Il soprano prima della Callas, trentaduesima puntata: Frances Alda e Geraldine Farrar, le belle del Met

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A nessuna cantante fra il 1910 ed il 1930 più che a Geraldine Farrar o a Frances Alda spetta il titolo di bella del MET. Per richiamare il gossip, sempre presente nella storia dell’opera, la prima ebbe una lunga relazione con Arturo Toscanini, appena approdato al MET, mentre la seconda fu per anni la signora Gatti Casazza, ovvero la moglie dell’onnipotente direttore del teatro di New York.

Quando i due divorziarono la Alda, cui non difettava il carattere, dichiarò di non aver mai amato il marito, sposato per solo interesse,  dimenticando, nella propria acrimonia, che Gatti Casazza da tempo le aveva preferito Rosina Galli prima ballerina del teatro.

Le due cantanti, dalle caratteristiche vocali simili, coabitarono a lungo sotto l’ampio tetto del teatro ed addirittura  dal 1914 furono Carmen la Farrar e Micaela la Alda, nel 1926 furono insieme nel Falstaff, la Farrar quale Alice e la Alda quale Nannetta.

Oltre alla bellezza ed alla propensione a comportamenti da donna di teatro come si diceva allora con “perbenismo borghese”, le due cantanti avevano altro in comune.

In primo luogo un mezzo vocale né trascendentale, né privilegiato, insomma una normale voce di soprano lirico, con la precisazione che la Alda, agli esordi, aveva anche cantato ruoli (Gilda del Rigoletto) da soprano lirico leggero, destando però qualche perplessità nella critica circa il virtuosismo e l’estensione. Scrissero sul New York Times: “She has a voice of very moderate beauty of quality, which in its higher ranges verges, and sometimes more than verges, on stridence and shrillness, and is then also frequently false in intonation”.

Entrambe provenivano da grandi scuole di canto. Geraldine  Farrar. aveva studiato dapprima con Francesco Graziani e poi, a Berlino, con Lilli  Lehmann.

A Berlino la Farrar aveva mosso i primi passi della carriera affrontando pure qualche titolo pesante del repertorio romantico quale Elisabetta del Tannhauser, parte abbastanza prontamente dismessa. Addirittura storica ed unica la scuola che aveva formato la Alda, ovvero quella parigina di Matilde Marchesi.
Erano, anche se siamo agli inizi del ‘900, scuole d’importazione belcantistica, che fondavano l’impostazione della voce su un principio, che oggi sembra dimenticato, ovvero che si canta con il centro della voce.

A riprova sia il fatto che la Farrar, come altri soprani lirici coevi, ebbe per anni in repertorio la parte, marcatamente centrale,  di Mignon e che la Alda affrontò,  senza danni per la voce, il ruolo di Francesca da Rimini nella prima rappresentazione americana del 1916, anche se la critica le diede elegantemente dell’istriona precisando che era ben lontana dal personaggio.
Delle due nell’approcciare il repertorio il temperamento (inteso come strumento per superare ed occultare limiti del mezzo vocale) appartiene alla Farrar che nel quindicennio di MET affronto’  spesso Carmen e Tosca, cui i suoi mezzi di Mimì, Manon e Giulietta poco o nulla si addicevano. La voce, ripeto, era di soprano lirico adatta a certi titoli pucciniani e francesi per la quale il ruolo di Butterfly, cantato sovente anche in presenza dell’autore al Met era il limite massimo. Anche il ruolo di Suor Angelica che la Farrar affronto’ alla prima mondiale dell’opera è ben al di sopra dei mezzi della cantante americana, il cui ritiro a quarant’anni derivò dall’aver richiesto troppo al proprio mezzo vocale, senza l’adeguato controllo tecnico. Preciso non che non avesse tecnica, ma ad onta del controllo tecnico valido, ma non trascendentale il mezzo era stato davvero sottoposto a troppi sforzi. Preciso che dalle registrazioni, tutte acustiche appare chiaro che l’ampiezza era limitata se si fa eccezione per il suicidio di Butterfly dove si percepisce il vigore che la situazione drammatica e l’ordito orchestrale richiedono. Certo che in vena di paragoni il suicidio di Butterfly o il Vissi d’arte di Emmy Destinn, altra diva amatissima al Met schiudono sotto il profilo vocale ben altri orizzonti.

L’Alda, invece, stando alle registrazioni successive al ritiro dalle scene arrivò al termine della carriera integra e salda ed inoltre il timbro era più suggestivo e raffinato di quello della collega.
In entrambi i casi nulla di peculiare sotto il profilo timbrico e se aggiungiamo che dalle registrazioni, copiose per la Alda, addirittura sovrabbondanti per la Farrar, non percepiamo nulla di singolare e significativo sotto il profilo interpretativo, dobbiamo chiederci, studiando il fenomeno della vocalità , la ragione di tanta fama, addirittura fanatismo per la Farrar.
geraldine-farrar-as-madam-butterfly-19071Fanatismo per il fenomeno delle cosiddette  “gerryflapper”, schiere di ragazzine nuovayorkesi onnipresenti alle esibizioni della cantante e ciò stupisce ancor di più perché nelle registrazioni gli acuti della Farrar, anche ventenne come testimonia una infelice registrazione dell’allegro di Violetta suonano fissi e stimbrati e non certo per limiti di mezzi di registrazione che in altri casi captavano suoni morbidi e rotondi come accade per le registrazioni di Rosina Storchio.

