Lucia di Lammermoor alla Scala. Stilfragen

lucia-di-lammermoor-Diana-Damrau-donizetti-viaje-expo-Scala-milánStagione scaligera targata Expo, Lucia di Lammermoor ripresa popolare pro Expo con divi top, Diana Damrau, il più importante soprano lirico leggero di oggi, e Vittorio Grigolo, “il primo tenore italiano che ha fatto sold out al met dopo pavarotti”, tutto ben organizzato secondo legge di mercato. Eppure il folto pubblico atteso e preconizzato non si è mica visto. Non so se fossero tutti in visita all’Expo, anche gli habituè del loggione, o se i divi abbiano una fama tanto dopata che va troppo oltre la sostanza e la dabbenaggine stessa della gente, resta il fatto che all’una a firmare per l’ingresso in loggione eravamo un cinquantina, e i posti in piedi non sono stati esauriti nemmeno all’ultimo istante. Men che meno il resto del teatro, dove sino al giorno prima erano disponibili, stando al sito del teatro circa 200 posti ( e non parliamo poi delle centinaia disponibili per le repliche…). Insomma, la misura dell’evento e di come fosse sentito dal popolo melomane all’ora di pranzo era chiara.
D’altro canto mentre annuncia la stagione il sovrintendente sostiene che le vendite vanno bene ( ed intanto ha messo in vendita tutta la stagione corrente, anticipando i ritmi normali della biglietteria del teatro ) mentre frequentando il teatro si ha la sensazione che vi sia emorragia di pubblico e che forse la questione nodale non sia la panzana che i divi non vengono perché la Scala è un teatro pericoloso, ma che, al contrario, il pubblico ormai snobbi la Scala anche quando ci sono i divi. Correva l’anno 1992 quando al Piemarini debuttava Mariella Devia, cantante che mai ha avuto gli onori commerciali e di marketing di Diana Damrau, ma i biglietti in piedi, ben più degli attuali 140, si esaurirono prima delle 8 del mattino. Come si esaurirono nel 2006, per le sue recite di addio ad un ruolo in cui l’avevamo sentita tutti almeno un paio di volte. Oggi canta la stradiva del momento ma la Lucia di Diana Damrau non è un evento, nemmeno per gli stranieri di Expo. E dovremmo meditare, o meglio, dovrebbero meditare quelli che pensano che il doping creato dal marketing, dalla pubblicità come la droga del teatro di regia siano le ricette per far tirare avanti la lirica.
Furono 20 minuti di applausi quelli che la mondanissima Scala di Lissner tributò alla cantante italiana la sera della sua ultima pazzia di Lucia, 20 minuti sentiti e veri per chi a 60 anni era ancora identica a se stessa, alla sera del debutto. Il CANTO, quello vero, fatto di grande tecnica e di una esatta e calibrata esecuzione vocale da parte di una cantante che conosceva se stessa e il proprio ruolo e sapeva condurre la propria prestazione sempre lungo la via più adeguata. Visione di se e dei propri mezzi che la simpatica Damrau ha dimostrato di non possedere l’altra sera in una prestazione con qualche momento discreto ma con una pazzia che meritava una dura riprovazione e non il tentativo di ovazione che 3 forse 4 fans hanno insistito a voler generare, applauso durato poi tra i 5 e i 10 secondi, suggellato dalla più catastrofica esecuzione dello “Spargi d’amaro pianto” mai udita al Piermarini. Merita un discorso articolato la signora Damrau, perche la critica può anche costruire, ma cominciamo dal principio.
Premetto che la cornice della produzione Zimmermann, anche con le sue cretinerie ed esteriorità buone per i teatri americani forse, lascia comunque lo spazio ai protagonisti di delineare i personaggi dell’opera senza stravolgimenti o deviazioni, quindi alla fine il gioco è nelle mani della bacchetta e dei cantanti.
Dirige il maestro Ranzani, routinier già a Milano come altrove. La sua Lucia è sempre stata e resta col sound e l’accompagnamento da provincia, velleità di integralità, da capo e code all inclusive sempre riproposte anche quando non è il caso, un tocco di falsa filologia con la glasha armonica alla pazzia, per poi procedere all’abbassamento del finale pro tenore e latitare sull’abc dello stile vocale ed espressivo dei personaggi, tutti, nessuno escluso. Immaginiamo che ci siamo state prove minime come spesso accade con le star, ma vi è un limite alla latitanza del podio, perché gli sfracelli dell’inutilmente vociante signor Viviani, che arriva all ‘autolesionismo privato di ogni moderazione ed argine stilistico da parte del direttore, come buona parte delle farciture inconcepibili della signora Damrau, dovevano essere contenute. Per parte sua ha diretto concedendo ai cantanti fiati e rallentamenti, ma procedendo sempre senza atmosfere, senza pathos, senza ispirazione, tanto da produrre un’orchestra più noiosa e pesante che trainante.La domanda che comunque ci si pone durante l’ascolto è quali siano le cognizioni stilistiche del maestro Ranzani e soprattutto se e quale indirizzo filologico pensi di percorrere adottando la glasha e l’integralità di da capi e code quando il canto esula dalla specifiche esigenze stilistico vocali di un ‘opera romantica del 1835.
