Se la Donna del Lago e il Turco in Italia si sono rivelate portate pesanti come macigni e pressoché inassimilabili nonostante alcuni elementi positivi – due o tre in totale, non di più -, la ripresa del Ciro in Babilonia è stata fortunatamente di livello superiore grazie a un direttore che, finalmente, ha concertato l’opera e l’ha diretta bene e alla vecchia Ewa Podles che, ancora una volta, ha messo in riga i giovani e sprovveduti colleghi.
Ciro in Babilonia, rappresentato per la prima volta a Ferrara il 14 marzo 1812, non ebbe una grande circolazione italica, tantomeno extra-italica, e non ha goduto neppure di molte riprese in epoca moderna. L’opera non può dirsi ancora pienamente matura, ma è ricca musicalmente di elementi che saranno poi sviluppati dal compositore pesarese, quali l’apparizione di un segno divino, le grandi scene con coro per il contralto (che sarà il modello che, ampliato, porterà ai più celebri ruoli en travesti), una scena di pazzia, i raffinati e complessi accompagnamenti riservati alle arie e l’impiego in alcuni casi di strumenti solisti (corno e violino in questo caso). Purtroppo la bella musica di Rossini deve fare i conti con un libretto non proprio ispirato di Francesco Aventi che elabora una trama non molto originale e che fallisce nel coniugare l’aspetto amoroso con quello storico e religioso; un libretto, insomma, che doveva sembrare un poco inamidato già all’epoca della prima. Ciro non ebbe un successo strepitoso, ma piacque e si meritò anche un giudizio positivo da parte di Stendhal prima di diventare un notevole bacino di autoimprestiti per Rossini, come sempre il miglior giudice di se stesso. Nel Ciro, dunque, si trovano in nuce molteplici aspetti che testimoniano, da una parte, gli studi del compositore e, dall’altra, gli elementi che sarebbero diventati propri della sua produzione seria. Vocalmente Ciro costituisce un bel cimento per i cantanti: Amira, parte scritta per la Manfredini, deve affrontare la scrittura più ornamentale e acrobatica senza essere però un sopranino, Ciro ha grandi scene in cui più che il virtuosismo sono la scansione delle parti recitate e il legato nei passi elegiaci i tratti più caratterizzanti, Baldassarre è, invece, un ruolo baritenorile, erede di quelle parti legate a una certa tradizione settecentesca che si trovano in Mozart, Zingarelli, etc.
Dopo questa breve premessa, torniamo all’esecuzione offerta ieri al Rof. Il vero motivo d’interesse in questa riproposizione si deve alla bacchetta di Jader Bignamini, direttore giovane e di vero talento che ha spazzato via non solo il ricordo dei clangori sferraglianti propri della brutta direzione di Crutchfield di quattro anni fa, ma anche il ricordo assai più vivo delle pessime direzioni dei due giorni precedenti da parte del divo Mariotti e della Scappucci. Bignamini ha dimostrato che il talento si dimostra sul campo, non con gli appoggi o la propaganda stile istituto Luce, e che è ridicolo e penoso dare la colpa dell’esito alla qualità pessima delle ripresa radio, come i difensori d’ufficio di Mariotti si sono subito sentiti in dovere di sostenere. L’abisso tra Bignamini e gli altri due colleghi è profondo: i primi dispensano rumore spacciato per fuoco interpretativo e si rivelano inetti nella gestione di orchestra, coro e cantanti con continue stonature, attacchi errati, scollamenti etc., il secondo concerta l’opera, governa perfettamente l’orchestra, crea i colori, differenzia le varie scene, fa prova di saper accompagnare e aiutare i cantanti così da far fare loro una bella figura nonostante abbiano seri problemi nel vestire i panni degli eroi rossiniani. Ecco allora che Ciro in Babilonia, opera interessante che però non si regge da sola e non è certamente non un capolavoro, è sembrata molto più bella di quel che è realmente proprio perché valorizzata da Bignamini, sempre attento a restituire con pertinenza ora il tono elegiaco di alcuni cantabili, ora lo slancio degli allegri, a sostenere con intelligenza i recitativi, a guidare i cori e a differenziarli (perché un’orgia e un coro militare non sono la stessa cosa!).
A Bignamini i più sinceri auguri per il futuro e la speranza che abbia l’occasione di cimentarsi ancora con Rossini e il belcanto… anche se probabilmente non a Pesaro visto che per l’anno venturo hanno pensato bene di preferirgli altri nomi e continuare la tradizione per cui titoli come Le Siège de Corinthe, dopo le meraviglie di Schippers, venga puntualmente rovinato dai battisolfa di turno.
Per quanto concerne il cast, la migliore in campo è Ewa Podles, indiscussa protagonista cui anche il pubblico ha tributato il maggiore affetto. Il primo atto è stato faticoso, la voce ci mette molto a scaldarsi e i difetti dovuti all’età e all’usura del mezzo sono pesanti: l’opacità timbrica, l’enorme buco nel medium che impedisce qualsiasi forma di legato nonostante lei ci provi sempre, i gravi, mostruosi e tecnicamente sbagliati e indifendibili ancorché provvisti di un certo fascino, che sono emessi con divertita autocompiacenza, mentre gli acuti non sono più facilissimi. Nel secondo atto le cose sono nettamente migliorate e la Podles, ormai riscaldatasi, riesce a salire ancora in cattedra e regalare momenti di bella musica grazie all’accompagnamento ispirato del direttore che le viene incontro in ogni modo creando una vera e propria rete di salvataggio che le consente di risolvere la grande scena al meglio con risultati espressivi che mettono in secondo piano le inevitabili mende vocali. Ciò che, infatti, è rimasto intatto nella Podles è la capacità di accentare in modo consono Rossini, garantendo un tono ora nobile e eroico, ora patetico e accorato laddove è necessario.