Il dovere di documentazione impone ascolti  per la Farrar. Al di là di una generica solidità della voce la Farrar delude. Delude come Tosca il cui Vissi d’arte è piatto e monotono, delude come Butterfly perché le manca il fraseggio e la duttilità della voce (e come già detto la potenza di una Destinn)  e non indulge neppure nei bamboleggiamenti cari alle giapponesine italiane, quand’anche di cospicuo tonnellaggio come la Pampanini. Non bamboleggiare in Butterfly è un merito, ma limitarsi a cantare anzi eseguire le note, forse, un difetto peggiore. E’ corretta come Mignon, personaggio dolce e dimesso, come pure il suo è un Cherubino ben cantato, senza tanto sale e pepe, ma come Carmen risulta piuttosto insipida. Quando poi esegue le canzoni folk sfigura davanti ad Amelita Galli Curci, che era e rimaneva una belcantista. Devo ritenere che il successo derivasse dalla bellezza della donna,  dal fascino scenico e più genericamente che  la Farrar fu il primo soprano, che compiutamente, al Met ed in America, rappresentò la cantante moderna. Spiego il concetto: sino ad allora o poco prima i successi della Farrar i soprani erano stati qualificati secondo la tradizione ottocentesca in voci chiare e voci scure, insomma quelle che nel grand-opéra era rispettivamente  Margherita e Valentina. Sarà questo il criterio che dovremo con poche eccezioni (Giannina Russ e Lilli Lehmann) seguire per parlare delle cantanti, che debuttarono sino al 1905 circa, soprattutto in area mitteleuropea. All’epoca del debutto della Farrar al Met la prima categoria poteva essere rappresentata da un lato dalla  Ternina e poi dalla Destinn e dall’altro dalla Sembrich e poi dalla Hempel. La prima che per limiti si era distaccata dalle due categorie era stata la Eames, che aveva eseguito i ruoli del nascente verismo come Tosca ed Iris, ma la prima compiuta idea del soprano “moderno” adatta al repertorio coevo fu rappresentata dalla Farrar. Ricordiamo che il Met ed in generale i teatri americano non avevano conosciuto ( e forse non avrebbero apprezzato) fenomeni come la Carelli o la Bellincioni.

Le cose vanno molto meglio con le registrazioni della Alda. In primo luogo per il timbro che è singolare e molto femminile e si può capire come potesse affrontare, alle nostre orecchie personaggi che richiedono sensualità nella voce, come per Francesca e Manon di Puccini (al Met per la cronaca per due sere fu anche Loreley e qui ci si domanda come, vista la difficoltà della parte). Inoltre nel confronto con la Farrar è molto più facile ed estesa in alto, tanto da eseguire la variante acuta della sortita di Butterly e ben più varia nel fraseggio coma accade nelle pagine della Butterfly, senza essere leziosa come ogni leziosità è bandita nel duetto di Bohème con Martinelli ( il famoso “curioso”, palestra di leziosaggini e falsa virtù)  e soprattutto nell’Ave Maria dell’Otello dove il timbro è morbido e dolce e la cantante rende bene l’innocenza della fanciulla (il modello era, forse, la Melba), quando esegue la nenia di Margherita e l’aria di Anna di Loreley, il famoso “amor celeste ebbrezza”, emerge in positivo l’insegnamento della Marchesi nell’eseguire certe figure ornamentali o i trilli o nella dinamica sfumata, nella magistrale discesa ai gravi (“di me pietà” della nenia dove in genere foga e temperamento oltre che dissesto tecnico la fanno da padroni). Talvolta la scuola della Marchesi, che ebbe sotto questo profilo ben peggiori esponenti, si sente nel si nat conclusivo dell’arioso di Butterfly, che suona stimbrato e un po’ fisso.

 

Gli ascolti

Frances Alda

Puccini: Madama Butterfly- Ancora un passo (1913)

Puccini: Madama Butterfly- Un bel dì vedremo (1913)

Verdi: Otello- Ave Maria (1910)

Verdi: Falstaff- Sul fil d’un soffio etesio (1910)

Catalani: Loreley- Amor celeste ebbrezza (1912)

Massenet: Manon- Gavotte (1912)

 

Emmy Destinn

Puccini: Madama Butterfly – Sai cos’ebbe cuore…Che tua madre dovrà (1908)

 

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Un pensiero su “Il soprano prima della Callas, trentaduesima puntata: Frances Alda e Geraldine Farrar, le belle del Met

  1. la Farrar all´inizio della sua carriera era anche una graziosissima ed abile Juliette e Marguerite. Credo (posso sbagliare) che Juliette era anche il suo ruolo di debutto al Met. Aveva almeno negli primi anni più agilità della Alda, chi trovo più lirico e meno lirico leggero. Mi piacciono entrambi. La Nannetta, la Mimì, l´entrata della Butterfly della Alda – tutte splendide. Della Farrar meno Tosca, Carmen & co -più Juliette, Faust e sopratutto i duetti con Edmond Clément.

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