta. Io mi scandalizzerei molto di più dell’assoluta ossessione verso la ricerca del suono brunito e scuro che viviamo negli ultimi anni con tenorini e sopranini impegnati a bitumare la voce per simulare cilindrate di categoria superiore con i leggeri che fanno i lirici, i lirico leggeri e lirici che fanno i drammatici e, nel caso delle donne, i lirici corti che fanno i mezzosoprani…

      • Anche a me, francamente, Morino è sempre piaciuto – in un certo repertorio ovviamente – e credo che la nomea di “esperimento cellettiano” abbia nuociuto alla sua carriera. Ci sono splendide incisioni (Il Pirata, Maria di Rohan, Favorita, Il Giuramento, Gianni di Parigi…e persino quella famigerata Lucia di Lammermoor in cui era l’unico ad avere stile, professionalità e musicalità) a dimostrarlo. Poi aveva i suoi difetti come tutti, ma non vi trovo alcuna naftalina addosso, anzi…un approccio rivoluzionario a certi ruoli in un mondo ancora dominato da una certa enfasi tenorile (ad uso e consumo dei loggionismi più o meno parmigiani).

        • Completamente d’accordo. Una Lucia di Lammermoor splendida con una musicalità che oggi definirebbero di altri tempi ma che in realtà dovrebbero essere “i giusti tempi”. Peccato non abbia mai affrontato Bianca e Fernando. Sicuramente avremmo potuto ascoltare nuovamente il ruolo tenorile di questa interessante opera cantato per intero (purtroppo ancora assente nella storia del disco…e vorrei vedere!!… i presunti tenori “di grazia” attivi in questi anni non reggerebbero nemmeno metà della prima aria).

  8. Una piccola riflessione – alla luce del bel ricordo e dei commenti: Celletti non si propose mai come musicologo o filologo, conscio che il suo mestiere era un altro, ossia lo storico della vocalità. Accusare qualcuno per ciò che non è, non vuole essere e sa, prima di tutti gli altri, di non essere, mi pare esercizio di inutile e vuota cialtroneria (attività che i detrattori professionisti – con la loro fola della “religione cellettiana”, come fosse una specie di setta – praticano con abbondanza). Celletti non invase spazi altrui e pure le sue “lezioni” di canto, vanno inserite in un determinato contesto. Era un autodidatta, ma certamente di profonda cultura e curiosità intellettuale (lo era pure Musorgskij…e credo che le oziose discussioni sul fatto che sapesse o meno comporre, appartengano giustamente, alla pattumiera della storia). Il fatto che si rivolgesse ad un repertorio volutamente limitato è solo sintomo di intelligenza: non ha mai apprezzato o compreso il tardo Verdi, Wagner, l’opera russa, l’opera novecentesca, certo barocco, il recitar cantando etc…tutto vero, e infatti non ne ha mai parlato e, anzi, nei suoi testi divulgativi si limitava a riportare giudizi critici di esperti in materia, dichiarando che non conosceva sufficientemente l’argomento. Tanto di cappello! Oggi siamo invasi da enciclopedici tuttologi che fingono di saper tutto, sentenziando in ogni direzione, e il più delle volte si basano su pregiudizi, dicerie, condizionamenti. Vorrei vivere in un mondo dove chi non sa qualcosa lo dichiara e non ne parla, piuttosto di un mondo di fanfaroni con la sindrome dell’onniscenza.

  9. Grazie per il bel ricordo del grande critico. Vorrei rammentare in questa sede due Suoi tratti: la gentilezza e la modestia. Rispondeva immancabilmente a tutte le lettere (a quelle sciocche, risposte fulminanti di un solo rigo, come questa ad un tizio che gli chiedeva una foto: “Non scambi i critici per tenori !” ): e rispondeva per iscritto, con quella Sua stupenda grafia che pareva un disegno, con quei bellissimi inchiostri azzurri. Richiesto di consigliare testi di riferimento in tema di canto e di cantanti, rispondeva invariabilmente: “I libri di Lauri-Volpi”. Molta stima nutriva anche per Eugenio Gara (che va annoverato di diritto tra i grandi prosatori del Novecento, e la cui pagina ben regge il confronto con quella di Cecchi o di Longhi) che conosceva l’arte di dorare la pillola, arte che fu sempre estranea al grande critico ciociaro (pur essendo nato a Roma, Celletti considerò sempre la Ciociaria -Fondi, in particolare- la Sua patria dell’anima). Dotato di un pungente senso dell’umorismo (quando era in vena di scherzare, perché talvolta andava soggetto ad improvvisi mutamenti di umore e ad apparentemente inesplicabili melanconie) e dotato di vasta e profonda cultura letteraria, fu il creatore di un linguaggio critico tanto geniale quanto inimitabile per brillantezza, concisione, icasticità. Oggi, nulla fa più pena del leggere le scimmiottature dello stile cellettiano. I tempi sono più che maturi per promuovere una sottoscrizione volta a pubblicare i Suoi scritti dispersi, specialmente le recensioni scritte per “Discoteca Alta Fedeltà”. Ricordo l’impazienza con cui noi abbonati attendevamo che il portalettere ci consegnasse l’ultimo numero della rivista. Quando la RCA pubblicò la collana di dischi microsolco “L’età d’oro dell’opera” Celletti scrisse per “Discoteca” una recensione che era una densissima storia dell’interpretazione operistica concentrata in (relativamente) poche colonne. Ma anche gli articoli per “Musica e dischi” e quelli per “Epoca” meriterebbero di essere finalmente raccolti in volume. Speriamo. Grazie ancora per il bellissimo ricordo.

Lascia un commento