L’africaine Sélika fra antico e moderno, prima parte.

Nel 1838 Eugène Scribe propose a Meyerbeer due libretti per nuove opere, il primo era quello de “Le prophète”, il secondo “L’Africaine”. Ad essere composto e messo in scena per primo fu, come sappiamo, “Le prophète”, anche se Meyerbeer durante la composizione di quest’ultimo pare avesse già iniziato a dedicarsi al progetto dell’Africaine. Progetto che nell’intenzione del compositore prevedeva ben altro titolo per l’opera, ossia “Vasco da Gama” e che nella sua lunga gestazione subirà continui rimaneggiamenti per quanto riguarda il libretto, l’ambientazione, i personaggi e la loro caratterizzazione. Meyerbeer non riuscì a vedere rappresentata “Africaine”, morendo infatti il giorno dopo aver terminato l’ultima e definitiva copia del suo lavoro, il 2 Maggio 1864. Almeno così raccontanta la tradizione, in siffatti casi prossima all’agiografia.
L’ultimo titolo venne, poi, rappresentato l’anno successivo all’Opéra di Parigi, prima di essere proposta pochi mesi dopo al Covent Garden, dapprima in italiano e poi in inglese, a New York e in altre città.

L’Africaine dopo la sua prima entra subito nel repertorio e vi rimane per molto tempo, insieme a Les Huguenots, più de Le prophète, forse appunto perchè risultavano mitigate in essa le richieste di virtuosismi e di grandi estensioni vocali, pur offrendo pagine di grande interesse e soddisfazione per cantanti in cerca di parti in cui sfoggiare la loro sapienza tecnica e la loro arte di interpreti.

E’ indubbio che l’opera, pur dedicando il title role al personaggio di Sélika, si concentri di fatto sulle imprese e sulla raffigurazione di Vasco da Gama, come originale intenzione del compositore. A Sélika Meyerbeer riserva la consueta, grande cura compositiva ma nel complesso dell’opera non si può notare come drammaturgicamente il personaggio non risulti appieno delineato, rimanendo ai margini dell’azione per ben due atti e senza un carattere compiuto e ben tratteggiato nel resto dell’opera, penso soprattutto al duetto con Ines dove esplode il geloso furore della regina Sélika, in tipico stile grand-opéra ma meno originale e delineato rispetto ai corrispettivi della Juive di Halévy o dello stesso Prophéte meyerbeeriano. Vocalmente rispetto a ruoli precedenti, Valentine degli Ugonotti e sopratutto Fidés nel Profeta, Sélika vede molto attenuate le richieste virtuosistiche fatte all’interprete, i passi vocalizzati infatti sono ridotti al minimo e sono, nell’economia dell’opera, certamente di diversa natura rispetto al virtuosismo di Fidès, in Sélika presenti più che altro come ornamentazioni di singole frasi. Le due grandi scene solistiche di Sélika e tutta la parte in sé infatti non hanno il coté virtuosistico della grande scena di Fidés, nè a Sélika è richiesto di essere la voce trainante di alcun finale d’atto (come succede invece a Valentine o a Rachel) bensì si esprime su uno stile diverso, una linea di canto più lineare e spiegata, nel finale dell’opera più vicino ormai a Gounod che non allo stesso Meyerbeer degli altri grand-opéra. La tessitura è quella che tradizionalmente potremmo definire di Falcon, ma rispetto a Valentine e Rachel (il title role di Juive) le richieste sono attenuate e non solo sotto il profilo acrobatico, ma anche delle note estreme. Eseguite ab integro sia Valentina che Rachel toccano ripetutamente il do5. Sélika non tocca mai note estreme del pentagramma (un solo do nel primo duetto con Vasco), attestandosi su una tessitura assolutamente centrale, confacente ad un soprano dal centro molto robusto o anche ad un mezzosoprano con capacità di cantare in zona acuta. E questo profilo vocale non sappiamo se fosse una precisa volontà del compositore o un fare di necessità virtù dell’avere a disposizione come protagonista Marie Sass, futura prima Elisabetta di Valois, che Verdi stesso non amava molto e per cui scriverà una parte anch’essa molto centrale e prudente in zona acuta. La lunga gestazione, il fatto che il passar del tempo avesse coinciso con il passare delle ipotetiche protagoniste porterebbe a concludere per la seconda soluzione. Corroborata la tesi dal fatto che Meyerbeer fosse sempre stato molto attento alle qualità dei propri primi esecutori. Il caso degli optional di Fidès, per mezzosoprani che non avessero le qualità tecniche e vocali della Viardot è paradigmatico.

