Mese di agosto VII – Opera tragica, seconda puntata: Achille di Paer

Quando nel dicembre del 1816 l’Achille di Ferdinando Paer (su libretto del tenente Giovanni de Gamerra) venne ripreso alla Scala, l’opera piacque poco. In particolare si rimproverò al protagonista di non essere all’altezza del primo interprete, il tenore Antonio Brizzi, che aveva creato l’opera a Vienna, al Teatro di Porta Carinzia il 6 giugno 1801 e l’aveva ripresa, in seguito, a Dresda nel 1806.
Siccome il protagonista ambrosiano era nientemeno che Domenico Donzelli, viene da chiedersi che razza di “monstrum” vocale fosse Brizzi.

Una cronaca del tempo così lo descrive: “La sua voce è più da robusto baritono, ma possiede nondimeno un’estensione eccezionale”. In effetti da alcuni critici il cantante viene classificato come baritono senz’altro. È plausibile che l’eccezionale estensione fosse raggiunta e mantenuta con un accorto uso del falsettone, procedimento oggi ritenuto sconveniente e sorpassato. Il che forse spiega perché sia così difficile allestire titoli, come l’Achille (ma anche gran parte dei drammi seri di Rossini), che prevedano l’impiego di una voce di baritenore. Vedasi in proposito la recentissima cronaca pesarese!
Alcune fonti riportano, fra i nomi degli esecutori alla prima viennese, quello dell’evirato Girolamo Crescentini. La circostanza pare dubbia, dato che l’organico dell’opera non prevede parti di musico (e non risulta che la parte di Patroclo, la cui caratterizzazione più delle altre si presterebbe alla bisogna, abbia subito rielaborazioni in tal senso). È ipotizzabile che a Crescentini fosse affidato il ruolo della protagonista femminile, Briseide, nell’impossibilità di assegnare a un cantante così illustre la parte della seconda donna, Ippodamia, grande Sacerdotessa di Pallade. La presenza del castrato in un ruolo muliebre non sarebbe a ogni modo contraria all’estetica del melodramma eroico e confermerebbe, per chi avesse dubbi in proposito, la perfetta sostituibilità delle voci femminili con quelle dei castrati e viceversa. Nella ripresa di Dresda, la parte di Briseide fu sostenuta da Francesca Riccardi, moglie del compositore e futura creatrice, in Ferrara, di Amenaide nella seconda versione del Tancredi rossiniano.
Sempre nelle cronache scaligere si descrive il melodramma di Paer come una di quelle opere che “non camminano” senza il loro creatore. È ben vero che, in difetto di un grande protagonista, Achille rischia di risultare un’opera zoppa, ma la musica ha nondimeno alcuni momenti di grande interesse, fin dalla sinfonia, che descrive il sorgere del sole sull’accampamento greco e che il compositore collega direttamente all’introduzione, affidata al coro maschile e ad Achille. In questa sortita e nella successiva aria bipartita (e in nuce già rossiniana) “Languirò vicino a quelle”, il Pelide deve sfoggiare non solo grande sicurezza nella coloratura (che insiste spesso nella zona del secondo passaggio) e acuti svettanti (malgrado la tessitura piuttosto bassa), ma anche la capacità di mutare il colore della voce a seconda che l’eroe evochi l’amata Briseide o gli allori bellici che gli consentiranno di conquistarla definitivamente.
Segue a questo autentico tour de force del protagonista la cavatina di Patroclo, “Quel foco tenero”, che è in effetti un’arietta col da capo piuttosto tradizionale ma assai gradevole, seppure scandita da fioriture più adeguate a un azzimato cicisbeo che a un valoroso guerriero. L’amico e confidente di Achille ha in quest’opera voce di basso, ma nella partitura che si trova al Conservatorio di Napoli questo brano è trasposto quattro toni sopra. Appare ragionevole credere che, in qualche occasione, il ruolo sia stato sostenuto da un tenore, ma in questo caso altri rimaneggiamenti avranno certo interessato la parte del protagonista, in modo tale da mantenere la differenza timbrica fra i due guerrieri, differenza prevista dall’autore e sfruttata ad esempio nel duettino al secondo atto, “Giusti Numi, ah sostenete”, in cui le voci procedono ora per terze, ora a canone.