Gli altri cantanti in scena sono stati ben al di sotto dei rispettivi ruoli e della scrittura rossiniana che nulla perdona a chi si improvvisa. Con due coprotagonisti come la signorina Pretty Yende e Antonino Siragusa la mente non può che giocare brutti scherzi: ecco allora che Ciro esce dal selciato dell’opera seria cinto di portici e colonnati per prendere una viuzza ricoperta di ciottoli che porta direttamente nell’allegra Topolinia, ove Amira-Minnie e Baldassare-Topolino giocano a fare i principi dal sangue blu per intrattenere Pippo e gli altri amici tra un’avventura e l’altra. Antonino Siragusa, cantante apprezzabile in altre occasioni, è semplicemente improponibile nei ruoli da baritenore: aver perso la facilità nella zona acuta, regolarmente spinta e dura, non lo autorizza a credere di essere adatto a ruoli gravi perché sotto la voce gratta e l’accento produce solo risultati ridicoli. La lunga frequentazione rossiniana permette al cantante di risolvere i passi di agilità con dignità e di avere intenzioni teoricamente molto corrette sul piano dell’interpretazione, ma l’esecuzione risulta pessima e la parte viene snaturata completamente. Baldassare non è un personaggio da opera buffa, non è il tenore della Gazzetta e della Cenerentola e non è neppure Topolino.
Pretty Yende, lanciatissimo soprano sudafricano, ha ricevuto applausi più che immeritati e dimostrato molte cose per chi sa ascoltare attentamente: a) la cantante per ogni ruolo che interpreta imita una precedente interprete che ha preso a modello, in questo caso la Pratt, splendida Amira nel 2012, di cui cerca di riproporre non solo le variazioni, ma a tratti la voce e il modo di porgere la parola. Queste imitazioni lasciano il tempo che trovano e dimostrano che la personalità di questa stellina nascente è del tutto assente; b) Pretty Yende ha un enorme problema che si chiama intonazione. Invito ad andarsi a sentire video a caso su Youtube per verificare in prima persona come la cantante sia regolarmente stonata da qualche anno a questa parte, a tutte le altezze e con una pervicacia che suscita ilarità, se non fosse per la critica di mezzo mondo che ne esalta le misere performance perché bisogna parlarne bene per forza.Qui le opzioni sono due: o manca l’adeguato sostegno e la corretta fonazione, oppure è un serio limite musicale. In ogni caso almeno l’intonazione dovrebbe essere requisito minimo per un cantante, ma evidentemente anche sotto questo punto di vista noi della Grisi pretendiamo troppo; c) la signorina canta male: la posizione è bassa, i gravi sono posticci e deboli, il centro è gonfiato per tentare di trovare un corpo che non c’è, la voce è spesso opaca e non a fuoco, le dinamiche sono pressoché nulle, la voce è spesso fissa specie negli acuti, i quali a loro volta sono strilletti stonati lanciati alla come mi viene mi viene che in alcuni casi assomigliano in modo preoccupante a guaiti. In simili condizioni la soppressione della seconda aria sarebbe stata opportuna ma… niente paura! Segnatevi questo nome perché ne sentiremo ancora parlare.
Il resto del cast è stato insufficiente: l’Argene Isabella Gaudí aveva un bruttissimo si bemolle, lo Zambri di Oleg Tsybulko e il Daniello di Dimitri Pkhaladze sono i classici bassi ingolati e stomacali che con Rossini sono a mal partito, l’Arbace di Alessandro Luciano ci regala, non volente, un’aria con divertenti variazioni alla Elvira de Hidalgo. Applausi per tutti ovviamente. D’altronde, se hanno applaudito persino la signora Mariotti al termine del naufragio della grande scena di Fiorilla e la novella Colbran pesarese con la sua Elena inesistente, non era lecito attendersi altrimenti.
I problemi di intonazione della Yende meritano un commento. Quando io ho iniziato a frequentare i teatri d’ opera, alla terza o quarta nota calante i direttori d’ orchestra cominciavano a minacciare la protesta. Oggi invece anche per quelli bravi un cantante si definisce “musicale” solo perché va a tempo
continuando la ns cena siam giunti al succulento secondo piatto, per cui si rimpiange di aver preso l antipasto (La donna del Lago ossia il werther di rossini in edizione ‘scriteriata ‘ di Micheletto )
Opera poco conosciuta e frequentata , noiosetta e bruttina , è improvvisamente apparso il fantasma rossiniano
richiamato da una spumeggiante giovanissima Ewa Podles che ha dato un saggio di come si canti Rossini dal bravo Siragusa che non ha deluso e dalla signorina Pretty Yende che trovo abbia
interpretato dignitosamente il ruolo…
e anche in questo caso la regia di David Livermore, pure con gli eccessi cinematografici di cui è farcita ha aiutato non poco lo spettacolo…, spostando un dramma semi serio di rossini in una piece cinematografica anni 20 senza banalizzare né trama né
svolgimento dell azione anzi rendendo più comprensibile e godibile l iniseme…
Jader Bignamini è stato un diligente maestro concertatore e direttore d orchestra …
meritano un plauso i favolosi costumi firmati da Gianluca Falaschi
Forse i più convinti e cordiali applausi dispensati a tutti malgrado fosse lo spettacolo meno ‘gettonato’ del trio
presentato quest anno al Rof
FF…ossia il favoloso falaschi