Da subito Sélika affascina le prime donne. Lunghissima la lista di grandi cantanti che ne diventano grandi interpreti, cantanti di varia natura e di diverse caratteristiche e stili, soprattutto nei primi anni di circolazione del titolo. Si pensi che da subito entra nel repertorio di Adelina Patti, che a rigore poco avrebbe avuto a che spartire con la tessitura di Sélika (come pure con Aida, che spesso alternava a Sélika), poi intorno agli anni Novanta dell’Ottocento diviene tipico del cosiddetto soprano di forza come Lillian Nordica, Ester Mazzoleni, Lilli Lehmann, Rosa Ponselle, Elisabeth Rethberg, Maria Caniglia. Si diversifica ancora nelle ultime riprese dove sono Sélika soprani lirico-spinti come Antonietta Stella e Montserrat Caballè ed autentici Falcon come Shirley Verrett e Grace Bumbry.

L’aria che ci siamo proposti di analizzare è la prima delle due grandi scene solistiche della parte di Sélika, insieme alla grande scena finale, che spetta integralmente alla portagonista, la quale, sconfitta in amore, si uccide.
Sullo spartito compare come Air du Sommeil, si compone di una sezione iniziale a mo’ di berceuse in cui Sélika canta per allietare il sonno del suo amato Vasco, interrompendo più volte il suo canto per dar sfogo ai suoi sentimenti e ai suoi pensieri, alternando, quindi, il languore della cantilena alla disperazione dell’amore impossibile, nato nella giovane regina ormai schiava.

Il declino del grand-opéra coincide con quello delle registrazioni. Difatti esamineremo per lo più incisioni dei primi trenta anni del secolo scorso.

Le prime due incisioni dell’Air du Sommeil sono del 1905, nelle interpretazioni di Félia Litvinne e Giannina Russ. Entrambi soprani drammatici offrono interpretazioni molto diverse fra loro, così come estremamente diverse erano in fondo le peculiarità vocali dell’una e dell’altra.

L’incisione di Félia Litvinne si caratterizza da subito per la voce bella e corposa al centro e in basso. Nell’esecuzione dei semplici passi d’agilità la Litvinne spiana le terzine di “L’étoile scintille” mentre esegue quelle su “l’ombre” che portano la voce nella zona del mi-re grave. Non sono facili i primi acuti, un poco aperti, e i si naturali ribattuti di “son chant” sono sostituiti da un unico si naturale tenuto, un po’ duro. Molto bella la seconda parte, contraddistinta da un canto mantenuto leggero all’interno di una dinamica semplice ma varia, vedi l’esecuzione di diversa intensità dei due “sommeil en paix”. Ma ciò che si apprezza maggiormente della Litvinne è la facilità e la sonorità del registro centrale e grave. Non c’è infatti cambio di colore o perdita di lucentezza dell’emissione nell’eseguire le note più gravi rispetto a quelle centrali o medio-acute, anzi l’emissione della voce in queste zone rimane sempre alta, perfettamente sostenuta e immascherata. Perfetto esempio di questa grande omogeneità è la frase “Malgré moi je regrette à peine” che spinge la voce prima nella zona mi-si grave per portarla gradualmente alla zona re-fa acuta e infine al si naturale acuto di “Hélas, je t’aime”, piuttosto facile e squillante.

Giannina Russ, come già osservato di recente trattando delle Aide scaligere, offre un’esecuzione paradigmatica per tecnica e stile. La voce è sempre argentina e squillante in tutta la gamma, anche lei scende in maniera sempre omogenea, mantenendo costantemente la voce in una posizione alta e sonora. Esegue perfettamente le terzine di “L’étoile scintille dans l’ombre” ed è capace di una dinamica molto varia, padrona com’è di passare dal piano al forte all’interno delle varie frasi, con grande beneficio dell’espressività: il canto di questa Sélika è insomma di grande fascino. Bellissimi sono i si naturali ribattuti, facili e squillanti ed è interessante l’esecuzione della variante prima della ripresa dell’aria, in vece del lungo trillo, variante formata da 3 terzine che la Russ esegue a dinamica alternata e ogni volta diversa, con un effetto d’eco, di grande impatto. L’esecuzione di Giannina Russ è insomma forse la più vicina alla perfezione tecnica e vocale, terribile pietra di paragone per tutte le colleghe, soprattutto in termini di emissione.