La parte di Briseide è più in ombra non solo rispetto alla coppia Achille/Patroclo, ma all’antagonista, Agamennone, altra voce di basso nobile cui il compositore assegna un’elaborata aria (purtroppo non entusiasmante sotto il profilo qualitativo) all’inizio del secondo atto. La figlia di Briseo, Re di Lirnesso, ha il suo grande momento poco prima del finale dell’opera, con una grandiosa scena “di catene” cui partecipano Ippodamia e il Coro femminile. La parte richiama per alcuni aspetti quella di Achille, in primo luogo per la scrittura tendenzialmente centrale, cui si unisce la necessità di un vigoroso registro acuto (fino al do5). Decisivi risultano il controllo e la qualità del legato, specie nella sezione lenta centrale. Di passaggio ricordiamo che, nel Tancredi ferrarese, la Riccardi chiese e ottenne una nuova aria del carcere per Amenaide, molto più brillante e “d’effetto” rispetto all’originaria cavatina “No, che il morir non è”. Non è azzardato presumere che analoghi rimaneggiamenti abbiano interessato questa scena, nelle produzioni in cui Briseide venne affidata all’ugola della signora Paer.
Rimane da dire dei finali, che sono forse le pagine più impressionanti della partitura. Il primo consiste di un quartetto con coro (accanto ad Achille, Agamennone e Briseide interviene il secondo basso, Briseo) che non ha nulla da invidiare ai grandi concertati del giovane Rossini (penso soprattutto al finale primo di Tancredi e, in altro genere, agli ensemble della Pietra di paragone e del Turco in Italia), mentre il secondo prevede dapprima un recitativo accompagnato di Achille, che assiste al compiersi della battaglia fuori scena, quindi un duetto fra lo stesso e Briseide, una Marcia funebre per Patroclo (che avrebbe ispirato a Beethoven quella inserita nel secondo movimento della Terza sinfonia), infine un duetto fra Briseide e Agamennone, che si muta in terzetto all’ingresso di Achille e in quartetto con la comparsa del gran Sacerdote di Apollo, che riporta l’esito di un oracolo: gli Dei ingiungono all’eroe di restituire la fanciulla al padre. In totale, quasi mezz’ora di musica che il compositore regge senza ricorrere a recitativi secchi e costruendo una struttura, che coniuga il massimo di libertà formale e la più rigorosa aderenza alle esigenze del libretto. In questo, più ancora che nella raffinata orchestrazione, e malgrado il trattamento sfrenatamente virtuosistico e profondamente “italiano” delle voci, si può rintracciare l’influenza diretta della riforma gluckiana, ancora ben presente alla memoria del pubblico viennese agli inizi del XIX secolo.
Da segnalare infine che nelle riprese di Parigi (1808) e Napoli il titolo acquistò un finale lieto (Achille rifiuta di rinunciare a Briseide e guida i Greci alla vittoria su Ettore) e, quel che più conta, una nuova aria conclusiva per il protagonista, “Tergi l’amaro pianto”.

Gli ascolti

Paer – Achille

Atto I

Speme, fermezza e gloriaIorio Zennaro (1989)

Languirò vicino a quelleIorio Zennaro (1989)

Quel foco teneroAlfonso Antoniozzi (1989)

Le ostili spogliePaolo Gavanelli, Iorio Zennaro, Giusy Devinu & Carlo De Bortoli (1989)

Atto II

Non ostinarti alloraPaolo Gavanelli & Giusy Devinu (1989)

Giusti Numi, ah sosteneteIorio Zennaro & Alfonso Antoniozzi (1989)

Frena le lagrimeGiusy Devinu (con Valeria Esposito – 1989)

Fra quanti vari affetti…Di chi fedel t’adora…Ecco il suo busto esangue…Serena, o cara…Achille, ascoltamiIorio Zennaro, Giusy Devinu, Paolo Gavanelli & Alfonso Marchica (1989)

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