Il signor Viviani è stato, dicevo, il caso più eclatante, forse perché la sua scena è il biglietto da visita della serata. Canta con tutto il fiato che possiede, sempre sul forte, senza colori e costantemente con accento truculento. Caricato anche nell’aspetto ( è un bell’uomo ma il trucco lo faceva somigliare a Nosferatu ), ha cantato tutta la parte sopra le righe, di fatto senza dar vita ad un personaggio plausibile, perchè Enrico sarà anche un fratello cattivo, ma resta un lord, un uomo politico stretto dagli eventi che certamente non poteva manifestare solo esagitazione o aggressività truce. IL paradosso del signor Viviani, che ha voce da vendere, è che dopo aver cantato l’aria e le due strofe della cabaletta è arrivato ad eseguire le code in tale debito di ossigeno da berciarle in maniera terribile ed anche un po’ ridicola, figraccia che lui stesso avrebbe potuto evitare cantando prima senza spolmonarsi inutilmente, ed il maestro Ranzani tagliando l’inutile passo a beneficio delle nostre orecchie.
Del signor Grigolo e della sua esteriorità a tutto tondo con cui ha reso Edgardo un esagitato sempre sopra le righe ben distante dall’eroe romantico dalla “bella morte” ottocentesco non voglio dire più di quanto già non dicemmo l’anno passato. Ho osservato come la sua sia una profonda convinzione di sé, cosa che gli consente, con la voce artefatta, tutta affondo e muscoli del corpo irrigiditi, di terminare la serata affrontando una fatica fisica che, vista dall’altra parte del palco, ci pare immensa. Il suo canto è muscolare, il timbro baritonaleggiante, gli acuti mai girati, costantemente sul forte, nello sforzo di fare la voce “importante”. Appena prova un piano gli accade, come nel duetto con Lucia, di arrochire o di strozzare la voce in gola, mentre la dinamica del canto non esiste. Ha effettuato l’abbassamento della scena finale, ma senza vero giovamento, anzi, il “Tu che a Dio”, momento più impegnativo ma anche più ricco di pathos ed in cui si concentra tutto il personaggio di Edgardo, è stato a cavallo tra parlati e mormorii soffocati. Taciamo della sceneggiata nepoletana in cui si cimenta alle uscite al proscenio. DI nuovo, tornando alle questioni di stile, mi domando cosa c’entrino queste modalità da cantante da musical con l’opera lirica e con il canto tenorile romantico in particolare. Devo dire che per un pubblico che mai è stato all’opera e nemmeno sa cosa stia vedendo, come nel caso del mio simpatico vicino dell’altra sera, quella del signor Grigolo è una via per catturarne l’attenzione ed ottenerne il consenso.
Il signor Tsimbaliuk quale Raimondo ha cantato come al solito, con voce sonora ma anche cavernosa, gli acuti serenamente indietro e ululati.
Diana Damrau comincia da Milano una stagione che dopo tante Traviate la vede tornare a quello che sarebbe il suo repertorio di elezione in tutti i massimi teatri del mondo. Come già aveva evidenziato nel ruolo di Violetta, possiede una voce sonora seppur spinta ed ispessita oltre il dovuto, dall’estensione in alto notevolmente ridotta ( di fatto è in grado di gestire solo i primi acuti della sua un tempo estesissima gamma superiore ), mentre irrisolto resta il registro grave, ove ricorre spesso a suoni di petto non correttamente gestiti. I problemi tecnici già mostrati in occasione del primo atto di Traviata rivestono in Lucia un peso evidentemente ben maggiore, perché di fatto il soprano non è in grado di abbordare i passaggi acrobatici acuti che la tradizione esecutiva del ruolo rende imprescindibili per una Lucia dalla voce leggera che non possa fondare la propria prestazione sul fraseggio. Diciamo subito che la cantante tedesca, di certo anche molto presa dall’adeguarsi allo stile moderno fatto di espressioni