Caro Ferruccio, caro Arlecchino: grazie.

immagini.quotidiano.netArlecchino servitore di due padroni è la storia del Piccolo Teatro ed è la storia di Milano. Da quando il 24 luglio del 1947 Strehler presentò al pubblico il suo spettacolo capolavoro, è anche la storia del teatro italiano. Una produzione dei record perché ancora dopo 70 anni diverte, emoziona, commuove, coinvolge. Dal 1959 la maschera di Arlecchino è stata vestita e vissuta da Ferruccio Soleri. Dopo 2283 recite, domenica scorsa, Ferruccio ha dato l’addio al suo personaggio. E il Piccolo lo ha celebrato con una festa e con un doveroso omaggio: tanti i colleghi – non più giovanissimi – che l’hanno salutato domenica pomeriggio con un lungo interminabile applauso, condiviso dal pubblico. Arlecchino, per Soleri, non è stato solo un ruolo interpretato a teatro, ma un pezzo di vita: quasi una vita intera. Si può solo immaginare la gioia velata di sana tristezza per un’avventura che si chiude. E lo si vede nell’espressione del viso, libero dalla maschera goldoniana, che ha Ferruccio portato in trionfo dagli attori alla fine dello spettacolo: un miscuglio di commozione e felicità che bene condivide chiunque abbia visto e rivisto il suo Arlecchino. Lo vidi tante volte a teatro (la prima quando andavo ancora al liceo) e sembrava sempre la prima. Ci scambiai anche due parole un pomeriggio, davanti al Teatro Strehler con una semplicità e umanità che mi resteranno sempre nel cuore. Tanto cosa si potrebbero dire, ma l’unica davvero importante – anche per un sito che si occupa principalmente di musica – è grazie! Grazie Ferruccio e grazie Arlecchino.

Gilbert-Louis Duprez

Aggiungo il mio personale ricordo, che l’età fa risalire nel tempo e precisamente al mese di giugno del 1973 quando alla villa comunale (allora sede di spettacoli durante l’estate come il cortile della Rocchetta al Castello) il Piccolo propose un nuovo allestimento dell’Arlecchino, che credo tornava dopo molti anni. Quelli furono gli anni in cui a partire dall’opera da tre soldi, Strehler ed il Piccolo ritornavano su titoli che erano stati i primi e più significati di un teatro e di un modo di fare teatro davvero nuovo. Si diceva che Strehler non avesse tempo e voglia di nuovi testi. Questo non lo posso dire e non ho argomentazioni per sostenere l’una o l’altra tesi, ma per un adolescente il teatro di Goldoni (allora molto in auge soprattutto in televisione con Cesco Baseggio) ha una presa ed un fascino che si colgono ed apprezzano con grande facilità e poi Soleri, agilissimo, vera maschera anche con la maschera perchè secondo al tradizione delle parti buffe della commedia si recita con il corpo e con la voce era assolutamente inarrivabile.
Come sempre negli articoli del corriere ci vogliono gli ascolti. Alcuni sono operistici e sono quelli del personaggio più vicino ad Arlecchino ossia il Figaro rossiniano. Il primo ad opera di Carlo Galeffi un insuperabile, come è stato nei panni del servo bergamasco Ferrucco Soleri e l’altro ad opera di un cantante (Mariano Stabile) che in un altro ruolo – Falstaff – ha speso ed identificato la propria lunghissima carriera. E poi l’omaggio “storico” ossia MArcello Moretti, che non ebbe la lunga vita e la lunghissima carriera di Soleri e fu il primo Arlecchino al Piccolo

Domenico Donzelli

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4 pensieri su “Caro Ferruccio, caro Arlecchino: grazie.

  1. Bravo Donzelli di aver ricordato Marcello Moretti, – creatore e interprete dell’Arlecchino strehleriano dal 1947 – del quale Soleri fu degno allievo, sostituto (una recita a settimana), e fedele esecutore ed erede del ruolo al momento della sua prematura scomparsa .

    • E’ un passaggio di testimone che si ripete anche oggi con il nuovo e altrettanto bravo Arlecchino di Enrico Bonavera. Ciascuno diverso dal precedente, ma ciascuno parte della stessa storia che non è solo quella di Strehler e del Piccolo, ma del teatro italiano (e non solo). Soleri fu Arlecchino per più di mezzo secolo, dal 1959 al 2018. Legittimamente il ruolo è suo, più di chiunque altro. Fu lui a portare Arlecchino in tutto il mondo: a Londra davanti a Laurence Olivier (che ne fu rapito) e in USA davanti al meglio della Hollywood di allora.

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