L’Orfeo al Festival Monteverdi: un déjà vu che non convince.

orfeoNasceva, esattamente il 9 maggio di 450 anni fa Claudio Monteverdi. L’importante ricorrenza sarà celebrata, nel corso dell’anno, da tante iniziative, concerti, rappresentazioni: concentrate, soprattutto, nei luoghi monteverdiani (la Scala, ça va sans dire, se ne chiama fuori occupata a riproporre sino alla nausea lo stesso repertorio di sempre) e culminanti nell’esecuzione dei tre titoli operistici alla Fenice di Venezia, e del Vespro della Beata Vergine in Cattedrale a Cremona (in tutti i quattro concerti ricorre il nome di Gardiner e delle sue compagini). Anche il nostro Corriere parteciperà – doverosamente – ai festeggiamenti per il più grande compositore italiano: ed in attesa di dedicargli il giusto spazio, darò conto di alcuni degli eventi principali del Festival Monteverdi di Cremona. Ogni anno il festival cremonese porta in città taluni tra i maggiori interpreti della musica barocca e pre barocca, con spettacoli intelligenti e programmi interessantissimi. Quest’anno – vista la speciale ricorrenza – l’offerta del festival è particolarmente ricca. A cominciare dal ritorno all’opera con L’Orfeo esattamente 10 anni dopo l’ultima rappresentazione cremonese. Ricordo molto bene lo spettacolo: era il 2007 e si celebravano i 400 anni dalla prima esecuzione dell’opera. Uscii da teatro pervaso dalla musica di Monteverdi, felice per un’esecuzione ottima e coinvolgente e soddisfatto della messinscena intelligente e suggestiva. Dopo 10 anni esatti rimane invece un senso di stanco déjà vu che è solo l’ombra di quello che era. Non si può dire che sia un brutto spettacolo, ma certamente – per chi c’era nel 2007 – è stata sicuramente una parziale delusione (infatti il successo che accompagnò lo spettacolo di 10 anni fa, con quegli applausi che non finivano più ed il pubblico in piedi sotto il palco, non certo paragonabile al discreto successo d’oggi). Innanzitutto lo spettacolo: la riedizione – con mezzi più ricchi – di quello del 2007. Andrea Cigni ripercorre il suo spettacolo d’un tempo, aggiornandolo con una maggior rifinitura scenica, ma senza aggiungere nulla alle idee d’un tempo, anzi forse i mezzi più ricchi hanno tolto un po’ di genuinità. In ogni caso spettacolo sempre intelligente e gradevole con gli stessi pregi e le stesse suggestioni (ma anche gli stessi difetti, forse amplificati: come l’eccessivo gesticolare dei pastori durante l’imeneo; il Demone in perizoma con le ali posticce, l’eccessivo uso di coriandoli luccicanti, colorati in questa riedizione), anche se le luci sono oggi molto più rifinite e spettacolari, regalando alcuni splendidi effetti. Detto questo non è certo la regia a deludere, ma l’aspetto musicale. Nel 2007 l’opera era affidata alle cure di Andrea Marcon e della sua Orchestra Barocca di Venezia: un’esecuzione ricchissima di fantasia, colore (nel sapiente uso dei timbri degli strumenti originali, allora molto variegati), sfumature e con una sezione di basso continuo formidabile che, dalla Toccata iniziale (travolgente nell’intreccio dei fiati e dei tamburi) al coro finale, regalò tensione e musicalità. Oggi la parte musicale è stata affidata al più famoso Ottavio Dantone con la sua Accademia Bizantina. Confesso di non aver mai compreso l’entusiasmo per il direttore e la sua orchestra che, nei vari ascolti dal vivo – insieme e separati – non ha mai brillato per varietà. La lettura di Dantone infatti è molto più “grigia” (l’orchestra meno varia e numerosa, la sezione del basso continuo più ridotta): ordinata, compita, corretta (anche se qualche stonatura nei fiati ben poteva essere evitata), ma mai coinvolgente e spesso noiosa. Il suo “Possente Spirto” – pur nella versione fiorita – risultava monotono, senza la giusta caratterizzazione dei diversi strumenti voluto da Monteverdi ad arricchire l’invocazione dell’eroe. I tempi, poi, mancavano spesso di mordente. Al contrario il coro Costanzo Porta – ora come allora – è stato splendido nel non semplice ruolo. Dantone è stato la delusione più grande. Un po’ meglio il cast, anche se nel 2007 era un ben altro sentire. Il protagonista (che 10 anni fa era un ottimo Vittorio Prato, baritono), Emiliano Gonzalez Toro, stavolta tenore, è parso a disagio nell’estensione e nell’ornamentazione: il registro centrale era abbastanza curato, ma poco controllato (del resto la tessitura suggerisce l’uso di un baritono). Euridice (e La Musica) era la brava Anna Maria Sarra, forse la più convincente. Non mi è piaciuta per nulla La Messaggera/Speranza di Anna Bessi (nel 2007 la parte era sostenuta da Josè Maria Lo Monaco), anche perché non si capiva una parola di quel che cantava con una emissione più adatta all’opera tradizionale che al recitar cantando. Buoni senza entusiasmare il Caronte di Luigi De Donato e il Plutone di Federico Benetti (nel 2007 era Titolo che al termine dello spettacolo ebbe una vera e propria ovazione). Qualche problema in più nel gruppo dei Pastori, sovente stonati. Insomma un Orfeo che poteva essere migliore e che ha sofferto soprattutto l’inerzia della realizzazione musicale che si è “premurata” di anestetizzare Monteverdi compitando una prova corretta, ma svogliata. Peccato.

Gli ascolti:

Gabriel Garrido – Ensemble Elyma:

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Jordi Savall – La Capella Reial de la Catalunya:

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Giovanni Cavina – La Venexiana

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“Possente Spirto” – Vittorio Prato (Cremona 2007)

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3 pensieri su “L’Orfeo al Festival Monteverdi: un déjà vu che non convince.

  1. C.Monteverdi : “il piu’ grande compositore italiano ” . Bravo Duprez ! Considero “L’incoronazione di Poppea” il vertice del melodramma italiano , dopo : variazioni sul tema . P.S. mia opinione personale , of course .

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