esteriori in luogo di vero fraseggio, di effetti a far le veci del canto, di manipolazioni arbitrarie dei personaggi invece di una riflessione seria sulle modalità espressive dei compositori e della natura dei personaggi, risolve un ruolo che in definitiva non è più in grado di cantare affidandosi alle mossette, ai vezzi, a certi effetti gratuiti che puntualmente arrivano ( telefonati! ) allorquando si avvicinano le difficoltà vocali. E la costruzione, o meglio, la distruzione della parte nei suoi risvolti psicologici ed espressivi è tale e talmente spinta, che l’intero apparato di artifici viene dispiegato dalla signora Damrau anche quando potrebbe cantare in scioltezza con efficacia ed evitare di complicarsi la vita inutilmente, come alla cavatina, quasi cercasse di ottenere una sorta di uniformità stilistica con l’incredibile scena della pazzia che verrà dopo. Intendo dire che per una cantante dal fiato corto e dalle capacità acrobatiche modeste, gli arzigogoli e gli artifici, conditi da sospiri, pause e quant’altro, con cui infarcisce il “Quando rapito in estasi” finiscono solo per metterla in difficoltà evidente oltre a risultare stucchevoli al punto da non riuscire a riscuotere l’applauso. Non sfugge che alla scena della pazzia la cantante sia continuamente in difficoltà e il suo ricco apparato di tedescaggini alla Gruberova ( senza l’ampiezza di canto di quella ) e di “caccole” stile Dessay in altalena sia funzionale a mascherare l’ inadeguatezza vocale alla grande scena acrobatica, dove giunge alla cabaletta quasi in fin di vita e con esiti raccapriccianti. Credo però che la sortita, per quanto la tessitura risulti anche per lei troppo bassa, sia ancora nelle sue capacità vocali se ripulita dalle vuote farciture che finiscono per gravare in primis su di lei. Certo colpisce che una cantante che non ritengo affatto sprovveduta o casuale nelle sue scelte e che ha dato tante prove, al contrario, di avvedutezza e razionalità, fornisca prove come questa, dove la dolce, lirica e forse anche già disturbata Lucia entra in scena con aria allegra e felice, con l’incedere della donna buffa, mentre si appresta ad introdurre un recitativo che tratta di antenate scomparse, di apparizioni silvane etc, e che si mette a danzare felice con la sua Alisa durante la cabaletta mentre esegue ghirigori che nulla c’entrano col brano e collocando il personaggio tra le soubrettes e non tra le primedonne tragiche. Questo di Diana Damrau non ho davvero capito e mi è parsa la nota peggiore della serata al di là dei problemi vocali, ossia l’aver trasformato Lucia in qualcosa che non è ed l’aver scelto delle vie che sul piano stilistico non sono adeguate al ruolo oltre che inutili. Donizetti non sa andare sopra le righe: se ride, sorride piuttosto ma non sghignazza; se piange, lo fa con contegno, mai con esagerazione ( “Spargi un’amara lacrima” del duetto è una metafora, non sono vere lacrime da tergere con le mani come abbiamo visto fare alla signora…tanto per esemplificare ) e i toni di Lucia sono sempre quelli del lirismo, della malinconia velata, della nostalgia, del dolore anche disperato ma dall’espressione contenuta, mai quelli dell’isteria, della concitazione, della frase sgarbata come abbiamo sentito anche più di una volta alla pazzia. Non voglio poi addentrarmi sulle sfaccettature che il personaggio possiede a ben leggere il libretto, di certo non è quello che abbiamo visto. Certo è che la signora Damrau viene da una scuola di canto, quella tedesca, che con soprani formidabili come le Ivoguenn fino alle voci leggere come la Berger problemi di aderenza al canto italiano non ne hanno mai avuti, almeno sino a qualche decennio fa. Le questioni di stile e di pertinenza stilistica dell’esecuzione, dunque, ancora una volta sono state azzerate, anche laddove è stato controproducente e si poteva fare meglio, posto che sorge spontaneo anche un secondo ulteriore quesito, ossia perchè una cantante a questo punto della sua strada che può ancora fare delle buone prove, debba invece ritornare ad un opera fuori dalla sua attuale portata anzichè guardare a ruoli a lei più consoni che le permetterebbero di continuare la sua fortunata carriera con onore. Ma questo è forse affare di chi gestisce e consiglia, ossia gli stessi che hanno inventato o consentito le Lucie in altalena e che di questioni stilistiche poco si intendono!