Nel 1908 consegna al disco la sua esecuzione, un frammento che consiste nell’ultima ripresa della berceuse, Elise Elizza, grande cantante viennese che inizia nel 1892 come soubrette in varie operette per poi diventare membro stabile della Hofoper di Vienna dal 1895 al 1919. Iniziando dal repertorio leggero Elise Elizza nel corso della sua carriera arrivò ad essere rinomata interprete di un repertorio molto più vasto composto da Norma, La Regina della Notte, Marguerite de Valois, ma anche Rachel ne La Juive, Elsa in Lohengrin, Violetta Valéry e Leonora del Trovatore, Manon, Olympia e Tosca. La voce è corposa e molto bella per timbro, sicurissima in alto e nei trilli, bellissimi, pur se di ascendeza lirico leggera mostra una notevole consistenza e capacità di cantare nel registro centrale e a differenza di altri e futuri soprani, specie del giorno d’oggi, che spaziano nel repertorio senza una vera e propria categoria d’elezione la Elizza mostra una grande aderenza alle richieste dello spartito. Nello scendere alle note gravi ricorre al registro di petto, però ben emesso, senza alcun effetto deteriore per il gusto mentre gli acuti, se possono tradire qualche fissità sono però suoni lucenti e corposi, come l’ultimo si naturale di Hélas, che precede un bellissimo trillo aggiunto sul punto di corona di “c’est” prima di chiudere con un perfetto la naturale in pianissimo.

Molto diverso è il clima dell’esecuzione di Eugenia Burzio, anche lei diversissima dalle colleghe pur proponendo un’interpretazione validissima sotto il profilo tecnico e interpretativo. Gli stilemi adottati sono quelli tipici del gusto Verista, di cui la Burzio fu uno dei maggiori esempi, incarnandone pregi e difetti. Ma l’esecuzione che la Burzio da dell’Air du Sommeil non è affatto svolta in un clima da Cavalleria rusticana. Può darsi che in altri momenti dell’opera questa Sélika divenisse parente stretta dell’Anita della Navarraise di Massenet, della quale la Burzio fu tra l’altro rinomata interprete. Stando solo all’esecuzione dell’aria ci troviamo di fronte ad una bellissima esecuzione. I tempi risultano più slentati rispetto alla Russ, e la Burzio gioca molto a variare la dinamica, esasperando forse un poco oltre il lecito il prescritto “trainez le son” di “larmes”, è prodiga di colori e fascino come richiesto dalla pagina. Splendida la frase “odi il bengali” con le quartine prima discendenti poi crescenti eseguite dalla Burzio prima con un rallentando in pianissimo poi sempre crescendo fino ai si naturali ribattuti, forse non perfetti come quelli della Russ ma sicuri e belli, e rispetto alla Russ meno bella è anche l’esecuzione della variante prima della ripresa, priva del gioco dinamico della collega. E come sempre si apprezza nella Burzio la voce sontuosa, bella per timbro e il registro grave, qui ostentato con meno compiacimento del solito, facendolo risultare più coperto e alto per posizione del suono.

Tra le grandi interpreti del ruolo in teatro un posto particolare merita Margarethe Matzenauer, esempio di grandissima cantante ed interprete dalla carriera e dal repertorio impressionanti. Della Matzenauer abbiamo due incisioni, una del 1908 in tedesco e una del 1912 in italiano. Delle due la più bella è senz’altro quella del 1912, dove si percepiscono meno fissità nel registro acuto e dove la voce appare persino più sontuosa che nel disco del 1908. Nell’esecuzione dell’aria la Matzenauer esibisce una voce sontuosa, particolarmente bella soprattutto nella zona medio-grave, dove si percepisce una notevole ampiezza, che le permette sulle terzine discendenti di “dans l’ombre” di effettuare un notevole rallentando, di grande effetto. Solidissimo il registro acuto, registrato meglio nel 1912 rispetto al 1908, come i si naturali ribattuti, facilissimi, quasi sopranili, un poco fissi solo il la naturale di “murmure” e l’ultimo si naturale di “Hélas je t’aime”.
Questa esecuzione è parente stretta della registrazione della scena di Fides fatta da Sigrid Onégin. Identica è la facilità della voce, la sicurezza in tutta la gamma vocale abbinata ad uno strumento sontuoso per timbro, ampio e dalla notevole estensione. Si capiscono facilmente le ragioni per cui la Matzenauer potesse spavaldamente passare da Dalila a Brünnhilde, da Amneris alla Contessa delle Nozze di Figaro. Basti l’esempio dell’ultima parte dell’aria, la frase “malgré moi je regrette à peine” che inizia in zona grave per portare la voce al si naturale, la voce vi risulta sempre omogenea, bella e facile. Né manca a questa Selika il fascino interpretativo, posto che uno strumento così sontuoso governato da simile tecnica è espressivo per meriti intrinsechi.

Sélika di una certa fama fu anche Rosa Raisa, che nell’incisione dell’aria soffre un poco della velocità del tempo, peculiarità purtroppo di molte registrazioni giovanili della Raisa. Quello che ascoltiamo è nondimeno molto bello, soprattutto per la lucentezza della voce, sempre squillante, sicura negli acuti come nello scendere alla zona centrale e grave della voce. Splendido è il diminuendo che effettua sul lungo mi acuto di “c’est toi”, eseguendo il punto di corona con prescrizione “très long” come da spartito e uno splendido diminuendo dal mezzoforte al pianissimo.