25 pensieri su “Lucia di Lammermoor alla Scala. Stilfragen

  1. Che tristezza. Lucia è forse la più completa espressione del romanticismo musicale declinato all’italiana (insieme a Trovatore, che mi pare – non a caso – la più donizettiana tra le opere di Verdi). Ridotta a spettacolo da provincia ad uso di turisti che già cominciano a scarseggiare (sarebbe questo il miracolo dell’EXPO?!?). Segno tangibile dell’insipienza e del dilettantismo della Scala targata Pereira-Pisapia: continui cambi di cast, annunci di nomi privi di contratto, interpreti da comunicare a pochi giorni dallo spettacolo, tendenze gerontofile, scelte di titoli tra il surreale e la presa in giro, incompetenza assunta a sistema sino alla vergognosa vendita in blocco di tutti i rimanenti spettacoli della stagione (forse devono far cassa per pagare arretrati o altro, ma così mettono in difficoltà chi, affidandosi ad un calendario, ha programmato gli acquisti in 3 o 4 mesi, non in blocco con relativo esborso). La stessa gestione fallimentare che riesce nel “colpaccio” di programmare nella stessa serata (18 ottobre) due concerti potenzialmente di successo (la Cleveland e la Filarmonica diretta da Gatti): un bell’esempio di concorrenza interna che dà la misura del dilettantismo di chi dirige la baracca!
    Ma torniamo a Lucia vittima (ennesima) di questa mala gestio. Un direttore il cui orizzonte è la routine e che se giustamente tende a eseguire l’opera senza i tagli che la sfigurano (anche se ne restano moltissimi visto il libretto pubblicat), ne tradisce il linguaggio e accetta i cambi di tonalità che ben peggio di un paio di da capo omessi squilibrano la partitura. Uno strabismo che sceglie la glassharmonica, ma esegue la cadenza liberty che sarebbe ora di consegnare al dimenticatoio. Un cast raccogliticcio che ha la punta nella protagonista (di cui ha già detto Giulia) e in quell’incredibile incrocio tra intrattenitore e pop star che è il sedicente italian tenor (nella peggiore e più turistica accezione), che affoga Edgardo in un’estetica da pizza, mandolino e mammà degna di Mario (Merola o Lanza). A questo punto mi aspetto pure Bocelli, magari diretto da Domingo…il tutto sponsorizzato dalla Rolex così Pereira è contento…

    Ps: anche io c’ero nel ’92 a quella Lucia…forse la serata d’opera più noiosa della mia vita, per “merito” soprattutto della Devia (a batter la solfa c’era ancora Ranzani). Ma almeno era una serata d’opera, oggi sembra Sanremo…e pure i turisti ormai non si fanno più buggerare

    • caro duprez la cadenza della Lucia, la sua genesi certamente a Donizetti estinto, meriterebbero riflessioni perché questa scelta è una sopravvivenza di un gusto e di una tradizione piuttosto diffuse dopo il 1850. Il problema e temo di essere ripetitivo e monotono è che la cadenza inflazionata è in assoluto la peggiore che sia stata scritta che ha il solo pregio (torto?) di essere stata la cadenza della Toti, che con trilli e volate aveva poca dimestichezza preferendo staccati e picchettati, poi ripresa dalla Callas e per questo diventata LA CADENZA della Lucia quasi che quelle splendide di una Sembrich, Melba, Siems, Ivogun, Galli-Curci e Barrientos siano sinonimo di cattivo gusto.

      • Il problema è come sempre prendere un certo elemento riconoscibile e coerente con un determinato ambiente storico, culturale ed estetico (che non è quello di Donizetti, ma di molto posteriore) e trasformarlo in dogma irrinunciabile in nome di un concetto sviato di “tradizione” come se fosse un portato astorico e atemporale (mentre la tradizione come tutto cambia col tempo e l’uomo). Se è illusorio ricostruire oggi l’autenticità di 200 anni fa (perché oggi il nostro bagaglio musicale è infinitamente più ricco rispetto all’epoca di Donizetti, Bach o Monteverdi: semplicemente perché abbiamo più vissuto alle spalle e nelle orecchie), altrettanto insensato è rifarsi all’archeologia selezionando un certo periodo storico – tra ‘800 e ‘900 – senza altra ragione che non sia il legittimo gusto personale ed assurgerla a pietra di paragone. La cadenza col flauto aveva un senso e una dignità, ce l’ha tuttora, ma non è né obbligatoria né giusta né corretta… Così come nessun’altra. Il fatto che il pubblico la ritenga parte integrante del testo (come il do della pira o il mi bem di Traviata) è segno di impreparazione e manicheismo. Ancor più idiota però è la pretesa di filologizzare la presunta tradizione sostituendo al flauto la glassarmonica mantenendo però la cadenza liberty fin de siecle in un delirio post moderno che è un guazzabuglio indigeribile. A me personalmente piacerebbe una cadenza più breve e concisa senza ghirigori (inadatti poi al ritrovato carattere di Lucia) magari scritta dalla primadonna o dal direttore. Oppure ricorrere all’ampia letteratura del genere.

        • È un discorso per certi versi analogo a quello delle cadenze nei Concerti per solista e orchestra. Nell’ Ottocento si improvvisavano, poi sono arrivate quelle di derivazione romantica come le cadenze di Carl Reinecke per i Concerti pianistici di Beethoven, successivamente si è imposto l’ uso di ripristinare le cadenze dell’ autore quando esistono e oggi molti solisti se le scrivono, come fanno ad esempio Fazil Say e Patricia Kopatchinskaja

          • Lo so. Ma già Friedrich Gulda nei Concerti di Mozart usava cadenze composte da lui anche in quelli dove esiste la cadenza originale dell’ autore. Io ho ascoltato dal vivo Gidon Kremer nei Concerti di Beethoven e Brahms e lui usa cadenze sue al posto di quella beethoveniana e di quella di Joachim nel Concerto di Brahms. Comunque, per tornare alla Lucia, la raccolta di cadenze e variazioni compilata da Luigi Ricci, ed. Ricordi, ne presenta sette diverse, se non vado errato. Quindi la possibilità di scelta ci sarebbe

  2. Gentile Sig.ra Giulia Grisi,
    volevo innanzi tutto complimentarmi per le Sue attente analisi nel recensire le recite d’Opera oggetto di questo sito, recensioni che presuppongono una Sua indubbia esperienza e competenza nel mondo del canto lirico.
    Per quanto riguarda la Signora Damrau nella recente Lucia scaligera, quoto non completamente quanto da lei scritto. Di certo non siamo più di fronte alla cantante di un tempo che conquistava il pubblico con il suo formidabile registro acuto e che ora, forse per il cimentarsi in un repertorio che non è proprio consono alla sua vocalità, inizia a perdere di brillantezza, ma siamo comunque di fronte ad una Cantante d’Opera, con i suoi pregi e difetti, e per nulla comparabile con il Signor Grigolo che, a mio avviso, di cantante d’opera non ha nemmeno l’ombra. Su quest’ultimo condivido davvero appieno la Sua recensione, meno le recensioni precedenti a mio parere troppo inspiegabilmente elogiative. Quella di colui che si fa vergognosamente etichettare come “The Italian Tenor” è una smania di successo a tutti costi, basata sull’esagerazione e MAI sulla riflessione e sul vero studio del canto, una carriera spinta oltre ogni ragionevole limite, in primis da un padre politicamente ammanicato, nonché esponente della massoneria, una carriera costruita con troppe scorrettezze e soprattutto inganni e menzogne in cui, ahinoi, troppi sono caduti. Troppe volte il Signor Grigolo utilizza il nome di celebri artisti defunti per autoelogiarsi, primo tra questi il nome di Luciano Pavarotti che se potesse si rivolterebbe nella tomba. Il grande e tanto decantato legame tra Grigolo e Big Luciano non c’è mai stato, mai Pavarotti definì Grigolo il “Pavarottino”, mai ebbe un rapporto di amicizia con lui, mai lo elogiò oltre misura come raccontano i giornali di tutto il mondo. Mi chiedo soltanto perché la famiglia Pavarotti nonché i suoi amici più stretti, dinanzi a queste continue bugie raccontate per mano dell’Italian Tenor rimanga in silenzio e non denunci. Certo che ci vuole coraggio ad imporre ad Antonella Clerici, prima della messa in onda della trasmissione “Lo Spettacolo sta per iniziare” 2014, di soffermarsi ad elogiare Grigolo dicendo che è il primo tenore italiano al mondo ad aver fatto sold out al met (in un suo recital) dopo Pavarotti, ma questo coraggio a Grigolo, o chi per lui, non manca affatto, l’obbiettivo è stato raggiunto, diffondere voci ASSOLUTAMENTE FALSE per trarne beneficio. E tutti ci cascano…. Questo significa, a mio avviso, giocare sporco. Tanto per chiarire: quando fu annunciato il recital di Vittorio Grigolo al Met, il giornalista Zachary Woolfe del New York Times scriveva “It is depressing that he [Vittorio Grigolo], of all the company’s singers, has been chosen for the honor of a solo recital on the Met stage next year” [TRADUZIONE: “E ‘deprimente che, tra tutti i cantanti del Met, sia stato scelto lui (Grigolo) per l’onore di un recital sul palcoscenico del Met il prossimo anno”. Grande problema questa critica per “The Italian Tenor”…. come aggirare l’ostacolo? Semplice, portare un bel po’ di claque (cosa che non manca mai in tutte le sue recite) e far in modo che Zachary Woolfe non recensisca il recital. Detto fatto, quella sera “proprio per caso” il New York Times mandò un altro giornalista ad assistere al recital. Per finire: il Met sperava in una cospicua vendita di biglietti, ma ad una settimana dalla data del concerto centinaia di biglietti erano rimasti invenduti. Bisognava però riempire il teatro a tutti i costi. Ecco che allora i biglietti, fino a pochi minuti prima del recital, venivano REGALATI pur di far pienone. Risultato: il pubblico c’era, ma molti posti rimanevano ancora vuoti, ALTRO CHE SOLD OUT!
    Questa è soltanto una delle numerose bugie messe in giro dall’istrionico tenore. L’ultima è di pochissimi giorni fa e non potete perdervela:
    il giorno dopo della Lucia in Scala, Grigolo ha registrato una intervista per Panorama. L’intervista è visibile al link di seguito:
    http://www.panorama.it/panoramaditalia/varese/vittorio-grigolo-cosi-ho-avuto-successo-negli-stati-uniti/
    Come il Signor Grigolo avrà sapientemente istruito l’intervistatore, che poco o niente saprà sul suo conto? Ma con qualche altra frase elogiativa e SOPRATTUTTO FALSA. Il titolo dell’intervista è “Vittorio Grigolo: così ho avuto successo negli Stati Uniti”, ma andiamo oltre e scorriamo al minuto 1:00.; l’intervistatore recita testuali parole: “ieri è stato impegnato con la Lucia alla Scala che gli ha tributato 15 minuti di applausi A SCENA APERTA”……. A voi risulta??? A me no, direi che un minuto di applausi a scena aperta sia già tantissimo, ma per Grigolo è troppo poco, bisogna esagerare, stupire perciò… FAMO 15 E TAGLIAMO LA TESTA AL TORO.