Unica incisione pressoché completa dell’aria di Sélika fra i 78 giri è quella di Barbara Kemp, che incide anche la sezione centrale prevista in spartito come “Allegro con spirito”, in cui Sélika esprime i suoi sentimenti in contrasto di amore non ricambiato e dovere verso la patria, su una tessitura molto centrale e un pieno dell’orchestra.
Voce di soprano lirico spinto, di timbro meno bello rispetto alla Elizza e alla Raisa, la Kemp offre un’esecuzione ad ogni modo magistrale. Il tempo è lento, la dinamica molto varia e l’artista attenta ai segni d’espressione presenti come sempre in abbondanza nelle partiture di Meyerbeer. La Kemp è molto valida nell’esecuzione dei passi vocalizzati, dove la voce è mantenuta leggera per emissione e quindi fluida per naturale conseguenza, e delle note ribattute, ma al tempo stesso è capace di mantenere sicura la voce anche nella frasi più basse, pur non avendo la naturale ampiezza di una Matzenauer. Valgono ad esempio le frasi “Eteins Brahma les flammes de mon coeur”, dove la voce scende sotto al rigo su un orchestrale non certo indifferente. Ancora bellissima è l’esecuzione dei trilli e la consistenza di piani e pianissimi, sempre corposi e sul fiato.

Anche Claudia Muzio, come la Raisa, è costretta ad incidere l’aria con un tempo piuttosto veloce, che inficia un po’ l’esecuzione. Esecuzione che è certamente bella, soprattutto per la varietà della dinamica e la sicurezza tecnica, pur ricorrendo a qualche facilitazione, per esempio nelle terzine discendenti e ascendenti di “l’étoile scintille dans l’ombre” si ferma sul re diesis grave invece di risalire al re diesis e si centrale, è brava nell’esecuzione delle quartine di “le bengali dit”, dove rispetta la dinamica variando il tono dal piano al forte, ma evita i si naturali ribattuti preferendo toccare solo un si naturale ed eseguire la variante seguente. Si tratta però solo di arbitri e non di veri difetti di esecuzione.

La più famosa Sélika degli anni 20-30 è stata senza dubbio Rosa Ponselle, interprete del ruolo ripetutatemente al Met fra il 1923 e il 1934, dove si alternava nel title role ad Elisabeth Rethberg, della cui Sélika purtroppo non rimane testimonianza (vale la pena però ricordare che la Rethberg ha inciso una bellissima aria di Inès). Nel corso di questi anni la Ponselle incise almeno 3 volte l’Air du Sommeil, due nel 1925 e una nel 1929.
Delle due la più bella è senz’altro la prima del 1925 dove possiamo sentire una voce bellissima di timbro, sensuale, dotata di una grande e naturale comunicativa, ideale per il canto di Sélika. La Ponselle esibisce qui una grande facilità al centro e in alto, esegue con nitore i passi vocalizzati, affrontati di forza, sfoggia pianissimi pieni e sicuri in ogni zona della voce. Rispetto alle interpretazioni precedenti si può però notare come la Ponselle indulga nelle note gravi all’uso del registro di petto, cambiando drasticamente anche il colore della voce rispetto al centro, sempre splendido. Confrontandola con Giannina Russ si potrà senz’altro dire che il timbro della Ponselle risulti più sensuale, ma bisogna aggiungere come tecnicamente la collega fosse più agguerrita e precisa, capace di mantenere la voce in posizione alta per virtù tecnica rendendo la voce così più omogenea e sicura. E infatti l’indulgere nel registro di petto e in certi suoni aperti si sente più chiaramente nella registrazione del 1929, per nulla esente da suoni aperti appunto ed infantili che interpretativamente si traducono in bamboleggiamenti. Qui anche i primi acuti risultano aperti; come sempre belli i trilli, facilissimi. Rispetto all’incisione del 1925 siamo più vicini qui ai vezzi d’esecuzione della Ponselle del declino. Va da sè che oggi come oggi questa risulta sempre una grandissima esecuzione, ma il confronto con le colleghe a lei contemporanee e con le interpreti della precendente generazione vede la Ponselle in difetto per quanto riguarda la sicurezza del registro basso.

Gli ascolti

Meyerbeer – L’Africaine

Acte II

Sur mes genoux (Air du Sommeil)

1905 – Félia Litvinne
1905 – Giannina Russ
1908 – Elise Elizza
1908 – Margarethe Matzenauer
1910 – Eugenia Burzio
1912 – Margarethe Maztenauer
1912 – Rosa Raisa
1917 – Barbara Kemp
1922 – Claudia Muzio
1925 – Rosa Ponselle
1929 – Rosa Ponselle

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