    • Non ho letto la sua intervista ma posso assicurare che il signor grigolo è stato calorosamente applaudito alla sua singola come lansignora damrau ma senza trionfalismi o ovazionidel tipo da lei descritto. Alla fine se non sono inerente contestazioni prima e nessuno contesta le sale sono solite sciogliersi in applausi più o meno intensi a seconda anche di quanto gli artisti sanno tirarli. Devo dire che il signor grigolo non ha mancato anche questa volta di concedere la sua solita morte del cigno al proscenio, baciato e ribaciato platealmente.

  3. Grazie per gli approfondimenti alla Signora Giulia ed al Signor Gilbert-Luis. Andando questa sera alla replica della Lucia sono così preparato…
    Quando mi collego al vs spazio di discussione so già che dovrei prepararmi assumendo – chessò – un Tavor od altro antidepressivo. Non ricordo più quando è stato l’ultimo argomento nel quale si esprimeva da parte delle colonne del blog una opinione positiva senza se e ma di una rappresentazione o di un interprete vivente. Il consueto rimando alle glorie del passato a dimostrazione della insipienza delle attuali è una regola. Mi sento di chiedere a voi di accompagnare il consueto biasimo con rimandi ad attuali e viventi interpreti da voi ritenuti più validi, anche perché una registrazione di 50 o 80 anni fa non riesce a dare un corretto confronto con una audizione attuale o con una registrazione di oggi, i vostri esemplare richiami rischiano di perdersi nelle onde di fruscii o di bassi filtrati del passato… E’ questo il suono ed il sapore del tempo?
    Ho da poco superato i 60 anni ma non i sono ancora rassegnato a vivere nel e del passato…..

    • è una dolorosa e nel contempo imposta regola e non per scelta nostra, ma per scelta altrui, che ci propinano quel che ci propinano. Talvolta purtroppo interpreti che possano reggere il confronto anche con la media classifica non ce ne sono. Voglio dire nessuno pretende di avere ancora l’Olivero, ma una Chiara, una Tucci, una Ligabue, ovvero professioniste solidissime che nel loro repertorio erano in grado di reggere i confronto con il passato e di dire la loro oggi purtroppo non ci sono.
      Aggiungo, poi, che abbiamo appreso con nostro dispiacere che talvolta alcuni (pochi è vero!) cantanti che rispondevano al nostro gusto ed approccio venivano bollati, spesso ad opera dei loro medesimi agenti, come i cantanti della Grisi, il che portava in un mondo di persone che ripetono secondo lo schieramento corrente e dal carro vincente ad un danno per quel cantante. Tutto qui il motivo della nostra scelta. Grazie della richiesta e aspettiamo le Tue opinioni su questa Lucia. ciao dd

  4. Non abitando a Milano o dintorni, non vedrò/ascolterò questa Lucia, opera bellissima, ma che mal eseguita diventa anch’essa irrimediabilmente insopportabile. Non mi dolgo pertanto di non poter assistere alla rappresentazione. Ho visto qualche tempo fa una Lucia televisiva con la Sig.a Dambrau, una edizione da concerto, dove la signora dava continuamente in escandescenze, arrivando, nella pazzia, a darsi delle botte in testa!! Il canto era ovviamente quello che era. In una intervista televisiva che mi è capitato di scoltare la medesima signora spiegava che Lucia è una personalità bipolare, ed uno psichiatra all’uopo interrogato aveva confermato… Mi ricordo di aver sentito, tempo fa, che Lady Macbeth era così cattiva perché da bambina era stata fatta oggetto delle attenzioni di un pedofilo. Con queste premesse mi pare che ci sia poco da parlare di registri, di passaggi, di legati e di staccati ecc. Siamo fuori e basta.

  5. Ah adesso se un cantante piace al corriere della Grisi ,vengono etichettati,e bollati dagli agenti…se è cosi Donzelli sono proprio dei coxxxni,a vedere quelli che propinano….però con la Pratt stanno zitti..

  6. Cara Giulia, ero presente alla prima di giovedì, come alle ultime rappresentazioni di Mariella Devia nel 2006. Mi sono sinceramente stupito di presentarmi all’appello all’una meno dieci ed avere il numero 50, ma questa è una tendenza che sta andando avanti da parecchio tempo e non mi sembra dovuto al decadimento della qualità dell’offerta teatrale, ma forse più ad un abbassamento del livello di educazione musicale – a partire dalle scuole civiche di musica – che si sta producendo il tutto il paese. 20 anni fa bisognava prendersi la giornata di ferie per entrare, da qualche anno basta prendere la “mezza”, per la Lucia, e probabilmente anche per le recite a venire, basterà presentarsi dopo il lavoro. Al di là del risultato, il cast c’era, ma a teatro ci va chi conosce e secondo me qui sta il punto: c’è un decadimento della cultura musicale, da qui si parte e ovviamente l’arrivo è il loggione vuoto; e si sta parlando di una prima, per le altre recite (a parte il solito gruppo di bagarini sempre presenti) le persone in coda per l’ottanta percento sono stranieri.
    Per quanto riguarda lo spettacolo a mio avviso il peggio lo ha dato la buca, perché senza entrare in tecnicismi che non mi competono, riuscire a rendere noiosa un opera come la Lucia credo sia un’impresa non da poco. Grigolo con la sua spavalda energia (concordo fuori luogo per il personaggio) almeno ha “svegliato” un pò lo spettacolo. Per quanto riguarda la Damarau, fare un paragone con la Devia mi sembra inappropriato. Sono sempre stato un fan della Devia dalla prima volta che l’ho sentita nel “Ratto” di Mozart e ad oggi mi chiedo chi potrebbe sostenere la scena della pazzia come faceva lei… Per fortuna anche questa volta era presente la glassarmonica, che comunque vada un pò di emozione quel suono riesce sempre a suscitarla.

    • Caro Andrea il paragone è legittimo perché sono della stessa specie vocale , due leggeri estesi in alto che possono puntare più sul canto strumentale che sull espressività tragica etc…certo, sul piano tecnico sono incommensurabile, concordo, ma è proprio lì che misuri la grande cantante ed i meccanismi commerciali che tendono a non premiare il migliore sul piano vocale e tecnico. E la devia non era la sills e nemmeno la sutherland

  7. Seguo il cortese invito di Donzelli per riferire qualcosa sulla rappresentazione del 3 giugno. Essendo un nuovo frequentatore del blog, dovrei stare zitto per almeno 5 anni ed ascoltare, come in un circolo pitagorico. So anche bene che il Maestro del Circolo è permaloso, ha condannato all’annegamento un suo discepolo per avere dimostrato l’esistenza dei numeri irrazionali (a Pitagora i numeri irrazionali non andavano troppo a genio…).
    Tant’è ..
    Prima dell’inizio della rappresentazione un intimidito funzionario della Scala, parlando in italiano con forte accenno francese, infomava il gentile pubblico che per improvvisa indisposizione la signora Damrau non poteva cantare, fortunatamente la signora Mosuc ha dato la sua disponibilità per la sostituzione, inoltre il signor Grigolo era stato colpito da raffreddamento influenzale, ma ciononostante ha desiderato cantare lo stesso. Il funzionario, certo della qualità e professonialità del cast ha quindi assicurato che la serata sarebbe stata comunque all’altezza delle attese .
    I due terzi degli spettatori parlanti lingua italiana si sono guardati attorno un pò spaesati, il rimanete terzo non parlante italiano e che non ha capito , forse non si è accorto della assenza della signora Damrau…
    I numerosi sedili vuoti (palchi pieni a metà, loggione più vuoto che pieno) forse interrogandosi si sono chiesti se non sono stati loro la causa di tali infortuni… (domenica scorsa forfait di Anja Harteros – pochi biglietti venduti ? – che ne sarà della salute dei poveri Florez a Kaufman con i loro recital previsti in giugno e sempre con desolate prevendite?).
    Cio detto e pronto a cogliere il buono, non mi sento di dare opinione negativa sull’esito della rappresentazione.
    La signora Mosuc, di cui si possono leggere sul blog parecchi riferimenti non positivi, è stata secondo me professionista attenta ai suoi limiti, molto attenta al colore della sua interpretazione più che alla coloritura, mai sguaiata ed ottima attrice. Forse poco piena nelle tonalità centrali (scusate il commento se improrpio, non sono passati i 5 anni..) ma convincente. Il sig Grigolo secondo me non ha sfigurato nonostante il raffreddore, probabilmente è stato aiutato da qualche strategico abbassamento di tonalità o da qualche simile artifizio, ma convincente anche lui e con una ottima presenza di scena. Gradito anche il suo scusarsi fianele al pubblico (battendo costernato le mani su pavimento e fingendo di soffiarsi il naso con un fazzoletto virtuale) che mi è parso un atto di sincera umiltà.
    Graditissima l’uso della Glass Armonica per la scena della pazzia, tenerissimo il maestro allo strumento che per aggiustare l’accordatura è corso ai bagni al secondo intervallo per riempire un bicchiere di acqua e dosarla nelle canne di vetro, con un fare artigiano di altri tempi.
    Felice secondo me la regia e la messa in scena, sia per scelte ed ambientazioni in tono e mai sovraccariche sia per la citata abilità recitativa teatrale dei protagonisti.
    Lascio naturalmente ad altri la stesura di più competenti note su tutto ciò che avrebbe potuto essere meglio, personalmente a me è piaciuto essere presente.

  8. Piccolo intevento solo per dire che stavolta – ebbene sì – sono d’accordo pressocché in toto con Duprez (eccetto forse il giudizio così negativo verso la Devia). Anzitutto non c’è cosa più cretina che rispettare tutti i da capo e mantenere gli abbassamenti di tono tradizionali: non che io accetti i tagli, anzi li detesto, ma alterare la condotta armonica di un’opera secondo me è scempio di pari entità.
    Fa chiaramente eccezione la cabaletta di Enrico, che da tradizione non è semplicemente “dimezzata”, ma ridotta ad un moncone indegno, mentre si tratta di una delle più belle pagine dell’opera.

    Infine un commento sulla gestione dei biglietti. Mi ero fatto un programmino di acquisti consono ai miei impegni ed alle mie tasche, poi scopro che il calendario vendite è stato cancellato e sostituito da un bell’ “arraffa-arraffa”: confesso che mi è scappato un grande, pieno e sincero… Vaff…o! (Perdoni la padrona di casa il pur velato turpiloquio)

  9. Quando, il giorno prima dell’apertura straordinaria delle vendite per tutti gli spettacoli del periodo Expo, chiesi spiegazioni in biglietteria serale, mi guardarono stupiti e mi dissero: “Ma come fai a saperlo? Lo sapete tu e i bagarini?” Ebbi ola presenza di spirito di ribattere: “Io l’ho letto sul twitter della Scala? Ai bagarini invece chi lo ha detto?” “E ma loro sono sempre qui in giro!”
    Il giorno dopo alla biglietteria di via Filodrammatici uno dei due sportelli era sostanzialmente riservato ai bagarini, ai quali non veniva solamente permesso di acquistare qualsiasi quantità di biglietti della categoria più economica, ma anche di chiedere (e ottenere) di tenere bloccati per qualche ora alcuni biglietti.

    Me ne sono andato senza salutare.

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  10. Sono un nuovo frequentatore del Vostro interessantissimo blog che seguo per approfondire la mia scarsa conoscenza del mondo dell’arte del canto. In relazione alle rappresentazioni di questi giorni della Lucia di Lammermoor a Milano mi permetto di segnalare la recente pubblicazione sul sito youtube di un frammento della settima scena dell’ultimo atto (“Tombe degli Avi miei”) cantata da Vittorio Grigolo https://www.youtube.com/watch?t=11&v=tzsnzm0rMSI che potrebbe dare spunto per una nuova versione degli “ascolti comparati” dopo quella già pubblicata http://www.ilcorrieredellagrisi.eu/2014/02/ascolti-comparati-tombe-degli-avi-miei-vittorio-grigolo-e-giovanni-malipiero/

  11. La recensione è né più né meno di quanto mi aspettavo da questo cast… ho solo alcune domande: avete sentito anche la Mosuc? sarebbe interessante due parole di confronto sulle signore; com’è la voce di Grigolo in quanto a dimensioni? Io la ricordo non grande, ma nel complesso tranquillamente udibile a Venezia qualche anno fa come Alfredo.

    Sulla Damrau mi trovo a discuterne spesso. Lei è stata un’ottima professionista in certi ruoli, ma dal 2012 circa ha avuto un grandissimo calo (dalla gravidanza?) secondo me e dispiace perché nel panorama odierno non era assolutamente da buttare via, anzi. A me sembra che sia una cantante di coloratura che ha disimparato a cantare la coloratura, da qualche anno si arrangia palesemente e si dirige di conseguenza a ruoli più pesanti senza avere minimamente possibilità di uscirne indenne e di risultarere convincente. Il recital Meyerbeer di Roma (sentito in broadcast) è impietoso e esemplificativo, questa Lucia e pure quella in studio anche, Traviata e ruoli più drammatici anche. E’ una voce che ha perso completamente la bussola e, francamente, mi dispiace. L’Europa riconosciuta, il primo decennio del duemila e persino il Comte Ory del Met nel 2011 (l’ultima cosa decente che ha fatto secondo me) ne hanno messo in luce bravura e professionismo, oggi non è rimasto molto eppure è giovane…

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